Quantcast
Channel: La Nostra Storia
Viewing all 339 articles
Browse latest View live

Viaggio nei "paesi fantasma" della Garfagnana

$
0
0
Fabbriche di Careggine
Diamo onore a chi non c'è più...Stavolta grazie a Dio non parliamo però di morti, ma parliamo di tutti quei paesi in Garfagnana che sono spariti dalla faccia della Terra e dalle mappe di tutta Italia e che sinistramente vengono chiamati"paesi fantasma".Mi sembra giusto ricordare un po' tutti questi borghi che per un motivo o per un altro sono stati progressivamente abbandonati. La Garfagnana sicuramente è una fra le zone in cui maggiormente è avvenuto questo fenomeno e pensare che una volta questi luoghi erano pieni di vita ed attività lavorative, abitati da centinaia di persone e oggi la vegetazione li ha "mangiati" e la memoria li ha cancellati. Questo articolo di oggi non vuole essere però un censimento dei paesi abbandonati della valle, chissà quanti ci sono che non conosco e quanti ce ne sono stati che nessuno ricorda più, vuole essere semplicemente un viaggio in questo fenomeno non tipicamente garfagnino ma che riguarda sopratutto il nostro Paese, infatti secondo dati ISTAT in Italia abbondano a quasi seimila i borghi abbandonati, considerando i veri e propri paesi, gli alpeggi e gli stazzi. Ognuno di questi centri disabitati racconta la storia del proprio territorio e la propria intima vita quotidiana.Quando si disquisisce sui "paesi fantasma" bisogna andare a vedere innanzitutto le cause dell'abbandono che possono essere molteplici. Una fra le cause principali può essere determinata dalle forze della natura,viene subito alla mente il centro storico de L'Aquila distrutto dal terremoto del 2009 e fino a poco tempo fa semi deserto e per esempio nel nostro piccolo esiste(o meglio non esiste più)il borgo diBergiolanel comune di Minucciano. La sua storia si è sviluppata attraverso i secoli senza particolari problemi fino a quel tragico settembre del 1920 quando (come ben si sa) un distruttivo terremoto colpì l'intera Garfagnana e questo per Bergiola significò una dolorosa fine. Il
Bergiola
(foto tratta dal sito bergiola.it)
paese venne così completamente abbandonato.In seguito con l'andar degli anni la vegetazione si fece fitta ed era difficile anche raggiungerlo e si innescò per questo un clima di mistero e paura, si racconta che in certi periodi dell'anno ci si poteva imbattere in un mostruoso serpente nero chiamato (dai pochi sfortunati che giurano di averlo visto)con l'inquietante nome di Devasto.

Da non sottovalutare nemmeno le cause riguardanti le epidemie.Nei secoli scorsi alcuni alpeggi garfagnini a ridosso dell'Appennino tosco-emiliano a partire più precisamente dal 1629 (quando ormai la peste stava dilagando in Garfagnana), furono letteralmente dati alle fiamme dalle guardie governative del Duca di Modena Francesco I d'Este,che cercavano in questo modo di delimitare il contagio ai centri urbani più grandi, per questo come detto alcuni piccoli abitati dei pastori furono incendiati e di questi centri addirittura non si conosce più nemmeno il nome. A riguardo di epidemie, curiosa è la probabile etimologia del nome del"paese fantasma" di Camperano (località che si trova tra Trombacco e Chieva di Sotto nel comune di Fabbriche di Vergemoli). La storia ci dice che in questo posto venivano portati i lebbrosi da Piastreto, sotto le grotte di Burioni a Trassilico, il prete dava a quegli sventurati la benedizione e guardando in basso verso di loro scuotendo la testa diceva - Camperanno o moriranno?- e di lì il nome Camperano.
Vispereglia
(foto Daniele Saisi)
Fra tutte le altre cause possibili la più frequente è sicuramente quella economica. Tutti sanno che nel secondo dopoguerra in Italia c'è stato l'abbandono delle montagne e l'invasione delle città o di quei paesi dove cominciavano a sorgere le industrie. Questi villaggi "lontani dal mondo" e con ormai poche possibilità di guadagno furono lasciati progressivamente deserti fra gli anni '50 e '60  e non mancò a questa regola nemmeno la Garfagnana. Vispereglia e Col di Lucosempre nel comune di Fabbriche di Vergemoli ne sono un esempio pratico, questi paesini vivevano infatti di vita propria, proprio in quei tempi in cui il ritmo della vita non era quello di questi anni, andavano avanti come piccoli ecosistemi autonomi, riuscendo ad avere tutto di quello di cui avevano bisogno, grazie alle coltivazioni, alle risorse naturali e all'ingegno delle persone.
Non ci possiamo nemmeno dimenticare delle cause belliche, perchè quando non è la natura, è l'uomo a distruggere quanto costruito da se stesso. La guerra esiste da quando esiste l'uomo e sono numerosi i paesi distrutti dai bombardamenti della II guerra mondiale a conferma di questo il paese di Col di Favilla nel cuore delle Apuane nè è un fulgido esempio. Le attività principali degli abitanti erano la produzione del carbone, la pastorizia, la lavorazione dei metalli presso il canale delle Verghe
Col di Favilla
(foto di Aldo Innocenti)
e l'estrazione del tannino dal castagno, destinato alle concerie del pisano, insomma il paese era più vivo che mai e solo i bombardamenti alleati dell'ultimo conflitto mondiale, dove il borgo subì gravi distruzioni e le allentanti comodità che offriva il fondovalle fecero cessare per sempre il cuore battente di questo ultra secolare abitato. Altro singolare esempio di paese scomparso per cause sempre riguardanti la guerra ed eventuale pericolo di invasione è la curiosa storia del villaggio diMonti situato nel prospiciente colle davanti a Castelnuovo Garfagnana.Il piccolo paesello annoverava una"signora" chiesa intitolata a San Pantaleone e a San Michele, risalente addirittura al 1045, non per questo il

duca Alfonso II d'Este si fece dei problemi e nel 1579 non esitò a costruirvi l'attuale e famosa Fortezza di Mont'Alfonso,cosicché lo sfortunato paese fu inglobato letteralmente nelle imponenti mura, negli anni successivi fu militarizzato e di conseguenza cancellato da qualsivoglia mappa.
Può succedere anche che un paese venga completamente espropriato e questo è successo al più famoso di tutti i "paesi fantasma" cioè a Fabbriche di Careggine. I giorni che suo malgrado lo resero nella memoria di tutti immortale arrivarono all'inizio del 1941 quando la Società Selt Valdarno (l'attuale E.N.E.L)sbarrò il corso del fiume
Fabbriche di Careggine semi sommerso
Edron con lo scopo di costruire un bacino idroelettrico e così tra il 1947 e il 1953 venne costruita la diga (92 metri di altezza) che portò alla nascita del lago di Vagli e alla conseguente morte del paese che ormai già stava sotto a 34 milioni di metri cubi di acqua. Quando venne sommerso la località contava 31 case popolate da 146 abitanti, un cimitero,un ponte a tre arcate e la chiesa romanica di San Teodoro risalente al 1590. I 146 abitanti che a malincuore lasciarono le loro case furono trasferiti nel vicino paese di Vagli di Sotto oppure in altri paesi della valle.

L'Isola Santa
(foto tratta dal blog Giorni Rubati)
Simile fine la fece pure l'antico borgo dell'Isola Santa nel comune di Careggine, ma qui il discorso cambia un po' e la causa fu da considerarsi antropica (mamma mia che parolona!!!), per antropico si intende tutti quei fattori che, attraverso la mano dell'uomo provocano delle reazioni che hanno la risultante di produrre (in questo caso) lo spopolamento di un paese. Il più lampante in Garfagnana riguarda proprio l'Isola Santa, lì la pace finì nel 1949 quando venne costruita un ennesima diga per lo sfruttamento della Turrite Secca.Il centro abitato fu in parte sommerso: alcune case, un ponte ed un mulino. Il peggio però doveva ancora venire, difatti si scoprì che tutto il resto del paese rimasto in superficie aveva problemi di stabilità,problemi dovuti alle grandi escursioni di acqua, imposte dalla Selt Valdarno. La situazione venne risolta alla fine degli anni '70, ma ormai lo spopolamento era avvenuto e danni irreparabili erano già stati fatti, l'Isola Santa era ormai quasi disabitata. Nel 1975 gli ultimi abitanti rimasti, durante uno svuotamento del bacino artificiale, occuparono il paese in segno di protesta per rivendicare il diritto a case nuove e sicure. La lotta in buona parte ebbe successo, le abitazioni nuove furono costruite altrove, e fu la definitiva morte di un antichissima comunità.

Si conclude così questo piccolo viaggio nei paesi abbandonati della Garfagnana e il mio pensiero va a tutti gli abitanti (ormai quasi tutti scomparsi) di questi
borghi e alla tragedia che hanno subito, veder sradicate le loro origini,le loro abitudini, abbandonare le case e i campi che loro stessi o i loro genitori costruirono e coltivarono con sacrificio e amore deve essere stato uno strazio inimmaginabile e di difficile sopportazione. 

Garfagnana: i bambini e la II guerra mondiale. Memorie dimenticate...

$
0
0
1944. Bambini che "giocano" con un
carro armato alleato
In ogni guerra i bambini sono le vittime più indifese. Brutalmente strappati da un mondo familiare e domestico a un mondo totalmente sconosciuto, fatto di privazioni, di paura, di fame e violenza, sono costretti a seguire il destino degli adulti in una situazione che gli stessi adulti hanno creato e che loro di certo non hanno voluto. Nei libri di storia i bambini non hanno voce. Sono assenti, oppure spariscono dietro le cifre delle vittime o nelle ricostruzioni dei grandi eventi. Nella maggioranza dei casi la storiografia non si interessa del loro punto di vista, ritenendoli testimoni ingenui o poco affidabili proprio per l'età in cui hanno visto compiersi il male, eppure nel loro sguardo rimangono tracce divenute incancellabili. Il mio articolo di oggi vuole ridare voce e luce a tutti quei bambini che in Garfagnana sono morti nella II guerra mondiale. Abbiamo sempre parlato e scritto (me compreso) di battaglie, di armate e partigiani a riguardo della guerra nella nostra zona, ma i bambini dove erano? Cosa facevano? I bambini di quel tempo, fino a quel funesto 10 giugno 1940 (n.d.r: giorno dell'entrata in guerra) erano esattamente come i bambini di oggi, piaceva giocare, piacevano i dolci e non piaceva la scuola e la maestra, da quel giorno cessò la loro fanciullezza e divennero immediatamente adulti, molti di questi piccoli morirono e quelli che sopravvissero non se la passarono bene comunque, una buona parte di questi fanciulli rimasero brutalmente mutilati, altri ancora 
orfani e a quelli che non successe niente di tutto questo rimasero nell'anima e negli occhi immagini e sensazioni che nessuno dovrebbe mai nè vedere nè provare, per tutti questi il destino riservò in ogni modo un unica conseguenza, quella di non far tornare mai più i giorni della spensierata gioventù,sobbarcandosi da subito di enormi e insopportabili fardelli. Cercando e ricercando addirittura non si riesce nemmeno a trovare il numero dei bambini morti per guerra dal 1940 al 1945, sono inglobati nel numero totale delle vittime, di loro si sono perse le tracce e la memoria. Ma siccome la storia è anche memoria ecco allora come non ricordare Virgilio di otto anni di Nicciano (comune di Piazza al Serchio) morto sotto i bombardamenti insieme alla mamma Bertei Vittoria nell'inverno 1944, oppure è impossibile non rammentarsi di Pierluigi Bernardi bimbo di Treppignana (comune di Fosciandora) di età indefinita morto a causa di una granata esplosa, non scordiamoci nemmeno di Giuliano Nardini di quattro anni che nella famosa battaglia di Sommocolonia muore in braccio alla madre colpito da una raffica di mitra provenuta da chissà dove e sempre nell'inverno di quel maledetto 1944 intere famiglie furono falcidiate sotto le bombe dei temibili cacciabombardieri alleati Thunderbolt, schiere di innocenti fratellini rimasero sotto le macerie dei bombardamenti che in quel drammatico 28 dicembre colpirono implacabilmente tutta la Garfagnana. Fu colpita così inesorabilmente la piccola frazione di Pontecosi (comune di Pieve Fosciana)dove incredibilmente morirono ben otto persone appartenenti alla famiglia Guidi, fra i quali i piccoli Michele di anni dieci,Francesco di nove, Maria Grazia di tre, e Pietro di un anno, di tutto il nucleo familiare rimase viva la sola madre(pensate lo strazio !!!), la stessa sorte il solito giorno colpì Cascio (comune di Molazzana)e la famiglia Prontelli, oltre al babbo e alla mamma rimasero senza vita anche i figli Davide di quattordici anni,Varno (?) di quindici,Gisella dieci,Sandro otto,Aurora sette e Loredano di due anni, in più le cuginette Carla di otto e Nada di due e che dire poi dei fratellini Kurt (di quattro anni) e Liliana Urbach di appena quindici mesi? Questi erano bambini ebrei deportati dall'Austria a Bagni di Lucca e morti poi nell'inferno di Auschwitz.Naturalmente questi nomi non sono che una goccia nel mare dei bambini morti per causa bellica in Garfagnana e se mi è concesso a futura memoria e in rappresentanza di tutti i bambini della valle periti in tutte le guerre vorrei ricordarne una su tutti: Ada Cassettari. Di questa bambina si ha una memoria precisa nel diario dell'allora tenente della Divisione Monterosa Cesare Fiaschi appartenente al Gruppo Artiglieria Bergamo. Si racconta in questa pagina di diario della ritirata delle forze tedesche e italiane dopo quella battaglia che passerà alla storia come la "battaglia di Natale"(per la storia della battaglia leggi: http://paolomarzi.blogspot.it/2014/12/il-piu-tragico-natale ) ma anche conosciuta con il nome in codice (tedesco) Wintergewitter (ovverosia Tempesta d'inverno). Nei giorni a ridosso del Natale ci fu una grossa offensiva delle forze dell'Asse che
Barga bombardata
sbaragliarono tutta la linea ricacciando gli americani indietro di una ventina di chilometri.Dopo pochi giorni i tedeschi non supportati da eventuali rinforzi tornarono nelle posizioni originarie, ma lo smacco e la paura fu grande per gli alleati che cominciarono a bombardare la Garfagnana senza pietà,ecco allora il racconto di quei giorni e la brutale vicenda della piccola Ada:


-Giorno 30 dicembre 1944
Prosegue ininterrottamente l'offensiva aerea. Gli americani vogliono far pagare a caro prezzo il successo dell'operazione Wintergewitter che, dati i mezzi di cui dispongono, li ha non poco ridicolizzati. Cacciabombardieri spezzonano e mitragliano la zona dove sono alloggiate le salmerie della linea pezzi della nostra batteria. Terminata l'incursione ricevo telefonicamente notizia dal sergente Rabitti loro comandante, che non vi sono state perdite. Felice scendo di corsa le scale per recarmi al piano terra e comunicare agli uomini la buona notizia, ma alla porta d'ingresso della costruzione incontro una giovane donna con un bambino in braccio. La mano destra della donna che sorregge la testa del piccolo è sanguinante e il bambino ha la testa sfracellata. La ragazza tutta coperta di sangue è venuta da chi sa dove per cercare soccorso.E' in stato di shock, certamente non si è resa conto che il bambino è morto. Questa improvvisa, inaspettata visione mi fa passare in un istante da uno stato di contentezza ad uno stato di sconvolgente
famiglie in fuga dai bombardamenti
costernazione; ho un capogiro, devo appoggiarmi alla costruzione per non cadere per terra, non riesco a guardare. Qualcosa in me rifiuta questa realtà, ho sopportato la visione di corpi straziati, divenuti irriconoscibili ma l'espressione di quella madre, impietrita dal dolore e dalla disperazione, non riesco a sostenerla. Per fortuna arriva l'ufficiale medico che immediatamente soccorre la sfortunata ragazza e la ricovera nell'infermeria. Senza l'intervento del dottore non sarei riuscito a combinare niente di positivo, in quanto in un istante la mia mente ha cessato di ragionare. Maledirei il mondo e le atrocità della guerra- 


Il piccolo bambino di cui si parla non era un maschietto,ma bensì una dolce femminuccia, era appunto Ada Cassettari figlia di Carlo e di Regoli Silvia, la giovane madre che la teneva in braccio. Ada aveva appena due anni e morì in località Tineggiori (nel comune di Fosciandora) il 30 dicembre '44 dopo un violento bombardamento e mitragliamento aereo. Una scheggia attraversava così il braccio della mamma che la sosteneva, conficcandosi nella testolina della povera piccola.

Così diceva Charles Summer un lungimirante politico della metà del 1800:
"Datemi il denaro che è stato speso nelle guerre e vestirò ogni uomo, donna o bambino con un abbigliamento dei quali re e regine saranno orgogliosi. Costruirò una scuola in ogni valle sull'intera terra. Incoronerò ogni pendio con un posto di adorazione consacrato alla pace"

Come erano le fiere in Garfagnana alla metà del 1800. Meraviglie mai viste...

$
0
0
L'inverno è finito, le giornate uggiose cominciano ad essere un
fiera del bestiame
triste ricordo e quindi basta con le noiose serate passate sotto un plaid a guardare delle deprimenti trasmissioni televisive, comincia finalmente la bella stagione, il periodo dello svago, delle feste e delle fiere. A proposito di fiere,che cosa c'era di più atteso che un evento come una fiera per un bambino? Nei miei ricordi di bimbetto fiera voleva dire regalo e dolciumi. Sì, perchè in ogni fiera che si svolgeva nel mio paese la nonna, la mamma o chicchessia sicuramente mi avrebbe regalato il giocattolo preferito che avevo visto 
la mattina di buon ora alla bancarella dei giochi, però a condizione imprescindibile di andare a messa e fare comunione. Dopodichè a fine messa tutto il parentado andava a pranzo dalla nonna, ci si rimpinzava a più non posso e poi di corsa fuori, si andava quindi a comprare il sospirato giocattolo,di conseguenza non poteva nemmeno mancare una capatina dal "chiccaio" per l'acquisto di qualche dolce leccornia: i brigidini, "i sigari" o magari il croccante e sicuramente ed immancabilmente sarebbe avanzato anche qualche lira per le autoscontro del Bisio. Questa brevemente era la mia fiera, ma le fiere nella valle esistono da secoli e allora andiamo a vedere com'era una fiera garfagnina nella metà del 1800.Un tuffo in un qualcosa di magico e poetico,fatto di antichi sapori e di immagini che sembrano uscite dalla macchina del tempo. 
La prima (forse) e la più importante fiera della valle era quella di
Niccolò III D'Este
Castelnuovo Garfagnana che si svolgeva a settembre. Fino agli anni precedenti all'unità d'Italia questo tradizionale mercato mantenne inalterate le sue caratteristiche prettamente commerciali,pensiamo fra l'altro che questa manifestazione risale addirittura al 1430 quando Niccolò III D'Este dette il benestare per il suo allestimento. Lo scopo della manifestazione era quello di riunire, nella prima settimana di settembre tutti i migliori commercianti di bestiame e di prodotti agricoli provenienti da tutta la Garfagnana e dalle zone limitrofe, qui si vendevano o si scambiavano prodotti, si discuteva di nuove merci o di semine. Il cambio radicale ci fu verso il 1850 quando gli organizzatori della fiera, al fine di richiamare quanti più visitatori ed operatori possibili, decisero di arricchire il mercato con divertimenti ed iniziative che coinvolgevano la cittadinanza e le associazioni di volontariato. All'inizio naturalmente si partì a piccoli passi, furono realizzate piccole cose, fatte comunque con grande entusiasmo e poca spesa grazie ad artisti locali. Man mano che gli anni passavano la cosa cominciò a prendere mano diventando di fatto la fiera più importante del Ducato (n.d.r: dopo Modena) tanto da richiamare artisti di strada di ogni sorta da tutta Italia. Sulla scrivania del sindaco giunsero numerosissime richieste, risale al 28 maggio 1850 la lettera di tale Napoleone Bigazzi di Milano che chiedeva il permesso di "mettere una baracca in tela sulla Piazza del Mercato per eseguire esercizi ginnici", stessa richiesta faceva anche Emilio Barbieri di Bologna che nell'agosto del 1858 pregava le autorità di "concedergli (come è stato negli anni decorsi) di poter chiudere un

Circo sulla piazza del bestiame nei giorni di fiera e presentare al rispettabile e colto pubblico anche esercizi ginnici". Naturalmente gli spettacoli di atletica andavano per la maggiore, ma molte richieste erano per eseguire il "ballo della corda" (n.d.r: una variante della quadriglia): "Da trent'anni circa veniva annualmente per la fiera di settembre in questa città- scriveva così un certo Gaspero Petreria di Livorno detto "il Diavoletto"- ed esercitava il ballo della corda nella così detta piazza del Crocefisso. Essendo anche quest'anno ritornato implorerebbe dalla Bontà della Signoria Vostra Illustrissima lo stesso permesso gratuito come fu per lo passato" così anche Giuseppe Tonini da Pisa: "Desideroso di recarsi in questa Città per la prossima fiera di settembre per eseguire con la compagnia di cui sono direttore,balli di corda e giochi di ginnastica nella Piazza del Crocifisso". Per accogliere le centinaia e centinaia di persone che venivano da tutta la valle e anche fuori regione occorreva variare anche le esibizioni e più singolari e curiose erano e più sicuramente avrebbero avuto successo è il caso di Michele Mazzoleni di Bergamo che nella fiera del 1876
Esercizi ginnici
presentò:"destro fisico e proprietario di una raccolta di uccelli ammaestrati ad eseguire diversi giuochi" oppure le richieste del violinista Gaetano Pucci di Livorno nel 1857 che voleva dare "accademia strumentale nella fiera di Domenica" e pregava che gli fosse concessa la sala comunale. Ma su tutte svettava la meraviglia delle meraviglie e quella fiera del 1868 rimarrà nella memoria dei garfagnini per molti anni.Fu un vero evento quello che Gaetano Ambrogini propose in quella memorabile fiera, fece vedere immagini che i garfagnini mai avevano visto in tutta la loro vita. Quella del "Gabinetto Panoramico" fu un vero incanto che così si descriveva nella sua presentazione "In esso si osservano dei nuovi ritrovati dell'arte fotografica e quadri ottico-plastici- ottico cosmografici, ottico- panoramici, che destarono ovunque grande meraviglia, specialmente per vedute di battaglie con macchine Alletescop all'ultima perfezione- così continuava il volantino- Si osserva il mondo in miniatura, da un polo all'altro, dalle più ridenti sponde del Nilo ai ghiacci eterni della Siberia, le più alte montagne, le rovine degli antichi monumenti,i più preziosi palazzi, tutto sarà dato vedere come pure i misteri di Londra,Parigi e Berlino dove si scoprirà la vita intima delle famiglie, dalle più aristocratiche alle più umili abitatrici di meschine capanne. Bisogna vedere per credere che tutto questo viene rappresentato in grandezza naturale, rilievo e colorito naturale, quanto un personaggio il più grande, non troverebbe meglio col spendere una vistosa somma". Immaginate voi la meraviglia che poteva essere per persone che a malapena e con difficoltà si spostavano da un paese all'altro.  Insomma gli anni passavano e la fiera aveva sempre più una buona riuscita, le richieste di partecipazione giungevano da ogni parte d'Italia, segno che la manifestazione aveva ormai un successo nazionale, infatti le associazioni furono coinvolte ancor di più con il compito di

reperire fondi e programmare al meglio i festeggiamenti e i giochi a sostegno delle attività commerciali. Ecco allora un programma degli eventi del 1895 fatto dalla Società Operaia, praticamente nasceva quella che ancora oggi  è meglio conosciuta come "la Settimana del Commercio"che grosso modo si svolge nel solito periodo.
L'albero della cuccagna
L'inaugurazione avvenne il 31 agosto alle ore 19 e fu aperta con l'esibizione della locale filarmonica in Piazza Umberto I a seguire avvenne una pesca di beneficenza.Il primo settembre fu un susseguirsi di concerti molto apprezzati dai visitatori, mentre il giorno successivo l'entusiasmo salì alle stelle per una corsa di asini con tanto di fantini. Giochi divertenti furono organizzati anche per il tre settembre con un appassionante corsa nei sacchi, mentre per il quattro si svolse un interessante corsa di velocipedi. Per la chiusura il sette settembre furono fatte le cose in grande quando si innalzarono diversi palloni aerostatici costruiti con spicchi multicolori. Ma per tutta la settima la vera attrazione fu l'albero della cuccagna. Si trattava di un lungo palo accuratamente unto e scorticato innalzato sulla piazza principale del paese e sormontato da una struttura circolare su cui si trovano appesi i salumi e i formaggio più belli e appetitosi.L'obiettivo è raggiungere i premi sulla vetta del palo che diventeranno così indiscussa proprietà del coraggioso giocatore. Un affermazione questa che al tempo aveva doppio significato: di aver fatto un impresa quasi impossibile ma sopratutto  perchè portare a casa  un bel prosciutto in periodi di magra equivaleva a una vera e propria festa in famiglia.Le gare erano seguitissime e le grasse risate degli spettatori risuonavano in tutta la piazza, specialmente quando il disgraziato concorrente che si era cosparso le mani e il petto di calcina in polvere scivolava miseramente a terra ad un passo dalla vittoria. 
Non resta quindi che dire ...buona fiera a tutti!!!

