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Morte e distruzione.I danni della II guerra mondiale in Garfagnana

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Questa infinita crisi economica ha attanagliato ogni speranza sul
Castelnuovo Garfagnana bombardata
(foto di Vladimiro Bertoi
 su gentile concessione di Nicola Simonetti)
futuro: non si fanno più figli, non si costruiscono più case, non si acquistano più auto e per questo (nonostante qualche lieve ripresa) viviamo in uno stato di incertezza assoluto. Spesso discutendo con amici e conoscenti si è parlato di quale poteva essere la miglior soluzione per uscire da una recessione quasi ormai cronica e la risposta più frequente, 
più sbalorditiva e sconcertante  è stata: la guerra. La guerra da molti (o da alcuni, non lo so) è vista come la panacea di tutti i mali e come un avversità necessaria per la ripresa economica mondiale, ma forse non ci rendiamo bene conto di ciò che diciamo. Le perdite umane e infrastrutturali non sono mai proporzionate ai guadagni e tra le altre cose i danni civili sono spesso più alti di quelli militari, questo vale per le guerre passate e per quelle attuali e future. C'è forse qualcuno di noi che è disposto a perdere un suo caro o la sua casa in nome di una eventuale ripresa economica? Credo proprio di no...L'articolo in questione vuole aprire un po' gli occhi su questa strampalata teoria e far capire bene, dati alla mano su dove possa arrivare il potenziale distruttivo dell'uomo e non crediamo di vivere in un angolo di mondo particolare e ovattato, la Garfagnana durante la seconda guerra mondiale fu colpita in maniera inesorabile, metteremo quindi anche il dito sui danni che subimmo a quel tempo, ma partiamo dai dati generali parlando di quello che fu l'ultimo conflitto mondiale in fatto di distruzioni perpetrate a cose e persone. In Italia la quasi totalità dei bombardamenti fu operata da parte degli alleati (inglesi ed americani quindi), mentre una piccola parte fu compiuta dai tedeschi. Nella seconda fase del conflitto i danni materiali
Propaganda italiana
sui bombardamenti americani
prodotti dalle razzie, dalle ruberie e dalla occupazione delle case pubbliche e private sono state compiute dalle truppe naziste ai danni della popolazione civile inerme. Tutto il Paese da nord a sud soffrì di questa situazione e i numeri in tal senso parlano chiaro: -29% della produzione industriale nazionale (nonostante lo sforzo bellico), - 63% il calo della produzione agricola, il 40% delle linee ferroviarie distrutte, diciamo poi che è difficile quantificare nello specifico  le distruzioni subite dai privati, un calcolo più preciso può essere fatto sul patrimonio artistico-culturale, non tralasciando però le vittime civili dei bombardamenti che si aggiravano  nel nostro Paese intorno alle centocinquantamila unità. Passando ancora alle cifre le città che subirono più danni a livello del patrimonio storico- culturale furono nell'ordine: Napoli, Milano, Torino, Genova, Palermo, Foggia, Roma e Messina. Invece parlando in termini di percentuale le peggiori distruzioni alle costruzioni private e pubbliche le hanno subite le città di Rimini distrutta per l'80% delle sue abitazioni, poi Livorno (80%),
Alcune vittime dei bombardamenti su Roma
(foto tratta da "L'Unità)
Foggia(80%), Civitavecchia (80%), Cagliari (70-80%), La Spezia (70-75%)e ancora a decrescere altre città come Reggio Calabria, Messina, Ancona...altre cittadine più piccole come Recco, Cassino e Paternò furono distrutte nella sua totalità, invece le prime tre città che subirono più vittime furono: Napoli (20-25 mila), Foggia (20 mila) e Roma (7 mila), tutto questo portò nei cinque anni di bombardamenti incessanti al fenomeno dello "sfollamento"; le popolazioni erano rimaste senza casa, sconvolte dalla paura non trovarono di meglio che fuggire dalle loro città e paesi cercando rifugi più sicuri altrove. Un numero elevato di persone (quasi due milioni), lasciò allora le proprie case (o quello che rimaneva)per salvarsi da probabile morte.  In tutto questo computo non c'è calcolato però tutto il resto d'Italia: le cittadine, i piccoli paesi e le sperdute zone montane, ed
Thunderbolt americani pronti
a bombardare anche la Garfagnana
 anche la Garfagnana non è compresa in tutto questo rendiconto. Un grosso lavoro in tal senso per recuperare dati e notizie lo si deve al professor Oscar Guidi che è riuscito negli anni a rendere un quadro ben chiaro di quello che furono le distruzioni
 materiali e non nella nostra Valle. C'è subito da dire che da un punto di vista prettamente violento la guerra combattuta in Garfagnana non fu sicuramente fra le più cruente, diverso il discorso se guardiamo gli effetti di questo sulla gente e le infrastrutture, per rendere bene l'idea cerchiamo di dare un quadro delle conseguenze delle azioni belliche sulle case, sulle strade e sui ponti ed anche (purtroppo)sulle persone decedute. I bombardamenti sulla valle cominciarono nel maggio 1944, quando gli aerei americani mitragliavano i treni che transitavano sulla linea Lucca- Aulla, a Fornaci di Barga ad esempio dopo una di queste incursioni perse la vita un uomo di Castelnuovo e anche alla stazione di Poggio- Villetta e Pontecosi stessa fine subirono altre persone. Il triste primato di primo paese garfagnino bombardato
Gallicano distrutta
toccò a Piazza al Serchio, il 29 giugno un attacco aereo causava la distruzione di diverse case e di una chiesa, i morti furono circa una quindicina e i feriti cinquanta. Il 2 luglio fu il turno di Castelnuovo Garfagnana e della sua stazione ferroviaria, qui persero la vita tre bambini ed un ragazzo di diciassette anni, a quanto pare queste operazioni miravano (su indicazione dei partigiani) a far esplodere depositi di munizioni e carburante nemico, fu poi il turno dei passi appenninici, così fu preso di mira il Passo delle Radici, ma il peggio si ebbe quando si attestò il fronte in tutta la valle, oltre ai bombardamenti entrò in campo anche l'artiglieria pesante. A farne le spese più di tutti fu proprio Castelnuovo che fu quasi rasa al suolo, la posizione strategica del paese la portò più e più volte ad essere martirizzata dalle bombe, le sue distruzioni furono immani tanto da assurgere a simbolo di devastazione e di rovina, cosi il 15 febbraio 1945 nei pressi della cittadina in località Novicchia in un rifugio antiaereo trovarono la morte 30 persone, nei mesi precedenti (nel novembre
Barga devastata
'44)Sassi pagò il suo tributo lasciando sul campo undici bambine e quattro suore, tutti sfollati da Pisa, poi nel dicembre del solito anno fu colpito Gallicano, qui le vittime furono ventidue ed ancora la lista si allunga con San Romano, Villa Collemandina e Pieve Fosciana. Ai danni provocati dai bombardamenti alleati si aggiunsero quelli dei tedeschi che battendo in ritirata facevano saltare in aria qualsiasi infrastruttura di collegamento: gallerie ferroviarie, ponti e strade. A fronte di tutto questo cominciava la tragedia dei "senza tetto", centinaia trovarono rifugio presso il Centro Profughi di Lucca. La situazione era veramente critica, a Molazzana risultavano distrutte 150 case e 5 ponti, i "senza tetto" erano circa 1250(compresi gli sfollati di altre zone), a Fosciandora il problema maggiore(oltre alle case devastate) lo creava la
Il ponte di Ceserana in fase di ricostruzione
(foto di Vladimiro Bertoi su gentile
concessione di Nicola Simonetti)

distruzione del Ponte di Ceserana, collegamento fondamentale con la strada provinciale (oggi regionale), anche Pieve Fosciana lamentava devastazioni: i ponti di Pontardeto e di Pontecosi erano stati fatti saltare in aria e qui i senza casa erano circa un migliaio, a Castiglione 37 erano le case inagibili e 500 i "senza tetto", in più i vari ponti e ponticelli che portavano al Passo delle Radici erano inutilizzabili, nel comune di San Romano il bellissimo ponte ferroviario della Villetta non fu risparmiato così come i caselli dei pastori di Campocatino subirono danni. L'elenco sarebbe ancora lungo e vi rimando al libro "Dal Fascismo alla Resistenza. La Garfagnana tra le due guerre mondiali" di Oscar Guidi per aver maggiori dettagli, fattostà che la quasi totalità dei nostri paesi ebbe distruzioni ingenti a beni pubblici e privati, in pratica tutto il sistema viario stradale e ferroviario aveva subito danni rilevantissimi, a tutto questo con gli anni successivi alla fine del conflitto si andò ad aggiungere il problema dei campi minati e degli
Il Ponte ferroviario della
 Villetta distrutto
ordigni abbandonati degli eserciti in lotta, per questa ragione i morti e i mutilati(sopratutto bambini)continuarono ancora in tempo di pace. Ma tutti questi danni chi le pago? Come faceva una nazione ridotta allo stremo come la nostra Italia a riparare tutto questo? A risolvere i nostri problemi ci pensò lo "Zio Sam", uno zio d'America, o per meglio capirsi gli Stati Uniti d'America in persona, attraverso un piano di ripresa europea ("European Ricovery Program") meglio conosciuto a tutti come "Piano Marshall" dal nome del suo principale fautore il segretario di stato statunitense George Marshall, che durante un discorso all'Università di Harvard invitò i paesi europei a presentare un programma di ricostruzione economica che gli stessi Stati Uniti si impegnavano a finanziare. Anche l'Italia usufrui di questi finanziamenti, il danno globale della guerra calcolato in tutti i suoi ambiti si aggirava intorno ai 3.200 miliardi di lire ( equivalente a quasi 1 miliardo e settecentomila euro...), dagli Stati Uniti arrivarono ben 1500 milioni di dollari (cifra in parte data in prestito e in una buona percentuale elargita a fondo perduto) destinati alla ricostruzione delle linee ferroviarie, strade, ponti, acquedotti, fognature, case, industrie e aziende agricole. Il Piano Marshall diventò operativo il 3 aprile 1948, ma solo dopo pochi giorni 
rischiò subito la sospensione, eravamo infatti in prossimità delle
Il Piano Marshall
elezioni politiche italiane e il pericolo comunista era tangibile, gli americani furono chiari fin da subito, qualora il nostro Paese avesse eletto un governo comunista gli aiuti sarebbero stati interrotti in maniera definitiva, per scongiurare la minaccia scese in campo Papa Pio XII che paventò lo spettro "dello stomaco vuoto e l'anima dannata" e insieme a lui gli stessi Stati Uniti che appoggiarono senza se e senza ma la Democrazia Cristiana che 
quel fatidico 18 aprile 1948 con il 48,5% dei voti ottenne una schiacciante vittoria. Le sovvenzioni quindi ripresero e i primi aiuti che arrivarono a Milano furono dei camion di farina, benedetti  personalmente dal cardinal Schuster che li definì prontamente "una grazia di Dio", ma l'autista del camion immediatamente lo corresse:-No Eminenza, mi scusi, casomai è grazia degli americani...-. 



Bibliografia:

  • "Missione Americana ERP in Italia- Uffico stampa- Divisione informazione- giugno 1951
  • "Dal fascismo alla resistenza.La Garfagnana fra le due guerre mondiali" di Oscar Guidi-Banca dell'identità e della memoria. Anno 2004
  • "I danni materiali e la conseguenza della guerra" www.icar.beniculturali.it


Dal censimento del 1901: la Garfagnana e l'Italia, com'erano e come sono diventate dopo più di un secolo...