L'articolo trae notizie da uno studio della Signora Lorenza Rossi in collaborazione con la Banca dell'Identità e della Memoria

Le streghe di Soraggio. Un processo di stregoneria (dai clamorosi risvolti) del 1607

$
0
0
Il cinema (quello fatto bene) offre molti spunti per interessarsi e
La Santa Inquisizione interroga
una "strega"

approfondire i più svariati argomenti e l'altra sera come consuetudine mi sono comodamente seduto in poltrona dopo una lauta cena con la più ferma della intenzioni di vedermi un bel film e saltando da un canale all'altro il mio telecomando si è fermato(a mio avviso) in una bellissima pellicola dal titolo "La seduzione del male", un film del 1996 con un'ottima Winona Rider nel ruolo di Abigal Williams che interpreta una presunta e malefica strega. I fatti si svolgono nel 1692 nella cittadina americana di Salem(Massachussets), dove alcune giovani donne vengono accusate di stregoneria, strappate alle famiglie e processate. Alla fine del film queste vicende mi sapevano di storie già viste o perlomeno lette va a sapere dove e mentre ormai ero nel mio letto con un occhio ormai chiuso e l'altro aperto, la mia mente continuava a pensare...ecco l'illuminazione! Mi alzo repentinamente, vado a consultare la mia libreria ed eccolo lì.Eccolo li quel libro del professor Oscar Guidi che racconta proprio di un processo di stregoneria avvenuto in Garfagnana nel XVII secolo che ricalca verosimilmente proprio la trama di quel bel film e nonostante la tarda ora comincio a leggerlo...Quello che adesso andrò a raccontare non è frutto di fantasia ma è pura realtà e questi accadimenti rimarranno registrati dal Sant'Uffizio con l'intestazione de "Le streghe di Soraggio".
La chiesa di San Martino di Soraggio
La storia ha inizio nell'estate del 1607 quando il rettore della chiesa di San Martino di Soraggio (nel comune di Sillano) Joannes Paninius si reca in tutta fretta e alquanto allarmato dal vicario del Sant'Uffizio per la provincia della Garfagnana, tale padre Lorenzo Lunardi che risiede nel convento di San Francesco situato tra Pieve Fosciana e Castelnuovo. Il presbitero Joanness è agitato, quasi sconvolto e come un fiume in piena si sfoga e dice al padre inquisitore che nella sua parrocchia esistono almeno sessanta casi di persone "maleficate" e spiritate e senza esitare fa i nomi di quattro persone da lui individuate come streghe che sarebbero la causa di tutto questo. Si tratterebbe di Lucrezia moglie di Biagio dalla Villa di Soraggio, Jacopino di Luca da Brica, Maria di GiovAntonio frate da Brica e Maria già moglie di Francesco Cappa anche questa di Brica. Padre Lunardi è perplesso e dice al prete quali siano gli indizi a carico di questi individui per essere accusati del gravissimo reato di stregoneria, senza esitare il rettore di Soraggio risponde e ritiene che i nominati siano parenti o quantomeno discendenti di persone che sono in grado di compiere malefici e a confermare ciò ci sarebbe anche un cospicuo numero di testimoni, poi aggiunge che questi quattro miserabili quando incontrano un religioso per strada abbassano impunemente gli occhi per non incrociare il pio sguardo dei preti,ribadendo che più chiaro segno di colpevolezza di questo non ce n'è. Insomma secondo il prete è l'ora di far cessare queste stregonerie, sopratutto per salvaguardare le devote donne del paese costrette a subire esorcismi in continuazione, le quali in questi casi emettono grandi urla durante le preghiere.
L'emblema della Santa
Inquisizione 1571
Padre Lunardi è ormai convinto e il 3 luglio è nella canonica di Soraggio per ascoltare i testimoni su queste demoniache presenze. Comincia con Anastasia di Francesco di Villa Soraggio vicina di casa di Lucrezia presunta strega. La notte infatti i suoi figli la chiamano in continuazione ma lei non risponde, così ritiene che sia via con le streghe - imaginandomi che all'hora sia in stregaria- e alla sua domanda dove avrebbe passato la notte ella risponde vagamente di stare fuori a vegliare
Tocca poi a Lucia moglie di Francesco anche lei di Villa Soraggio che sempre a proposito di Lucrezia dice di averla incontrata una volta in località Canale e toccandogli la gamba così le disse - Oh la bella gamba che tu hai-, quasi immediatamente sulla gamba si formò un grosso livido, da quel momento si è sempre sentita la vita tutta travagliata, aggiunge inoltre di essere stata posseduta dal demonio per otto lunghi mesi, prima di essere stata risanata per grazia di Dio durante le quarantore della passata Quaresima, proprio nel momento della guarigione viene avvicinata dall'altra imputata Maria di GiovAntonio che così gli aveva detto - Figliuola no' aver più paura per l'avenire perchè se dirai la matina di bon hora 4 Pater Noster e altre tante Ave Maria no sarai più maleficata-
I testimoni continuano, una certa Antonia, moglie di Andrea Giovanni di Metello dice che una volta ha sentito Jacopino di ritorno alla messa pronunciare queste parole:-L'anima mia è spedita- e sempre su Jacopino vengono riferite altre accuse, infatti nel gelso che è vicino alla casa di Francesca di Francesco Ramella di Brica, l'imputato avrebbe piantato un chiodo nella radice facendo quindi un rito di fattura alla figlia di Francesca, la conferma di questo sta nel fatto che quando finalmente tolsero il chiodo dalla radice la povera piccola: -...faceva grandissimi strepiti ed urli bestiali, e poi era guarita. Lo Jacopino avrebbe minacciato di una malia Lucia figlia di Marco di Brica, ma sopratutto avrebbe insistentemente invitato Angiola figlia di Bartolomeo di Villa Soraggio ad andare con lui in stregaria promettendole gusti e piaceri, come di soni, canti, balli, cibi delicati e coito a gusto mio...-
Giuliano di Giovanni, un falegname di Metello invece è certo di avere la moglie "affatturata" poichè quando la sua consorte incrocia Maria di GiovAntonio comincia a sentire forti dolori e spavento.
Anche Battista Panini ha la sua da dire, infatti anche la figlioletta di due anni è maleficata e grande fu lo spavento quando
Torquemada, uno degli
inquisitori
più famosi al mondo
aprendo la porta di casa poco prima dell'alba si trovò dinanzi una moltitudine di animali, secondo lui però non erano dei veri e propri animali:-...ma malefichi streghi che volessero venire a far morire quella mia figliuola- di questo ne era sicura perchè alcune donne impossessate avevano detto che quella stessa notte sarebbero venute a casa sua per terminare il maleficio iniziato sulla sua bimba e gli dissero che tale maleficio era stato iniziato dai quattro imputati.

Da Modena richiedono ancora ulteriori e nuove testimonianza e a queste accuse se ne aggiungeranno ancora molte altre. Altri incontri poi avvengono fra la metà di agosto e quella di settembre, sempre nell'anno di Grazia 1607 e questa volta riguardano le discendenze di alcuni di loro, in particolare  la mamma di Jacopino,la Filippa e di Maria GiovAntonio,la Catalina.
Il 6 luglio il solerte Padre Lunardi, raccolte le testimonianze trasmette il fascicolo a Modena all'inquisitore generale Padre Serafino Borra di Brescia e per timore di fughe da immediato ordine di cattura per i quattro accusati. I quattro vengono così arrestati e condotti a Modena via Castelnuovo e Frassinoro dove vengono messi a disposizione della Santa Inquisizione. Nel tragitto verso Modena un soldato avrebbe perfino raccolto anche alcune confidenze compromettenti di Maria di Francesco Cappa che avrebbe stramaledetto la coimputata Maria di GiovAntonio perchè era stata accusata per causa sua:- la quale invece era davvero strega perchè sa bene conciari et guariri dilli amalati et li oppongono che va via a cavallo sopra un caprone in un luogo chiamato Pradaria (n.d.r:Pradarena?)- .
Una volta giunti a Modena i quattro disgraziati vengono rinchiusi nelle prigioni ducali, gli interrogatori cominceranno il 23 luglio, ma un particolare interessante e fondamentale è da riferire e avviene il 21 agosto a Brica, quando l'inquisitore generale Padre Serafino giunge in Garfagnana nei luoghi dei presunti misfatti per verificare personalmente il caso e gli viene consegnata una lettera da un certo Giovanni. La lettera ha un notevole interesse e farà finalmente luce su tutta la vicenda:

"Molto reverendo Padre Inquisitore

Faccio sapere a Vostra Signoria che quelli poveretti da Soraggio sono stati messi al Sant'Offizio per malignità del prete del detto loco di Soraggio. La causa è che i detti che sono impregioni da Vostra Signoria havevano ditto et parlato d'alcune donne che facevano le spiritate et andavano e vanno di continuo a darsi piacere co detto prete alla sua canonica et per haver scoperto questo, detti poveretti sono stati tribolati come Vostra Signoria sa, et questo lo significo a V.S perchè so che il Sant'Offizio nopersegue alcuno per vendetta, suplicando V.S a liberare detti carcerati sapendo io che loro so' boni christiani"

Non è dato sapere quanto peso ebbe questa lettera per il Padre
La tortura della corda
Generale, fattostà che la lettera fu comunque acquisita negli atti del processo e dei dubbi cominciarono a farsi largo.Ma prima di tutto questo gli interrogatori erano già cominciati, ed erano

veramente duri e si svolgeranno nei mesi che vanno da luglio fino alla fine di ottobre. Tutti gli imputati negano anche quando vengono sottoposti alla tortura della corda che consiste nel sollevare il malcapitato da terra, egli ha le braccia legate dietro la schiena, il carnefice darà dei forti strattoni alla corda stessa che causerà tremende distorsioni e dolorose fratture alle articolazioni. Una delle povere donne (la più anziana) Maria di Francesco Cappa perderà la vita in carcere, il duro regime della prigione e le torture furono determinanti per la sua morte che fu registrata il 18 settembre. Gli altri non mollano e non confessano nessun reato, vengono però condannati a penitenze varie, la più grave colpì Jacopino che fu esiliato da Soraggio per due anni mentre le due donne per un solo anno. 
Non c'è che dire, senza quella lettera i quattro sarebbero stati dati alla fiamme, il rogo sarebbe stato la loro pena capitale. Le reazioni in paese dopo i fattacci furono veementi, i parenti e la gente del luogo reagiranno in malo modo, il rettore Joannes Paninius verrà minacciato più volte di morte.Gli atti di questo processo sono ancora oggi conservati presso l'Archivio di Stato di Modena.


Una parte dei numeri della
caccia alle streghe in Europa
Una storia dei secoli bui questa, dove imperava ignoranza e credulità. In quel tempo risulta assai chiaro in quale clima sociale nascevano denunce che potevano portare alla morte di persone innocenti, come in questo caso che un religioso probabilmente per coprire uno scandalo che lo vedeva coinvolto non esitò con la collaborazione di alcuni abitanti del luogo  a fare incarcerare, torturare e condannare anime affidate alla sua cura. Ricordiamo che la "caccia alle streghe" durò per ben cinquecento anni, erano campagne ben organizzate finanziate ed eseguite dalla Chiesa e dallo Stato, fu un vero e proprio eccidio che portò alla morte nove milioni di persone innocenti(l'80% di questi erano donne e bambine).

Dalle Zinabre alla Margolfa. Viaggio negli esseri fantastici della Garfagnana

$
0
0
Il gruppo delle Panie
Ogni popolo e cultura sulla Terra ha le proprie storie, tradizioni,
miti e credenze legate a mostri, creature leggendarie e animali fantastici. Quello che altrove si è perso in Garfagnana e sulle Alpi Apuane resiste, radicato ormai nella vita della comunità, sono echi ancestrali, di culti pagani è un mondo di mezzo questo, un qualcosa di fantastico che sta fra il sacro e il profano, popolato da creature dalle mille forme, tali esseri le possiamo trovare anche in leggende dell'antica cultura romana e greca o addirittura nei racconti dei popoli nordici. Quando si parla di queste creature innanzitutto dobbiamo tener presente che in una data cultura e in un determinato momento storico sono stati creduti esseri reali, quindi effettivamente esistiti. Oggi analizzeremo non quegli esseri che ormai tutti nella nostra valle conoscono e già sono stati frutto dei miei articoli come il buffardello, l'Omo Selvatico o le fate, ma andremo appunto ad esaminare alcune di quelle creature sconosciute a molti ma che una volta nelle notti d'inverno qualche anziano, al fuoco del camino raccontava e giurava di averle viste.
Questa ad esempio è la storia dell'OMO VERDE, si dice che fra le Alpi Apuane sia sempre esistito. Vive nelle grotte e negli anfratti più inospitali delle nostre montagne, si nasconde fra gli alberi e le rocce in modo tale da mimetizzarsi con l'ambiente circostante e rimanere invisibile a tutti, preferisce però celarsi dentro i castagni dai tronchi cavi in cui è capace di stare immobile per giorni interi. Così quando andrete a far passeggiate ed escursioni per le Apuane se vi sentite osservati è sicuramente l'Omo Verde che vi sta scrutando, ma non c'è da aver paura  e vano sarebbe se qualcuno lo volesse individuare o seguire, sicuramente non si farebbe nè vedere nè prendere. Un tempo era abbastanza usuale per pastori, carbonai e cavatori intravederlo, ma impossibile era avvicinarlo. Si racconta di un pastore di Vagli che da ragazzo lo vide quando con suo padre si recava ai pascoli sul Monte Fiocca.Narra così che quando l'ora era tarda e si era ormai sul far della sera,in lontananza su uno sperone di roccia del monte Sumbra lo vide, era seduto la in alto e seguiva il volo di un falco e ne seguiva la direzione muovendo un braccio, aveva anche uno zufolo che cominciò a suonare, ad un tratto una moltitudine di uccelli di ogni sorta e razza cominciarono volteggiare sopra la testa dell'essere facendogli festa e poi all'improvviso come erano comparsi altrettanto rapidamente se ne andarono dispersi nel vento. Gli unici che temevano l'Omo Verde erano i cacciatori, che pur non vedendolo sapevano che avrebbe avvertito gli uccelli della loro presenza. Ancora oggi nel profondo silenzio delle montagne, sia al sorgere e al tramontar del sole risuona un canto melodioso e sublime è l'Omo Verde che saluta tutti i volatili delle Apuane. 
Simili creature le possiamo trovare al femminile nelle ZINABRE, anche loro abitano nelle selve delle nostre montagne e sono fanciulle misteriose, dormono nelle grotte e per cuscino hanno dei tronchi ricoperti di muschio. Di muschio sono fatti anche i loro vestiti e anche loro (così come l'Omo Verde) difficilmente si fanno vedere. Da dove arrivino nessuno lo sa, si può pensare che siano le antiche abitanti del bosco e che da loro dipenda l'andamento dei raccolti e delle stagioni. Per tutto dire hanno un caratterino niente male, sono gentili si, ma anche permalose fuor di maniera. Ne sapeva qualcosa quella coppia di pastori marito e moglie che abitavano ai piedi della Pania. Un bel giorno una Zinabra gli venne a far visita e alla vecchia pastora donò un pane che mai sarebbe finito, ma la pastora di più non doveva chiedere, questi erano esseri che facilmente si indispettivano e senza esitare si sarebbero poi vendicate,infatti state a sentire quello che successe. Le terre di questi pastori erano fra le più fertili della zona e gli animali che vi pascolavano tra i più belli del circondario e ogni anno riuscivano ad ammassare grandi quantità di fieno e riempivano la cantina di ogni prelibatezza. Le Zinabre spesso si avvicinavano alle stalle dei pastori e si facevano pure vedere tant'è che la moglie lasciava loro delle ciotole di latte di cui erano golosissime, facendo in questo modo credeva di ingraziarsi queste creature che avevano appunto il potere di regolare raccolti e stagioni, ma un dì qualcosa andò storto, quando queste simil fate entrarono nella stalla e videro una serie di secchi di latte appena munto, prima ne bevvero uno, poi due, poi tre, fino a quando non le finirono tutti, improvvisamente entrò il pastore che indispettito le cacciò aamle parole e le cominciò ad inseguire con il forcone in mano, le Zinabre fuggirono avvolte dalla nebbia delle montagne. Passava il tempo e nonostante i due sposi lavorassero molto la terra non rendeva più come prima. Frequenti erano le grandinate che rovinavano i raccolti, mentre gli animali morivano di strane malattie, la cantina rimase così ben presto vuota come le
tasche della coppia. Le Zinabre non tornarono più in quel posto, la loro gentilezza era stata irrimediabilmente tradita.
Un altro essere inquietante è la MARGOLFA, questa donna non vive nei boschi o nelle montagne, ma vive in prossimità dei villaggi, dei borghi o dei paesi. Chi la vede la può riconoscere perchè è molto alta, in maniera spropositata e veste di una grande sottana dove solitamente nasconde i bambini che si sono comportati male, ma a differenza di altre credenze la Margolfa non è una paura unicamente dei piccoli ma bensì anche degli adulti, poichè conosce tutte le malefatte, gli inganni e le brutte azioni di ogni persona, difatti è sua abitudine nascondersi sotto le finestre e ascoltare quello che si dice in casa ed è pronta a ripetere ai quattro venti quello che sente con il suo tremendo vocione. Esiste una maniera sola per difendersi da questa donna recitare il Rosario e farsi il nome del Padre.
Non ci sono però solo figure umanoidi nelle nostre leggende, sono presenti anche animali mostruosi come quella lucertola grande come una volpe che vive fra le rocce del Pizzo delle Saette, essa è dotata di squame durissime e lucenti, talmente lucenti che quando è sui massi a prendere il sole il bagliore rossastro del suo riflesso se incrocia l'occhio umano può stordire la persona e
lasciarla inebetita per alcune ore. Chi ha subito questa sorte, nell'attimo in cui gli si è offuscata la vista ha potuto vedere nelle viscere della montagna un'enorme buca piena d'oro circondata da lingue di fuoco.
Sempre a proposito di bestie sovrannaturali nel vallone opposto al Pizzo delle Saette c'è la Pania Secca dove era antica abitudine dei pastori locali andare a distruggere i nidi delle aquile con lunghe pertiche uncinate per preservare gli agnellini da eventuali attacchi. Era un operazione molto pericolosa nella quale si poteva rischiare anche la vita, specialmente da quando questa montagna era dominata dalla grande aquila, questo volatile era enorme e si dice che avesse la forza di ghermire non solo agnellini, ma anche cani e capre, le mamme temevano addirittura per i bambini.I fatti vogliono che questo uccello non avesse la testa d'aquila, ma quella di donna, si diceva anche che fosse dotata di denti affilatissimi ed emetteva strilli
così acuti non sopportabili da orecchio umano. Un giorno una spedizione notturna formata da uomini provenienti da varie località arrivò sulla cima della Secca e fece rotolare dei massi infuocati cosparsi di pece, da quel giorno l'essere non si vide più.
Per ultimo analizzeremo non un animale mostruoso o una strana creatura ma piuttosto un fenomeno meglio conosciuto come il GALON DI RODE. Questo prodigio si rifà alla figura di Erode e alla leggenda dell'ebreo errante, nata a quanto pare nel basso Medioevo, secondo la quale questo ebreo ignoto negò (come Erode) l'acqua a Gesù lungo la strada che portava al Golgota. Per questo motivo il Signore lo avrebbe maledetto, costringendolo a vagabondare per sempre sulla terra senza riposo e senza poter morire. Sulle Alpi Apuane questa entità la descrivono come una scia luminosa che solca il cielo, c'è chi l'ha visto con la forma di una gamba o di uno stinco che attraversa la volta celeste lasciando una traccia lucente, oppure c'è chi giura che può prendere l'aspetto di un pezzo di legno infuocato che finisce la sua corsa nel mare.Tradizione narra che il fenomeno accada ogni cento anni, per
molti può essere portatore di sventure e di cattivi presagi, per altri invece può essere foriero di ingenti fortune.C'è pure  chi ancora ricorda l'ultimo passaggio di questa fiamma che sorvolava velocemente il canalone del Trimpello e la Pania.