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Ormai ci siamo, l'anno è finito. Di solito proprio in questo periodo ognuno di noi traccia un consuntivo personale di quei fatidici
dodici mesi appena trascorsi, qualcosa è andato bene, qualcos'altro male e gli auspici di un anno migliore sono il migliore augurio che si possa fare ad una persona. Questo rendiconto viene fatto a tutti i livelli del nostro viver quotidiano, come detto c'è quello personale e c'è quello delle aziende che tirano le somme del loro andamento annuale. Esiste anche un rendiconto generale sull'andamento generale della nostra Italia che si ha però ogni dieci anni, questa indagine è a tutti conosciuta semplicemente come "censimento". Il lasso di tempo naturalmente è ben più ampio  di un semplice anno, dieci anni sono considerati un tempo ragionevole per vedere i cambiamenti che sono in atto in Italia. L'ultimo che abbiamo avuto è stato nel 2011 e si ripete come detto di dieci anni in dieci anni, nell'anno  però che termina con uno. Questo perchè la sua storia parte proprio dal 1861, anno dell'Italia unita e da quella data puntualmente ogni decennio si ripete, a onor del vero nella storia nazionale non si è svolto per due volte, nel 1891 per mancanza di fondi e nel 1941 quando si era in piena guerra mondiale. La funzione principale del censimento è quella di far capire all'amministrazione statale quante persone ci sono residenti nei confini nazionali, quanti di sesso maschile, quanti di sesso femminile, quanti sono i bambini rispetto agli anziani, così da avere una precisa radiografia del Paese, in più, novità inserita nel lontano 1951, oltre al censimento della popolazione in quell'anno(ed è tutt'ora in vigore)fu inserito quello relativo alle abitazioni. Grazie a tutto questo è possibile anche sapere come sono strutturalmente gli edifici e come sono suddivisi. Tutto ciò viene indetto e finanziato dall'I.S.T.A.T (istituto nazionale di statistica)che fa tutto questo non per semplice
curiosità, ma lo fa in funzione a due articoli della Costituzione (art. 56 e 57). Il quadro che viene fuori confrontando i vari censimenti è un vero e proprio spaccato di vita, fa vedere veramente come cambiano i tempi da un punto di vista sociale e culturale e fra le mani mi sono proprio capitati alcuni dati di un censimento del 1901 con particolare riferimento alla Garfagnana. Il 1901 è un anno molto importante: "Oggi inizia un'epoca in cui la storia del mondo dev'essere riscritta", così cita l'inizio del primo capitolo del libro "Il mito del XX secolo" e niente di questo è più vero.Il 1901 si apre al secolo che segnerà per sempre la storia dell'umanità nel bene e nel male: due guerre mondiali, grandi invenzioni ed innovazioni (luce, televisione, aeroplani...), vaccini, antibiotici e così via e quindi è interessante vedere come la nostra Garfagnana viveva prima di questa epocale svolta. Partiamo però prima da un raffronto generale su quello che era l'Italia a quel tempo e su come è oggi, in base proprio ai censimenti del 1901 e del 2011 a ben 110 anni di distanza. Il primo dato che balza agli occhi  è il numero dei residenti che attualmente o meglio secondo l'ultimo censimento (2011) risultavano essere 59.433.744, quasi raddoppiati in poco più di un secolo, infatti al tempo (1901) eravamo 32.965.504. Tale
Com'era l'Italia nel 1901
aumento della popolazione secondo l'I.S.T.A.T lo si deve esclusivamente agli stranieri, poichè 
dal precedente censimento(2001)hanno segnato un'aumento del 4,3%, in pratica parlando in numeri gli stranieri residenti regolari in dieci anni sono aumentati di 2.694.256, mentre gli italiani sono diminuiti di 250 mila unità. Le donne italiane vincono sugli uomini in quantità, il gentil sesso si attesta su oltre 30 milioni, gli uomini sono 28 milioni; diverso nel 1901 quando le donne erano il 49,7% e i maschi il 50,3%, causa probabile di questa inflessione era che  molte donne purtroppo morivano di parto e talvolta insieme a loro i bambini che portavano in grembo, le cifre in tal senso sono ragguardevoli e spaventose, oltre 46 mila pargoli perivano per le più svariate cause, mentre oggi (dato 2011) sono 2084 i piccoli che muoiono nei primi cinque anni di vita. Sempre rimanendo su questo triste argomento i morti totali di inizio secolo scorso erano 715.036, oggi 613.520. Per quanto riguarda le famiglie nel 1901 il 36% era sposato, in quell'anno 234.819 matrimoni, contro gli attuali 207.138, inoltre (sempre nel 1901) tre famiglie su dieci avevano sei o più componenti (il 30%), non si trattava solo di genitori e figli ma anche di nonni, zii e consanguinei vari, non trascurabile nemmeno le famiglie composte da cinque persone che erano il 13,8% e solo l'8,8% da una sola persona. Oggi le famiglie unipersonali invece sono quasi una su tre (dato in aumento), nel contempo diminuiscono le coppie senza figli (oltre cinque milioni, il 31,4% del totale). La vita come si sa era ed è dura, quindi emigrare era una soluzione per dare una svolta alla propria
La famiglia italiana del 1901:
 otto persone
esistenza, a inizio secolo erano 533.245 gli individui che abbandonavano il suolo natio (nell'ordine) per gli Stati Uniti(121.139), per il Brasile(82.159)e per l'Argentina (59.881), anche attualmente si emigra, nella sorprendente cifra di 147.000 persone, le principali mete (sempre nell'ordine) sono: Regno Unito, Germania e Francia, e sempre più sono i laureati italiani che lasciano il Paese con più di 25 anni di età (quasi 23 mila, con un +13% rispetto al precedente censimento), oltretutto in forte aumento l'emigrazione di coloro che hanno un'istruzione medio bassa (+9%). A proposito di istruzione nell'anno scolastico 1901-1902 gli iscritti alla scuola elementare non sono neanche tre milioni, alle medie 92 mila, alle superiori 27 mila, il 32,7 % degli uomini è analfabeta e il 46,1% delle donne idem, per un totale nazionale del 39,4%, pensiamo però che questa piaga sociale non è affatto estinta, tutt'altro, gli analfabeti in Italia sono la ragguardevolissima cifra di 583.523: Palermo, Messina e Bari sono le città con più illetterati (dati 2001). Allora, come diceva la mia mamma se non si studia si lavora... nel censimento del 1901 fra gli occupati erano considerati anche i bambini nati nel 1891 cioè di nove anni d'età (momento in cui finiva l'obbligo scolastico), in alcuni casi per gli inferiori a questa età la
La famiglia italiana del 2017:
tre persone
dichiarazione di occupazione era fatta dal capofamiglia ma come dice l'Analisi Ufficiale del censimento dell'epoca:
 "...si è preferito di non tener conto di tali dichiarazioni, perchè il lavoro eseguito da fanciulli di così tenera età, forse per poche ore del giorno ed in qualche stagione dell'anno, non può dare un contributo apprezzabile all'attività economica...", allora è evidente che i disoccupati erano la irrisoria cifra di 200 mila persone. Naturalmente degli occupati maschi il 61,1% era impiegato nell'agricoltura e il 21% nell'industria, le femmine invece il 60,9% nell'agricoltura, e il 24,5% nell'industria. Stendiamo un velo pietoso sui dati odierni dall'ultimo censimento, il tasso di disoccupazione 2011 era l'8,4%, dal dato aggiornato a ottobre 2017 in soli sei anni siamo saliti all' 11,1% (si tratta di quasi tre milioni di persone)...
Poi al tempo esisteva anche un angolo di mondo che si chiamava  Garfagnana e che timidamente e inconsapevolmente si affacciava al secolo che porterà anche a lei sconvolgimenti mai avuti prima. Analizziamo anche qui un po' di dati che ci dovrebbero fare un po' riflettere e vediamo che quello che salta subito all'occhio è il dato in controtendenza sui numeri dei residenti. Se a livello
La Garfagnana oggi
nazionale abbiamo avuto nei decenni un forte incremento della popolazione, la Garfagnana ha avuto negli ultimi centodieci anni uno spopolamento. Nel 1901 erano 46.916 gli abitanti che risiedevano legalmente nella Valle, quelli di fatto invece erano 37.856, divisi in 17 comuni, oggi (dato 2011) i garfagnini sono 28.307, divisi in 14 comuni. I garfagnini di inizio secolo proprietari di fabbricati e di terreni erano 6481. I "proprietari capitalisti" (così definiti coloro che hanno terreni e case date in affitto o in gestione), sono 721, di questi "proprietari capitalisti" nessuno è milionario, si tratta in ogni modo di fortune piuttosto ragguardevoli e queste persone sono rappresentate sopratutto da quegli emigranti che sono rimpatriati portandosi dietro quel discreto "gruzzoletto" frutto del duro lavoro. Di fronte a tutto questo penso che sia chiaro che l'attività principale era l'agricoltura: 8573 maschi e 3912 donne per un totale di 12.485 erano le persone impiegate "in qualità di contadini o coloni" (specifiche parole), da aggiungere a tutti questi i piccoli proprietari che lavoravano direttamente il proprio terreno, aggiungendo questo dato si può dire che gli addetti all'agricoltura erano i due quinti dei residenti. Nell'industria, nei mestieri e nell'artigianato lavoravano 2416 uomini e 501 donne, le cose però cambieranno totalmente nel 1916 quando a Fornaci di Barga aprirà la Società Metallurgica Italiana meglio conosciuta come S.M.I, la svolta occupazionale sarà  e rimarrà epocale per la valle. Altri dati sul lavoro ci dicono ancora che nel piccolo commercio
La SMI di Fornaci: svolta sociale
e economica della valle
(bottegai, piccoli commercianti...) ci sono 503 uomini e 17 donne, rimangono poi tutti quei mestieri (che sinceramente non so perchè) vengono calcolati tutti insieme che sono: impiegati dello Stato, guardie municipali e campestri, preti, frati, maestri e maestre questi sono 608 uomini e 12 donne, di questi 136 uomini e 12 donne appartengono al culto (preti, frati e suore). Un fatto curiosissimo da sottolineare è che in questi numeri non vi è nemmeno una maestra...eppure chi è che non ha avuto nel passato o nel presente una maestra? Con molta probabilità l'occupazione principale delle maestre non era quella d'insegnare, non è difficile che anch'esse fossero nelle categorie agricole. Ai lavori domestici invece c'erano 144 uomini "casalinghi" e 8998 donne...
 i pensionati invece erano 44...Per quanto riguarda la scuola, gli scolari, gli studenti (per studenti si intende i ragazzi che frequentavano la scuola media inferiore o superiore) e i seminaristi erano 1003 maschi e 1032 femmine, un numero veramente bassissimo...Eppure le scuole elementari in Garfagnana erano tantissime, ben 122, ma i bambini che la frequentavano erano pochissimi, consideriamo che la riforma della scuola secondo la legge Coppino del 1877 prevedeva l'obbligo fino alla terza elementare e la facoltà di arrivare fino alla quinta  classe (ed eventualmente anche oltre), ma purtroppo il 65% dei bambini
Scuola femminile di inizio secolo
(foto tratta da Bargarchivio)
abbandonava l'istruzione finita l'obbligatorietà.

La Garfagnana quindi si presentava al nuovo e importante secolo arretrata sotto tutti i punti di vista: culturale, sociale e lavorativo. Augusto Torre (giornalista e professore universitario 1889-1977) fece un esame attento a questo censimento "garfagnino" del 1901, dando un perchè a questa grave arretratezza e così ebbe a dire:"...la mancanza di scambio e di idee fra paese e paese, mancanza che trae a se anche quella di qualunque rapporto e suscita e favorisce invece i contrasti e le ostilità fra villaggio e villaggio, quel campanilismo , che per cause futili e insignificanti produce lotte e risse talvolta ferimenti e uccisioni, coi relativi strascichi..." . In questo senso nonostante sia passato un secolo forse è cambiato qualcosa? Ostinati sempre a curare solamente ed unicamente il nostro piccolo orticello...


Bibliografia

  • "Censimento della popolazione del Regno d'Italia" 10 febbraio 1901. Volume V. Direzione Generale di Statistica. Roma
  • "15° Censimento generale della popolazione e delle abitazioni 2011" Ufficio stampa ISTAT
  • "La Garfagnana" di Augusto Torre. Articolo pubblicato su "La Voce", 26 ottobre-2 novembre 1911

Leggende dell'Epifania garfagnine, "contate a veglio"

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Era proprio durante questo periodo,
sull'approssimarsi dell'Epifania che nelle case garfagnine c'era sempre veglia, anche quando nelle fredde sere di gennaio il vento gelido mulinava nell'aia, anche quando si scatenava un impetuoso acquazzone, insomma qualsiasi fossero state le condizioni del tempo "andare a veglio" era un rituale quasi sacro. In queste uggiose serate tutto si svolgeva nelle ampie cucine di una volta, alla luce di un gran focolare. I vegliatori più anziani si mettevano con le loro seggiole vicino al camino e così piano, piano  si avvicinavano i ragazzi e le ragazze, dopo pochi attimi ai ragazzi si aggiungevano le famiglie, intanto tutt'intorno nonostante il momento fosse di riposo e tranquillità i piccoli lavoretti andavano avanti, c'era chi aggiustava gli attrezzi, chi sgranava le pannocchie e chi badava al fuoco del camino, cosa fondamentale perchè proprio durante il periodo natalizio c'era l'usanza di accendere nel camino un grosso "ceppo". Sul "ceppo" si sistemava altra legna in modo che il grosso pezzo di legno che stava sotto si consumasse lentamente, dal momento che doveva durare tutti i dodici giorni che separano il Natale dalla festa della Befana, questi dodici giorni rappresentavano i mesi dell'anno e si diceva inoltre che bisognava tenerlo "vivo" perchè serviva per scaldare Gesù Bambino. Nel frattempo mentre le mani erano occupate in cento cose fiorivano i racconti e le storie più o meno fantasiose, più o meno vere e tutto si confondeva in un misto fra verità e leggenda. D'altronde era durante queste feste che certi racconti rimanevano più impressi nella memoria di tutti, storie che affascinavano genitori e bambini, personaggi come Gesù, Giuseppe e Maria e la Befana erano nell'immaginario e nel culto popolare e proprio questi racconti che vado a narrare vengono da quelle interminabili serate di veglia, di molto, ma molto tempo fa... 

la scarpa di ferro

Si credeva un tempo nei nostri monti che nella notte dell'Epifania i bambini che erano morti in tenera età tornassero al focolare delle
loro mamme per scaldarsi un po'. Passavano attraverso il camino e se trovavano il fuoco acceso si fermavano per passare la notte. Non si potevano avvicinare ne disturbarli e ne tanto meno rivolgergli parola, si potevano solamente osservare da lontano e in assoluto silenzio. Una notte una contadina di Sassi fra la cenere del camino spento trovò una scarpa di ferro, esterrefatta da questo accadimento la fece vedere subito al marito, la conclusione fu che sicuramente l'aveva lasciata qualche povera anima, proprio perchè il fuoco nel camino era spento. La vecchia contadina decise così di conservare la scarpa ben chiusa in una cassapanca e di non guardarla più fino all'anno successivo. Il seguente anno il giorno dell'Epifania la scarpa fu riposta in un cantuccio vicino al focolare scoppiettante. La mattina dopo, fra la sorpresa di tutti al suo posto furono ritrovate pagliuzze d'oro fino. 

Giuseppe, Maria e Gesù Bambino a Mosceta

Si dice proprio che un giorno di duemila anni fa la Sacra Famiglia per sfuggire alla furia dell'esercito di Erode attraversò la
Mosceta e il prato in questione
Apuane. Non vi immaginate voi la fatica della Madonna, San Giuseppe e il Bambinello nell'inerpicarsi per le aspre montagne. Maria ad un certo punto della scalata non ce la faceva più e così decise di fermarsi. All'improvviso al di là delle rocce apparve a loro un terreno completamente sassoso ma pianeggiante. Laggiù in quel luogo la Madonna decise di riposarsi e in omaggio a quel luogo che le aveva offerto ristoro quella "sassaraia" scomoda divenne un  bel prato verde, ed è per questo che Foce di Mosceta si presenta come un prato verde fra le pietre


I Re Magi sulla Pania

Ci fu una notte fra Natale e l'Epifania che sopra la Pania
Pania della Croce
passarono i Re Magi e i loro cammelli alati. Una stella li guidava verso Betlemme ma il percorso era lungo e faticoso e le Apuane non sono facili da superare, spesso sono flagellate da venti forti, nebbia e copiosa neve. Fu così che proprio all'altezza della Pania della Croce i cammelli dei Magi planarono e si abbassarono per prendere lo slancio verso il mare. Nel punto esatto dove gli zoccoli cozzarono con il terreno lasciarono un'impronta indelebile, in quel momento in cielo sfavillarono centinaia e
Le impronte
centinaia di scintille che splenderono come mille stelle cadenti 


Il poeta francese Jean Cocteau un giorno ebbe a dire: "Cos’è la storia, dopo tutto? La storia sono fatti che finiscono col diventare leggenda; le leggende sono bugie che finiscono col diventare storia".



Bibliografia:

  • "Racconti e tradizioni popolari delle Alpi Apuane" di Paolo Fantozzi edito "Le Lettere" anno 2013

Il garfagnino che scoprì il cinema in America. La storia di uno dei più grandi impresari del cinema moderno

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La chiamano la "settimana arte", prima di lei erano sei, molto più
Zefferino "Sylvester" Poli
antiche, le loro origini si perdono nelle notti della storia: architettura, musica, pittura, scultura, poesia, danza e infine nel 1895 appare lui: il cinema. I fratelli Lumiere proiettano per la prima volta al Gran Cafè des Capucines di Parigi dieci film della durata di circa un minuto ciascuno...è meraviglia. Nato semplicemente come curiosità tecnica nel giro di dieci anni il cinema diventa un nuovo genere di spettacolo a diffusione popolare in grado di creare mode, miti e abitudini. Il successo di pubblico porta l'America a intuirne il businnes, ed è qui che nascono le maggiori case di produzione e il cinema si trasforma in una vera e propria industria, ben presto sorgono le prime case di produzione dove letterati, giornalisti e uomini di teatro vengono via via chiamati a collaborare, di conseguenza ecco la costruzione delle prime sale di proiezione, dotate di un palco per l'orchestra che "accompagna" il film muto. In questo scenario meraviglioso e incantato un garfagnino fiuta l'affare, un garfagnino ha l'intuizione,l'ardire e la lungimiranza di capire che con la "settima arte" si può diventare milionari. Questa è l'incredibile storia di un emigrante della Valle del Serchio, questa è la storia di "Sylvester" Zefferino Poli.

La storia di quest'uomo all'inizio è la solita di qualsiasi altro emigrante della Valle di inizio secolo. La vita è dura in
Gallicano inizio secolo
Garfagnana, alla fine dell'ottocento da queste parti "c'è una povertà ed un degrado che si taglia con il coltello". Zefferino nasce a Bolognana (Gallicano) il 31 dicembre del 1858, il padre a scappatempo suona l'organo in chiesa per due soldi e la madre prepara dolci da vendere porta a porta. Zefferino non va a scuola, c'è bisogno di lavorare per tirare avanti e accompagna la mamma a vendere "le ciaccine" (una focaccina di strutto, farina e zucchero). Il senso degli affari comincia a nascergli proprio in quei tristi momenti quando per attirare clienti s'inventa lo slogan che annuncia nei paesi la vendita dei suoi dolci: "E' roba di famiglia, chi le assaggia le ripiglia". Ben presto la famiglia Poli cambia casa e si trasferisce sulla riva opposta del fiume Serchio, trovando un alloggio migliore proprio a Piano di Coreglia. Nonostante la miglior sistemazione la vita rimane grama, però destino vuole che indirettamente una guerra portasse in dote a Zefferino un mestiere vero e proprio in cui sperare per un avvenire migliore. In quegli anni infatti scoppia la guerra franco-prussiana (1870-1871), molte persone scappano dalla Francia cercando rifugio a destra e a manca, fra queste persone c'e uno scultore transalpino di discreta fama, un certo Dublex(a quanto pare amico intimo di Napoleone III), che trova rifugio proprio dalla famiglia Poli, amici anche loro di vecchia data. Lo scultore propone di ricambiare il favore a guerra finita, promettendo alla  famiglia di portare con sè il piccolo Zefferino  per introdurlo nel mestiere del figurinaio, esperto nella modellazione dell'argilla e della cera. Detto fatto, a tredici anni
figurinai coreglini
Zefferino parte per Parigi, torna poi in Italia per tre anni per assolvere all'obbligo di leva, diventa il lustrascarpe personale del suo capitano. In seguito riparte per Parigi per riprendere gli studi e accettare un lavoro al Museo Grevin, diventa così un sopraffino modellatore. Ma a quanto pare il vero Eden per ogni emigrante non è la Francia, dall'altra parte dell'oceano c'è "la Merica" che da nuove ed incredibili opportunità. Zefferino decide di partire, torna in Italia ricomincia a vendere "ciaccine" con il solo ed unico intento di racimolare soldi per il transatlantico diretto a New York. Così a diciannove anni nel 1877 da semi analfabeta parte per le "lontane Americhe". I primi anni di vita americana sono terribili, enormi sono i sacrifici e le privazioni. Negli Stati Uniti porta il lavoro che conosce meglio di tutti: fabbricare statuine. Nel suo laboratorio di New Haven (Connecticut) di notte realizza santi in miniatura e graziosi gattini che il giorno va a vendere agli angoli della città al grido di:"Buy images cheap!!!" (comprate le immagini costano poco!!!). La vita cambia completamente quando conosce una genovese: Rosa Leveroni, è subito amore e il 25 agosto del 1885 (quando Rosa ha solo sedici anni) si sposano, il connubio è da subito vincente. Rosa capisce fin da subito che con Sant'Antonio, San Giuseppe e gattini vari, di soldi ne avrebbero fatti pochi, bisogna cambiare produzione e realizzare le celebrità del tempo. L'occasione più propizia capita quando sette anarchici vengono condannati (ingiustamente) a morte nella sommossa di Haymarket a
La sommossa di Haymarket
Chicago, questi tragici eventi balzano subito alla ribalta nazionale e quale miglior occasione di riprodurre i sette malcapitati? Infatti è un successo. Intanto Zefferino dapprima trova lavoro all'Eden Museo di New York e poi un nuovo impiego da capo modellista al Museo Egizio di Philadelphia, la fortuna finalmente comincia a girare, infatti un'ennesima intuizione dei coniugi Poli dà il segnale che il vento è cambiato, basta fare il venditore ambulante, bisogna mettere su qualcosa di stabile e permanente, un negozio dove esporre le proprie creazioni. Il negozio apre e l'attività ingrana, la moglie ormai si occupa di trattare con i clienti, mentre lui crea i personaggi. Le vendite in breve tempo triplicano, con i soldi guadagnati viene comprato un edificio dove esporre tutte le loro realizzazioni. Intanto il tempo passa e ormai si sta per aprire una nuova frontiera, questa nuova frontiera
 si chiama cinematografo, si sta  schiudendo un nuovo orizzonte anche per Zefferino, ma questo lui ancora non lo sa.
L'anno della svolta definitiva è il 1888, quando il nostro protagonista modifica anche il proprio nome, non più un semplice Zefferino Poli, aggiunge così un secondo nome americano: Sylvester, in omaggio al santo del giorno del suo compleanno e cosa più importante dà il via ad una società che apre locali a metà strada fra un negozio ed un teatro. Il loro espandersi è rapido vengono
Springfield Poli Thater
aperti locali a Toronto (Canada), Rochester, State Island e Troy nello stato di New York. Nel 1892 si stabilisce definitivamente a New Haven dove apre il "Poli Eden Musee", ma  ancora non basta, bisogna fare di più, c'e bisogno di un teatro autentico dove mettere in scena continui spettacoli di varietà di alta classe, a questo scopo nasce nel 1893 il"Poli's Wonderland Theatre"(la terra delle meraviglie di Poli), ma non finisce qui. Poli compra e ristruttura e trasforma vecchi locali in teatri che diventeranno poi fra i più famosi d'America. Dal 1897 al 1926 ogni città vede il marchio "Poli's Theatre": Waterbury,
Mae West primo sex simbol americano
scritturata da Poli
Bridgeport, Meriden e Hartford in Connecticut, Springfield e Worcester in Massachusetts, insomma tutta la costa est degli Stati Uniti compresa la capitale Washington vede in scena gli spettacoli della "terra delle meraviglie". Zefferino riesce anche a stare al passo con i tempi, per vincere la concorrenza e rendere il teatro il più moderno possibile lo fa ricostruire anche per tre volte di seguito fino a che non diventa come lui vuole, infatti la moda impone i "movie palace" locali molti diffusi all'epoca che possono contenere anche duemila spettatori. In pochi anni ecco nascere un impero che conta più di cento cinema dove si esibiscono dal vivo quelli che diventeranno i primi attori del nascente cinema, impossibile quindi non ricordare Mae West il primo vero sex simbol d'America, sennò l'illusionista
Harry Houdini
più famoso al mondo Harry Houdini, per passare poi a Shiley Booth vincitrice di un premio Oscar nel 1953, Berth Lahr colui che nel 1939 interpreterà il leone nel Mago di Oz insieme a Judy Garland, per poi continuare con George Burns uno dei più famosi comici americani, tutti scritturati dal garfagnino Zefferino Poli. 

Siamo così arrivati negli anni '20 del 1900, il cinema adesso ha preso campo anche fra la gente comune: Stanlio e Ollio, Charlie Chaplin e Buster Keaton sono già delle vere e proprie star, ma il più grande proprietario di cinema del nord est degli Stati Uniti rimane lui: Zefferino Poli. Il suo senso degli affari ha già intuito la trasformazione degli spettacoli di massa dell'epoca, capendo che per trasmettere sul "grande schermo" la nuova arte, i suoi teatri sarebbero stati l'ideale. Nel luglio del 1928 Poli vende per 75 milioni di dollari  parte dei teatri di proprietà alla  Fox New England Theatres (che con il tempo diverrà la celebre Twenty
Poli's Palace di Waterbury
Century-Fox) mantenendo una parte delle azioni creando di fatto la Fox-Poli. A questo punto le sue fortune sono incalcolabili, la grande crisi del 1929 non lo scalfisce nemmeno, anzi lo trova con così tanti soldi da ricomprare per "pochi dollari" tutti i suoi teatri venduti in precedenza alla Fox, caduta in amministrazione controllata nel 1932. Il previdente garfagnino acquisisce nuovamente il controllo dell'impero ma capisce che alla sua età è arrivato il momento di mollare e chiude con una mossa in grande stile cedendo nel maggio 1934 buona parte dei suoi teatri alla "Loews Theaters" (quella che dal 1924 al 1959 sarà la casa madre del colosso cinematografico Metro Goldwyn Mayer) creando anche qui una nuova società: Loew's-Poli New England Thatres.

A poco più di settant'anni Zefferino si ritira dagli affari quando possiede ancora venti teatri, tre alberghi, cinquecento uffici e due cantieri. Si ritira nella sua casa al mare di Woodmont: Villa Rosa (in onore alla moglie), insieme a lui c'e l'inseparabile consorte e l'affetto dei suoi quattro figli. Il suo dolore più grosso rimane però la perdita del primogenito Edward morto per embolia all'età di 31 anni nel 1922. Nel corso della sua vita l'Italia non si dimentica di un suo "figlio", il re Vittorio Emanuele III gli conferisce il titolo di Cavaliere della Corona d'Italia, mentre la moglie riceve dalla regina Elena la Croce d'Onore per le sue opere filantropiche.
Al cinema Loew-Poli trasmettono
Alice nel paese delle meraviglie di Disney
Zefferino il venditore di "ciaccine"che diventò uno dei pioneri del cinema muore il 31 maggio nel 1937 in seguito ad una polmonite.

Si fu proprio così, Zefferino il venditore garfagnino di "ciaccine" fu fra i più grandi impresari cinematografici del Novecento. E' uno degli immigrati italiani negli Stati Uniti che ha avuto più successo in assoluto, uno che ha reso concreto il sogno americano, uno che aveva capito prima di tutti quello che la gente voleva: la sua bottega di figurine prima fu trasformata in teatro e da li in cinema, il primo di una catena fra le più diffuse in quella zona d'America. Non si dimenticò nemmeno della sua terra, ebbe occasione di tornare più volte nella Valle del Serchio e con ciò non si scordò mai di ringraziare "La Merica":
Il mausoleo eretto da Zefferino
per il figlio primogenito morto

"La nostra razza ha trovato un rifugio sicuro dietro le stelle e strisce e sentiamo che fra tutti i suoi figli che si sforzano di portare questo vessillo alla vittoria, nessuno porterà entusiasmo e più lealtà costante dei suoi figli di sangue italiano".

Note: Grazie a tre giovani ragazzi che studiano le vicende dei nostri emigranti la figura di Zefferino Poli è tornata a vivere. Luca Perei, Isaak J. Liptzin e Valerio Ciriaci sono i creatori del documentario "Mr. Wonderland". Questa è fra le opere vincitrici del bando emesso dalla Regione per il sostegno alla produzione di documentari nel 2017. Un investimento di 130 mila euro che permetterà anche alla storia di Zefferino di diventare film.