Voglio chiudere questo viaggio negli esseri fantastici della Garfagnana, estrapolando una frase da una poesia francese di Patrice de La Tour du Pin intitolata "La quete de joie" del 1920 che dice pressapoco così: "I Paesi che non hanno leggende sono destinati a morire di freddo"...e la Garfagnana sicuramente non fa parte di questi.

La carta annonaria e la "borsa nera" in Garfagnana. I duri anni della II guerra mondiale

$
0
0
La mamma si ricordava sempre di quella comica scena.Eravamo
nei primissimi anni '40 del 1900 a Gallicano,quando lei bambina andò dal suo babbo e candidamente gli chiese:-Ascolta babbo, perchè per comprare il pane bisogna sempre andare dalla signora Annona che abita in fondo a Via Cavour?-,la risata di suo padre fu fragorosa, ma volle però fare subito chiarezza per evitare qualche imbarazzante qui pro quo: -L'annona non è una donna ma è l'ufficio comunale che ci da delle carte per comprare il pane, il latte o la carne- a questa risposta la mamma sorridente se andò soddisfatta per aver chiarito il suo dubbio. C'era poco da ridere in quei tempi però. Negli anni duri della seconda guerra mondiale l'alimentazione dei garfagnini (e non solo) veniva regolata dalle tessere annonarie, tale bizzarro nome faceva riferimento alla Dea Italica Annona, che nella mitologia latina aveva il compito di proteggere i magazzini e le riserve alimentari, nome più calzante di questo non poteva essere dato, il nome però con cui dai più fu tristemente conosciuta era "tessera della fame". Tale tessera segnò la vita di grandi e piccoli, il cibo quotidiano veniva distribuito e razionato, erano questi i primi sintomi di una crisi economica che l'Italia accusò con l'entrata in guerra. La scarsità di generi alimentari e l'aumento dei prezzi fece in modo che fosse creata la carta annonaria, da quei rettangolini di carta dipendeva la sopravvivenza di ognuno, metronomi del rimanere in vita erano appunto gli uffici municipali dell'annona che provvedevano a fornire ogni due mesi il rinnovo carta, una per ogni membro della famiglia. Avevano diversi colori, un colore per una determinata fascia d'età: verde per i bambini fino agli otto anni, azzurre dai nove ai diciotto anni, mentre per gli adulti erano grigie. Depositarie di cotanto tesoro di solito erano le madri garfagnine, numi tutelari dell'appetito familiare, guai a smarrire quelle carte, pena il digiuno. Abitualmente il nascondiglio dove conservare queste carte era sotto il materasso, li si sperava di mantenerle ben stese e stirate e pronte all'uso prima di andare in bottega. In quei tempi le code davanti alle botteghe erano un fatto usuale, tutti in attesa del proprio turno.I 
In fila per il pane
bottegai prima di aprire facevano operazione di controllo sulle carte, nelle quali erano riportate con inchiostro indelebile tutte le generalità di ogni membro familiare. Con l'andare della guerra i razionamenti e i regolamenti sulla distribuzione di cibarie si fecero sempre più stringenti. La provincia di Lucca ordinava che nel mese di giugno 1940 lo zucchero fosse distribuito nella quantità mensile di 500 grammi a persona, nei mesi successivi ci furono restrizioni sul burro (anche qui 500 gr mensili cadauno), perfino le quantità di latte furono ridotte (tranne che per bambini e ammalati).Invece i detentori di maiali dovevano dichiarare il numero delle bestie in loro possesso, esclusi due per il fabbisogno familiare, il resto doveva essere consegnato all'ammasso (n.d.r: disposizione di legge che imponeva ai produttori di cedere allo stato ad un prezzo fissato d'autorità generi alimentari e merci varie), anche gli allevatori di bovini subirono le solite limitazioni. Nel 1941 sempre la provincia di Lucca regolò la vendita di carne,la distribuzione fu prevista esclusivamente nei giorni di sabato e domenica, per le frattaglie nei giorni di lunedì, martedì e mercoledì. Sempre nel solito anno stessa sorte subì il pane che fu ancor più razionato,la razione giornaliera per famiglia fu portata a 200 grammi. Nel 1942 fu fatto divieto di vendere pane raffermo extra tessera, anche quello doveva essere ripartito fra la clientela che regolarmente esibiva la carta. Immaginate voi come era complicato districarsi fra tutte queste variazioni che si susseguivano a ritmi paradossali, talvolta
Manifesto del comune di Modena
che regolamenta la vendita
di farina di castagne attraverso
carta annonaria
venivano annunciate tramite manifesti e più raramente sui giornali. In tutta questa gran confusione emersero due cose, una bella ed una brutta:l'arte dell'arrangiarsi e la cosiddetta "borsa nera", il contrabbando. Sull'arte dell'arrangiarsi noi garfagnini siamo stati sempre superiori a tutti, difficilmente nei secoli abbiamo avuto una mano santa che potesse darci una mano a campar meglio e anche questa volta nel male fummo capaci di arrabattarsi in qualche maniera, eravamo avvantaggiati naturalmente dal vivere in mezzo alla natura e ai suoi frutti e l'inventiva ci portò ad esempio a sostituire il (raro) burro con un pezzo di grasso di maiale, mentre la solerzia delle mamme portò ogni genere di frutta a diventare una simil marmellata che divenne così il companatico per quietare i morsi della fame, sopratutto dei bimbetti. Anche le erbe selvatiche, ogni tipo di erbe commestibili vennero lessate per sfamare grandi e piccini, non parliamo poi della castagne che cucinate in mille modi diversi per l'ennesima volta salvarono letteralmente i garfagnini 
dai morsi della fame. L'arte dell'arrangio si contemplò anche in altri campi del viver quotidiano, sperare in abiti nuovi era a dir poco un'utopia, pantaloni, camicie, giacche venivano riadattate, rivoltate e passate da padre in figlio e da fratello a fratello, chi poteva permettersi delle scarpe, di risuolatura non se ne parlava, per fare ciò si ricorreva ai copertoni usati delle biciclette. La carta annonaria prevedeva anche la distribuzione del sapone che era stabilito in un pezzo al mese e per questo sempre insufficiente e così le donne impararono a lavare i vestiti con il "ranno" (n.d.r: miscuglio di cenere e acqua bollente).Purtroppo c'era chi di queste tessere ne faceva un uso poco accorto, infatti era abbastanza comune che la gente si facesse anticipare tutti i bollini del mese dal bottegaio, ma una volta terminati niente si poteva fare, bisognava solamente aspettare il mese successivo,questo accadeva perchè i prezzi variavano di mese in mese e tanti preferivano prelevare tutto quanto fosse possibile in un unica soluzione. Ma se tenevi in casa ciò che 
l'arte dell'arrangio...Un orto di guerra,
rispettatelo
avevi ricevuto, ovvio che eri tentato di consumarlo e quindi a rimanerne senza e fu così che abbienti contadini garfagnini si approfittarono di questa situazione facendo contrabbando di generi alimentari che erano stati nascosti all'ammasso di cui sopra detto. Questa è una pagina poco risaputa nella nostra valle ma è giusto dire che alcuni delinquenti in questa tragica situazione si fecero ricchi. La "borsa nera" in Garfagnana era già presente tra il 1941 e il 1942 nonostante ci fossero severissime sanzioni per chi praticava queste malefatte (n.d.r: il governo arrivò ad applicare la pena di morte per i casi più gravi). Chi disponeva di vari generi (sopratutto alimentari) senza scrupoli cominciò a venderli a prezzi elevatissimi, chi non aveva abbastanza soldi per pagare scambiava il cibo con anelli e catenine d'oro (n.d.r: questo fino al 1 agosto 1942 quando tutto l'oro doveva essere destinato alla Patria), nei casi più fortunati lo scambio avveniva con un iniquo baratto di merci. Da testimonianze locali questi accaparratori si facevano pagare cinquanta o sessanta lire quello che costava dieci. Una menzione particolare sempre secondo mie interviste invece andava rivolta a quasi tutti i bottegai della zona che si comportarono da veri amici della gente, furono solidali aiutarono tutti, assicurando un pezzo di pane in più, perchè tutti avevano diritto di mangiare,questo senza distinzione di censo e mestiere. Un occhio di riguardo veniva dato a quelle donne che avevano il figlio o il
"Noi tireremo diritto" Palazzo Comunale
Gallicano
marito caduto in guerra, vestite a lutto stretto, in testa un cencio nero e per mano un figlioletto scalzo con i calzoni rattoppati e il moccio al naso. La guerra poi grazie a Dio finì, ma fu un difficile e lento ritorno alla normalità, le carte annonarie restarono fino al 1949 a ricordare beffardamente l'immane tragedia che avevano subito i garfagnini e gli italiani in genere.

Quei giorni rimasero indelebili nella memoria di chi li visse e il pensiero di queste persone ancora oggi va al consumismo attuale e allo spreco, e quand'è così quei maledetti anni vengono prepotentemente sempre in mente. Impossibile dimenticare! 

Quando la Garfagnana si ribellò a Napoleone Bonaparte: 1796 i giorni della rivoluzione

$
0
0
"L'immortalità è il ricordo che si lascia nella memoria degli
uomini. Questa idea spinge a grandi imprese. Meglio sarebbe non aver vissuto che non lasciare traccie della propria esistenza", colui che pronunciò questa frase lasciò (eccome) traccie indelebile di se in tutta Europa, sconvolse letteralmente questo continente, lo rivoltò come un calzino conquistando gli angoli più remoti di queste antiche terre,facendo arrivare le sue potenti armate perfino nella selvaggia e solinga Garfagnana. Lui è Napoleone Bonaparte e questa che andrò a raccontare è la storia di come il piccolo ed "insignificante" popolo garfagnino ebbe il coraggio di ribellarsi all'uomo e al condottiero più importante e potente del mondo.
Correva un lontano 7 maggio 1796 quando ormai le conquiste napoleoniche in Italia procedevano di gran carriera e vista persa ogni speranza di resistenza il vile Duca Ercole III D'Este padrone e signore (anche) di Garfagnana abbandonava il Ducato rifugiandosi a Venezia e lasciando al fratello don Federico Benedetto d'Este conte di San Romano la patata bollente di trattare la resa con Napoleone. La resa sarebbe stata ottenuta a caro prezzo con un atto di totale sottomissione e sborsando anche una cospicua indennità in denaro. In meno che non si dica anche il popolo volle dire la sua e Reggio Emilia sotto la spinta dei giacobini locali (n.d.r:i giacobini italiani erano coloro che appoggiavano le idee della rivoluzione
soldati napoleonici
francese) si ribellò ai vecchi governanti, dopo poco anche a Modena occupata dai francesi fu rovesciato il governo vigente, sotto gli auspici di Bonaparte instaurando di fatto un comitato di governo provvisorio di Modena e Reggio, fu a questo punto che balenò l'idea di far sollevare anche la Garfagnana e la Lunigiana per unirle alla nascente Repubblica napoleonica Cispadana. Ma la Garfagnana si trovava ancora all'oscuro dei fatti, le comunicazioni non viaggiavano come oggi attraverso le linee telefoniche, ma camminavano a dorso di mulo tramite lettera scritta, difatti fu solo il 6 ottobre che si venne a sapere di cotanti sconvolgimenti politici. Giuseppe Ricciardi commissario francese così scriveva e avvertiva Castelnuovo Garfagnana e i garfagnini tutti : -...poichè tengo inoltre molte case amiche costì, mi rincrescerebbe dovessero soffrire il minimo male...- invitando i castelnuovesi a non attendere i francesi per erigere l'albero della libertà (n.d.r: tale albero fu simbolo della rivoluzione francese, veniva collocato nelle piazze principali dei paesi, di fatto era un palo sormontato dal berretto frigio rosso e adornato di bandiere. Veniva usato per cerimonie civili e giuramenti) -...perchè se vengono costì dovete pagare le spese ed una contribuzione -. Insomma in un batter d'occhio e senza colpo ferire (il 9 ottobre 1796) Castelnuovo e la Garfagnana si trovarono ufficialmente sotto le egide napoleoniche. Nel frattempo l'albero della libertà fu eretto nella piazza principale della cittadina il 14 ottobre: - ...dopo mezzogiorno facendovi la guardia tutti i signori possidenti...-. Arrivò poi nei mesi successivi il solenne momento di incontrare il nuovo "padrone"
L'albero della Libertà
e una delegazione garfagnina partì per Modena, al Congresso Cispadano per discutere con Napoleone in persona del nuovo assetto amministrativo. Fu una delusione totale, le speranze garfagnine andarono subito deluse, la sospirata autonomia amministrativa garfagnina rimase un sogno poichè il sovrano francese era contrario ai frazionamenti dei territori in piccoli statarelli, in barba così a tutti gli ideali francesi rivoluzionari. I più rammaricati furono tutti quei giacobini di "casa nostra" che avevano esultato alla "nuova libertà", il popolo difatti cominciava già a rumoreggiare e molti erano ancora devoti alla Casa D'Este avendo goduto sotto questi regnanti ben tre secoli di pace e benefici sotto il suo mansueto governo, in pratica questi francesi con questi "strani" ideali e dalle abitudini e tradizioni bizzarre non furono congeniali a persone avvezze a tutt'altro modo di vivere e pensare. Con il passar dei giorni e delle settimane la situazione si faceva sempre più caotica,le piazze e le strade erano animate dalle grida dei ribelli, regnava praticamente il caos totale. L'anarchia si fece assoluta quando con uno scellerato provvedimento si decise di sciogliere le truppe dal forte di Mont'Alfonso e da quello delle Verrucole, lasciando così piena libertà d'azione ai facinorosi garfagnini, che di fatto sotto la guida del frate Pietro Paolo Maggesi(confessore del Duca d'Este) si rivoltarono agli eccessi della nuova dominazione. La rivoluzione vera e propria scoppiò nella notte del 25 novembre all'arrivo della posta, fu abbattuto l'albero della libertà e infrante le porte della rocca ariostesca. Il giorno dopo la ribellione continuò in tutta la sua violenza. Dal paese di Vagli giunsero ottocento persone armate di tutto punto e al grido di "Viva il duca" la rivolta ebbe il suo punto di non ritorno. Le grida della rivoluzione giunsero alle orecchie della gente delle località limitrofe che già si trovavano in paese (dato che era giorno di mercato),la prima azione clamorosa fu l'occupazione della Fortezza di Mont'Alfonso, i rivoltosi presero possesso di tutte le armi, alcuni cannoni furono trasportati in piazza pronti all'uso. Nei giorni seguenti giunse notizia che alcuni deputati napoleonici delle municipalità erano diretti a Castelnuovo per trattare con gli
Piazza Umberto I a Castelnuovo
insorti, per tutta risposta un manipolo di rivoluzionari garfagnini partì per Pieve Fosciana per catturarli, i deputati vennero a conoscenza degli intenti bellicosi degli insorti e ripararono nella rocca di Camporgiano, ma la caccia continuò e i castelnuovesi insieme ai vaglini raggiunsero anche Camporgiano, anche stavolta i napoleonici si salvarono fuggendo a gambe levate attraverso Sillicagnana,Massa e Sassorosso rientrando poi a Modena. Nel fuggire questi deputati come si suol dire lasciarono letteralmente "armi e bagagli" e in uno di questi bagagli furono rinvenute delle lettere di corrispondenza varia con alcune famiglie garfagnine  filo-Napoleone. Le famiglie in questione furono assaltate e costrette ad abbandonare la valle. I primi sintomi di cedimento però già si stavano facendo avanti, i giorni dell'entusiasmo man mano che il tempo passava si incominciavano ad affievolire, la notizia dell'insurrezione già si era sparsa in tutta la provincia, ma agli insorti non giunsero i rinforzi sperati, il resto della Garfagnana era quasi rimasto indifferente tranne che alcuni villaggi, la paura allora cominciò a prendere campo, ci si aspettava da un momento all'altro la dura repressione di Napoleone.Il nervosismo serpeggiava e i litigi e le discussioni fra i capi popolo si facevano sempre più duri e con la morte del cuore si giunse ad una clamorosa decisione: si stabilì di scrivere una lettera di pentimento, offrendo la restituzione del maltolto e chiedendo amnistia. I garfagnini avevano visto giusto perchè lo stesso Napoleone il 4 dicembre aveva già dato ordine di occupare la Garfagnana, liberare la Fortezza di Mont'Alfonso, fucilare  i capi della rivolta, bruciare qualche casa, disarmare la popolazione e poi concedere il perdono al resto dei rivoluzionari. Nel frattempo giunse la lettera in questione che chiedeva venia, ma ormai la spedizione militare era partita alla volta di Lucca il 18 dicembre, evitando volutamente il passo di San Pellegrino in Alpe per paura di agguati da parte dei rivoluzionari. La notizia che l'esercito napoleonico avanzava fece cadere nel terrore tutta Castelnuovo e la paura prese il sopravvento. Il solito fedele cronista dell'epoca così riporta: -...con destrezza i signori della Garfagnana e specialmente di Castelnuovo facendo apparire diverse staffette ben addestrate consigliarono il popolaccio a
Il generale
napoleonico Rusca
lasciare le armi e a riportare i cannoni in fortezza...-
. Si pensò inoltre (dato che la paura faceva novanta) di mandare una delegazione di prelati e notabili locali ad incontrare a Lucca il generale napoleonico Rusca per chiedere il perdono. Il perdono fu concesso e la mattina di quel lontano Natale del 1796 il generale Rusca al comando di settecento soldati fu accolto in Castelnuovo da grandi applausi. Cominciò però il regolamento dei conti, bisognava far capire a questi montanari garfagnini di non osare più di ribellarsi alla potente Francia.Con una serie di processi sommari furono eseguite cinque condanne a morte, fu disposto il saccheggio della casa del capo rivolta frà Pietro Paolo Maggesi e altre sentenze di morte furono pronunciate in contumacia per i capi rivolta che si erano già dati alla fuga. Dieci cittadini invece furono presi in ostaggio "garanti con la loro vita della fedeltà della popolazione e della provincia" e inviati a Milano. Rusca prima di lasciare la valle ricostituì le guarnigione militare a Mont'Alfonso e riordinò tutto la struttura amministrativa e politica, dopodiché con buona pace di tutti abbandonò definitivamente la Garfagnana. 

A questo punto della storia le sorti garfagnine seguiranno di pari passo le alterne vicissitudini di Napoleone. Infatti nel 1799 dopo le sconfitte francesi per opera degli austro- russi venne ripristinata a Modena la reggenza imperiale con il ritorno al potere (del vigliacco) duca Ercole. Nemmeno un anno (14 giugno 1800) la Francia torna padrona dei
La condanna a morte dei
rivoltosi garfagnini
destini garfagnini. Nel 1805 Napoleone costituisce il Regno d'Italia e l'antica Repubblica di Lucca viene trasformata in Principato con a capo la sorella Elisa, a questo principato verrà legata anche la Garfagnana. Ma poi arrivò anche il fatidico 1815 e con la definitiva

sconfitta di Napoleone a Waterloo e il conseguente esilio nell'isola di Sant'Elena anche la nostra valle vide la restaurazione delle antiche dinastie, restituendo il trono agli Estensi nella persona di Francesco IV d'Austria-Este.
Si conclude nuovamente una pagina di orgogliosa storia garfagnina, che vide in azione uomini coraggiosi confortati dalla forza delle idee. La forza di queste idee le portò impavidamente a sfidare anche l'uomo più potente del mondo... Oggi però come sarebbe?

La prima volta al voto delle donne garfagnine: 10 marzo 1946. Fatti e testimonianze

$
0
0
Purtroppo i tempi della ricerca e dello studio non vanno quasi mai
di pari passo con i tempi delle ricorrenze o degli eventi importanti, questo articolo doveva essere pubblicato ben due settimane or sono, ma la data era, ed è talmente importante e significativa  che ho deciso di portarlo avanti comunque, anche se fuori tempo massimo. Il mio omaggio alle donne a settant'anni della loro prima volta al voto non poteva mancare, ricordando tale avvenimento attraverso le testimonianze delle garfagnine che vissero quel giorno. Testimonianze ritrovate (finalmente!!!) negli appunti della mia mamma che da ottima maestra elementare quale era, già più di venticinque anni fa ai suoi alunni ricordava l'importanza di quel lontano 2 giugno 1946.
Dire oggi alle mie figlie che la mia nonna (e quindi la loro bisnonna) è nata e le donne non potevano votare, sinceramente mi fa un certo effetto. Pensiamo che l'Italia nella classifica mondiale dei paesi che per primi approvarono il suffragio femminile arrivava in un netto e clamoroso ritardo. Da apripista per tutti fu la Nuova Zelanda nel 1893, poi l'Australia, i paesi scandinavi e perfino la Russia nel 1917 (con la Rivoluzione d'Ottobre), a seguire la Gran Bretagna, la Germania dopo la I guerra mondiale, gli Stati Uniti nel 1920 e dopo tutti l'Italia nel 1946 (meglio tardi che mai), peggio di noi solo la Svizzera nel...1971. Fino a quel giorno quando arrivava il momento del voto, gli uomini uscivano a dare la loro preferenza sul partito e sulla persona che lo rappresentava. Rimanevano a casa solo gli animali, i bambini e...le donne. Purtroppo in Garfagnana tale consapevolezza era ben poco radicata in una società rurale dove l'uomo spesso la faceva da padrone, le nostre nonne (per alcuni bisnonne) avevano la
Manifestazione a New York nel 1912
per il voto alle donne in USA
convinzione che fosse una cosa naturale che tali oneri fossero ad appannaggio esclusivo dell'uomo, tutto questo spesso era dovuto all'ignoranza, alla poca istruzione, attaccate perciò a leggi non scritte e alla loro cognizione di donna, di rimanere a casa a riassettare e ad allevare figli. Questo praticamente era il quadro generale della condizione femminile in Garfagnana nella prima metà del 1900. Arrivò poi finalmente quel 2 giugno 1946 e (quasi) d'incanto le menti si aprirono, erano le prime elezioni libere dal lontano 1924 (escludendo il plebiscito a Mussolini del 1929) dopo la caduta del fascismo, dove tutta l'Italia fu chiamata al voto referendario per scegliere fra monarchia e Repubblica e per votare i membri dell'Assemblea Costituente, ma è però corretto dire che una parte della Garfagnana stessa ebbe l'onore di far votare le proprie donne (e i propri uomini) ben prima che nel resto d'Italia, quindi è giusto ribadire che per le nostre nonne quel 2 giugno fu la seconda volta che le vide al seggio elettorale.In buona parte della Valle del Serchio infatti fu il 10 marzo 1946 il reale giorno in cui le donne della nostra valle andarono a votare, dato che si svolsero le elezioni amministrative in Toscana. L'affluenza fu altissima, superiore all'89% nei comuni di Barga, Careggine, Castelnuovo
Il decreto legislativo
che sancisce il diritto
 di voto alle donne, firmato
dal Luogotenente del Regno
Principe Umberto di Savoia
Garfagnana, Castiglione Garfagnana, Fabbriche di Vallico, Gallicano, Piazza al Serchio, Vergemoli e Villa Collemandina. Ma come si arrivò a far votare le donne anche in Italia? Il 30 gennaio 1945 con l'Europa ancora in guerra e il nord Italia sotto l'occupazione tedesca, durante una riunione del Consiglio dei Ministri si discusse del suffragio femminile che venne sbrigativamente approvato come qualcosa di ovvio ed inevitabile. Il decreto fu emanato il giorno dopo: potevano votare le donne con più di 21 anni di età ad eccezione delle prostitute che esercitavano "il meretricio fuori dai locali autorizzati". Nel decreto venne però dimenticato un particolare non da poco: l'eleggibilità delle donne, che venne stabilita con un decreto successivo, il numero 74 del 10 marzo 1946, appena in tempo per le amministrative che si svolsero quel giorno.

Quella data rappresentò una rivoluzione, per la prima volta la figura femminile sperimentò una prima e decisiva emancipazione. Ecco dunque le testimonianze dirette di chi visse quel giorno. La prima se mi permettete è della mia nonna Beppa di Gallicano che quel 10 marzo 1946 si mise cappello e guanti (l'ultima volta l'aveva fatto per la comunione delle figlie)e si preparò per uscire a compiere a 40 anni e per la prima volta il suo dovere di cittadina. Ricordava sempre che nell'attimo che aprì la porta di casa  per recarsi al seggio ebbe un attimo di esitazione, guardò il nonno che già era andato a votare e gli chiese: - Alfredo, cosa devo votare?- La cara nonna era stata impaurita dalla troppa libertà che gli si presentava in età adulta, lei che fino a quel giorno aveva accudito e pensato solo alla numerosa famiglia, mentre il nonno "si occupava di cose importanti,di cose da uomini".
Elena, sempre di Gallicano cambiò finalmente percorso, deviò strada del suo andar quotidiano, lasciò così la via che la portava da casa alla bottega e di li alla fabbrica, per avviarsi quella domenica 10 marzo'46 ai seggi: -Ho sentito un'emozione forte, perchè era la prima volta che le donne votavano. A dire il vero mi era subentrata anche un po' di paura, avevo il presentimento di sbagliarmi al momento del voto. Però la contentezza era il sentimento che prevaleva, mi ero fatta il vestito nuovo per un'occasione che credevo e credo importante poichè mi dette l'opportunità che la mia opinione contasse. Ma che emozione! Ricordo ancora che quando uscì dalla cabina elettorale, vi rientrai subito per controllare se avevo fatto giusto-
Qui i ricordi invece vanno a quel due giugno, la signora Augusta di Piazza al Serchio si recò al voto insieme alla nuora Maria Laura maestra elementare, che già aveva istruito la suocera su chi votare:
 -Prendi la matita, fai una croce sul simbolo della Democrazia Cristiana e scrivi il nome e il cognome di chi abbiamo scelto- Fattostà che dopo aver espletato le operazioni di voto nuora e suocera si ritrovarono fuori dal seggio per confrontarsi sulle emozioni di quel gesto: -Com'è andata?- chiese Maria Laura ad Augusta, la vecchietta rispose: 
Manifesto di propaganda della
Democrazia Cristiana che invita
le donne al voto

-Benissimo ho votato per me, fra tutti quei nomi a dire il vero non conoscevo nessuno, l'unica che conoscevo ero me stessa, per cui ero l'unica persona cui potessi votare e ho scritto il mio nome e
cognome: Augusta Vanni- Fu il gesto irriverente (e se si vuole anche logico)di una donna stufa di ricevere ordini ed imposizioni che stava subendo ormai da venti lunghi anni di era fascista. 
Nonostante il diritto accordato, le donne però erano talvolta considerate incapaci di poter capire e di conseguenza partecipare alla vita politica. La Garfagnana da questo punto di vista non si dispensava da questa stupida idea, per di più anche la chiesa nella nostra valle faceva sentire il suo notevole peso politico, incutendo paura sulle persone di macchiarsi di peccati gravi. In questo caso sentite allora la signora Maria di Barga: - Molti uomini sposati obbligavano le proprie mogli a votare per il partito a cui davano loro preferenza- e ricordava fra l'altro che nella primavera del 1946 infuriava più che mai la contesa per accaparrarsi i voti fra comunisti e democristiani.- I  preti in questo caso - affermava Maria - andavano a casa delle persone più anziane facendo aperta propaganda per la D.C  e qualora se qualcuno avesse dichiarato apertamente di votare Partito Comunista, la Chiesa avrebbe fatto in modo di non celebrare un eventuale matrimonio futuro, oppure se celebrato veniva fatto "fuori altare"-
Le madri costituenti elette quel 2 giugno
spiccano Nilde Jotti e Lina Merlin

Infine ecco l'ultima e bellissima testimonianza della signora Luisa nata nel 1923 a Castelnuovo Garfagnana, professoressa liceale trasferitasi in Versilia negli anni'50:- Fu una cosa meravigliosa che si potesse essere uguali nei diritti. Prima chi ne parlava di diritti! Non mi sono mai sentita inferiore ad un uomo, erano gli altri che non ti facevano contare socialmente, ed era così punto e basta, non si poteva fare niente- Gli anni durissimi della guerra sulla Linea Gotica avevano trasformato la sua vita in un inferno:
-Fino al settembre 1943 vivevamo secondo tradizioni ottocentesche, la donna era l'angelo del focolare e basta, poi all'improvviso tutto cambiò, bisognava far fronte ai bombardamenti, alla paura e alla distruzione. Poi venne la Liberazione che fu accolta non solo come speranza ma con la sicurezza che le cose non sarebbero più tornate come prima. Il voto alle donne fu un'importante conferma. Però a quel punto, dopo anni terribili di fame e sfollamento, s'aspettava il voto come un diritto non come un regalo o una concessione-
Anna Magnani al voto
Finalmente in quei giorni cominciava in Italia un epoca che porterà le donne a rivestire tutte le cariche più importanti nella vita di tutti i giorni. Come dimenticarsi allora di Rita Levi Montalcini nella medicina, Nilde Jotti nella politica, Oriana Fallaci nel giornalismo, Anna Magnani nel cinema, Margherita Hack nell'astrofisica o Maria Montessori nell'istruzione. Tutte figlie di quel lontano 1946.

Storie di guerra in Garfagnana. La Divisione Alpina Monterosa.

$
0
0
E' facile parlare e scrivere dei vincitori. I vincitori dall'alto
Alpini della Monterosa
del loro piedistallo hanno la possibilità di raccontarci anche di come hanno vinto, ma certe volte il vincitore si fa prendere la mano e spesso racconta la vittoria come meglio gli piace. Questo "fenomeno" accade spesso in storia e il detto "la storia la scrivono i vincitori" conferma la veridicità del concetto. Al contrario (sempre in storia) non è invece per niente facile scrivere dei vinti, si può passare per revisionisti, nostalgici e sospettati di faziosità estreme. Non dovrebbe essere così se colui che scrive, scrive con l'intento di raccontare i fatti per il semplice interesse della conoscenza. Per questo motivo che scrivere di "Divisione Monterosa" non è sempre così semplice. Molti conosceranno questa divisione di alpini, ma altri no e allora addentriamoci nei meandri della sua storia. La Divisione Alpina Monterosa fu una delle grandi unità allestite dalla Repubblica Sociale Italiana che si formò dopo l'armistizio sotto la guida di Benito Mussolini, operò anche in Garfagnana durante il secondo conflitto mondiale e nella nostra valle insieme alla Divisione americana Buffalo, ai reparti brasiliani della F.E.B, all'esercito tedesco e alle forze partigiane fu tra i protagonisti di battaglie e scontri violenti. Erano considerati i cattivi, i nemici, facenti parte di un regime che aveva portato guerra, distruzione e morte nelle case dei garfagnini. Arrivarono in Garfagnana nell'autunno del 1944 provenienti dalla riviera di levante ligure, operavano nella zona compresa tra Genova e La Spezia, dove avevano avuto il compito di impedire sbarchi alleati.Cessata l'emergenza in Liguria una buona parte di essa fu trasferita verso sud, nella nostra Garfagnana dove gli fu assegnata una nuova
il motto della
Monterosa
missione: sbarrare la strada verso la Pianura Padana ai reparti brasiliani e alla forze della V armata americana e pensare che quando arrivò nelle nostre zone era stata costituita da pochi mesi, esattamente il 1° gennaio 1944, formata per il 19% da ufficiali, sotto ufficiali e truppa che già facevano parte dell'esercito regio. Alla fine il numero di alpini arruolati fra i volontari e la chiamata alle armi(di quelli che risposero...) dalle forze di leva del 1924 e 1925 salirà a ben 20.000 unità. L'obiettivo iniziale della Monterosa unitamente alle altre grandi unità (Divisione Bersaglieri Italia, Divisione Granatieri Littorio, Divisione di Fanteria di marina San Marco con la Brigata di riserva) era (cito testualemte)"riprendere il combattimento al fianco dell'alleato germanico ed opporsi all'invasione della penisola da parte degli Angloamericani", per fare questo l'intera divisione venne spedita in Germania dove nei campi di Hetiberg, Feldstetten e Munsingen venne addestrata per sei lunghi e duri mesi all'intensissima esercitazione tedesca da istruttori nazisti. Al termine dei sei mesi la divisione si schierò a Munsingen dove il 16 luglio 1944 fu passata in rassegna da Benito Mussolini, che tenne poi un discorso che entusiasmò i reparti, cui segui la consegna delle bandiere da combattimento. Dalla consegna di quelle bandiere cominciò per questi poveri soldati una parentesi di morte che li porterà nel teatro di guerra garfagnino, dove furono

impegnati nell'ormai famosa "Battaglia di Natale" (per il resoconto della battaglia leggi:http://paolomarzi.blogspot.it/il-piu-tragico-natale-che-la-garfagnana.html, l'unica operazione di guerra lungo la penisola italiana nella quale le forze congiunte della R.S.I e tedesche riuscirono a far arretrare gli alleati. Ma nel corso della guerra furono comunque molti gli episodi che videro coinvolti questi uomini, uno di questi vide protagonista il Sotto tenente Paolo Carlo Broggi, nato nel 1923 a Lanciano arruolato volontario nell'esercito
Mussolini passa in rassegna la Monterosa
a Munsingen(Germania9
a soli 17 anni, croce di guerra al valor militare nelle campagne di Grecia ed Albania. Dopo l'otto settembre senza esitare decise di arruolarsi nelle forze armate repubblichine. Giunse così in Garfagnana quando il 30 ottobre 1944 durante un'attività di pattuglia, 
alla ricerca di un gruppo di partigiani colpevoli di aver depredato un camion di viveri della divisione,stava risalendo con i suoi uomini dall'Isola Santa verso Careggine, quando ci fu un tremendo scontro a fuoco con i partigiani della Lunense, nell'occasione morì un caporale della Monterosa mentre Paolo Carlo Broggi fu ferito e catturato. Dopo un frettoloso processo gli fu chiesto di rinnegare il giuramento di fedeltà fatto alla Repubblica Sociale (in cambio avrebbe avuto salva la vita),lui non accettò e il 7 novembre presso la foce di Careggine fu fucilato dal plotone d'esecuzione, fu sentito gridare: "L'italia può fare a meno di me, non del mio onore". Il fuoco gli stroncò la vita a soli ventuno anni. Il corpo venne gettato in una fossa comune, dove nel gennaio 1945 fu recuperato. Oggi alla Foce di Careggine, sul luogo del suo sacrificio è stata eretta dopo la guerra una croce in pietra in sua memoria, sulla quale sono scolpiti una piccozza ed un cappello alpino. Non ci si può nemmeno dimenticare di Umberto Lanzetta vent'anni, quando viene mandato sulla Linea Gotica, fronte Garfagnana, ad opporre l'ultima resistenza alle forze americane.
Paolo Carlo Broggi
Umberto (originario di Verbania) venne assegnato al plotone ciclisti della compagnia comando reggimentale con il compito di riferire degli spostamenti del nemico dal suo punto di osservazione, ciò voleva dire esporsi al fuoco nemico e fu così infatti che il 28 novembre 1944 mentre si trovava in linea a quota 832, la postazione degli alpini fu investita dal fuoco dei mortai americani. Umberto nonostante le esortazioni dei compagni di mettersi al riparo uscì dalla propria postazione per intercettare la posizione del fuoco nemico, in quest'attimo una granata esplose vicino a lui ferendolo gravemente. Ricoverato, subì l'amputazione del braccio ma la cancrena procedeva comunque inesorabile. Poco prima di morire aveva ricevuto una lettera dalla mamma a cui lui aveva risposto:"...Non importa se i nostri sacrifici non saranno riconosciuti e saranno dimenticati o derisi. Quale premio più grande della nostra coscienza di aver agito in una causa in cui credevamo...". Umberto non si riprese e morì il 13 gennaio 1945. Alla sua memoria gli è stata conferita la medaglia di bronzo al valor militare.

La chiesa di san Rocco a Palleroso
In ricordo dei caduti della Divisione Monterosa (forse pochi lo sapranno), in Garfagnana esiste un Sacrario nella piccola frazione di Palleroso (comune di Castelnuovo Garfagnana). Il paesino fra l'agosto e settembre 1944 e il marzo aprile 1945 fu sede della Divisione alpina. All'ingresso del centro abitato sorge infatti la Chiesa di San Rocco e fu proprio nei pressi della chiesa che prese postazione il comando del Battaglione Brescia del 2° Reggimento Alpini. La guerra non risparmiò gli abitanti di Palleroso e i bombardamenti ripetuti misero in ginocchio questa piccola comunità e solo il 18 aprile 1945 lo strazio ebbe fine, quando in paese giunsero le avanguardie delle forze alleate. Da quel momento l'unico pensiero degli abitanti fu quello di ricostruire e di dare degna sepoltura ai tanti morti. Passarono gli anni e nel 1970 grazie all'interesse di Don Adelmo Tardelli e
L'interno della chiesa
chiesa con le lapidi
dell'Associazioni Alpini Monterosa fu deciso di ospitare all'interno della chiesa di San Rocco il Sacrario alla memoria degli Alpini caduti. Delle grandi lapidi di marmo raccolgono i nomi di oltre 770 soldati in rigoroso ordine alfabetico.

Alla fine della guerra la Divisione contò 1100 caduti, 142 decorazioni assegnate, tra le quali una medaglia d'oro al valor militare, 89 encomi e numerose croci di guerra. Venne sciolta il 28 aprile 1945 dal maresciallo Rodolfo Graziani che emanò l'ordine di cessare le ostilità. 
Dal dopo guerra in poi la Monterosa non fu riconosciuta ufficialmente nei raduni degli ex alpini, pertanto coloro che avevano combattuto in questa formazione secondo l'A.N.A (Associazione Nazionale Alpini)non potevano fregiarsi del titolo di alpini, ma il 27 maggio 2001 l'associazione decise di annullare questa norma dichiarando di fatto: "di riconoscere che tutti i giovani che hanno prestato servizio militare in un reparto alpino, in qualsiasi momento della storia d'Italia e quindi anche dal 1943 al 1945, poichè hanno adempiuto il comune dovere verso la Patria, siano considerati Alpini d'Italia".
Sono passati molti decenni da quei tragici anni e per fare un'analisi completa dei fatti non basterebbero sicuramente queste poche righe. Possiamo dire che per questi ragazzi fu la scelta di un ideale. Quei giorni dopo l'armistizio furono fatte riflessioni e scelte difficili che ormai a distanza di settant'anni è impossibile giudicare. Distinguendo il bene dal male furono momenti problematici per tutti, per i graduati come per i semplici soldati di truppa, fagocitati dalla storia e da scelte politiche più grandi di loro.

Superstizioni e credenze popolari garfagnine

$
0
0
"Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male".
Questa frase di Eduardo De Filippo racchiude tutto il concetto della superstizione stessa e delle credenze popolari.Tutti i popoli e le terre così come anche la Garfagnana hanno superstizioni e credenze che risalgono alla notte dei tempi. Hanno origine nelle tradizioni antiche, nell'ignoranza e nella paura, nate in tempi lontani dove il timore dell'ignoto prevaleva su quello della ragione. In questa ignoranza ci sguazzavano la Chiesa e gli stregoni di turno che facevano leva proprio su queste angosce riuscendo di fatto a ritagliarsi un ruolo importante e necessario nella società. Arrivati ormai nel XXI secolo queste primitive credenze le vorremmo ignorare, ma inevitabilmente influenzano ancora il modo di pensare e di agire delle persone. Ecco allora in questo poche righe un viaggio nelle superstizioni e nelle credenze popolari garfagnine, naturalmente non è possibile fare un elenco esaustivo di quali e quanti sono i gesti e le espressioni legate alle superstizioni, mi limiterò a ricordare quelli a me conosciuti e ricercati, argomentandoli per categorie.

CREDENZE RELIGIOSE

PERDONO
Una volta durante il Sabato Santo allo sciogliere delle campane (che erano state legate nel momento in cui Gesù era stato deposto nel sepolcro)chi si trovava a lavorare lontano in montagna, quando sentiva suonare le campane si inginocchiava e così recitava: - Terra bacio e terra sono, Gesù mio vi chiedo perdono-.

I NODETTI
Un tempo le donne ad inizio Quaresima prendevano un nastro colorato, con questo in mano cominciavano a recitare un Padre Nostro al giorno. Ad ogni Padre Nostro recitato, la donna faceva un piccolo nodo al nastro. Alla fine del periodo quaresimale il nastro contava così quaranta nodi (come i giorni della Quaresima) e il Sabato Santo lo avrebbero portato alla persona per la quale avevano chiesto la grazia.

BRUCIARE L'OLIVO
Quando si cominciavano ad addensare all'orizzonte nubi minacciose che presagivano bufera e che di conseguenza avrebbe messo in pericolo un raccolto, era abitudine dei contadini garfagnini di bruciare un ramoscello di olivo benedetto, in questo modo gli effetti del temporale sarebbero stati mitigati

LE CROCI SUL PANE
Al tempo che il pane si faceva in casa era abitudine fare una croce
sul pane che ancora doveva lievitare. Poi al momento di infornarlo ne veniva fatta un'altra sulla bocca del forno. Quando poi il pane veniva mangiato si faceva molta attenzione che non ne cadesse nemmeno una briciola per terra, perchè poi si sarebbe stati condannati a ricercarla nell'aldilà, facendosi luce solo con delle fiammelle che venivano accese sulla punta delle dita

LE PREGHIERE ALLA MADONNA
Quando si cominciano le litanie alla Madonna bisogna sempre finirle e mai lasciarle a metà, poichè si costringerebbe la Madonna stessa a finirle da sola e non è buona cosa.

LE METEORE O LE STELLE CADENTI
Le meteore o le stelle cadenti che solcano i cieli sono le anime che vanno in Paradiso

LA BUCCIA
Quando si riesce a sbucciare un frutto in modo che la buccia rimanga integra si toglie un'anima dal Purgatorio 

LA CROCE E L'ASINO
L'asino (o meglio il miccio) che ha una evidente croce sul groppone si dice che sia un asino discendente da quello di San Giuseppe che usò per portare Gesù Bambino lontano dalle persecuzioni di Erode

CREDENZE TRADIZIONALI

IL CUCULO
Chi abitualmente attraversava un bosco e sentiva il cantare del cuculo di solito recitava questi versi:- O cuculo dal buco tondo, quanto anni ho da stare al mondo?-. Contando i "cu cu"si conoscevano gli anni di vita che rimanevano.

IL GREMBIULE
Così si diceva nei lustri passati, che quando una moglie si toglieva il grembiule da cucina e inavvertitamente le cadeva per terra, significava che il marito era impegnato in cose poco serie... 

LA CIABATTA
Era usanza che nell'ultima notte dell'anno le ragazze in cerca di marito salissero in cima alle scale di casa e che con il piede lanciassero giù la ciabatta. Secondo la posizione di caduta (con la punta avanti o indietro, dritta o obliqua) avrebbero saputo fra quanto tempo si sarebbero maritate.

SPAZZARE I PIEDI
Bisogna stare ben attenti a non spazzare i piedi ai giovani, perchè si credeva che non avrebbero mai trovato un fidanzato/a

I FUNGHI 
Si dice anche tutt'oggi che nel periodo di funghi, molti "fungai" indossano la camicia o la giubba alla rovescia. Facendo così, si troveranno in quantità maggiore

I PANNI STREGATI
Era usanza delle massaie garfagnine di togliere dopo il tramonto i panni stesi al sole ad asciugare, perchè si credeva che gli streghi avrebbero potuto "segnarli" o fare qualche altra strana malia.

VERSARE IL VINO
Versare il vino con la mano sinistra ad un amico era segnale di tradimento.