Bibliografia

  •  King Donald C. S.Z Poli from Wax to Riches. Marquee Magazine New York City 1979
  • Cullen, Frank, Florence Hackman and Donald Mc Nelly. Vaudeville. Old and New: an encyclopedia of variety perfomers in America. New York Routeledge 2007
  • "L'emigrante della Garfagnana che creò il businnes del cinema" di Ilaria Bonuccelli da "Il Tirreno" 13 dicembre 2017

I "Monument's Man" garfagnini. Quelli che nella II guerra mondiale salvarono il patrimonio artistico garfagnino

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I Monument's Man nel castello
di Neuschwainsten in Germania nel 1945
Erano trecentocinquanta valorosi, sia uomini che donne, appartenenti a tredici nazioni diverse che fra il 1943 e il 1951 prestarono servizio presso la "Monuments Fine Arts and Archives" (M.F.F.A). Hollywood pochi anni fa fece passare alla storia queste persone con un bel film e così le stampò nella memoria di tutti. Al mondo erano e sono  conosciuti come i "Monuments Man". Un gruppo di persone colte ed appassionate, la maggior parte di loro non aveva nessuna esperienza militare dal momento che erano per lo più restauratori, archivisti, direttori di musei e archeologi, prestarono servizio negli eserciti alleati durante la seconda guerra mondiale e vennero presto inviati nella martoriata Europa con una precisa missione: recuperare e salvare i capolavori dell'arte. L'intento principale era quindi salvare dai bombardamenti e dalle distruzioni varie le migliaia di capolavori sparsi per tutto il continente, un tesoro non solo di puro valore economico, ma un tesoro culturale che rischiava seriamente di essere perso per sempre. Altro compito se si vuole ancor più difficile era recuperare le opere d'arte ancora intatte e già trafugate. Ma trafugate da chi? Com'è noto le armate tedesche mentre invadevano un Paese dopo l'altro razziavano in modo sistematico dipinti, sculture ed altre innumerevoli opere d'arte, la maggior parte di questi razziatori agiva nel nome del maresciallo del Reich Hermann Goring (numero due del partito nazista), che senza
Hermann Goring
"il razziatore"
mezzi termini nel 1942 ebbe a dichiarare: "Una volta si chiamava saccheggio. Ma oggi le cose devono avere un aspetto più umano. Ad onta di ciò, io intendo saccheggiare e intendo farlo in maniera totale" . Era una vera e propria corsa contro il tempo, la guerra volgeva al termine, gli eventi si stavano susseguendo uno dopo l'altro, i Monument's Man vennero sparsi rapidamente per tutta Europa. A Parigi per svuotare e mettere in sicurezza tutte le opere del Louvre ci vollero ben sei settimane, ma il vero "colpo gobbo" dei Monument's fu in Austria, nella miniera di salgemma di Altaussee(nelle vicinanze di Salisburgo) furono rinvenuti ben 6500 quadri, statue (fra le quali la Madonna con bambino di Michelangelo del 1503), mobili, libri antichi, monete e altri oggetti preziosi, ma non solo, in Turingia (regione della Germania) fu rinvenuta l'intera riserva aurea nazista e un notevole numero di altri capolavori. 

E in Italia? In Italia questi anomali eroi sbarcarono in Sicilia nell'autunno del 1943, erano in ventisei, pronti a tutto (o quasi) pur di proteggere, ristrutturare e recuperare il ricchissimo patrimonio artistico italiano. La strategia era chiara, man mano che i territori venivano liberati si interveniva immediatamente per preservare i monumenti danneggiati e mettersi a caccia dei tesori rubati. Queste operazioni portarono nella sola Sicilia a mettere in sicurezza decine di siti e iniziare la ricostruzione di monumenti
Le chiese di Palermo con i loro tesori
devastate dai bombardamenti
importantissimi ormai perduti come la Cattedrale di Palermo. Quando la guerra si spostò in continente le cose furono più difficoltose. Gli alleati si aspettavano di risalire in un batter d'occhio tutta la Penisola, ma finirono intrappolati in estenuanti battaglie. Finalmente il 4 giugno 1944 gli americani liberarono Roma e trovarono una città quasi intatta, il "solo" quartiere di San Lorenzo era stato bombardato. Il bello però doveva ancora venire. L'ultima fase nella campagna estate-inverno 1944 fu la più importante, gli alleati stavano per entrare in Toscana e i Monumen's sapevano che qui non sarebbe stata una "passeggiata di salute" come a Roma. In effetti molto di ciò sarebbe dipeso dai tedeschi e da dove avrebbero deciso di attestare il fronte. Il fronte per disgrazia dei garfagnini e della Garfagnana (e non solo) si fermò sulla costituita Linea Gotica, su quel fronte di 300 chilometri la guerra si fermò per circa nove mesi. 

La Garfagnana non sarà Firenze in fatto di monumenti e opere d'arte, ma il suo patrimonio artistico da difendere ce l'aveva, eccome se ce l'aveva. Parliamoci chiaro, qui i Monument's Man non arrivarono mai, vuoi perchè la Valle del Serchio era considerata zona ad alta pericolosità, ma sopratutto perchè come tutti ben sappiamo la vita è fatta di priorità e tale priorità fu data alla salvaguardia della culla del Rinascimento: Firenze e in effetti qui il lavoro era
Firenze: Ponte Santa Trinita disegnato
da Michelangelo distrutto dalle bombe
tanto. Ritirandosi dalla città del giglio i nazisti fecero saltare tutti gli storici ponti con esclusione di Ponte Vecchio, poichè leggenda (o verità) narra che quando Hitler visitò Firenze nel 1939 rimase totalmente affascinato da questo gioiello, tanto che dette ordine ai propri ufficiali di risparmiarlo dalla distruzione. Il  lavoro come detto era tantissimo e le opere d'arte erano un'enormità. I Monument's Man giravano di quartiere in quartiere, di borgo in borgo catalogando le opere sparite dai musei che a sua volta erano state spostate altrove dai nazisti in attesa di espatrio. Furono ritrovati solamente a Firenze tremila casse di dipinti, sculture e interi archivi. Nei garagi di Villa di Torre a Cona (Rignano sull'Arno) furono trovate impacchettate di tutto punto statue di Michelangelo, altri centinaia di dipinti degli Uffizi e di Palazzo Pitti vennero invece rinvenuti nel castello di Montegufoni (Montespertoli). 
Come detto in Garfagnana questi eroi d'oltreoceano e d'oltremanica non si videro. Non fummo però dimenticati in questo senso. Della nostra piccola realtà si occupò comunque un Monumet's Man tutto italiano (e toscano) che si chiamava Rodolfo Siviero, che è bene dirlo con i Monument's originali non aveva niente a che fare. Ma partiamo però dall'inizio e cominciamo subito con il dire che la maggior parte delle opere d'arte "garfagnine" sono nelle chiese...e le nostre chiese sono tante... Pensiamo solamente che attualmente le 
Rodolfo Siviero, vero eroe italiano
parrocchie dell'Arcidiocesi di Lucca sono 362 e immaginiamo ancora che non esiste paese, borgo o sperduta località garfagnina che non abbia almeno una chiesa antica con almeno un opera di pregevole valore. Questo era il panorama artistico con cui si doveva confrontare Siviero. Rodolfo Siviero nacque in provincia di Pisa, a lui si deve il recupero di gran parte delle opere che erano state trafugate dai tedeschi nel nostro Paese proprio durante la seconda guerra mondiale, il metodo rocambolesco con cui talvolta vennero recuperate queste opere gli valse il soprannome di 007 dell'arte e in effetti così era, oltre che essere uno storico dell'arte, era un agente segreto facente parte del Servizio Informazioni Militare. Fattostà che il patrimonio artistico garfagnino fu messo dall'intelligence di Siviero in una scala di messa in pericolo da uno a tre al numero due. Il pericolo maggiore non era che fosse sottratto, dal momento che i tedeschi a quel punto della guerra il loro ultimo pensiero erano le opere d'arte da rubare, per molti di loro sia ufficiali che soldati l'intento principale era di portare a casa la pelle, il vero pericolo veniva però dai bombardamenti alleati che potevano più o meno accidentalmente distruggere le chiese. A questo scopo, dal momento che lo stesso Siviero coordinava dei gruppi partigiani, dette mandato a loro di raggiungere i paesi garfagnini e di aiutare i parroci locali a spostare, a nascondere e mettere il più possibile al sicuro tutto quello che gli stessi parroci ritenevano di proteggere maggiormente, naturalmente fu spostato quello che si poteva spostare come quadri, statue, oggetti sacri e preziosi archivi, quello che era intrasportabile fu lasciato al suo destino e forse meglio dire in questo caso alla Divina Provvidenza, ad esempio
La Pala Robbiana nel
duomo di San Jacopo a Gallicano
le Pale Robbiane di Gallicano, Barga, Castelnuovo, Pieve Fosciana e molti altri affreschi disseminati per le pievi si salvarono grazie al fato. Così le cantine, i metati, i fienili e le stalle dei paesi delle valle per un po' di tempo diventarono dei veri e propri musei, opere attribuite alla scuola di Matteo Civitali, tavole di Giuliano Simone da Lucca del 1389, statue lignee del XIV secolo attribuite all'ambito di Tino Camaino, opere del 1500 di Giuseppe Porta detto il "Salviati" e tanti altri tesori erano sparsi per le selve della valle. Comunque sia non tutti i nazisti  erano come il loro supremo maresciallo Goring e un po' di sensibilità artistica almeno nella Valle del Serchio la dimostrarono. Questa vicenda ricalca similmente la storia narrata poche righe sopra che riguardava Ponte Vecchio, simile sorte toccò anche al Ponte del Diavolo di Borgo a Mozzano. Oramai le mine naziste erano piazzate il celebre ponte
 con i suoi mille anni di storia era pronto a saltare in aria. Le truppe germaniche erano pronte a ritirarsi verso nord e bisognava quindi tagliare ogni via di comunicazione all'esercito alleato che era sempre più vicino, rimane il fatto che non si sa bene come e perchè, quando ormai mancava solamente l'ordine di farlo esplodere, l'ordine fu annullato. Per quale ragione ciò accadde ancora non è chiaro,questo forse trova ragione in una teoria non documentate ma secondo me veritiera e dice che probabilmente nel comando tedesco ci sia stato qualcuno che aveva una sensibilità particolare per il
Il Ponte del Diavolo a Borgo a Mozzano
scampato alle mine naziste
patrimonio storico e culturale, sopratutto collegato al fatto che tale ponte non fosse ritenuto idoneo per il passaggio dei mezzi militari, a conferma di questo il "Ponte Pari", alcune centinaia di metri più a sud fu fatto saltare inesorabilmente in aria. Rimane il fatto che grazie ai nostri Monument's Man nostrani: Siviero e i preti locali, il patrimonio artistico garfagnino fu salvato o quanto meno messo in sicurezza.

L'opera di recupero di Siviero e dei Monument's Man continuò anche dopo la guerra e tutt'oggi molte opere trafugate dai nazisti non sono state ancora ritrovate. E' notizia di alcuni giorni fa del ritrovamento di un opera di inestimabile valore economico e culturale: "Il Busto di Cristo", realizzato da Matteo Civitali nel 1470 e trafugato dai tedeschi dalla chiesa di Santa Maria della Rosa in Lucca, nella notte fra il 7 e l'8 febbraio 1944. L'opera era
"Il Busto di Cristo" di Matteo Civitali
ritrovato dai carabinieri
 restituito alla città di Lucca
stata catalogata alla fine degli anni trenta dalla Sopraintendenza di Firenze con due fotografie conservate oggi agli Uffizi di Firenze e segnalata in una nota del 1947 come "asportata dalla truppe tedesche", successivamente queste informazioni confluirono nell'archivio Siviero e poi dopo nella banca dati del Ministero dei Beni Culturali. Di quest'opera nonostante questi minuziosi passaggi si era persa ogni traccia, fino a che nel dicembre 2017 i carabinieri nell'ambito della complicatissima operazione "Jackals" hanno restituito il capolavoro alla città. 

La Garfagnana invece, anche grazie alla preventiva azione descritta
"San Giorlamo penitente"
del Perugino rubato dai nazisti
a Capezzano nel '44
e non ancora ritrovato
sopra non subì (almeno io non ho notizia) nessuna ruberia artistica da parte delle truppe tedesche, ma come abbiamo visto stessa sorte non toccò alla provincia di Lucca. Dopo 73 anni ci sono ancora opere che ancora non hanno fatto mai più ritorno. Nella Villa Borbone delle Pianore a Capezzano Pianore vicino Camaiore i nazisti della XVI Divisione Corazzata delle SS nella primavera 1944 razziarono gran parte della collezione Borbone Parma, dipinti come "Veduta

degli Schiavoni verso est" del Canaletto,"San Girolamo Penitente" del Perugino, "Il Redentore" di Dosso Dossi e di molti altri ancora ne sono state perse da tempo immemore le tracce. Anche Viareggio fu colpita dalle "mani lunghe" naziste il dipinto"L'Imperatore Guglielmo a cavallo calpesta un cumulo di teschi"di Lorenzo Viani sparì sempre in quel maledetto 1944.
Ancora oggi questa storia non è finita. L'italia e la Toscana in particolare hanno ancora fuori (e non si sa dove sono) centinaia di opere. Una filosofia di guerra criminale questa, studiata non a caso, che trovava il suo credo in un pensiero espresso bene da un Monument's Man:
"Puoi sterminare un'intera generazione, bruciare le loro case e troveranno una via di ritorno. Ma se distruggi la loro cultura è come se non fossero mai esistiti. E' questo che vuole Hitler ed è esattamente questo che noi combattiamo".


Bibliografia

  • "Chi li ha visti? I tesori d'arte della Toscana ancora prigionieri di guerra" Giannella Channel. A cura di Salvatore Giannella
  • "La vera storia dei Monument's Man" L'undici Informazione Pura di Mara Marantonio
  • Museo Casa Rodolfo Siviero -Archivio Siviero-

Sfuggire ad Auschwitz. Dal memoriale di Leo Kienwald, ebreo internato a Castelnuovo

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Leo Kienwald...un nome che ai più non dirà niente, ma è un nome legato a doppio filo con la Garfagnana e con una delle pagine più crudeli della storia dell'umanità. La famiglia Kienwald composta da papà Oscar, mamma Rachele Nadel e dai figli Erwin e Leonard (detto Leo), proveniva dalla Polonia occupata e faceva parte di quelle famiglie ebree internate coattivamente dalla Germania nazista a Castelnuovo Garfagnana dal 1941 al 1943. 
Chi è un mio assiduo lettore avrà comunque già letto più di un mio articolo riguardante questa famiglia, infatti ogni tanto nella mia mente riecheggiano le parole che a suo tempo mi disse Eli Kienwald (figlio di Leo) e che sono le stesse del filosofo George Santayana: - "Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo", quindi- continuò il dottor Eli, riferendosi a me- nei suoi articoli, ogni tanto continui a scrivere di questa tragedia, perchè la gente non dimentichi mai quello che è accaduto - e così puntualmente mi appresto a farlo.
Il rapporto fra me ed Eli Kienwald cominciò qualche anno fa, quando da Londra lo stesso Eli mi contattò dopo aver letto un mio articolo sulla tragedia della sua famiglia internata a Castelnuovo. Mi
L'articolo pubblicato sulla rivista
ebraica Hamaor: Escape from Castelnuovo
Garfagnana (Fuga da Castelnuovo Garfagnana)
propose di condurre ricerche più approfondite su quello che successe a suo padre Leo in quei terribili anni in Garfagnana, la nostra collaborazione sfociò poi in un bellissimo articolo pubblicato su una rivista ebraica a maggior diffusione (Hamaor), in più mi inviò un vero pezzo di storia, unico e toccante: il memoriale di suo padre che racconta la sua fuga per la libertà attraverso le nostre montagne, un diario bellissimo, particolareggiato, ricordi vivi e nitidi di quei tremendi giorni scampati al rastrellamento, evitando così di finire nelle camere a gas di Auschwitz.

Tutto cominciò quel maledetto 4 dicembre 1943 quando arrivò l'ordine dall'Oberkommando der Whermacht, dove si diceva che tutti gli ebrei stanziati in confino coatto a Castelnuovo Garfagnana si dovevano
Una pagina del memoriale di Kienwald
in mio possesso
presentare il mattino seguente presso la caserma dei carabinieri. Grazie ad una soffiata di un maresciallo dell'arma si capì presto il perchè di questa convocazione: l'indomani tutti gli ebrei residenti sarebbero stati arrestati e condotti nel campo di concentramento di Bagni di Lucca, per essere poi trasferiti nei campi di sterminio del nord Europa. Il maresciallo avvertì tutti  gli interessati e consigliò di darsi immediatamente alla fuga. Nonostante tutto a questa soffiata pochi vi credettero, fra questi pochi la famiglia Kienwald fu una di queste, cominciò così la sua fuga attraverso le Apuane.

Quelle a seguire sono stralci salienti del memoriale di Leo Kienwald, scritti nel 1996 poco prima che lasciasse per sempre la vita terrena.

L'inizio della fuga(N.D.R: i titoli dati ai paragrafi non fanno
Verbale della Prefettura del 1942
Corrispondenza censurata
degli ebrei di Castelnuovo
parte del diario stesso, sono stati aggiunti da me per dare ordine all'articolo).


Era il 5 dicembre 1943. Il cielo era grigio quasi un segno della tragedia incombente. Perchè gli altri sono tutti finiti ad Auschwitz. E sono morti. Noi, padre madre e due ragazzi camminavamo su una strada sterrata, nella Valle della Turrite, nella direzione opposta a quella della caserma dei carabinieri. Il giorno prima era stato impartito un ordine: presentarsi quella mattina alle otto. Un'ora prima ebbi ancora un fuggevole incontro con Elisabeth (N.D.R: Elizabeth era l'innamorata ebrea confinata anche lei a Castelnuovo). Tentai di convincerla a seguirmi. Non poteva abbandonare la madre. Qualche anno fa la ritrovai nel "Libro della Memoria". Ebbi così la conferma del tragico destino suo e degli altri internati a Castelnuovo Garfagnana. Che sarebbe stato il mio, il nostro.


La paura,le bugie e la prima sistemazione

Raggiungemmo infine alcuni casolari. Era Colle Panestra. Ci
Vecchia foto L'Alpe di Sant'Antonio
presentammo come sfollati. Non avevamo documenti ne soldi. Solo le ultime carte annonarie di Castelnuovo. Trasformai il cognome Kienwald scritto a mano in "Rinaldo". Un nome straniero poteva destare sospetti. Fummo infine accolti da una famiglia nei pressi di Fontana Grande a Piritano di Sotto. Allora sapevo solo che ci trovavamo sull'Alpe di Sant'Antonio. Mio padre e mia madre dormivano in una camera messa a loro disposizione. A noi ragazzi diedero una capanna nel bosco dove si raccoglievano le foglie secche di castagno. Ricevemmo una lampada ad acetilene e due coperte.


La fuga continua: una nuova sistemazione

Ricordo con commozione la bontà di quelle persone. Ma non potevamo
Rifugio Rossi...una volta
approfittare a lungo dell'ospitalità. Ci mettemmo quindi in cerca di un casolare disabitato. E lo trovammo a Pasquigliora, non lontano da Colle Panestra. Era il casolare di un pastore, che prima della guerra portava su le pecore dalla Versilia. Il casolare era giusto attrezzato per quattro persone, non mancavano materassi, coperte e cuscini. Il custode del Rifugio Rossi, sotto la Pania della Croce, abitava a Pirano di Sotto. Si offrì di salire al rifugio con noi ragazzi per prelevare quanto occorreva.


Il ritorno a Castelnuovo e il recupero dei vestiti per affrontare il rigido inverno 

A Castelnuovo vivevamo abbastanza tranquilli fino all'ordine
Castelnuovo nel 1930. Nel cerchio rosso
l'appartamento dove abitavano i Kienwald
in Piazza Umberto i
impartito dai carabinieri. Quando fuggimmo da Castelnuovo portammo quasi nulla con noi. Gli effetti personali erano rimasti in un baule lasciato nella casa a Castelnuovo. Non si poteva superare l'inverno senza quegli indumenti e bisognava in qualche modo recuperarli. Un abitante di Castelnuovo, con il quale mio padre si mise misteriosamente in contatto, andò in quella casa, ruppe i sigilli applicati dai carabinieri, prese il baule, lo caricò su un mulo e ce lo portò su. Mio padre gli regalò una parte del contenuto


La nuova vita e le nuove abitudini

Vivevamo dunque in quel casolare a circa mille metri di altitudine.
Sfollati in Garfagnana in tempo di guerra
La principale preoccupazione era procurarsi da mangiare e legna per riscaldarsi. Era compito di noi ragazzi. Mio fratello era minore di quattro anni e aveva sempre fame. I contadini erano generosi e la farina di castagne non mancava mai. Imparammo a farci la polenta nel paiolo, a versarla sul piatto di legno, a tagliarla con la cordicella. Non volevamo essere mendicanti. Facevamo vari lavori per loro, il più terribile era caricare sul collo il cesto di letame per andare a spanderlo sui campi. La sera bisognava sottoporsi ad un intenso lavaggio. Passarono i  mesi, passò l'inverno. Non sapevo nulla allora di Auschwitz. Avevo la sensazione di essere scampato, insieme ai miei, ad un terribile destino.


La vita è in pericolo

Nella primavera del 1944 ci trovavamo praticamente al fronte. La
Calomini, sul fronte della Linea Gotica
(foto Gruppo Linea Gotica Garfagnana)
linea gotica passava a qualche centinaio di metri da noi. C'era una strada sterrata a mezza costa del Monte Piglionico, che finiva ai piedi della Pania della Croce. Alle Rocchette poco sopra la strada, c'era una postazione. Li dovevamo passare per entrare nella terra di nessuno
(N.D.R: Per "terra di nessuno" si intende una porzione di territorio non occupata)


Una battaglia nella notte...bisognava fuggire e salvarsi

N.D.R: Qui si racconta della celeberrima battaglia del Monte Rovaio (o Colle del Gesù), fra i partigiani del "Valanga" e le truppe germaniche, dove i nostri protagonisti furono attenti testimoni, prima, durante e dopo i fatti. Ecco un piccolo brano di quel ricordo:

Sia arriva così alla fine di agosto, esattamente il 29 agosto 1944.
Il Monte del Gesù, luogo della battaglia
raccontato da Leo Kienwald
Quella mattina, era ancora notte, si sentì una forte sparatoria intorno a noi. Mi affacciai alla finestra e vidi dei razzi illuminanti salire verso il Monte del Gesù. Avevo la netta sensazione di essere circondati, Ci vestimmo in fretta ed uscimmo. Dovevamo allontanarci. Dietro il casolare una ripida discesa portava in un fosso, che ci copriva dai proiettili e in qualche modo ci nascondeva. Arrivati in fondo ci dirigemmo verso il mulino. Sapevo che il mugnaio aveva preparato una grande buca nel bosco. Egli ci accolse. Solo mia madre ed altre donne rimasero fuori. Entrammo carponi. Eravamo in 12 li dentro, sdraiati su un tavolato, uno accanto all'altro. C'era anche il giovane parroco de L'Alpe di Sant'Antonio. Lì restammo per tre giorni e tre notti. Le donne ci portavano qualche piatto di pasta senza sale. Devo ammirare il coraggio di mia madre. Era una donna fragile e timida. Ritornò al casolare per salvare qualcosa. Ormai bruciava. Si trovò faccia a faccia con i tedeschi. Terminata la battaglia nel corso della mattinata i tedeschi bruciarono infatti tutti i casolari.


La disperazione

A questo punto eravamo veramente soli. Il nostro casolare, tutti i
Il sentiero della libertà ripercorre
quasi le stesse strade che fecero i Kienwald
(foto Daniele Saisi)
casolari, erano bruciati. I residenti s'enerano in gran parte andati. I pochi rimasti cominciarono ad aver paura. Avevamo perso tutto. Non sapevamo dove andare. Non potevamo più contare su un eventuale assistenza di chi ancora si aggirava sull'Alpe. Risalimmo Colle Panestra e prendemmo un sentiero a destra, arrivammo a casa di una certa Viola.
(N.D.R: Viola Bertoni alias "la mamma dell'Alpe", nel 1981 gli verrà conferita una medaglia al valore civile per la sussistenza data ai gruppi partigiani). Questa fu la nostra dimora fino alla fine di novembre. Mi chiedo oggi come abbiamo fatto a vivere. Non ricordo i dettagli. Ogni sforzo mentale era concentrato sul modo di come uscire da questa situazione disperata. Intanto l'inverno avanzava 


I primi tentativi verso la libertà

Mi decisi di andare a chiedere aiuto ad una grossa formazione
Partigiani del Valanga
(foto tratta da il libro
"L'altra faccia del mito")
partigiana, comandata da un maggiore inglese, che si trovava sui monti di fronte, dall'altro lato della Turrite...
[continua]...Mi incontrai con il maggiore Oldham (N.D.R: il maggiore Oldham fu fatto prigioniero dagli italiani, fuggi dal carcere e si mise a capo della Brigata partigiana Lunense), al quale diedi informazioni sulle Rocchette, da dove poteva congiungersi con la V armata [continua]...All'occupazione della postazione sulle Rocchette mi avrebbero dovuto mandare una staffetta per passare il fronte.[continua]. Passarono i giorni e nulla successe.


Il terrore e poi...libertà, libertà !!!

L'attesa diveniva insopportabile e giorno dopo giorno la situazione
Castelnuovo bombardata
peggiorava. Un giorno decisi con mio padre di recarci direttamente sul posto consapevoli ovviamente del rischio. Ma non avevamo ormai scelta. Ci incamminammo e raggiungemmo la strada che passava sotto le Rocchette. C'era nebbia quella mattina e camminavamo in un silenzio irreale. Improvvisamente sbucarono dalla nebbia tre militari con i fucili spianati: alto là. Portavano l'elmo dei bersaglieri. Siamo proprio capitati male, pensai. Uno di loro urlò: "Sono ebrei, li conosco". Dopo qualche secondo si rivelarono. Erano partigiani, che avevano occupato la postazione e si erano messo in testa l'elmo dei prigionieri. Forti abbracci, profonda emozione. Quello che aveva urlato era di Castelnuovo e ci aveva riconosciuto. Chiedemmo se potevamo passare
[continua]


N.D.R: Le peripezie dei Kienwald continuarono, adesso bisognava recuperare il resto della famiglia, passare il fronte e consegnarsi nelle mani della V armata americana. Nella stessa notte però imperversò un'ennesima battaglia che mise a repentaglio la loro vita e il lieto fine di questa tragica avventura. La descrizione di quelle decisive e fondamentali ore è precisa e minuziosa, ma finalmente...

Ci trovammo nella terra di nessuno e ci fermammo in un piccolo
La V armata americana
villaggio, dove passammo la notte dormendo sul pavimento in una casa vuota. Era il 20 novembre 1944. Al mattino riprendemmo il cammino. Grande fu l'emozione quando incontrammo una pattuglia di americani che ci diedero della cioccolata e ci portarono al loro campo. Mio padre tolse dalle spalline della giacca il suo vecchio passaporto polacco. Ci portarono a Gallicano, nell'immediata retrovia poi a Viareggio.


N.D.R: Il diario continua con quello che accadde dopo la liberazione, le varie sistemazioni in altre parti della Toscana, la fame patita più da liberi che da ricercati e sopratutto la ricerca di una nuova Patria e di una nuova vita, ma comunque non era niente a confronto di quello che successe agli altri ebrei "castelnuovesi". Il diario si chiude con il perchè di questo scritto:


Qui finisce la nostra piccola odissea che, posso dirlo, è stata
Auschwitz. Una mia foto.
 Le scarpe degli ebrei uccisi..
splendida se paragonata a quella che sicuramente sarebbe stata senza il mio modesto atto di coraggio, prodotto da quella fiammella di Dio che, credenti o non credenti, c'è in ognuno di noi e che guida la nostra mente. Dopotutto, a dispetto della soluzione finale, sono qui con figli e nipoti. I genitori riposano nella terra d'Israele. Mio fratello vive in Israele, ha un figlio e tanti nipoti. Ho raccontato questa storia perchè la memoria non vada persa.