LA SCOPA DIETRO LA PORTA
Tenere la scopa dietro la porta di casa portava a due credenze. Si pensava in questo modo di tenere gli spiriti maligni fuori dall'uscio e agli invitati si impediva di seminare  discordie e malumori in famiglia

CREDENZE LEGATE AI GIORNI DELL'ANNO

  • Se il Natale cade di venerdì, l'anno successivo sarà un buon raccolto
  • Il primo uovo che si toglieva dal pollaio il giorno dell'Ascensione (che si celebra quaranta giorni dopo Pasqua) si credeva che, se fosse stato posto sopra il tetto avrebbe protetto la casa dalle intemperie dell'inverno
  • Nell'approssimarsi di una bufera c'era il concreto pericolo che la grandine rovinasse i raccolti allora si procedeva a mettere fuori di casa un sacchettino con un po' di cenere tolta dal ciocco di Natale, ciò avrebbe protetto (insieme a delle preghiere rivolte alla Madonna)le piantagioni.

QUELLO CHE NON E' UN BUON PRESAGIO

  • Se un cane nella notte abbaia sette volte
  • Mettere il pane in tavola alla rovescia
  • Spazzare la sera in casa allontana la fortuna
  • Il canto della civetta

QUELLO CHE E' UN BUON PRESAGIO

  • Sentire il canto del grillo
  • Vedere un ragno di sera 
  • Quando la fiamma del fuoco del camino è vivace e scoppiettante significa che stanno per arrivare buone notizie.
Finisce qui questo breve ed incompleto viaggio nelle credenze popolari garfagnine, senza dimenticarci che la superstizione è un modo irrazionale con cui l'uomo esorcizza le proprie paure e cerca nel contempo di esercitare un controllo sui fenomeni rari e misteriosi. Del resto noi tutti istruiti o ignoranti, giovani o vecchi, qualche volta abbia ceduto alla tentazione del dubbio: "Non è vero ma prendo le mie precauzioni...". 

La maggior parte delle notizie raccolte fanno parte del bel libro di Paolo Fantozzi "Racconti e tradizioni popolari delle Alpi Apuane"

La mirabolante vita del Beato Ercolano in Garfagnana: miracoli, pacificazioni e leggende

$
0
0
Predicazioni nel 1400
Diciamocelo chiaramente il mondo è stato e sarà sempre un mondo fatto da molta cattiveria, dove il più forte mangia il più piccolo, dove i mali che affliggono il nostro pianete da millenni sono sempre i soliti: carestie, povertà e guerre. Niente è cambiato, sicuramente la situazione è migliorata (forse...) con l'andare dei secoli, ma queste caratteristiche principali esistono sempre e sempre esisteranno. Infatti non era un mondo migliore (tutt'altro) quello dove nacque la voglia e la volontà di predicare la parola del Signore dei frati francescani e domenicani in giro per l'Italia. Siamo nel XV secolo e il quadro generale della situazione del mondo allora conosciuto era un vero e proprio disastro. L'Europa fatta di nazioni cristiane era molto spesso divisa. Re cristiani che non facevano altro che organizzare guerre per difendersi da altri Re cristiani per estendere il loro potere economico e bestemmia suprema, alcuni dicevano di agire nel nome di Dio. Anche la nostra "Italietta" era divisa: stati contro altri stati, città contro città. Dentro la Chiesa Cattolica poi regnava il caos assoluto, era il secolo del grande scisma, dei Papi a Roma e degli anti papi ad Avignone, per non parlare poi degli scandali all'interno di essa, con un clero non all'altezza del suo sacro compito. Proprio in questo grande "carrozzone" in quei decenni si sviluppò un movimento di predicazione che aveva come compito il risveglio spirituale ed ecclesiale attraverso il contatto diretto con la gente. Si andava quindi di città in città, di paese in paese e si predicava contro lo strozzinaggio, il lusso, contro la corruzione ed il gioco d'azzardo, inoltre contro lo sfruttamento e la perversione sessuale. In prima linea in questa predicazione erano gli ordini mendicanti dei domenicani e dei francescani. Questi organizzavano gruppi ambulanti di missionari, muniti di autorizzazione papale, mandati e  chiamati talvolta anche dai governanti locali che speravano con questa operazione in un ritorno positivo di immagine. Anche la Garfagnana ebbe i suoi predicatori e fra questi spiccava su tutti (in quel periodo) la figura del francescano Ercolano da Piegaro. Il beato
Il beato Ercolano
particolare di un dipinto di Azzi
del 1638
Ercolano lasciò un segno indelebile nella nostra valle, a lui si debbono fatti straordinari e pacificazioni che lo hanno portato ancora oggi ad essere venerato ed osannato dai fedeli. La sua vita vide luce appunto a Piegaro, un paesino in provincia di Perugia sui confini toscani intorno al 1390. Insieme al suo amico Alberto da Sarteano decise così in gioventù di entrare nell'ordine di San Francesco. Con il tempo insieme al beato Alberto passò dai frati conventuali (per intendersi quelli che sono sono nella basilica di Assisi) ai francescani osservanti, che sotto la guida di San Bernardino da Siena proponevano il ritorno ad antiche e rigide regole. Fu così che si incamminò per l'alta Toscana fino a raggiungere Lucca, quando nel duomo della città stava predicando la Quaresima, successe l'imponderabile. I fiorentini assalirono la città e la misero sotto assedio. I giorni passavano e Lucca ormai era allo stremo della sua resistenza, stretta inesorabilmente dai morsi della fame, fu a questo punto che il buon frate vista l'emergenza non esitò a dare il suo aiuto alla città delle mura. Si incamminò nelle campagne e riuscì a rimediare ed a introdurre oltre le mura, grano ed animali da carne, ma non solo, predisse l'imminente ritiro delle truppe fiorentine, cosa che puntualmente si verificò. Frà Ercolano divenne con questo episodio una figura intoccabile e in compenso i lucchesi gli donarono il convento di Pozzuolo. Ma non era qui nella piana lucchese dove sentiva di svolgere a pieno la sua missione, lui amava i poveri e con i poveri voleva stare e la Garfagnana a quel tempo faceva il caso suo.Arrivò così nella nostra valle nel 1414 e incoraggiato dall'amico Papa Eugenio IV fondò due conventi , uno nei pressi di Barga e uno a Pieve Fosciana. In uno di questi colli posti sopra le rive del Serchio venne a pregare. Le cronache riportano che le sue predicazioni preferite con le quali strappava lacrime alle folle riguardavano la Passione di Cristo e fu proprio su uno di questi colli dove arringava la gente che fondò il suo primo convento, proprio nei pressi del paese di Mologno (dove adesso sorge l'attuale chiesa di San Bernardino). Fu però
San Bernardino (Mologno)
costretto ben presto a fuggire da quel luogo malsano, vicino al fiume Serchio, il pericolo di malaria era tangibile e si trasferì a Barga nell'odierna chiesa di San Francesco (dove sorge l'ospedale).

A Pieve Fosciana decise invece di stabilire la sua base. La popolazione donò al fraticello un terreno dove sorse il suo secondo convento e lo storico Sigismondo Bertacchi nella sua "Descritione Historica della Provincia della Garfagnana" (XVII Secolo)così scriveva:"Si dice che il convento dei Frati dell'Osservanza di San Francesco fu fondato dal Beato Ercolano, nel 1435. Lo voleva erigere vicino a Castelnuovo, ma la comunità alla quale si era rivoltò glielo negò, allora ricorse agli uomini della Pieve Fosciana che glielo concessero. In cambio lui promise loro che non avrebbero mai avuto nè peste nè tempesta nel loro territorio. Infatti questo fu vero. Dove si mise a costruire il convento non c'era acqua. Il beato Ercolano prese la zappa e dette quattro zappate da una parte dove scaturì una sorgente...". Qui insieme al suo discepolo Jacopo da Pavia iniziò a costruire questo modesto conventino (- satis humilem et pauperem- assai umile e povero) che divenne metà di pellegrini e viandanti da ogni dove. Ma come detto erano tempi di guerre e di
Ex convento San Francesco Pieve Fosciana
(foto tratta dal blog Giro-Vagando)
lotte interne e la Garfagnana grazie all'intervento di Frà Ercolano riuscì a risparmiare molte vite. La parola di Ercolano era molto ascoltata anche dai potenti locali e diverse volte molte guerre interne alla nostra valle furono scongiurate per un suo intervento. La sua popolarità fra la gente povera aumentava a dismisura proprio grazie a queste guerre evitate, la gente lo adorava tanto che l'antico cronista dell'epoca tale Romano da Firenze (teologo e storico francescano) riferisce (fra altre cose) di questo umilissimo uomo che andava in giro per le strade della Valle del Serchio con il saio rattoppato e che da tutti era conosciuto come il "Padre Santo". Nel 1439,l'amico Papa Eugenio IV lo inviò però in Egitto ed in Terra Santa con una missione francescana che aveva il compito di promuovere l'unione con i cristiani orientali. Rientrò nel 1441 e di li a poco si ricorda forse la sua più spettacolare predicazione, quando a Pieve Fosciana si caricò di una croce pesantissima e seguito da tutto il popolo si inerpicò per San Pellegrino in Alpe. Ma ormai le fatiche e i lunghi pellegrinaggi avevano minato la salute di Frà Ercolano e nel 1451 (presumibilmente il 28 maggio) circondato da fama di grande santità morì. Nel 1456 fu sepolto nella chiesa del suo convento, ma quattro secoli dopo (1856)in seguito alla demolizione del convento
Processione per il Beato Ercolano
a Pieve Fosciana 1921
(foto archivio Silvio Fioravanti)
originale, le sue reliquie furono poste nella chiesa della Pieve. Nel 1860 Papa Pio IX ne riconobbe il culto pubblico di un uomo fra i più venerati di tutta la Garfagnana.

Gli Apuani e il culto dei morti. Usi, costumi e religione di un popolo mai domo

$
0
0
"...Nuje simmo serie...appartenimmo a morte!"."Noi siamo seri
apparteniamo alla morte", così si conclude a mio avviso una delle più belle poesie di sempre del panorama italiano: 'A livella" di Antonio De Curtis per tutti conosciuto semplicemente come Totò. La morte infatti da sempre è considerata una cosa seria da tutti i popoli, da tutte le religioni, da chi crede e da chi non crede e il culto stesso dei morti è l'espressione della pietà che gli esseri umani provano verso i defunti e della speranza di una vita futura. Il culto dei morti si manifesta nei riti funebri diffusi in tutte le società, nella costruzione dei cimiteri, nella elaborazione di credenze relative al destino dell'anima e all'aldilà, e questo già da tempi lontanissimi, addirittura la specie Homo Sapiens ha da sempre sepolto i morti. In molte sepolture preistoriche sono stati ritrovati resti di corpi dipinti con l'ocra e decorati con conchiglie, corna di cervo e altri oggetti ornamentali.Questo fa pensare che già i nostri lontani antenati praticassero riti funebri e avessero elaborato credenze relative al destino dei morti e all'aldilà e così è per quanto riguarda gli antichi abitanti della Garfagnana: gli Apuani.
la natura, oggetto di
adorazione degli Apuani
Innanzitutto andiamo ad analizzare qual'era la religione di questi nostri antichi antenati, poichè è la religione stessa che è legata a doppio filo con il culto dei morti. La loro adorazione consisteva nel venerare le forze della natura,la loro era una speciale adorazione per foreste, boschi, vette e fiumi, tutti i luoghi di culto erano segnalati da una pietra o da un simulacro e tutti i nomi di divinità che ci sono pervenuti sono di origine celtica. La divinità guaritrice ad esempio si chiamava Bormanus che i romani interpretarono come Apollo, mentre Poeninus divinità delle montagne fu (sempre dai romani) equiparata a Giove, il Dio Bekkos, da cui prende il nome il Monte Bego era rappresentato nelle incisioni rupestri 
come un Minotauro, cioè metà uomo e metà toro, sempre dai celti gli Apuani presero anche il culto del Dio Belenos protettore della luce, che era venerato fino alle coste adriatiche italiane, non mancava nemmeno il culto di Ercole, come in tante altre popolazione italiche. Naturalmente a tutta questa adorazione di Dei venivano associati svariati riti, uno dei più singolari era sicuramente l'usanza di gettare nei fiumi o nei torrenti oggetti personali come armi e gioielli, ciò probabilmente veniva fatto per due motivi a seconda dei casi. Il primo motivo consisteva nell'offrire questi preziosi monili alla divinità stessa, il secondo ad impedire ad altri l'uso degli oggetti personali di un defunto e proprio ai defunti era dedicato un rito che forse secondo miei studi e in tal modo era praticato solo dai Liguri. Ma prima facciamo un po' di cronistoria, tanto per chiarire meglio l'argomento. Già 4000 anni prima di Cristo (così dicono gli scienziati) l'uomo cominciò a stabilirsi in maniera permanente nella nostra valle, si costituirono i primi villaggi, i primi allevamenti e le prime coltivazioni, con la stabilità si cominciarono pure a seppellire i morti e i primi ritrovamenti risalenti al Paleolitico medio vedono i morti seppelliti sui fianchi o seduti e talvolta supini, posti sotto le capanne o in grotte. Verso il 2000 a.C si sviluppa il rito apuano dell'incinerazione. I villaggi stavano diventando
sempre più grandi, si costituirono i primi castellari (n.d.r: insediamenti apuani collocati su sommità)e la presenza di questi centri abitati testimonia anche la presenza di vere e proprie necropoli. Queste tombe, riferiscono gli archeologi, si sono conservate nei secoli piuttosto bene, sia perchè scavate nel sottosuolo, sia perchè oggetto di superstizione.I corredi funebri ammassati accanto ai morti offrono agli studiosi una panoramica di oggetti di uso comune, si trovano gioielli, vasi, ciotole tutti provenienti da questi "campi di urne", dove gli Apuani erano soliti incendiare i propri morti. Infatti come detto questa è una pratica quasi esclusiva degli antenati garfagnini, un rito nato a quanto pare nell'età del bronzo e portato avanti fino ad epoca romana (circa 5000 mila anni) con la sola variante dei materiali delle tombe: non più lastre, ma tegoloni, non più terracotta locale ma vasi ed accessori in uso al mondo romano. Ma guardiamo come si svolgeva questo rito apuano dell'incinerazione.Il rito di cremazione più noto ai posteri rimane quello descritto da
Oggetti ritrovati in tombe apuane
Omero nell'Iliade e con buona probabilità non si discostava molto da quello nostrale.

Dopo che era stata tagliata una quantità di legname dai boschi, veniva innalzata una pira e più grande era questa pira e più grande era l'importanza del defunto. All'alba, alla presenza di tutti gli abitanti del villaggio la catasta di legna veniva incendiata e solo il mattino seguente i fratelli e i parenti più stretti dopo aver spento le ultime braci con il vino raccoglievano i resti in un urna che veniva deposta in una buca scavata nel terreno e protetta da pietre. Le necropoli liguri erano caratterizzate da tombe cosiddette a "cassetta"( n.d.r: la forma ricorda difatti una simil-cassetta) costituite da rozze lastre di pietra locale, quattro di
un esempio di tomba acassetta
queste pietre formavano le pareti(dove si sarebbe collocata l'urna con le ceneri),le altre due avrebbero fatto, una il fondo ed una il coperchio. Talvolta tutto intorno potevano avere la protezione di altre pietre messe li a fare da funzione drenante. Le

dimensione di queste tombe a cassetta variavano, andavano da due metri, a quaranta centimetri di lunghezza e da un metro, a venti centimetri di larghezza. Era usanza che nella tombe venissero messi oggetti personali del defunto, come probabilmente a credere in un ulteriore vita nell'aldilà, inoltre con ogni probabilità la tomba veniva posta nello stesso luogo dove era stata innalzata la pira, come testimoniano i resti carbonizzati ritrovati intorno alle fosse che custodivano "la cassetta". Nella stessa tomba poteva venire sepolto più di un morto, talvolta un uomo ed un bambino. Ma guardiamo come era formato un "cimitero" Ligure Apuano. Le necropoli presentavano dei veri e propri recinti tombali, questi recinti seguivano in genere l’andamento del terreno, erano di solito a pianta quadrata o circolare, si ipotizza che tale differenza fosse derivata dal fatto che le strutture a forma circolare fossero destinate ad individui di sesso maschile che svolgevano ruoli importanti, mentre le cassette a recinto quadrato contenevano i resti di individui appartenenti allo stesso nucleo
Una tomba a cassetta
familiare
. Le tombe solitamente erano sormontate da cumulo di sassi disposti intenzionalmente a copertura della lastra di chiusura della cassetta.
Ancora riti, usanze e costumi di questa indomita gente che non finirà mai di sorprenderci e che ci rendono sempre più fieri di averli avuti come il primo vero e proprio popolo che abitò la nostra Garfagnana.

La tana di Castelvenere. Quando la storia è dentro una grotta...

$
0
0
Laggiù in fondo alla valle scorre il torrente Turritecava, le auto
la grotta di Castelvenere
sembrano piccoli puntini variopinti che si muovono lungo quella striscia bianca che lo costeggia, sopra la testa le pareti che sembrano di marmo salgono a strapiombo fin su la vetta del Monte Gragno, un senso di vertigine ci prende anche se siamo in un ampio piazzale di pietra su cui scorre un piccolo ruscello. Ci ipnotizza e ci affascina quel senso di vuoto sotto i piedi, quelle milioni di tonnellate di pietra sopra la nostra testa e quel vuoto di fronte, rotto in lontananza dall'altra sponda della Valle di Turritecava. Siamo a 650 metri sul livello del mare all'imboccatura della Tana di Castelvenere, un grande imbuto profondo circa 50 metri. In fondo al quale si diramano due gallerie delle quali, quella di sinistra è stata esplorata per 1700 metri. Da questi cunicoli che si
Gli strapiombi del Monte Gragno
restringono e si allargano sgorga continuamente tanta acqua che nell'ampio imbuto d'ingresso si forma un piccolo ruscello e poi giù lungo i fianchi del monte crea un susseguirsi di cascate. Questa è la grotta di Castelvenere, nota anche come buca di Casteltendine, buca di Notrecanipe e buca della Penna di Cardoso, riveste molteplici interessi archeologici, speleologi, storici e naturalistici. Nell'ormai lontano 1975 vi furono rinvenuti dei bronzetti femminili e ermafroditi risalenti a 2500 anni fa, senza dubbio questa grotta (è bene dirlo) si può considerare sicuramente la più importante della valle da un punto di vista archeologico avendo fornito anche parecchi reperti dell'età del bronzo, etruschi e romani. Ma la scoperta più grande rimangono però questi "idoletti" di bronzo, da questi oggetti si presume che la grotta sia stata un tempio della
i bronzetti di Castelvenere
fecondità dove si recavano le donne afflitte da infecondità per implorare gli dei di liberarle dalla sterilità, si ipotizza che ha scopo votivo (un po' come si fa oggi con i santi) questi piccoli manufatti fossero poi depositati dentro l'antro. La datazione di questi oggetti la possiamo collocare a 500 anni prima della nascita di Cristo, si tratta quindi come detto di figure umane molto

schematiche alte fra i 4 e i 5 centimetri, caratterizzate da tratti sessuali marcati ed hanno una terminazione a punta, probabilmente fatti in questo modo perchè si potessero conficcare nel terreno. Sono presenti pochi esemplari (circa 30) con caratteristiche diverse, c'è anche addirittura un bronzetto a forma di cane. Gli archeologi inoltre ci dicono che sono di produzione etrusca e
I bronzetti con
il cane
risalgono al tempo in cui gli etruschi penetrarono nelle nostre terre costruendo piccoli villaggi, nella media e nell'alta valle del Serchio, importante asse di collegamento con le altre aree etrusche a nord dell'appennino. Ma la vita della grotta non finì sicuramente a quel tempo ma continuò oltre, ce lo dicono altri ritrovamenti di epoca romana, tra i quali un piccolo pugnale e non solo,  anche le monete ritrovate ci dicono di una lunga frequentazione di questo luogo, dall'età augustea (43 a.C) fino al III secolo dopo Cristo. Particolarmente abbondanti sono stati i ritrovamenti di ceramiche del I e del II secolo d.C in prevalenza vasellame fine, utilizzato forse per le libagioni (n.d.r: la libagione nelle religioni antiche era un offerta alle divinità di sostanze liquide, tipo: vino,latte ecc..., versate sugli altari o per terra). Intanto passano i secoli e dopo gli etruschi e i romani arriviamo ai longobardi e un piccolo gruppo di materiali fra cui frammenti di terra sigillata africana e di calici di vetro attesta che la grotta è stata
Ritrovamenti nella grotta
utilizzata fino a quell'epoca, forse per un'ultima ripresa delle pratiche del culto pagano o più semplicemente come rifugio nei difficili anni delle guerre gotiche o dell'invasione longobarda a conferma di questo è il muraglione eretto poco sotto l'ingresso, sebbene di datazione incerta pare comunque un'opera di difesa che chiudeva di fatto l'unica via d'accesso alla tana. Con il passar dei secoli la grotta ha perso il suo bel significato originale ed è diventata rifugio per briganti, luogo di regolamento di conti e quanto pare anche di omicidi. Ci viene tramandato oralmente di quella brutta storia che vide la morte di un commerciante di pentole di rame per mano delle guardie ducali, erroneamente fu scambiato per un brigante locale, ci raccontano che questo posto è stato anche luogo di faide comunali per il possesso dei prati per pascolare gli animali sul monte
anche monete romane
Gragno, ma la storia più bella rimane senz'altro la leggenda delle figlie di Venere. Da questa leggenda prende il nome la grotta, andiamo a vedere allora il perchè di questa particolare denominazione. La parola castello etimologicamente parlando ha svariati significati,la parola deriva dal latino medievale castellum che è un diminutivo del classico castrum che ha due significati, uno al singolare castrum e cioè forte e uno al plurale castra che significa accampamento, in questo luogo della montagna garfagnina si dice che vi si accampasse Venere, da qui Castelvenere cioè l'accampamento di Venere. Qui Venere dea dell'amore, della bellezza e sopratutto della fertilità aveva trovato dimora alle sue figlie che spesso veniva a trovare. A queste figlie la dea romana voleva un gran bene sopratutto perchè erano le figlie che nessuno conosceva. Tutti infatti conoscevano i suoi ben più famosi figli
Per arrivare alla grotta
maschi come Enea o il più conosciuto Cupido, ma a queste ragazze volle dare un compito comunque importante per farle sentire anche loro considerate, quello di fare un censimento nella nostra valle di tutte le donne che non potevano avere bambini per invitarle poi in questa grotta per essere fecondate da Venere in persona per così poi popolare una valle che per millenni era stata inaccessibile e sterile sotto tutti i punti di vista. Così grazie a Venere le donne che non potevano avere figli riuscirono a partorire e con la loro prole poterono coltivare e rendere fertile la terra di questa valle, considerata misera e povera fino all'arrivo delle figlie di Venere. Questa leggenda si dice proprio che faccia parte del culto della dea stessa che gli antichi avevano presso questa grotta, quindi anche questa storia sarebbe vecchia di ben 2000 anni.