Leonard Kienwald 

Bibliografia

Per chi vuole sapere di più su questa famiglia e su gli ebrei in confino coatto a Castelnuovo Garfagnana può consultare i miei articoli cliccando su questi link:


Il Cristoforo Colombo garfagnino. Vincenzo Micheli e il fagiolo fico di Gallicano

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Cristoforo Colombo eccelso navigatore o infimo schiavista? Agli
Vincenzo Micheli e il fagiolo fico
(foto tratta in parte dal
 sito www.buffardello.it)
storici l'ardua sentenza. Oggi infatti quello che ci interessa non è quello che fu Colombo come uomo, ma come scopritore. Non fu solo l'involontario scopritore di un nuovo mondo ma anche di una certa quantità di prodotti alimentari mai visti e conosciuti prima nel Vecchio Continente. Il 12 ottobre 1492 segnò una svolta importante per la storia dell'alimentazione europea, fu un "annus memorabilis" in questo senso. Dal nuovo continente giunsero cibi sconosciuti, specialmente fra la frutta e la verdura: patate, peperoni, peperoncini, pomodori, zucche, fagioli, ananas, arachidi, cacao, fichi d'india e uno strano e corpulento pennuto: il tacchino. Naturalmente passarono alcuni anni prima di comprendere l'uso corretto di queste straordinarie scoperte. Gli spagnoli ad esempio importarono i semi del pomodoro che in principio era ritenuto velenoso, tant'è che la pianta e il suo frutto venivano utilizzati solamente per abbellire parchi e
Cristoforo Colombo
giardini nobiliari. Che dire poi della patata? I suoi primi decenni nel nostro continente furono duri, difatti veniva utilizzata solamente per alimentare il bestiame. Da subito invece ebbe successo il mais, divenne subito popolare nelle cucine spagnole e portoghesi per l'uso che se ne faceva della sua farina. Anche i fagioli si diffusero rapidamente e grazie alla loro maggior resa nell'orto presero ben presto il posto delle varietà fino allora conosciute nel Mediterraneo. Ed è a proposito di fagioli che entra in ballo la Garfagnana, l'America e una sorta di Colombo garfagnino. 

Per spiegare questa curiosa ed originale storia bisogna andare avanti nel tempo di 397 anni e narrare quindi le vicende di Vincenzo Micheli, nato a Gallicano nel 1863. Il giovinetto parti per
Gallicano. Vecchia foto.
Piazza Vittorio
Emanuele II
l'America con tanta forza d'animo, determinazione e speranza. Vincenzo era alla ricerca di una vita migliore, voleva sfuggire a una povertà che a Gallicano alla fine dell'800 era presente in quasi tutte le famiglie  Arrivò finalmente nella terra promessa, in America, proprio quella terra che Colombo aprì al mondo e che dopo circa quattrocento anni dalla sua scoperta era ancora una terra in buona parte da esplorare. Proprio per questo motivo in quel periodo il porto di New York era tappezzato di volantini e manifesti che invitavano i nuovi arrivati a "conquistare" l'ovest. Per chi aveva dimestichezza con zappa e vanga, quella doveva essere la sua destinazione e la California la nuova "Mecca". La California da pochi anni (1850) era diventata il 31° stato dell'Unione e il governo in quei luoghi offriva nuove terre da coltivare anche ai migranti. Ognuno lì poteva avere il suo appezzamento da coltivare e da curare e questo faceva proprio al caso di Vincenzo, che da sempre lavorava i campi. Il caldo sole della California e un moderno sistema irriguo stava già rendendo questa nuova regione il massimo produttore agricolo di tutti gli Stati Uniti: agrumi, mele, pere, pesche, prugne, uva e pomodori, ma non solo, barbabietole da zucchero, cotone, riso, orzo e grandi allevamenti avevano reso
La California nel 1890
questa parte di mondo un vero e proprio Eden e anche il giovane gallicanese raggiunse questo paradiso terrestre. 

Però non sempre tutte le ciambelle riescono con il buco e forse la nostalgia dell'Italia, forse gli affari non andarono proprio come credeva, o chissà quale altro motivo, fattostà che nel 1889 Vincenzo tornò a Gallicano, ma non tornò a mani vuote, infatti nelle sue coltivazioni californiane apprezzò molto anche i nuovi ortaggi che  questa terra offriva e fra questi rimase completamente colpito dalla bontà di un fagiolo mai visto prima nella sua terra natia. Nel suo rientro in Italia volle quindi portare con se i suoi semi e così come un nuovo Colombo cercò di recare nella sua amata Garfagnana una nuova qualità di ortaggio che nessuno prima aveva mai apprezzato e conosciuto. Quello che è certo che la cosa sarebbe stata molto diversa da quello che accadde al navigatore genovese, che al suo ritorno fu accolto in terra di Spagna con tutti gli onori dai reali iberici, ringraziato e osannato anche proprio perchè aveva messo gli europei a conoscenza dei nuovi frutti del Nuovo Mondo. Il discorso per il Micheli era ben diverso, dato che vigeva negli Stati Uniti l'assoluto divieto di importare semi verso altri Paesi. Come fare allora? Quale sistema poteva escogitare? L'ingegno
fagiolo fico
garfagnino come si sa è sempre ben sviluppato e anche stavolta  ebbe la meglio su tutta la situazione. Lo stratagemma era ben congegnato  e così cinque semi di questi fagioli furono cuciti nel nastro di raso che contornava il suo cappello a falde. Il piano riuscì a meraviglia e una volta rientrato a Gallicano cominciò con curiosità ed apprensione la nuova coltivazione. Questa volta ogni speranza fu soddisfatta, la pianta cresceva molto vigorosa,forte e rampicante, questo baccello di colore verde accesso e questo fagiolo di misura medio piccola di colorazione bruna e con queste striature color vinaccia colpì l'attenzione di tutti gli altri gallicanesi, che a loro volta cominciarono la coltivazione di questo legume americano. Ma adesso bisognava dargli un nome, un nome che lo differisse da tutti gli altri... Si era notato che quando questo legume veniva lessato emanava nella cucina un gradevolissimo profumo di fico...ecco allora l'idea, il lampo di genio, l'intuizione, per tutti sarà conosciuto come fagiolo fico.

Non crediate che Vincenzo Micheli abbia reso un servizio da poco alla Valle del Serchio, portando clandestinamente questo fagiolo in Garfagnana. Oggi il fagiolo fico proprio per la sua unicità non essendo presente in nessuna altra parte dell'Italia è stato iscritto da alcuni anni nell'albo regionale sulla tutela e conservazione delle varietà locali con la denominazione di "fagiolo fico di Gallicano" e conservato nella Banca Regionale del Germoplasma di Camporgiano. Questa "banca" rende (almeno questa
volta) a questa parola un significato positivo, (dopo le note vicende politiche), e ci fa dire un doveroso grazie ai "banchieri" di questa associazione, che non sono naturalmente banchieri nel vero senso della parola, ma sono dei cosiddetti "coltivatori custodi", che con le loro piantagioni riescono a coltivare tutti quei prodotti locali a rischio di estinzione. Molti di questi "coltivatori custodi" sono pensionati, lavoratori comuni, proprietari di aziende agricole che con il loro lavoro mantengono ancora in vita (oltre al fagiolo fico) molteplici altri prodotti della nostra terra come: il fagiolo giallorino, la patata rossa di Sulcina, il melo Casciano, il "formenton" ottofile, il granturco nano di Verni e tanti altri ancora.
Ah! Dimenticavo...Per gli amanti della buona cucina il fagiolo fico trova "la sua morte" con le mitiche "
"Fogacce Leve" e fagiolo fico
(foto tratta dal sito www.buffardello.it)
fogacce leve" gallicanesi...

e allora un grazie ancora a Vincenzo Micheli...il Cristoforo Colombo di Garfagnana.




Bibliografia:

  • "L'Aringo il giornale di Gallicano" Anno 2 n°5 Marzo 2016 "Il fagiolo fico di Gallicano" di Ivo Poli

Minatori e miniere. La loro storia e delle antiche miniere di ferro di Fornovolasco

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Fino a un po' di tempo fa se si voleva minacciare un uomo
Minatori nelle miniere di ferro
di Monteleone Spoleto

sfaccendato, che non s'impegnava sul lavoro, o si comportava in modo poco onesto, partiva il grido: - In miniera !!!- . Che cosa significava questa perentoria e secca minaccia? Andare a lavorare in miniera significava infilarsi in un un buco ogni mattina e rimanerci per dieci, dodici ore al giorno, significava picchiare sulle pietre con picconi o martelli, respirare polvere fino ad ammalarsi, oppure rischiare di morire per i numerosi crolli delle gallerie, in più quando si tornava a casa ogni sera ci si ritrovava coperti di polvere e terra e di conseguenza bisognava strofinarsi per un ora in una tinozza d'acqua, per poi la mattina dopo ripartire e ricominciare tutto da capo. Questa era la vita del minatore, che non vedeva mai la luce del sole, faticava come un animale, ma che doveva portare a casa (un misero) stipendio. Anche i garfagnini affrontarono questa vita.
In Garfagnana abbiamo poca conoscenza dell'esistenza di miniere, conosciamo il durissimo lavoro dei cavatori di marmo, ma abbiamo dimenticato che anche nella nostra valle esistevano miniere, per la precisione miniere di ferro. Il primo centro siderurgico della Garfagnana ebbe la sua nascita a Fornovolasco, l'origine del paesino vide la luce verso la fine del 1200, grazie proprio a queste miniere e dai forni che servivano per fondere il ferro. Leggenda, o verità, bene non si sa, narra che un certo conte Volaschio, mastro fusore, proveniente dal bresciano fosse a capo di una squadra di uomini dediti a questo mestiere, che trovarono proprio in queste terre ampie aree boschive per alimentare i forni fusori, insieme alle
Fornovolasco
(foto tratta da Daniele Saisi blog)

ottime acque della Turrite fondamentali per forgiare il metallo e azionare i mantici che soffiavano aria nei forno. Già a quel tempo, figuriamoci un po', tale industria era già fiorente, infatti da un registro del 1308 si apprende da un certo Ser Filippo, notaio in Camaiore,  dell'esistenza di due prospere fabbriche appartenenti a un certo Coluccio di Giacomino e a Fulcerio, proprietario insieme al fratello Guido detto "il Passera", questo ci dice che era già passato il tempo in cui il lavoro era sostanzialmente artigianale e se si vuole anche un po' domestico e una certa tecnologia all'avanguardia era più che mai presente a Fornovolasco. Altro fattore determinante per il loro sviluppo era anche la posizione geografica di queste miniere, la vicina "strada" che collegava con la Versilia permetteva l'approvvigionamento di altro materiale proveniente dall'Isola d'Elba e lo smercio dei prodotti finiti verso diversi mercati. Ma un conto era la già dura attività lavorativa davanti ad un forno, ma un altra cosa era la vita di miniera. La prima miniera del luogo fu la miniera di "Monticello-Le
Quello che rimane oggi
della Miniera Monticello Le Pose
(Foto tratta da Speleoclub Garfagnana C.A.I)

Pose" e qui la vita era veramente al limite dell'umano. Si scavavano piccole gallerie, poco profonde che costringevano questi poveri uomini a lavorare in ginocchio o sdraiati, indicatissimi per questi lavori erano i bambini, spesso orfani o gli stessi figli dei minatori che già a sei-sette anni d'età erano mandati per gli stretti meandri delle grotte in esplorazione alla ricerca di vene di ferro, molti morivano a causa del freddo o per essersi persi durante queste spedizioni, per di più la luce fioca per mezzo di torce fatte con legni resinosi non durava molto e rendeva l'aria irrespirabile. Agli inizi del 1400 il primo giacimento di "Monticello-Le Pose" si dimostrava insufficiente a coprire il fabbisogno delle attività siderurgiche, si cercarono nuovi giacimenti nelle zone vicine, fino a che si scoprì un nuovo sito detto "Le Bugie" in località Trimpello, fu un vero colpo di fortuna , queste miniere alimentarono l'attività mineraria fin quasi ai giorni nostri. La spinta decisiva a questa industria si ebbe nel 1430 quando Fornovolasco passò dal dominio lucchese a quello modenese. Grandi progetti aveva per questi luoghi il duca estense Ercole I, che venne personalmente a visitare queste siti e in
Ercole I d'Este
colui che incentivò le miniere
di Fornovolasco
particolare il sito delle "Bugie". Le intenzioni del duca erano serie, voleva rompere il monopolio della lavorazione del ferro delle valli lombarde e cosa più importante voleva rinnovare completamente le munizioni dell'artiglieria modenese con l'intenzione di sostituire le pietre da bombarda con palle metalliche, per questo scopo furono chiamati (ecco quando la verità storica abbraccia la leggenda) mastri forgiatori dalle valli bresciane e bergamasche. L'incarico di portare nuove innovazioni nelle strutture e nelle tecniche estrattive fu dato a mastro Iacomo Tacchetti da Gerla di Valtellina, ambito dalle signorie di mezza Italia. L'aumento di lavoro in questa miniera, è bene dirlo, portò da una parte indubbi vantaggi economici, ma dall'altra aumentò maggiormente lo sfruttamento dei lavoratori. Le miniere infatti appartenevano al Ducato che comprava per pochi soldi il ferro estratto dai minatori di Fornovolasco e come se non bastasse, concedendo le licenze di scavo nei territori ducali, pretendeva nuovamente altri soldi per il pagamento dei diritti di escavazione. Questa situazione portò ad un periodo nefasto, per guadagnare ancora di più la gente cominciò a scavare in maniera disordinata, si aprivano cunicoli, gallerie, piccoli anfratti in ogni dove, provocando frane in tutto il sito, frane che causarono vittime su vittime, questo avrebbe compromesso anche lo stesso sito,  ma prima che la situazione sfuggisse di mano lo stesso duca corse ai ripari, chiamando ancora
Sito minerario delle "Bugie" oggi
(foto tratta Speleoclub Garfagnana C.A.I)
nuovi mastri che regolamentassero gli scavi e che mettessero in sicurezza le gallerie. Insomma a quanto pareva (industrialmente parlando) tutto andava a gonfie vele, nella zona agli inizi del 1500 si potevano già contare tre ferriere esistenti a Fornovolasco, alle quali si aggiunse un forno ducale e anche una fabbrica per la lavorazione del ferro a valle del paese. Oscuri presagi però si affacciavano all'orizzonte... Se da una parte si raggiunsero picchi produttivi che neanche le valli lombarde avevano mai raggiunto, dall'altra invece non si riusciva a dare una certa continuità alla produzione, per due motivi: la scarsità di materiale dentro le miniere e quello che preoccupava di più era la penuria di combustibile, i boschi nelle vicinanze che fornivano legna per i forni ormai erano tutti diradati, le montagne quasi tutte "pelate" e questo fu la causa maggiore che portò al progressivo declino di Fornovolasco. Ma intanto c'era ancora spazio per la gloria, al tempo rimase nella memoria di tutti la visita alle miniere di Sua Eccellenza Illustrissima il Governatore della Garfagnana messer Ludovico Ariosto, che di quella visita scrisse:


Lo scoglio, ove il sospetto fa soggiorno,
alto dal mare da seicento braccia, e ruinose balze cinte intorno,
Ludovico Ariosto
governatore di Garfagnana

e da ogni parte il cader moinaccia:
il più stretto sentier, che guida al Forno, 
la dove il Garfagnin il ferro caccia

Diciamo che la visita dell'Ariosto chiuse per sempre un periodo pieno di speranze e illusioni. Nei secoli a venire si alternarono periodi di fiducia e di altrettanto sconforto. Nel 1636 gli Estensi diedero il via ad un nuovo progetto in Trombacco(a tre km da Fornovolasco) attivando uno nuovo scavo per una nuova miniera che sembrava foriera di nuove prospettiva. In realtà il materiale era scarso e l'attività quindi durò circa dieci anni. Nel 1702 sul sito minerario delle "Bugie" venne usata una nuova tecnica di scavo: la polvere da sparo, questa innovazione che in un colpo solo faceva il lavoro di cento uomini portò alla riattivazione delle miniere(che già erano state chiuse negli anni precedenti) e dei forni di Trombacco e Fornovolasco, ma dopo pochi anni il filone si esaurì, bisognò ricorrere di nuovo al ferro dell'Isola d'Elba.
Il 1800 portò poi una sostanziale novità, cessarono tutte quelle licenze a persona che negli anni portarono alla morte di molte
Palazzo Roni a Vergemoli
La famiglia del monopolio
del ferro di Fornovolasco
persone, era cominciata l'epoca delle rivoluzioni industriali, sparirono così i piccoli cavatori "ad uso familiare" e subentrarono gli imprenditori. In questa ottica già negli anni precedenti la famiglia Roni di Vergemoli aveva capito da quale parte stava andando il mondo, riuscendo ad accaparrarsi il monopolio delle miniere di ferro, ma i tempi belli come detto erano passati. Oramai Fornovolasco per le insufficienti vie di comunicazione e l'affermarsi di nuove tecnologie non riuscì più a stare al passo con i tempi. Comunque non si volle "mollare l'osso" e altri tentativi furono ancora fatti. Si ritentò ancora di estrarre nel martoriato sito delle "Bugie". Insigni geologi ed esimi ingegneri elaborarono un piano a dir poco ambizioso che prevedeva la riapertura delle gallerie e il trasporto del minerale attraverso una funivia che portava direttamente a Gallicano, dove (nel progetto) sarebbe giunto un troncone della ferrovia...Le intenzioni erano ottime, ma i risultati però non furono all'altezza. Di li in poi fu un continuo "tentar di levare il sangue dalle rape". Negli anni si susseguirono industrie come la Calceramica insieme alla Montecatini (1913), poi nonostante un periodo di estrazione piuttosto intenso le miniere passarono nel 1950 alla Desideri e Severi di Colle Val d'Elsa, dal 1952 al 1972 subentrò l'IMSA di Roma e infine nel 1973 l'EDEM, anch'essa di Roma che dopo vari tentativi di convertire
Oggi le miniere di Fornovolasco
si presentano così
(Foto tratta da Speleoclub Garfagnana C.A.I)
produzioni e altri esperimenti similari decise di chiudere per sempre tutto e le miniere vennero definitivamente abbandonate.

Quello che rimane di questa storia non sono le miniere e nemmeno la loro interessante storia, quello che rimane di questo articolo sono quelli che Charles Dickens definiva "i perseguitati dell'inferno": i minatori. Una vita breve ed intensissima. La maggior parte di loro non raggiungeva i cinquant'anni d'età, morti di lavoro a causa dei crolli e di intossicazioni polmonari. La loro morte nella comunità non destava nemmeno stupore, era la
Bambini minatori
in Pennsilvanya (U.S.A)
normalità. Insieme a loro (come abbiamo letto) i bambini, usati come cavie da esplorazione, la maggior parte di loro si perdeva nei cunicoli delle grotte, non riusciva più a far ritorno alla luce, morti al buio, di freddo e di fame. A tutti loro va il nostro pensiero...





Bibliografia

  • "Le miniere di Fornovolasco" a cura dell'Associazione Buffarello Team
  • "Breve storia del lavoro in miniera" Mursia 1973  

"Il risotto romagnolesco". Una singolare ricetta (in versi) di Giovanni Pascoli del 1905

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Mangiare piace un po' a tutti, è inutile negarlo. Ma da qualche
il risotto romagnolesco e il Pascoli
(foto tratta da leitv.it)

tempo, a quanto pare, ci piace più del solito. Per rendersene conto basta accendere la T.V, l'habitat naturale della nuova tendenza, il posto in cui il cibo ha mutato nome, assumendo il termine assai fashion di "food", dove i cuochi sono diventate delle vere e proprie stelle e la cultura del "mangiar bene" (a mio avviso) ha preso un'inclinazione un po' troppo sofisticata, tralasciando di fatto quella che è la consolidata tradizione dell'ottima cucina italiana, ciò ha creato quelli che oggi vengono chiamati "i gastrofighetti", cioè tutte quelle persone che sono diventate nel tempo dei radical chic del cibo, in pratica dei modaioli che seguono le tendenze del momento snobbando la cosiddetta cucina tipica, genuina, fatta come un tempo. 
"Il mio ingrediente segreto è la memoria. E' l'ingrediente che più di ogni altro caratterizza la mia concezione di cucina, non manca mai nei miei piatti. Ognuno dei miei piatti contiene sempre un pizzico di ricordi", così lo chef Pino Cuttai definisce la sua cucina, una cucina della memoria che vuole sempre raccontare una storia personale e collettiva allo stesso tempo. 
Proprio quello che cercò di fare Giovanni Pascoli dalla sua casa di Castelvecchio, scrivendo ad un caro amico una ricetta "romagnolesca", della sua terra, da provare e da far conoscere. La sua è una storia tutta particolare e fa riferimento ad un prelibato risotto: "...ecco il risotto romagnolesco che mi fa Mariù" (n.d.r: l'amata sorella). La
Mariù Pascoli
caratteristica principale di questa bontà è di essere stata scritta in versi, attraverso una curiosa sfida letteraria sui risotti, disputata contro l'amico Augusto. Augusto Guido Bianchi  era un cronista de "Il Corriere della Sera" con cui il Pascoli negli anni ebbe un lungo carteggio. Siamo nel 1905 e Bianchi racconta: "Una sera a Pisa, io gli parlai, durante un pranzo improvvisato in casa sua, del risotto alla milanese, che a lui pareva, con quel suo color di zafferano, una preparazione alchimistica. Gli promisi di inviargli la ricetta per farlo. E la promessa la mantenni. Dio me lo perdoni, come il Pascoli me lo perdonò, cercando di nobiltare la ricetta scritta da mia moglie con il tradurla nei seguenti versi...", e così il giornalista comincia a descrivere a mo' di poesia il delizioso risotto allo zafferano. La risposta del Pascoli non tardò  a venire e in una "singolar tenzone" a colpi di scodelle, cipolle e...versi, ecco la replica del poeta con una nuova ricetta, quasi inedita, in cui non manca lo zafferano ma che si arricchisce di nuovi sapori e profumi. Nelle prime righe della "poesia-ricetta" il Pascoli non manca di criticare bonariamente il giornalista milanese su delle mere questione di stile, "accusandolo" di aver utilizzato troppe volte il tempo futuro (tu farai, tu vorrai, tu saprai) per la sua poesia, e poi finalmente ecco declamare la sua ricetta:



Amico, ho letto il tuo risotto in …ai!
E’ buono assai, soltanto un po’ futuro,
con quei tuoi “tu farai, vorrai, saprai”!
Questo, del mio paese, è più sicuro
perché presente. Ella ha tritato un poco
di cipolline in un tegame puro.
V’ha messo il burro del color di croco
e zafferano (è di Milano!): a lungo
quindi ha lasciato il suo cibrèo sul fuoco.
Tu mi dirai:”Burro e cipolle?”. Aggiungo
Il risotto del Pascoli
(foto tratta da Massaie Moderne)
che v’era ancora qualche fegatino
di pollo, qualche buzzo, qualche fungo.
Che buon odor veniva dal camino!
Io già sentiva un poco di ristoro,
dopo il mio greco, dopo il mio latino!


Poi v’ha spremuto qualche  pomodoro;
ha lasciato covare chiotto chiotto
in fin c’ha preso un chiaro color d’oro.

Soltanto allora ella v’ha dentro cotto
Il riso crudo, come dici tu.
Già suona mezzogiorno…ecco il risotto
romagnolesco che mi fa Mariù.
I provetti cuochi nostrani, oltre che avermi fatto una parafrasi di questa ricetta mi hanno anche cucinato questo risotto e garantisco sulla bontà, comunque sia bando ai versi questa è la
Giovanni Pascoli nel suo orto di Castelvecchio
preparazione. Il dosaggio degli ingredienti tanto per essere chiari è fatto ad occhio, la ricetta originale non contempla dosi, d'altronde poi questa era l'abitudine delle nostre nonne quando cucinavano, in ogni modo va fatto soffriggere un po' di cipolla con il burro, poi vanno aggiunti i fegatini di pollo, lo zafferano, qualche fungo (nel mio caso pioppini) e dopo qualche minuto la passata di pomodoro e la giusta presa di sale. Tutto poi deve cuocere per benino, dopodiché  "lo spirito pascoliano" ha sospinto il cuoco a buttarci dentro il riso, che ha diligentemente portato a cottura, aggiungendo del brodo caldo all'occorrenza.
E pensare che di questa eccentrica poesia era stata persa ogni
La pubblicazione del 1930 del risotto romagnolo
traccia, fino al giugno 1930 quando "L'Almanacco gastronomico di Jarro"(n.d.r: vecchio testo di gastronomia italiana) la ripropose al grande pubblico. In quell'anno infatti nella prima pagina della rivista si trovavano ogni mese delle ricette in forma di poesia, firmate da illustri poeti, così si poteva trovare il risotto patrio di Emilio Gadda o il risotto alle rose di Gabriele D'annunzio.
Sensazioni antiche e sapori della nostra terra, così come poi erano
La cucina di casa Pascoli a Castelvecchio
fatte le vecchie ricette. Se chiudo gli occhi mi sembra di vederla Mariù nella vecchia cucina di Castelvecchio Pascoli che prepara questa squisitezza, doveva essere una cuoca eccellente. Mi sembra di sentire il gradevole profumo del risotto sprigionarsi nelle stanze della sua casa. Immaginate che piacere per il poeta sentirlo nell'aria dopo una mattinata di lavoro sui libri. Un occasione unica per tuffarsi in un'atmosfera tutta pascoliana.