La nostra valle non finisce mai di stupirci, delle volte siamo a due passi da tesori e da luoghi dal valore e dalle bellezza inestimabile e che spesso nessuno conosce, questa è una buona occasione per visitare quella che è un vero e proprio tesoro della nostra valle.
Vorrei chiudere con una nota polemica se mi consentite. Tutti questi tesori sopra citati sono visitabili presso il Museo Nazionale di
L'interno della grotta
Villa Guinigi a Lucca, così come potrete visitare tante altre cose e scoperte della nostra Garfagnana in giro per la provincia e per la regione. Ma quando ci decideremo di far tornare tutto a casa e di fare noi garfagnini un museo che accolga tutte le nostre bellezze sparse per l'Italia? Un sogno questo e come tale rimarrà...

La galleria del Lupacino. L'opera più grandiosa della Lucca-Aulla

$
0
0
Costruire in Garfagnana non è mai stato facile, naturalmente più grandi sono le opere da realizzare e più complicata diventa la loro edificazione. Ponti, strade e le vie di comunicazione in genere nella valle sono state sempre e lo sono ancora un grande problema. Il nostro territorio per sua conformazione ha creato sempre difficoltà anche al più in gamba degli ingegneri e i tempi di costruzione si sono allungati sempre all'inverosimile diventando addirittura biblici. Ma quest'opera di cui andrò a raccontare le batte tutti (almeno nella valle), roba da far invidia perfino alla Salerno- Reggio Calabria, infatti i suoi studi di fattibilità cominciarono nel 1840, la sua costruzione fu autorizzata dal governo di sua maestà re Vittorio Emanuele III il 27 aprile 1916 e fu inaugurata dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi il 21 marzo 1959, ben 42 anni, 11 mesi e 6 giorni dopo dall'approvazione dei lavori, nel frattempo erano passate due guerre, una dittatura, la monarchia era decaduta, ed eravamo già al terzo presidente della Repubblica, e la linea ferroviaria Lucca- Aulla non era stata ancora completata, rimaneva l'ultimo grande ostacolo per congiungersi con l'altro capolinea e questo ostacolo si chiamava Monte Lupacino. Questa è la storia della galleria del Lupacino, un cunicolo di quasi ottomila metri dentro la montagna che in dieci minuti avrebbe permesso di unire la stazione
la galleria del Lupacino oggi
(foto tratte da F.L.A.com)
di Piazza al Serchio con la stazione di Minucciano- Pieve Casola. Questa fu l'opera più imponente e complicata della ferrovia Lucca- Aulla. I fatti praticamente cominciarono quel lontano 21 aprile 1940, quando in pompa magna per il giorno del compleanno di Roma le autorità fasciste accolsero per la prima volta il treno a Piazza al Serchio (29 anni dopo Castelnuovo Garfagnana...), consideriamo che tale tratta (Castelnuovo- Piazza al Serchio) già esisteva da tempo immemore, messa in funzione dall'allora "Montecatini"vera potenza monopolistica nel campo dell'escavazione del marmo che gestiva questa tratta esclusivamente per il trasporto dei blocchi di marmo. La crisi economica del 1929 colpì però anche le industrie marmifere e ciò portò al crollo dell'escavazione del marmo garfagnino e l'interesse della gestione di quel segmento di ferrovia cominciava a pesare sulle spalle della Montecatini stessa, la manutenzione diventava sempre più
la ferrovia del marmo
(foto collezione Fioravanti)
dispendiosa, era ormai venuto il tempo che la responsabilità di questo pezzo di linea passasse all'amministrazione statale e così fu. Dall'altra parte nel versante massese nel 1943 la ferrovia di Equi Terme raggiunse Minucciano. Per congiungersi con Piazza al Serchio, per completare l'opera non rimaneva che l'ostacolo più duro il famoso Monte Lupacino, per superarlo era necessario lo scavo di una galleria di quasi otto chilometri. Per la precisione 7515 metri. I lavori su questa galleria a onor del vero erano già cominciati nel 1922, ma ben presto si interruppero 
(alla fine del 1923), quando erano stati realizzati 800 metri di scavo dal lato garfagnino e 400 dal lato Lunigiana. Nel 1942 (in piena guerra mondiale) ripresero perchè il federale di Lucca Mario Piazzesi voleva fare un figurone con Mussolini, dato che si era sbilanciato un po' troppo quando comunicò personalmente al duce  che i lavori della ferrovia garfagnina ormai erano entrati in fase di ultimazione..., il tutto però si risolverà come si suol dire gettando un po' di "polvere negli occhi": fu data una ripulitina ai cantieri e una "grattata" al monte. Con la guerra in corso i lavori naturalmente non andarono avanti, ma poi grazie a Dio terminò anche questo flagello e dopo essersi "leccate le ferite" arrivò anche il
I lavori in galleria
(foto tratte da F.L.A.com)
momento della ricostruzione e di un nuovo impeto di sviluppo, c'era da rimettere in piedi quello che era stato bombardato (il ponte della Villetta), ma c'era anche da portare avanti quello che era rimasto in sospeso e nel marzo 1946 si riprese a scavare nella galleria di valico. Nel lato opposto lo scavo fu ripreso nel dicembre 1947. Sinceramente questa ripresa dei lavori fu una mano santa per l'economia della valle, duemila disoccupati cominciarono nuovamente a lavorare nel compimento della galleria e Loris Biagioni, sindaco di Castelnuovo e padre costituente sollecitava il governo di inserire una volta per tutte nel programma dei lavori pubblici i fondi per il completamento della linea. Il 10 dicembre 1946 ci fu la svolta, il ministro dei trasporti Ferrari e il ministro dei lavori pubblici Romita  assicurarono che per il ripristino della linea, tutte le opere erano già state appaltate. Il ministro Romita in persona illustrò i lavori in corso alla galleria del Lupacino, garantendo la disponibilità finanziaria per terminare i lavori. La realizzazione proseguì senza intoppi temporali e si arrivò finalmente al 17 settembre 1956. Sessant'anni esatti sono passati da quel giorno quando il ministro Romita insieme all'allora ministro

dei trasporti Angelini e ad una moltitudine di autorità assistettero alla caduta dell'ultimo diaframma di roccia della galleria che separava le due stazioni di Piazza al Serchio e di Minucciano-Pieve Casola. Ma quante difficoltà! Quante tribolazioni, prima di arrivare a quel giorno, anche per l'impresa Scandovi di Bologna,
specializzata in costruzioni ferroviarie (che si era aggiudicata l'opera) l'ostacolo del monte Lupacino si rivelò più duro e terribile del previsto e quando si presentò il conto a fine lavori fu salatissimo. Il prezzo pagato per questa galleria fu presentato
la lapide in memoria
dei caduti a Pieve San Lorenzo
in vite umane, ben sette furono le vittime che negli anni di costruzione persero la vita in questa infrastruttura e giustamente vanno ricordati uno per uno:


  • Guazzelli Umberto da Piazza al Serchio
  • Casini Giovanni da Piazza al Serchio
  • Traggiai Ottavio da Pieve San Lorenzo
  • Borghesi Vittorio da Piazza al Serchio 
  • Peghini Augusto da Pieve San Lorenzo
  • Spinetti Renato da Pugliano
  • Clini Alfredo di Pesaro 
Ma non solo, per centinaia di lavoratori il Lupacino significò l'invalidità permanente che si presentò sotto forma di silicosi, malattia contratta durante i lavori di scavo. Anche i numeri ci parlano di un opera ciclopica: furono impiegate 600.000 mila giornate di lavoro per un costo di cinquecentomila lire per chilometro, in più furono impiegate 150 mila metri cubi di murature e furono eseguiti 400 mila metri cubi di scavi, che la natura e la roccia consentì solo un poco alla volta, prima con la realizzazione dei cunicoli di avanzamento e successivamente degli
Lavori nella galleria del Lupacino
(foto tratte da F.L.A.com)
allargamenti. Molti tratti erano poi in contro pendenza e in altri, dove la montagna era attraversata dai corsi d'acqua, fu necessario non solo impermeabilizzare la gallerie ma intervenire addirittura sul letto dei torrenti. 

Eccoci così al fatidico 21 marzo 1959 e all'inaugurazione ufficiale della galleria del Lupacino e al definitivo completamento della linea Lucca- Aulla. Il tutto si svolse alla presenza del (toscano) Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Un giorno di festa per la Garfagnana,che rimane ancora oggi esclusivo nella storia della valle perchè è stato
Il Presidente Gronchi
a Pieve San Lorenzo
l'unico presidente (in veste ufficiale) a far visita alla Garfagnana. Quel giorno il treno presidenziale partì da Minucciano- Pieve Casola attraversò la galleria del Lupacino, giunse a Piazza al Serchio e continuò il tragitto a valle, nella notte per festeggiare il grandioso evento sui monti delle zone come tradizione del tempo voleva per i grandi avvenimenti vennero accesi grandi falò in omaggio al presidente e per la felicità del completamento della ferrovia. Mai felicità fu più effimera però, con l'inizio degli anni sessanta l'Italia era alle prese con la costruzione delle autostrade e gli italiani si gettavano nell'acquisto di automo
bili, il treno adesso rappresentava il passato. Nel 1911 quando il treno arrivò a Castelnuovo (e li si fermò) era il mezzo più veloce
possibile, nel 1959 al compimento della Lucca- Aulla rappresentava solo un rammarico perchè mai come allora il treno era arrivato veramente in ritardo di ben 48 anni. Così il senatore Cesare Angelini parlamentare di Lucca ebbe a scrivere sul numero speciale de "La Garfagnana" in occasione della visita di Gronchi:"Che dire della ferrovia? E' venuta troppo tardi? Fu iniziata quando la ferrovia rappresentava l'unico mezzo efficiente di trasporto e quindi di progresso; viene completata quando il traffico da anni ha scelto altri mezzi, preferibili per percorsi non eccessivi, sia per il trasporto delle persone che per quello delle cose. Comunque-anche in ritardo- ben venga la ferrovia, ma essa potrà essere di reale utilità alla Garfagnana se invece di adibirsi al solo traffico locale, sarà percorsa anche da treni che congiungono rapidamente il sud e il nord alle sue magnifiche vallate. Si potranno così aprire nuove vie ai commerci e più ancora a quel turismo all'incremento del
Il presidente Gronchi
a Piazza Al Serchi
quale la Garfagnana deve sentirsi decisamente impegnata per conseguire quel processo sociale ed economico cui giustamente ambisce".

Tale articolo non rimarrà che nei decenni una voce vuota e inascoltata... a voi trarre le amare conclusioni...



Fonte: Studi del Professor Umberto Sereni 

Le lettere censurate dei garfagnini nella seconda guerra mondiale.

$
0
0
Federico Fellini nelle sue molteplici interviste aveva avuto da subito ben chiaro il concetto di censura. Nei suoi film molta ne aveva subita dal solerte censore di turno e in una conversazione con Lello Bersani (n.d.r: noto giornalista R.A.I esperto di cinema)così definiva esplicitamente l'essenza della parola "censura": "La censura è sempre uno strumento politico, non è certo uno strumento intellettuale. Strumento intellettuale è la critica, che presuppone la conoscenza di ciò che si giudica. Criticare non è distruggere. C'è una censura italiana che non è invenzione di un partito politico, ma che è naturale al costume stesso italiano. C'è il timore delle autorità e del dogma, la sottomissione al canone e alla formula, che ci hanno fatto molto ossequienti. Tutto questo conduce dritti alla censura. Se non ci fosse la censura gli italiani se la farebbero da soli". Niente di questo è più vero, da tempo immemore l'Italia subisce (quando più e quando meno)i tagli più o meno velati dai vari censori, infatti si parla già di censura durante il Risorgimento,poi nel Regno d'Italia, per non parlare durante l'era fascista e durante le due guerre mondiali, ma non facciamoci sorpresa(questo per avvalorare la tesi di Fellini) se anche oggi la falce del censore si abbatte sulla nostra nazione, nel 2015 la Freedom House ha classificato la stampa italiana come "party free"(parzialmente libera), mentre nel rapporto dello stesso anno "Reporter senza frontiere" pone l'Italia al 73° posto per libertà di stampa, meglio di noi anche Burkina Faso e Botswana. Ma quello che interessa a questo articolo non è una disquisizione sulla libertà di stampa oggi, ma bensì(tanto per rimanere nel nostro orticello garfagnino)delle molte lettere censurate dei soldati garfagnini nel corso della seconda guerra mondiale, fu censurata anche quella corrispondenza spedita dai familiari verso il povero militare ed è stato grazie all'ottimo lavoro del professor Mario Pellegrinetti di Camporgiano che sono tornate fuori queste lettere, sono tornate a galla queste frasi oramai dimenticate nel tempo e all'epoca cancellate con inchiostro indelebile perchè nessuno mai le leggesse, con quel timbro sopra apposto che valeva più di mille parole: "VERIFICATO PER CENSURA". Tutto questo oggi è raccolto nel bel libro intitolato "Sotto l'inchiostro nero" anno 2001 del professor Giuseppe Pardini, edizioni M.I.R. Ma prima di leggere queste lettere, per capire meglio questo articolo bisogna capire meglio come funzionava la macchina della censura nella II guerra mondiale. Nel conflitto il ruolo della censura ebbe carattere di controllo sopratutto per quello che riguardava il diffondersi di notizie disfattiste fra i civili
Castelnuovo Garfagnana bombardata
(foto di Nicola Simonetti)
provenienti dalle lettere dei soldati dal fronte di guerra, si aveva paura  del diffondersi del panico
 a tali notizie, di ribellioni da parte della gente e quant'altro potesse sovvertire l'ordine pubblico. La censura colpiva anche le lettere che partivano dalla Garfagnana dirette ai soldati, qui il timore era diverso, si aveva terrore di influenzare la volontà del combattente nell'apprendere le difficoltà economiche ed alimentari della famiglia. Così come nella prima guerra mondiale eventuali frasi non ammesse erano cancellate con inchiostro di china, se invece erano considerate gravi la corrispondenza veniva "tolta di corso", praticamente sequestrata e trattenuta dall'ufficio censura che segnalava il fatto all'autorità giudiziaria per provvedimenti che potevano essere molto pesanti per i civili e pesantissimi per i militari, indagini sarebbero state fatte anche nei confronti dei destinatari. La macchina censoria come avete ben capito era una macchina perfetta, ben oliata e ben organizzata, essa si divideva in tre comparti: posta estera, posta interna e posta militare, ogni reparto aveva i suoi censori che in base a regole ben precise cancellavano o ammettevano le missive, questa brutta prassi di sorveglianza includeva tutti gli italiani e la nostra Garfagnana non ne era esente, difatti in questo articolo esamineremo lettere garfagnine degli anni 1943-1944, gli anni più terribili della guerra in Garfagnana. Da queste lettere e specialmente dalle parti censurate possiamo vedere realmente qual'era lo stato d'animo dei nostri soldati che scrivevano a casa, si può anche leggere sopratutto lo stato in cui versava la popolazione nella nostra valle: i morsi della fame si facevano sentire e la disperazione aumentava ogni giorno di più, tutte queste notizie non dovevano pervenire nè al soldato,nè alla sua famiglia. Infine prima di presentare gli stralci di queste lettere censurate consentitemi un ultima annotazione e
lettera censurata
farei notare una differenza degli scritti nei due anni analizzati. Nel 1943 prevale lo sconforto di una guerra senza fine, la paura per la sorte dei figli e la preoccupazione per la scarsità di cibo. Nel 1944 le cose non migliorano,tutt'altro, il nervosismo aumenta, lo sbando e la confusione totale regna sovrana, la Garfagnana è diventata zona di guerra: alleati da una parte, tedeschi dall'altra e i partigiani sempre pronti all'azione. Naturalmente nel mezzo ci sta la gente comune che è quella che continua a soffrire maggiormente.


Brani di lettere censurate del 1943
  • Enrico Domenici Vergemoli al soldato Giulio Domenici arruolato nella Milizia Marittima d' Artiglieria: "Io qui non so come contenermi, le viti senza potare, i campi chi vuoi chi li vanghi, per era meglio se avevo abbandonato tutto. Chissà la Padrona quando vedrà che non possiamo fare nulla come la intenderà" Probabilmente lettera inviata dal padre contadino a suo figlio. La censura cancella questa frase per non far inquietare il soldato impegnato su un fronte delicato come quello siciliano
  • Bertoli Costante 39a Compagnia Genio a Bertoli Enny Pieve Fosciana: " Vorrei che finisse presto questa guerra per poter tornare fra di voi, ma certo se finisse presto la guerra si perde di sicuro e se si dovesse vincere ce ne sarebbe ancora per degli anni. Mi dispiace molto dover perdere questa guerra dopo tanti anni di sacrifici, ma continuare ancora come si fa? Io son già più che stufo di questa vita, si tira avanti anno per anno, senza mai finire"Brano di corrispondenza depennato perchè considerato disfattista e fuorviante
  • Salotti Francesco Aeroporto a Salotti Dora Fosciandora: Anche noi qua (Torre del Lago) ci aspetta un bel film Luce (bombardamenti), speriamo di no ma per quanto si vede...Anche Pantelleria e Lampedusa è stata occupata. Certo che il morale è un po' giù, ormai abbiamo la guerra in casa". Il censore si accanisce su questa lettera per due motivi: questa lettera da informazioni militari ai civili e in seguito infonde sfiducia fra la popolazione
  • Soldati italiani in Africa
  • Turriani Ernesto Pieve Fosciana a Aldo Turriani: "Io se avessi vinto al lotto non sarei stato così contento. Nel nostro Re e nel Maresciallo Badoglio ho avuto sempre grande fiducia e però speriamo che obbediamo senza reticenza alcuna. Sono sicuro che con coscienza lavoreranno per il  nostro benessere e del nostro Paese". Questa lettera fa riferimento alla caduta del fascismo avvenuta il 25 luglio 1943. Mussolini è stato posto in arresto per ordine del re, il nuovo capo del governo è Badoglio inviso ai nazisti che con ogni probabilità censurano (o fanno censurare) questa lettera inneggiante proprio a Badoglio e al Re
Brani di lettera censurati nel 1944
  • Gambini Olimpia Aosta a Carla Palizi Gallicano: "Sono due mesi che la roba con la tessera viene data a gocce, cioè l'olio ed i grassi in nessuna maniera. Al mercato nero trovi tutto ma a che prezzi" La censura non vuol far sapere che le razioni di cibo ormai stanno terminando
  • M Rossi Molazzana al figlio Rossi G. 106o Battaglione Genio: "Dai retta alla tua mamma e non ai compagni, sta fermo al tuo posto, non tentare un'altra volta la fuga, faresti male, ti mettono al muro". Dopo l'armistizio dell'8 settembre è il caos totale, le diserzioni sono migliaia, ma questo non deve essere conosciuto
  • Carabiniere Cassetti Mario, Tenenza Carabinieri Castelnuovo Garf. a Cassetti Vittorio Pola:" Vi faccio sapere che ieri ci hanno fatto fare giuramento e ci è toccato farlo tutti, anche quelli che non volevano". L'appena costituita Repubblica Sociale decise di rimpolpare i ranghi della Guardia Nazionale Repubblicana con circa quarantamila Carabinieri Reali. Il
    Castelnuovo G bombardata
    (foto Nicola Simonetti)
    censore qui non vuole far sapere che ci sono state forzature nell'arruolamento
  • T.F Filicaia a F.L Germania:" Attualmente lavoro nella strada di Arni sotto la direzione tedesca. In Italia comandano loro. Attualmente richiamano classi a tutto spiano. Chi si presenta chi no, dandosi al bosco a fare resistenza contro i repubblichini. Non si può più andare oltre le cose si mettono male". Non si deve far sapere che ormai i tedeschi hanno il potere assoluto e che il governo della Repubblica Sociale e assoggettato al volere nazista.
Ricordiamo che la censura continuò ben oltre il termine della guerra, per esempio al nord Italia la censura militare cessò alla fine del 1945, esclusa la zone "calda" di Trieste dove si protrasse ancora per molto tempo. Per la Germania esistono documenti censurati nel 1947! Alla fine di tutto voglio chiudere con un articolo della nostra Costituzione che Benigni a definito "la più bella del mondo"
Art. 21 della Costituzione
. Questo è l'articolo 21 e l'incipit così dice: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure...". Ma come ben si sa fra il dire e il fare...



Un ringraziamento particolare per questo articolo va all'amico e lettore del mio blog Francesco Saisi che gentilmente mi ha suggerito di scrivere questo pezzo. Grazie !!!

Dalle sue origini ad oggi, la storia del "biroldo", una prelibatezza tutta garfagnina

$
0
0
Tempo di sagre e fra gli abbondanti e succulenti piatti che ci
Il biroldo
propone ogni paese della Garfagnana lui c'è sempre, quando prima o quando dopo, lui l'onnipresente biroldo c'è sempre. Spesso lo mangiamo con estremo gusto e sempre lo assaporiamo con noncuranza senza sapere che anche le nostre prelibatezze nostrali hanno una storia. Proprio così, perchè la storia non è fatta solo dalle guerre o dalle conquiste di condottieri famosi e per conoscersi e conoscere meglio le nostre origini non c'è di meglio che studiare le abitudini alimentari dei nostri avi. Da ciò ne viene fuori un mondo che ci spiega  molte cose, che vanno dai nostri albori, passano per spiegarci l'economia del luogo e finiscono per dirci addirittura di che malattie soffrivano i nostri antenati. Affrontare un discorso del genere per quanto riguarda il biroldo personalmente la vedo un po' dura, non avrei le competenze generali ne tanto meno conoscenza, ma un certo discorso lo possiamo affrontare con l'insaccato garfagnino per eccellenza. Molti ad onor del vero "storcono" il naso e qualche palato fine non apprezza tale bontà, poichè uno degli ingredienti principali è il sangue del maiale stesso e come ben si sa nella nostra cultura contadina allevare il maiale era però una priorità, più il maiale era grosso e grasso più ci sarebbe stato da mangiare per tutta la famiglia e la regola fondamentale era una:-del maiale non si butta via niente- e da questa filosofia nasce anche il nostro biroldo. Il mio amico ed esperto di tradizioni contadine (e non solo) Ivo Poli racconta dettagliatamente in suo articolo l'antica(e ancora attuale) ricetta per cucinare questo insaccato, ci parla di un lungo procedimento di oltre sei ore di cottura. Il biroldo si cucinava con le parti meno nobili del porco: tutta la testa, la milza, i polmoni, la lingua e
Ci si prepara per cucinare il maiale
una piccola parte di sangue (due bicchieri circa), il tutto veniva immerso in una caldaia con acqua a sufficienza e salata a dovere, dopo tre ore di bollitura veniva tolto il tutto e messo su un "tavolaccio" e si cominciava così a "scannare" la testa (n.d.r: togliere i pezzi di carne dalla scatola cranica), fatta questa operazione tutta la carne cotta veniva tagliata con un grosso coltello, dopodichè veniva spianata con le mani versandovi al contempo il sangue dell'animale, aggiungendo poi varie spezie: sale, pepe, noce moscata e cannella (naturalmente non sono note le percentuali usate che spesso diventavano un segreto da tramandare da padre in figlio), tutto il composto veniva così ben amalgamato e messo all'interno di una vescica, del budello dello stomaco e della "zia" altro grosso budello e rimesso poi a bollire nella medesima caldaia per altre tre ore, forando di tanto in tanto con una stecca di ferro questi piccoli "sacchi" in modo da far uscire l'aria contenuta al loro interno. A fine cottura i biroldi si toglievano dal pentolone e si lasciavano raffreddare all'aria aperta e messi sotto un peso per far si che potessero perdere il liquido grasso in eccesso. Ma questa ricetta e questo prodotto nostrale non è tipicamente della nostra cultura contadina, la storia del biroldo nasce da molto più lontano e la sua venuta nella nostra valle risale per lo meno a mille anni fa. Questa verosimile ipotesi nasce dall'etimologia del nome "biroldo" fatta da uno studio a dir poco interessante del famoso giornalista italo americano Frank Viviano(n.d.r: candidato otto volte al premio Pulitzer e collaboratore di un giornale locale) dove dice che questo insaccato è di origine germanica o meglio longobarda. Precisamente ci spiega che questo fiero popolo cominciò una lunga migrazione a partire dal II secolo dopo Cristo e si stabilì in Italia nel 568 guidati da re Alboino che piano piano estese il proprio dominio in tutto il territorio italico. Nel 590 i Longobardi comandati dalla regina consorte Teodolinda penetrarono nella Valle del Serchio con l'intento di rendere sicura l'antica Via Clodia (per la sua storia leggi:http://paolomarzi.blogspot.it/2016/03/la-prima--strada.html), fondamentale strada di collegamento fra la Tuscia e la Pianura Padana, in un batter d'occhio presero possesso di tutte le terre che divisero in tre zone distinte e qui si stabilirono in
soldato longobardo
maniera permanente portando con se i loro usi, costumi e anche le loro tradizioni culinarie, difatti la loro alimentazione era basata molto sul maiale, molte ricette della cucina tradizionale del nord Europa e sopratutto tedesca includono effettivamente budino di sangue di maiale e salsicce molto simili al nostro biroldo. In questo senso Viviano ci dice che questa stessa parola  e di origine puramente nordica, spiegandoci che la costruzione linguistica "bl" (radice da cui nascerebbe la parola "biroldo") è molto rara in latino ed è molto comune nelle lingue germaniche ed è per questo motivo che quando i Longobardi hanno introdotto in Garfagnana questa ricetta la potrebbero aver chiamata in riferimento al suo ingrediente principale: il sangue, possiamo così notare l'origine di questa parola in tutte le lingue parlate nel nord Europa: dal vecchio inglese blod (con una o sola), dal proto germanico (n.d.r:lingua considerata come antenata di tutte le lingue germaniche)blodam, dall'olandese medio bloet, dal tedesco blut, ma la parola che secondo Viviano taglierebbe la testa al toro è sempre la proto germanica bhloto  che probabilmente significa gonfiarsi, in riferimento proprio alle salsicce di sangue che non si gonfiano durante la cottura, da qui poi la distorsione linguistica (in questo caso toscana e ancor più giustamente garfagnina)della sillaba "bhlo" a "birol", un po' analogo -dice sempre Viviano- alla parola "blonden" in italiano "biondo", in riferimento sempre a quel popolo nordico che più di mille anni fa attraverso le Alpi. Ma come sapete bene l'Italia e la Garfagnana sopratutto è terra di campanili e c'è più di un paese nella nostra valle che si vuol prendere la primogenitura di cotanto prodotto e sempre il nostro buon Ivo Poli sostiene che la paternità del biroldo appartiene a Gallicano, tutto sarebbe provato da documenti ineccepibili -come egli sostiene- a certificare appunto questi carteggi sono le date, più antiche di
L'impasto per il biroldo
queste non esistono che parlano proprio di biroldo. Questo è esattamente il testo della delibera di consiglio della comunità di Gallicano del 1769 che -sempre secondo Ivo Poli- sgombrerebbe da ogni dubbio:


"Si fa noto che a ciascheduna persona, qualmente in esecuzione della Special Grazia accordata dall'Eccellentissimo consiglio a questa Comunità, si darà principio martedì prossimo al nostro mercato nella piazza fuori da questo Castello, e così continuerà in avvenire ogni settimana, e in caso che il detto giorno venisse impedito da festa si anticiperà il lunedì. Vi sarà poi una volta l'anno la Fiera alla quale si darà principio il 24 agosto e durerà tutto il restante di detto mese, per il qual tempo sarà lecito ad ognuno di vendere liberamente pane,vino e cibi cotti come sarebbe il biroldo" 

Di acqua ne è passata sotto i ponti da quei tempi lontani ed oggi questo salume, da piatto povero è diventato una prelibatezza ricercata anche fuori delle sue zone d'origine, tanto da essere inserito nei presidi "slow food", ovvero quell'associazione
internazionale impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce e in armonia con ambiente ed ecosistemi. Insomma anche il biroldo appartiene orgogliosamente alla nostra terra.

Un partigiano scomodo: Manrico Ducceschi alias "Pippo". Un'ennesima storia che appartiene ai misteri d'Italia

$
0
0
Manrico Ducceschi
Il mio amico Stefano mi ha sempre stimolato(giustamente) ad interessarmi alla vita di quest'uomo di cui andrò a raccontare e che proprio il 26 agosto scorso ricorreva l'anniversario di morte. Stimolato dalla curiosità mi sono messo sotto e dopo approfondite ricerche  ho avuto conferma per l'ennesima volta di una teoria che aveva un mio vecchio professore di storia e diceva pressapoco così: "...la storia è fatta dagli uomini, alcuni di questi uomini il fato (ma non solo...) vuole che rimangono agli onori della cronaca, altri ancora che questa storia hanno contribuito anch'essi a scriverla in maniera sostanziale, spesso e volutamente rimangono dimenticati". Per questo mi pare giusto e doveroso ricordare questi personaggi anche se hanno da raccontarci vicende fastidiose, poco chiare e a dir poco misteriose. Questo articolo ha infatti l'intento di riportare a galla la storia di un partigiano "anomalo" e scomodo allo stesso tempo: Manrico Ducceschi, nome di battaglia "Pippo", che attraverso le sue azioni contribuì anche alla liberazione della Garfagnana dal nazi-fascismo. Questi accadimenti che andrò a narrare fanno parte di quei fatti ormai (oserei dire) tipicamente italiani, dove tutto è sempre nebuloso e spesso manipolato, la storia d'Italia infatti è piena di queste vicende, dal delitto Moro,a Ustica per arrivare perfino al referendum monarchia Repubblica...Ecco, a questi fatti appartiene anche la storia di "Pippo".
Manrico nacque lontano dalle nostre terre, nacque a Capua in provincia di Caserta l'11 settembre del 1931, la sua nascita in terra di Campania è puramente casuale ed avviene durante un viaggio della madre. La famiglia infatti è di Pistoia, città in cui vive insieme al padre Fernando (agronomo di professione), alla mamma Matilde e alla sorellina Leila. La vita scorre tranquilla, il ragazzo frequenta l'antico liceo"Forteguerri", non si interessa di niente in particolare, gli stravolgimenti politici del tempo non lo toccano minimamente, il suo profitto a scuola per di più non è niente di eccezionale, il ragazzo indubbiamente è intelligente- ma come dicono i professori- il suo conformismo gli tarpa le ali.
"Pippo" in gioventù sulle nevi
 dell'Abetone
(foto tratte dal blog:
 "Manrico Ducceschi detto Pippo
comandante XI zona")
Comunque sia, finito il liceo gli si aprono le porte dell'università, la facoltà di lettere di Firenze lo aspetta e in questo caso anche con profitto. Il suo torpore sociale finisce in quegli anni, prende contatti con "Giustizia e libertà"(n.d.r: movimento politico liberal-socialista), non trovando però conformità di idee. Gli anni passano e arriviamo ai giorni seguenti all'armistizio dell'8 settembre, Manrico si trova a Tarquinia dove frequenta la scuola di allievi ufficiali nel V reggimento alpini. Il caos in quei giorni è totale,nonostante tutto fortunatamente riesce a sfuggire all'arresto dei nazisti che lo vogliono arruolare nelle milizie della R.S.I e così in qualche maniera riesce a tornare a Pistoia, poi a Firenze dove si mette in contatto con il Partito di Azione. In quel giorno nasce così la leggenda di "Pippo" che viene inviato subito sulla montagna pistoiese con pochi compagni dove dapprima assume il nome di battaglia di "Pontito", mostrando ben presto capacità organizzative notevoli. Nel settembre 1944 fonda la brigata "Rosselli" che prende anche contatti con il Comitato di Liberazione Nazionale di Lucca, costituendo di fatto una rete di nuovi combattenti e simpatizzanti e con l'aiuto di preti, pastori e qualche carabiniere riesce a tessere una rete di informatori di tutto rispetto, riuscendo così, grazie a queste informazioni a portare a termine le prime azioni di sabotaggio, preludio dei successi che otterrà nei seguenti mesi. L'entusiasmo per questa impresa è alle stelle, il nuovo nome di battaglia lo inorgoglisce:"Pippo", era di fatto anche il soprannome di Giuseppe Mazzini e questo è un motivo in più per proseguire la sua lotta. Il quartier generale d Pippo è sull'Alpe delle Tre Potenze, zona nevralgica fra le province di Pistoia, Lucca, e Modena, di li può coordinare tutte le azioni belliche sulla Linea Gotica, coprendo di fatto la Val di Lima, L'Abetone e la Garfagnana. Il 16 marzo 1944 la formazione partigiana da lui comandata assumerà la denominazione ufficiale di "Esercito di Liberazione Nazionale-XI Zona Militare Patriotti", prendendo l'impegno sempre gelosamente difeso dal suo capo in persona di darsi finalità assolutamente apolitiche, nelle divisioni di partito vedeva proprio un serio ostacolo per una rapida vittoria contro il nazi-fascismo, da qui si cominciò ad attirare le prime
Pippo dal balcone saluta i suoi uomini
 dopo una riuscita incursione
(foto tratte dal blog:
 "Manrico Ducceschi detto Pippo
comandante XI zona") 
forti antipatie... 
Vale la pena, a questo proposito, citare un brano scritto da Maria Luigia Guaita, inviata presso di lui dal CTLN (n.d.r: comitato toscano liberazione nazionale) per ottenerne una relazione:


"Pippo era uno dei comandanti più autorevoli e stimati di tutta la Toscana.Già a giugno aveva sotto di sé più di mille uomini ormai equipaggiati e armati, era la formazione più forte di tutto il pistoiese e dintorni.Era il migliore dei nostri comandanti.Lo ricordavo appena dieci mesi prima studente di lettere timido, serio, il più giovane fra gli amici, ora lo guardavo comandante partigiano, ancora più magro, più calvo, ma abbronzato e sicuro di sé, incuteva soggezione e affetto, gli dissi quello che volevano conoscere al comando militare. Tornò con le indicazioni richieste, allora gli mostrai varie copie dei punti programmatici del Partito d’Azione e altri opuscoli di propaganda. Per i politici era importante quanto il combattere che i partigiani maturassero nelle idee. Pippo sorrideva:-Non li butterai mica via?- gli dissi-Ci costano tanto di ansie e di soldi!- -E chissà quante discussioni- disse Pippo e rideva, mi accorsi che nel fondo era triste e deluso, scuoteva la testa".

La politica a lui non interessava per questo si distaccò sempre di più dai comitati di liberazione nazionale prediligendo di fatto la collaborazione con gli alleati. La scelta di Pippo era prettamente militare a lui non interessavano gli equilibri politici, a lui interessava la libertà del suo Paese e questo lo dimostrò in pieno con azioni militari precise e calibrate, vere e proprie battaglie venivano ingaggiate con i tedeschi, supportate anche dall'aviazione americana. I rapporti con gli alleati e con l'esercito brasiliano saranno sempre più stretti e porteranno al clamoroso successo dell'otto giugno 1944 nei pressi dell'Abetone dove dopo scontri a fuoco con i soldati della Repubblica Sociale vennero recuperati importantissimi documenti militari, alcuni dei quali ancora oggi secretati negli archivi statunitensi. Arriveranno anche i successi con la esse maiuscola in Garfagnana(coadiuvati sempre dalla V armata americana) con la liberazione di Bagni di Lucca il 28 settembre, poi Barga il 9 ottobre. Oramai la brigata partigiana di Pippo era un tutt'uno con gli americani tant'è che entrerà  a far parte in pianta stabile dell'esercito alleato prestando servizio "come truppe di linea inquadrata in forma di reparto regolare ed organico"indossando addirittura divise ed equipaggiamento americano. Presero parte anche nella famosa "Battaglia di Natale" (la battaglia più famosa di tutta la Valle del Serchio) dove persero parecchi uomini, riuscirono però a "tenere botta" alla prorompente forza tedesca,
Autocolonna brasiliana che scende
 la Val di Lima(foto tratte dal blog:
 "Manrico Ducceschi detto Pippo
comandante XI zona")
dando così il tempo necessario alle truppe americane di potersi riorganizzare. Si era ormai però agli sgoccioli della guerra, i tedeschi battevano in ritirata e l'XI Zona di Pippo era una fra le poche formazioni partigiane (l'unica in Toscana) che fu mantenuta in piena efficienza (n.d.r: alle altre formazioni partigiane una volta liberato il territorio veniva imposto dagli alleati il disarmo e lo scioglimento della stessa), gli americani inoltre concessero l'onore a Pippo e ai suoi uomini di avanzare insieme a loro nell'offensiva finale partecipando fattivamente alla liberazione di Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza per entrare poi trionfalmente a Milano. La fama di Pippo era alle stelle, gli alleati continuavano a dargli onori e gratitudine, venne infatti accordato ulteriormente di: "tenere le armi e combattere fino ai territori tedeschi", onore che non avrà il tempo di godere poichè la Germania capitolò. La storia partigiana di Pippo finì poco dopo, tutta la formazione dell' XI Zona rientrò all'Abetone con armi e automezzi e li ci fu lo sciogliete le righe. Gli americani a fine conflitto conferirono a Pippo l'alta onorificenza america della Bronze Star Medal, uno dei maggiori riconoscimenti militari degli Stati Uniti d'America, ma però nel contempo le più pericolose gelosie aumentavano...



La bronze star Medal
di Manrico (foto tratta
dal blog "Manrico Ducceschi
detto Pippo comandante XI Zona")
Qui, a guerra finita comincia un'altra storia,la più misteriosa, la più sporca e la più triste. Manrico nel dopoguerra si trasferisce a Lucca dove risiede in Piazza San Michele, non è un buon momento per il comandante, adesso che la lotta armata è finita sono le diatribe politiche quelle che tengono banco, quelle che lui aveva sempre odiato, per di più alcuni processi pendono sul suo capo per azioni e condanne decretate nei confronti dei fascisti colpevoli,da questi
processi esce comunque sempre assolto. Arrivano così i delicati anni fra il 1947 e il 1948, anni complicati, l'assetto politico è instabile e non certo privo di pericoli. Le elezioni dell'aprile '48 e il conseguente attentato a Togliatti portano l'Italia sull'orlo di un'altra guerra civile. Pippo viene contattato nuovamente dagli americani è pronto a tornare in gioco per scongiurare un eventuale "pericolo rosso", ma rifiuta poi di riprendere le armi perchè coinvolti in questa operazione anche ex fascisti, fattostà che Il 24 agosto 1948 Pippo deve recarsi a Roma ma al ritorno ha già preannunciato che denuncerà fatti e circostanze che offuscano l'operato di alcuni gruppi partigiani. Viene rinvenuto  in casa, impiccato con la cintura dei propri pantaloni da alcuni componenti della formazione a lui molto vicini il giorno 26,  e inizierà così il mistero relativo alla sua morte. Ecco quindi a tal proposito un articolo de "Il Tirreno"di Laura Poggiani nipote di Manrico:


"..In questo contesto la mattina del 26 agosto 1948, fu rinvenuto cadavere nella sua casa di Lucca il Comandante partigiano Manrico “Pippo” Ducceschi. Alle ore 14 di quel giorno infatti, i più stretti collaboratori di “Pippo” ossia Giuliano Brancolini, Mario De Maria e Enrico Giannini si presentarono  al Comando Guardie di P.S. per denunciarne la morte e successivamente gli inquirenti, recatisi sul posto, dopo i sopralluoghi di rito, decisero di procedere con l’autopsia. Questa, eseguita il giorno seguente, metteva in rilievo come la morte risalisse al giorno 24 e che fosse compatibile con l’asfissia per impiccagione. Se da un lato, però, le indagini sembravano preponderare per l’ipotesi di un suicidio, dall’altro risultavano falsate dalla mancata acquisizione agli atti dell’Autorità Giudiziaria dell’archivio rinvenuto in casa di “Pippo”. Malgrado ciò l’inchiesta portò all’individuazione, proprio nei più stretti esponenti od ex esponenti della formazione, di possibili responsabili fino
I funerali di Manrico Ducceschi
(foto tratte dal blog:
 "Manrico Ducceschi detto Pippo
comandante XI zona")
addirittura  al  fermo del segretario di “Pippo”, nonché suo vicino di casa, Franco Caramelli che fu poi rilasciato in mancanza di prove inconfutabili di omicidio. 
Per molti, anche storici, la vicenda della morte di “Pippo” si conclude qui ignorando o omettendo gli sviluppi successivi. L’inchiesta riprende, con maggior vigore, allorquando, negli anni ’70 gli inquirenti, su segnalazione di un carabiniere di Castelnuovo Garfagnana, riapriranno l’inchiesta per omicidio indagando, prevalentemente, sulla traccia, già evidenziata ma non percorsa nella prima indagine, della pista slavo/comunista. L’indagine, stavolta darà vita a un processo per omicidio che però porterà alle stesse conclusioni dell’inchiesta precedente, ossia che non vi sono prove certe di omicidio.
Si potrebbe pensare che a questo punto che la storia sulla morte di “Pippo” si esaurisca qui ma, come in ogni buon giallo, ecco il colpo di scena. Nel 1981 una segnalazione anonima ad un magistrato mette per la prima volta in correlazione la morte di “Pippo” con un ben noto faccendiere pistoiese: Licio Gelli (n.d.r:capo della loggia massonica P2). A lui , in questo anonimo, si attribuisce anche la morte di un altro noto Comandante partigiano: Silvano Fedi. Poiché  molti degli uomini  della formazione di Fedi confluirono nella formazione di “Pippo” si ravvisa che quest’ultimo conoscesse bene le circostanze e i mandanti della morte di Silvano. Si riapre quindi l’inchiesta con un teste di eccezione: il giornalista Marcello Coppetti che proprio in quegli anni aveva effettuato una ricerca certosina sull’argomento e così scriveva nei suoi appunti circa l’agguato a Silvano Fedi: “Durante l’agguato alcuni partigiani si salvano. Uno di essi ha la prova che Gelli è l’autore dell’agguato. Tale prova sarebbe stata contenuta nell’archivio in possesso di Manrico DUCCESCHI detto “Pippo”. Quando “Pippo” viene trovato morto nella
La tomba di Pippo
(foto tratte dal blog:
 "Manrico Ducceschi detto Pippo
comandante XI zona")
sua casa molti fascicoli del suo archivio sono “ripuliti”. Come mai? Pippo è morto naturalmente o l’hanno ucciso? Da chi viene ripulito l’archivio di Pippo? Per conto di chi?” 
Ancora una volta però il procedimento si conclude, per mancanza di prove certe, ma stabilendo un punto fermo: che possa essere stato effettivamente vittima di un complotto messo in atto da ambienti a cui dava fastidio la sua attività informativa..."


Nient'altro e niente più che un'altra storia, finita nel calderone italiano dei misteri irrisolti.

  • Il brano scritto da Maria Luigia Guaita è stato estrapolato dalla rivista "Patria indipendente" del 21 maggio 2006 da un articolo di Carlo Onofrio Gori
  • L'articolo tratto da "Il Tirreno"è del 22 agosto 2012 si intitola "La memoria violata del partigiano Pippo per assenza di prove" 

Il più vecchio giornale di tutta la Garfagnana: dal 1881 "Il Corriere di Garfagnana".Ecco chi erano i pionieri del giornalismo nella valle

$
0
0
Il primo numero de "Il Corriere di Garfagnana"
(foto tratta dal sito della pro loco
www.castelnuovogarfagnana.org)
Siamo nell'era dove comunicare con altre persone anche nei luoghi più remoti del pianeta è diventato facilissimo.Con internet il mondo è letteralmente a portata di mano, basta avere un telefono cellulare da poche decine di euro e il gioco è fatto. Attraverso uno smartphone si può parlare guardandoci negli occhi, possiamo scambiarci documenti in tempo reale, si possono esternare le nostre emozioni in presa diretta e per di più ci si può informare su quello che succede nel mondo minuto dopo minuto. Ma una volta? Una volta era un'altra musica. Ci volevano settimane per recapitare una lettera ad un proprio caro emigrato in America, per portare dei documenti dovevamo sobbarcarci talvolta di viaggi estenuanti su carrozze scomodissime o se si era fortunati su treni lentissimi, e l'informazione? L'informazione era la finestra sul mondo della persona qualunque, attraverso i giornali ti informavi sui fatti e sopratutto potevi anche esprimere le tue idee o le tue opinioni, in parole povere il giornale o quotidiano che fosse agli inizi del secolo scorso era l'internet di adesso, poco importava se talvolta le notizie venivano riportate quando ormai erano già accadute da qualche giorno. Figuratevi un po', tanto per fare un mero esempio questo articolo che state leggendo è in condivisione con il mondo intero, lo stesso articolo che leggete in questo momento lo possono leggere anche in Bangladesh nel medesimo istante. Ma non era così e non era questo il mondo di Agostino Rosa... Ma chi era Agostino Rosa? Il signor Rosa fu tra i primi pionieri dell'informazione nella valle, nonchè il primo editore che nel lontano 1881 fondò il primo giornale di tutta la Garfagnana: "Il Corriere di Garfagnana". Agostino nacque nel lontano 1853 a Castelnuovo, intraprese gli studi universitari a Pisa per diventare professore di matematica ma la matematica in fondo non era la sua aspirazione e solo dopo due anni la frenesia di metter su qualsiasi tipo di attività prese il sopravvento. Dapprima mise su un agenzia di trasporti nella valle a cui segui un'azienda agricola che vendeva concimi di ogni genere. Ma purtroppo il dilemma per Agostino era un
Il monumento
 a Agostino Rosa
altro, la Garfagnana era troppo relegata al suo "orticello" per potersi sviluppare, pochi conoscevano questa sperduta valle, era arrivato il momento di far sentire al mondo anche la voce dei garfagnini e quale miglior cosa di un giornale per farsi conoscere? Detto fatto nel 1880 prese il via la prima tipografia, Rosa si avvalse dell'entusiasmo e dell'intelligenza di validi collaboratori come il professor Pietro Pieroni e il conte Giuseppe Carli. Il primo numero uscì nel giugno del 1881 sotto la direzione di Pieroni con lo scopo dichiarato di essere "la voce dei Garfagnini e l'organo di collegamento coi corregionali espatriati", uscì come settimanale di quattro pagine, con quattro colonne per pagina al costo di cinque centesimi, la tiratura era di poche centinaia di copie che in buona parte venivano diffuse a Castelnuovo nel giorno del mercato, giorno in cui la maggior parte della gente scendeva nella cittadina per comprare o vendere i propri prodotti, mentre agli abbonati (l'abbonamento costava 3 lire l'anno) veniva recapitato a mano. Anche in questo caso non mancarono però i denigratori. Ai benpensanti dell'epoca questo giornale apparve subito come troppo temerario e provocatorio, prevedendone ben presto la chiusura. Ma non fu così, l'editore scacciando gli "uccellacci del malaugurio"impegnò sopratutto il suo giornale per raccontare i problemi della nostra terra, come quando prese le difese delle acque della Garfagnana. Questo caso fu assai clamoroso ebbe inizio nel 1900, il ministero delle finanze con un decreto e senza parere degli amministratori garfagnini decise che la sorgente della Turrite di Gallicano non era di proprietà pubblica, ma bensì privata e per questo fu ceduta in uso a"La Marsaglia" società fiorentina che intendeva utilizzarla per rimpinguare l'acquedotto di Firenze. Nel frattempo al giornale (eravamo nel 1892) arrivò un nuovo personaggio, una persona 
fra le più intelligenti e sagaci che la nostra valle abbia mai avuto: Giuseppe Bernardini meglio conosciuto con lo pseudonimo di Giber (n.d.r:pseudonimo preso dalle iniziali del suo nome e cognome), bastava leggere un suo pezzo per capire con chi si aveva a che fare. Da quel momento il connubio con Rosa fu indissolubile. Il Giber vide la luce a Casciana (comune di Camporgiano) nel 1868, dopo aver fatto il liceo classico a Lucca si laureò in medicina all'università di Modena, la sua notorietà non la deve però alla professione di medico che fra l'altro svolse per alcuni anni con onorata condotta, ma bensì al giornalismo che già imperava nel suo D.N.A. A 24 anni prima della laurea gli venne affidata la direzione de "Il Corriere di Garfagnana", da subito la sua mano si fece sentire in modo tangibile, infatti fu cambiato il nome del giornale che diventò: "La Garfagnana" con il sottotitolo di "Sentinella Apuana" seguito dal suo motto "alla conquista del 
La nuova intestazione del
 giornale voluta dal Giber
bene per le vie del vero". La
 sua maestria nello scrivere lo portò a pubblicare articoli vibranti. Graffiante era la sua penna, aveva il potere di essere ascoltata per risolvere i problemi di un territorio depresso come quello garfagnino. Le lotte portate avanti su queste pagine furono numerose, dal completamento della linea ferroviaria Lucca-Aulla, alla costruzione della strada Castelnuovo- Arni, all'istituzione di nuove scuole di ordine e grado, fino all'estenuante lotta per il passaggio della Garfagnana dalla provincia di Massa a quella di Lucca, in questo caso ebbe a scrivere uno fra gli articoli più "taglienti"e provocatori, eccone un estratto:


“A causa del vergognoso abbandono in cui siamo lasciati, noi militeremo tutti, in breve volgere di tempo, nei partiti sovversivi. La Garfagnana diventerà una cittadella del socialismo e noi faremo del nostro meglio per accrescerne proseliti”.


Il Giber ossia
Giuseppe Bernardini
Nel bel mezzo di tutte queste lotte improvvisamente a soli 50 anni l'editore Agostino Rosa morì, il colpo fu duro da assorbire per tutto il giornale ma l'insegnamento di Rosa non avrebbe voluto che tutto si fermasse  e anche se con difficoltà il giornale continuò la sua vita con il Giber sempre più protagonista, tanto da divenire negli anni deputato per la provincia di Massa, nonchè sindaco di Castelnuovo. Molte furono le onorificenze ricevute: cavaliere, commendatore e chi più ne ha più ne metta, ma come ebbe a dire:"Una croce in più o in meno ha poca importanza, l'uomo è nato animale e animale resta. Tutt'al più può aspirare a non diventare bestia"
Nel 1923 si dimise dalla carica di sindaco, il fascismo aveva preso il potere e lui non ambiva a essere un sindaco fascista e il 30 novembre del solito anno successe il fattaccio; all'uscita della porta di servizio del Bar Costanza a Castelnuovo, intorno alle undici di notte fu aggredito e bastonato da squadristi, da li fu un lento declino dovuto alla stanchezza e al bavaglio imposto dal regime allo scomodo giornale garfagnino. Nel 1933 il 25 novembre il Giber morì a 65 anni, lasciando per sempre la direzione del giornale. L'ultimo numero del giornale fu curato da Carlo Cervioni, uscì nel dicembre '33 e fu sopratutto un"inno alla gloria" per il Giber. Le pubblicazioni ripresero mensilmente ben 19 anni dopo nel 1952, alla direzione c'era l'avvocato Lorenzetti (che era diventato anche il proprietario della testata), nel 1954 la guida passò ad un'altro illustre cittadino, Luigi Suffredini, ma oramai l'epica generazione dei pionieri era finita, si affrontava il nuovo mondo con altre idee e con altri intenti, così fu per "Il Corriere della Garfagnana" che nel 1991 alla morte di Suffedini ebbe un altra grande, grandissima penna alla sua conduzione(per pochi mesi): Almiro Giannotti detto il Gian Mirola. Oggi il giornale è di proprietà della Pro Loco di Castelnuovo e i suoi 135 anni li porta ancora bene e a questo proposito torna alla mente quello che scriveva il Giber nel lontano 1932 nel cinquantesimo anno di vita del giornale, parole ancora oggi più che mai vere ed attuali:

“Questo periodico ha toccato un’età che a pochi quotidiani è dato
Emigranti
raggiungere; l’ha toccata e non ha affatto intenzione di morire perché esso risponde ad un bisogno spirituale degli uomini della Garfagnana lontani dalla loro patria, che desiderano conservare un legame col paese d’origine... Non è celebrazione dunque de “La Garfagnana” ma esaltazione dei nostri coraggiosi uomini di Val di Serchio che portano il buon seme di una intrepida volontà e di una probità esemplare negli angoli più remoti della terra...”.




Bibliografia:


  •  Dizionario biografico di Alcide Rossi
  • "La piramide rovesciata. Lotte politiche e sociali in Garfagnana" di Umberto Sereni
  • "Corriere di Garfagnana" n 7 luglio-agosto 2012

"Il giro del diavolo". Un rito millenario fra storia vera, leggenda e religione

$
0
0
Come si suol dire "quando il diavolo ci mette lo zampino". Papa
"Il giro del diavolo"
(foto di Giorgio Galeotti)

Francesco ebbe a dire non più di due anni fa che la vita dell'uomo è una battaglia (e questo si sapeva...), ma sopratutto è una lotta continua contro il diavolo, spesso, continua Papa Francesco:- ci fanno credere che Satana è un mito, una figura, un'idea, ma il diavolo esiste e noi dobbiamo lottare contro di lui indossando l'armatura di Dio- e questo ben lo conosceva anche San Pellegrino quando abbandonò la corona (era figlio di Romano re di Scozia) e le terre di Scozia per andare a portare la parola di Dio in Europa e per l'Oriente, destino volle che il suo viaggio terminasse proprio nei pressi di "una selva ombrosa", luogo inospitale, selvaggio, dove i suoi inverni sono spazzati da gelide nevi e le sue estati sono fresche e tranquille. Questa zona della Garfagnana era conosciuta come Thermae Salonis, posta a 1525 metri d'altezza, terra di confine fra l'Appennino e la Pianura Padana (per tutta la sua storia leggi http://paolomarzi.blogspot.it/san-pellegrino-in-alpe-la-storia-del.html). Come ogni posto sconosciuto si immaginava che su questi monti si trovassero animali mitologici governati da forze del male e le forze del male si manifestarono proprio quando Pellegrino si stabilì in questo posto che con i secoli poi prenderà il suo nome.
Il paese di San Pellegrino in Alpe
La lotta con il demonio da quel momento fu incessante, ogni sorta di tentazione veniva propinata al sant'uomo e proprio a queste tentazioni si rifà un antico rito che ormai si ripete da secoli proprio a San Pellegrino. Questo rito è conosciuto come "Il giro del diavolo". La storia di questo rito (d
ati storici alla mano), misto fra tradizione e leggenda parte ben prima del 1110, anno in cui per la prima volta si cita in un documento la chiesa-ospizio di San Pellegrino e si rifà ad una vicenda reale e precisamente al fatto di erigere a scopo devozionale una chiesa dedicata all'ormai defunto e santo San Pellegrino (morto nel 643 d.C), naturalmente a quell'altezza reperire materiale per costruire la chiesa era quasi impossibile e allora il vescovo ebbe una bella pensata imponendo ai fedeli che salivano ad onorare il santo di recare ognuno con se una pietra per la costruzione dell'edificio, oltre a ciò e in questo modo anche i peccati sarebbero
la chiesa
stati espiati. Ben presto tutto il materiale fu raccolto senza ombra di spesa alcuna e il tempio (una caratteristica e massiccia costruzione medievale) sorse in ben poco tempo a sfidare i secoli, i rigidi inverni e gli sferzanti venti della montagna garfagnina. Ma una volta ultimata la chiesa l'afflusso di pellegrini con il masso in spalla non cessò e chi vuoi chi non abbia un peccato da farsi perdonare? Da allora i fedeli continuano a salire dal piano percorrendo talvolta anche quattro o cinque ore di strada a piedi, camminando per aspri viottoli e stradine disagevoli con una grossa pietra sulle spalle o sulla testa. A quella che era diventata un'antica tradizione prestò si innestò la leggenda, il tutto per dare quell'aura di santità a tutta la vicenda e che in effetti non guasta mai. Leggenda racconta che un giorno il demonio dopo aver provato vanamente in mille modi di tentare il santo per portarlo sulla cattiva strada, perse la pazienza e lo schiaffeggio impunemente, la sberla fu talmente forte che Pellegrino girò per ben tre volte su stesso ed è proprio grazie a quell'episodio che in quel punto esatto dello schiaffone ancora
la pietraia de "Il giro del diavolo"
(foto di Sergio Barbieri)
oggi si svolge questo percorso penitenziale che è fra i più originali di tutto il panorama italiano. Una tradizione religiosa che consiste nel compiere un pellegrinaggio portando sulle spalle o in testa un masso che andrà poi deposto nel luogo stesso delle tentazioni del santo non dopo aver compiuto però per tre volte (quanti i volteggi fatti dal santo) il giro del campo,che viene detto appunto "giro del diavolo". Cosa da non


trascurare ma da prendere eventualmente in considerazione è che il masso da trasportare può e deve avere grandezza variabile, più il peccato commesso da farsi perdonare è grande e più grande dev'essere la pietra da caricarsi in spalla. Figuratevi un po' nel corso dei secoli in questa pietraia si sono accumulati migliaia e migliaia di sassi trasportati dai devoti, basterebbero a questo punto per
Devoti depongo la propria pietra
costruire un'altro santuario e il mucchio continua a crescere. Un rito questo che si può compiere in qualsiasi giorno dell'anno (il momento che preferisco io è proprio in questo periodo), il picco dell'affluenza dei fedeli si registra però in estate e in particolare nel mese di agosto in cui ricorre la festa del santo, la partecipazione dei penitenti e grandissima, tuttavia specialmente nei decenni passati tale evento poteva risultare (a mio avviso) anche penoso, lo spettacolo di uomini e donne in età avanzata che portavano sulla testa veri e propri macigni era impressionante. Oggi si svolgono delle più amene escursioni che partono dal paese e arrivano fino alla pietraia stessa. Infatti prendendo il sentiero dalla piazza principale si intraprende una piacevole passeggiata (se fatta senza pietra in braccio...) ad anello di soli tre chilometri che attraversa una stupenda faggeta e continua a salire fino a giungere al "Giro" posto sotto la strada del saltello, per il ritorno si prosegue verso il passo dove si incontra (non ormai lontano dal paese)la fonte del santo dove secondo tradizione si andava a dissetare.

In fondo a questa storia mi rimane un unico dubbio quando nelle mie escursioni mi capita di osservare la ormai famosa pietraia. Qualcuno di peccati grandi ne
Vecchia foto di anziani con la pietra in testa
(foto tratta da "La domenica del Corriere"
deve aver compiuti, ma talmente grandi che talvolta con lo sguardo scorgo pietre tanto grosse da sembrar strano che qualcuno abbia potuto trasportarle fin quassù e basterebbe poco ormai per persuadere i pellegrini che la chiesa dedicata al santo è ormai costruita...dal Medioevo. Ma di mezzo c'è una grande forza, la forza della tradizione.

Matteo Filippo Caldani: brigante fra i più sanguinari o pio e devoto eremita?

$
0
0
Gli americani ancora oggi scriverebbero "Most Wanted"(n.d.r:fra i
più ricercati) e magari aggiungerebbero anche "dead or alive" (vivo o morto). Loro ci sono abituati dai lontani tempi del Far West a metter taglie milionarie sulla testa dei manigoldi di turno, sono passati dal bandito Billy the Kid nel 1870 sul quale pendeva sulla propria testa una taglia di 500 dollari e sono arrivati fino all'attuale capo del proclamato stato islamico Abu Bakr Al Baghdadi, dove si dice che sarebbero pronti a sborsare ben dieci milioni di dollari a chiunque sappia fornire notizie decisive per la sua cattura. Ma in Garfagnana le taglie le mettevamo molto prima dei cari amici a stelle e strisce e tanto per rimanere nell'attuale l'Al Baghdadi di Garfagnana e Lunigiana nel finire del remoto 1500 era il brigante Matteo Filippo Caldani, è uno fra i briganti meno conosciuti nella nostra valle poichè non tipicamente garfagnino, il suo quartier generale era nei pressi dei paesi di Aiola, Ugliancaldo e Monte dei Bianchi, per meglio capirsi nella valle lunigianese del torrente Lucido, una zona di confine appunto fra Lunigiana e Garfagnana, scelta ad hoc dal brigante stesso e dalla sua banda perchè per queste disagevoli strade passava la famosa via Francigena, strada di
transito di nobili, pellegrini e commercianti di ogni sorta. Le sue scorribande colpivano senza distinzione sia la Lunigiana che la Garfagnana stessa e per questo sia il ducato di Modena,la Repubblica
di Lucca e la stessa città di Firenze misero ben presto una taglia su Matteo Filippo Caldani considerato uno dei banditi più sanguinosi di tutta la Toscana. Nel suo curriculum non mancavano furti, percosse e violenza di ogni genere che talvolta sfociavano anche nel sequestro di persona. Ma la fama non la raggiunse certo per le nefandezze perpetrate, al tempo i briganti di Garfagnana e non, depredavano indistintamente con cattiveria inaudita tutti alla solita maniera. La sua storia però è ben diversa ed è una vicenda che prende nello stesso tempo la strada della leggenda e della devozione. 
Il Pizzo d'Uccello sulle Apuane
rifugio di Matteo Filippo Caldani
Un giorno il malfattore ebbe l'occasione di rapinare dei suoi preziosi anche un emerito ecclesiastico che passava con il cavallo per quelle ombrose selve. Dopo averlo "ripulito" dei suoi averi legò lui e la sua servitù agli alberi vicini e decise soddisfatto del bottino ottenuto di tornare al suo nascondiglio nelle scoscese del Pizzo d'Uccello. Nel cammino in località Pontevecchio fu attratto dal suono di una campanella, il leggiadro suono proveniva da una chiesetta, dette così ordine ai suoi masnadieri di fermarsi e furtivamente si avvicinò alla porta della chiesetta, vide dei bambini che stavano cantando un ode alla Madonna, d'un tratto a tale immagine la sua anima si turbò, la vita gli scorse davanti agli occhi, rivide tutte le sue malefatte e la sofferenza delle sue vittime e si interrogò se la sua esistenza fosse giusta. Riprese sconvolto e impensierito la sua strada e ad un tratto uno spaventoso temporale colpì lui e la sua banda, i tuoni squarciavano il cielo e sinistri bagliori si intravedevano in lontananza, giunti alla maestà di Vezzanello sotto la pioggia battente il bandito sciolse la sua banda, licenziò servi e compagni di ventura e ognuno prese la sua strada. Una volta rimasto solo, con un colpo sul fondoschiena allontanò il cavallo con ancora in groppa lo scrigno pieno di preziosi che era stato appena rubato, nello stesso istante si levò di tasca la chiave del piccolo forziere e la gettò nell'impetuoso fiume sottostante dicendo: - Sarà più facile ritrovare questa chiave che salvare la mia anima...- . Guadò a piedi il fiume, si inerpicò sul Monte San Giorgio e cominciò a fare vita da eremita. Le sue giornate le trascorreva in meditazione, si cibava solamente di bacche e castagne e mentre d'estate il posto era soleggiato e ben accogliente, l'inverno violente bufere colpivano il monte mettendo a dura prova l'ex brigante. Nel frattempo la saggezza e la fama di questo eremita crebbe a dismisura, tanto che da tutte le Apuane la gente saliva fino sul monte per conoscere quello che ora era un pio uomo. La vigilia di Natale successe tuttavia un fatto eccezionale,
L'eremita
un pescatore, nel fiume ai piedi dell'eremo, catturò una trota di grandezza spropositata, a tale pesca miracolosa egli pensò bene di donarla al povero eremita e quando gli portò il pesce successe il miracolo: nel ventre fu ritrovata la chiave dello scrigno gettata nel fiume anni prima. Questo fu il segno che oltre al perdono degli uomini era arrivato anche il perdono di Dio. Il mito vuole ancora che lungo la strada che sale a Ugliancaldo, da qualche parte sia nascosto ancora il tesoro che rubò il brigante proprio in quei giorni. 
Realtà o leggenda perciò? Diciamo subito che Matteo Filippo Caldani è esistito veramente, non si legge però da nessuna parte (nelle sue biografie per così dire ufficiali) che egli fosse un brigante. Si dice che era un nobile veronese, nato nella città scaligera nel 1573, studiò lettere a Padova, passò poi da Roma e dopo la precoce morte dei genitori cominciò il suo girovagare per l'Italia. Attraversando la Garfagnana e fermandosi successivamente in Lunigiana- gli venne veduto il monte San Giorgio, verso Pizzo di Uccello, un oratorio, sopra quale avanzava un poco di campanile-. A Monzone il Caldani conosceva il notaio Prosperi, il quale intercesse per lui  con il vescovo di Luni per potersi ritirare come eremita sul monte in questione. Detto fatto il 20 agosto 1604 Caldani iniziò la sua vita monastica, riportò a nuova vita l'eremo e nel 1606 fu ordinato sacerdote. Nel 1609 Papa Paolo V concesse indulgenze ai pellegrini che salivano fino all'eremo di San Giorgio.Infine nel 1668 Frà Matteo Filippo Caldani morì dopo una lunga e devota vita.

La leggenda come si può vedere si fonde nella realtà e per conoscere la verità la miglior soluzione è forse prendere un po' dell'una e un po' dell'altra. A mio avviso Matteo Filippo Caldani fu veramente un brigante, può darsi non dei peggiori e nemmeno probabilmente era a capo di una banda. Tanto meno credibile può essere la storia della trota pescata, magari si può pensare che un pentimento ci sia stato veramente, d'altronde l'essere umano è fatto di carne e di spirito. Si può inoltre dedurre secondo le (brutte) consuetudini del tempo che per sfuggire alle grinfie dei soldati ducali e alla prigione era buona soluzione per i malandrini mettersi sotto le gonne di Santa
I ruderi dell'eremo di San Giorgio
Romana Chiesa e piuttosto che viver galeotto era meglio campar da frate. Non si discute poi come detto che con il tempo non si fosse ravveduto e una volta ravveduto e tornato sulla retta via forse tornava male agli agiografi di allora far sapere che tale pio uomo in gioventù fosse stato un poco di buono, si poteva perdere di credibilità, pensare che la Chiesa fra le sue schiere nascondesse dei farabutti non è e non era buona cosa oggi come allora, ed ecco pertanto che nasce la leggenda, il racconto o la saga per spargere fumo su quella che forse una volta era la verità.

Questa è la modesta opinione di chi vi scrive, perchè come ebbe a dire il filosofo Blaise Pascal nel 1670: - L'opinione è la regina del mondo!-.





Bibliografia:

  • Escursioni Apuane rubrica condotta da Fabio Frigeri
Viewing all 339 articles
Browse latest View live