Bibliografia:
  • "La cucina italiana- Giornale di gastronomia per le famiglie e i buongustai" 15 giugno 1930
  • "Giovanni Pascoli: la poesia del suo amatissimo risotto" Massaie Moderne archeologia culinaria

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Storia di un ponte: il ponte Attilio Vergai nel comune di Villa Collemandina, era il più alto d'Europa

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"La casa dei sette ponti"è un bellissimo libro di Mauro Corona, è
una favola moderna ambientata nelle valli dell'appennino tosco-emiliano, un libro particolare a metà strada fra "Il canto di Natale" di Dickens e la parabola biblica del figliol prodigo. Una frase su tutte mi ha colpito di questo scritto e mi è venuta alla memoria proprio quando mi accingevo a scrivere questo articolo: "I ponti uniscono separazioni, come una stretta di mano che unisce due persone. I ponti cuciono strappi, annullano vuoti, avvicinano lontananze". Proprio così, la funzione di un ponte è questa, simbolica e concreta allo stesso tempo ed quanto di mai più appropriato si può dire del ponte stradale più famoso di tutta la Garfagnana: il ponte Attilio Vergai che si trova sulla statale 48 nel comune di Villa Collemandina, tra i paesi di Magnano e Canigiano. Questo ponte è famoso essenzialmente per tre motivi: il primo motivo risale al 1933, quando fu inaugurato era il ponte più alto d'Europa, era ed è considerato tutt'oggi a detta di molti tecnici e storici un pregevole ed ardito esempio delle prime strutture realizzate in cemento armato in Toscana, la seconda ragione riguarda il personaggio a cui è dedicato, Attilio Vergai, eroe della resistenza e principale fautore della sua realizzazione, infine l'ultimo e triste ragione consiste che questo ponte è meta di poveri disperati che decidono di chiudere in maniera volontaria la propria vita gettandosi dai suoi 87 metri d'altezza. Analizziamo adesso però i primi due motivi principali, tralasciando il terzo per le sue infelici e private storie.
Il cartello informativo all'inizio del ponte parla chiaro:
"Ponte Avv. Attilio Vergai. Anno di costruzione 1932-1933. Lunghezza metri 160. Altezza m 83. Sviluppo arcate m 40 e m 60. Progettista Ing. Danusso politecnico Milano". 
Ma cominciamo dall'inizio. L'avvocato Attilio Vergai fu nominato podestà di Villa Collemandina nel lontano 1927. Era la persona più adatta per ricoprire il ruolo di primo cittadino di questa comunità, aveva da parte sua il titolo di avvocato per districarsi fra le mille burocrazie che anche una volta affliggevano il nostro Paese e in più aveva un amore sconfinato per la propria terra. Nella sua veste istituzionale volle così dare ai suoi compaesani un infrastruttura grandiosa degna delle più grandi città non solo d'Italia ma anche d'Europa: il ponte sopra il torrente Corfino, un viadotto a due arcate, alto nel suo massimo 87 metri e costruito a ben 800 metri d'altitudine nelle impervie strade della Garfagnana. Era un'ossessione per il buon avvocato Attilio questa opera, in cuor suo credeva molto in questo progetto tanto da coinvolgere i corfinesi emigrati all'estero per finanziarlo, grazie al loro contributo si potè raggiungere una cifra ragguardevole per l'epoca: oltre duecentomila lire. Il sogno ormai stava per concretizzarsi, i lavori cominciarono così nel 1932. 
Dopo aver letto queste righe quello che per i cari lettori può sembrare un ponte voluto quasi per capriccio dal Vergai aveva invece solide motivazioni per essere costruito e tali motivazioni nacquero qualche anno prima quando nel primo decennio del 1900 fu (quasi) costruita la strada di collegamento fra Villa Collemandina e la frazione di Corfino. Sfortuna volle purtroppo che l'impresario edile  addetto alla realizzazione della strada morì, il fatto compromise i lavori e lasciò di fatto incompiuta la nuova via di comunicazione. 
Il terribile terremoto del 1920 che devastò la Garfagnana e in particolar modo proprio quei paesi dette però l'imput al suo
completamento e nel 1921 i lavori ripresero, si evidenziò fortemente la necessità di velocizzare i soccorsi in caso di un futuro sisma, difatti in precedenza gli aiuti giunsero clamorosamente in ritardo proprio a causa delle accidentate strade. L'amministrazione comunale affidò allora l'opera all'ingegner Aldo Giovannini che doveva studiare l'ultimazione della strada e la maniera più economica  per realizzarla. Dopo aver messo sul tavolo varie possibilità venne scelta la soluzione che prevedeva un lungo e alto ponte, ciò avrebbe anche valorizzato l'intera area in tutti i suoi aspetti. I piani strutturali di questo ponte furono molteplici, un progetto per esempio comportava la sua realizzazione in due arcate di 30 metri ciascuna, in cemento armato, con una pila centrale alta 33 metri, la pendenza e il fattore  puramente estetico di questo proposito fu bollata dagli ingegneri  come "scempio del paesaggio". Con buona pace di tutti finalmente il progetto venne definitivamente assegnato all'ingegner Arturo Danusso, i lavori ebbero così fine con la sua inaugurazione il 7 luglio del 1933 e le cronache dell'epoca così la definirono: "Ciò che pareva irrealizzabile e ora realtà e sull'abisso si curva agile ed elegante l'arco che sembra tracciato da una mano onnipotente con una facilità e con una leggerezza veramente fantastica".
La gioia per il suo principale sostenitore Attilio Vergai era immensa, finalmente aveva potuto regalare alla sua terra un'opera
Attilio Vergai

che anche lui sapeva che sarebbe durata per sempre. I momenti felici però  presto cesseranno per Attilio, due mesi più tardi da quel bellissimo giorno terminò il suo mandato di podestà e cominciò a lavorare a Castelnuovo Garfagnana nella filiale della Cassa di Risparmio di Lucca. Arrivò anche lo scoppio della II guerra mondiale e lui si contraddistinse subito come un fervente anti fascista, tanto che dopo l'otto settembre 1943 entrò in contatto con i primi partigiani garfagnini attivi in Campaiana aiutandoli nell'attività di sostegno ad ufficiali inglesi fuggiti dai campi di prigionia. Nel 1944 accadde il fattaccio, quando si oppose alle Brigate Nere che volevano i soldi custoditi dentro la banca di cui lui era il direttore, nella notte infatti modificò la combinazione della cassaforte e prelevò il denaro che inviò tramite una staffetta alla direzione di Lucca, città che già era stata liberata dagli americani. Ormai era entrato di fatto nella lista nera dei fascisti e il 27 febbraio 1945 fu catturato a Corfino e fu accusato di attività spionistica e favoreggiamento alla diserzione militare, dato che nell'anno precedente si era fortemente esposto aiutando alcuni giovani compaesani a non rispondere alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale. Fu trasferito dunque nel carcere di Camporgiano dove fu brutalmente maltrattato, gli venne addirittura promessa la libertà in caso di
confessione, ebbe anche l'opportunità di fuggire ma non lo fece per paura di ripercussioni sulla sua famiglia. Un mese dopo la sua cattura Il 27 marzo 1945 comincia il mistero sulla morte di Attilio Vergai. Di prima mattina fu prelevato da Camporgiano e fu condotto in prigione a La Spezia, questa fu l'ultima volta che fu visto vivo. Il corpo di Attilio non fece mai più ritorno a casa, all'epoca si fecero alcune ipotesi sulla sua morte, la più probabile rimane quella che in una successiva traduzione carceraria da La Spezia a Genova via mare, la nave che trasportava Attilio fu attaccata da aerei anglo americani, nel corso del bombardamento si presume che l'imbarcazione affondò e gli uomini a bordo uccisi...

Nel 1952 il magnifico ponte gli fu giustamente intitolato.


Bibliografia

  • "Mediavalle e Garfagnana tra antifascismo, guerra e resistenza" di Feliciano Bechelli edito Pezzini editore 2016
  • Pietre della memoria, il segno della storia

I terremoti dimenticati della Garfagnana. Una tragica cronistoria lunga 600 anni

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La paura è sempre la solita, tremenda, paralizzante. Le ante
Il terremoto del 1920 in Garfagnana
(foto collezione Silvio Fioravanti)
dell'armadio iniziano a tremare, il tavolo le segue, l'incredulità è mescolata con la realtà, poi ti rendi conto...il terremoto!!!..., un urlo strozzato cerca di coprire quella specie di rombo angosciante, nonostante tutte le raccomandazioni del caso dimentico tutte le buone norme...dovrei buttarmi sotto la scrivania? No! Volo le scale a grandi passi, esorto tutti ad uscire, la gente è già in strada, i bambini corrono, e gli adulti hanno le mani nei capelli per lo spavento...eppure in questi attimi la più temeraria di tutti era sempre lei...la nonna. Lei aveva affrontato insieme a due bimbe piccole i bombardamenti del '44 in Garfagnana, aveva visto il paese distrutto e aveva vissuto sulla sua pelle anche il devastante terremoto del 1920. Si, proprio quel terremoto. Ormai per noi garfagnini quel sisma è quasi entrato di diritto nella leggenda popolare, ogni volta che la nostra terra viene colpita dal più piccolo tremolio la mente va sempre a quel maledetto 7 settembre 1920 e ai suoi 171 morti. I nostri nonni hanno tramandato da padre in figlio la memoria di quei terribili giorni, ognuno nella propria casa ha storie ed aneddoti legati a quel terremoto, tutti questi ricordi lo hanno fatto entrare nell'immaginario collettivo solo ed esclusivamente come "il terremoto", come se prima non ce ne fossero stati altri di così forti e potenti, eppure non è così, la lista dei terremoti garfagnini non si ferma a quel 1920, l'elenco di distruttivi terremoti è documentata sin dal XV secolo. Infatti era il 7 maggio del 1481 quando si ha la prima testimonianza di un sisma di grande entità. L'epicentro di quel secolare terremoto fu
il terremoto visto nel 1500
localizzato nell'Alta Lunigiana e fu percepito distintamente fimo a Lucca, Massa e i paesi circostanti. All'epoca la Lunigiana era annessa alla Repubblica di Firenze governata da Lorenzo Il Magnifico e grazie ai precisi riferimenti dei messaggeri medicei, oggi si può stabilire in base ai loro scritti sui danni causati alle abitazione e alle cose una probabile magnitudo di quel sisma che si dovrebbe aggirare intorno al 5.6, pari all'VIII° della scala Mercalli. Si racconta che nel borgo di Fivizzano crollarono diciassette case, oltre duecento fabbricati subirono gravi danni ai solai, ai tetti e ai muri, purtroppo vi furono anche delle vittime non quantificate con precisione ma con ogni probabilità potrebbero essere state comunque di più se non fosse che alcuni mesi prima (addirittura i cronisti del tempo parlano di  febbraio) scosse premonitrici avevano già messo in allarme tutta la popolazione. Della Garfagnana non si fa alcun cenno particolare, ma con sicurezza possiamo dire che i danni alle persone e alle case furono ingenti, di pari portata sicuramente agli accadimenti avvenuti nella vicinissima Lunigiana. Rimanendo su questo tema in effetti c'è un dato a dir poco curioso che riporta sia il Dipartimento di Protezione Civile e poi anche Claudio Vastano nel suo bel libro "Garfagnana la valle dei terremoti" sul fatto che non si hanno notizie più antiche e documentate (come appunto nel caso del sisma del 1481) riguardo ai terremoti in Garfagnana. Il motivo è da ricercarsi in due fattori: il primo è da ricondurre alla scarsa importanza che aveva la nostra valle, difatti non erano presenti nè grandi centri economici nè culturali e di quella vallata incastonata fra Appennini e Apuane non importava quasi niente a nessuno, quasi però...se è vero come è vero che l'altro fattore è da ricercarsi nell'importanza strategica e militare che aveva la Garfagnana per gli Estensi(n.d.r: la famiglia che governava la zona), con ogni probabilità erano proprio gli stessi funzionari locali a nascondere le notizie riguardanti catastrofici eventi naturali (proprio come terremoti e alluvioni), perchè si aveva timore che eventuali nemici avrebbero potuto sfruttare la situazione di crisi per assaltare la valle ed estendere così i propri possedimenti.

A confermare questo è la data del successivo sisma che risale (così dicono le cronache) all'8-10 giugno 1641, le scosse furono avvertite nell'intera Lunigiana e Garfagnana e sopratutto la zona più colpita fu l'abitato di Pontremoli. La documentazione in questo caso è molto lacunosa, le fonti addirittura non riescono nemmeno a stabilire il
Le faglie attive presenti da
secoli in Garfagnana
giorno preciso della sciagura e ciò potrebbe far pensare ad una scossa principale seguita da forti repliche per almeno altri due giorni, inoltre non si hanno notizie specifiche dei danni.

Un altro fatto da sottolineare è che dai dati presenti in archivi storici si passa a momenti di intensa attività sismica a momenti di calma assoluta. Una tesi a riguardo sostenuta dagli esperti dice che tali periodi potrebbero essere effettivamente dovuti a un rallentamento dei movimenti geodinamici del sottosuolo (parolone degli esperti...non mie!) ma è anche possibile che vi siano ancora delle omissioni nei documenti. A prova di tutto questo eccoci allora di fronte a un salto temporale di cento anni e ritroviamo notizia di un forte terremoto nell'anno 1740. A proposito, il 1700 sarà il cosiddetto "saeculum horribilis" ("il secolo orribile") per quanto riguarda i terremoti in Garfagnana, saranno ben tre quelli violenti che colpiranno la valle. Il primo come detto correva l'anno 1740, era il 6 marzo quando il sisma colpì sopratutto la Garfagnana, l'area dei danni si estese a parte della Versilia e all'appennino modenese. I forti danni subiti appartenevano a stati diversi e sono documentati negli archivi estensi, lucchesi e fiorentini (così come era divisa politicamente la zona). Uno dei centri più danneggiati fu Barga dove si contarono tre morti, in più crollarono diverse case e molte furono danneggiate, si può calcolare che questo sisma sia stato dell'VII° della scale Mercalli e di magnitudo 5,2. Passano solo sei anni e il 23 luglio 1746 la paura torna a fare la padrona con un'altro terremoto dell'VII° scala Mercalli magnitudo 5,1. I paesi più danneggiati furono ancora Barga e Castelnuovo, la sequenza iniziò il 9 luglio e continuò fino ad ottobre, la gente si trasferì in campagna e costruì baracche. Arrivò così anche il 21 gennaio 1767, questo terremoto causò i suoi danni più gravi a Fivizzano dove ci furono gravi lesioni alle abitazioni, agli uffici pubblici e alle chiese. Eravamo in periodo di carnevale, vennero sospesi tutti i festeggiamenti, sostituiti da lunghe veglie di preghiera, stavolta questo sisma fu il maggiore per intensità di tutto il secolo, si toccò il VII° della scala Mercalli ma il suo magnitudo fu di 5,4.
Questo invece è il terremoto dei nonni dei nostri nonni e questo fu veramente catastrofico, era l'11 aprile del 1837, l'origine del
Campo di residenza provvisorio per gli
abitanti di Villa Collemandina 1920
(foto collezione Silvio Fioravanti)
sisma si può ricercare nelle viscere delle Alpi Apuane, la sua potenza si scatenò sulla superficie terrestre e arrivò al IX° Mercalli magnitudo 5,8. Il sisma prese nella parte nord-orientale delle Apuane sul confine fra Garfagnana e Lunigiana, la scossa causò gravi danni nei territori di Minucciano (dove morirono in tre) e Fivizzano. Il borgo di Ugliancaldo fu raso al suolo, qui i decessi furono cinque e diciotto i feriti. I rispettivi governi mandarono i tecnici a fare rilevamenti, vennero stanziati aiuti finanziari ed esenzione dalle tasse per i paesi colpiti.

Eccoci infine ai "giorni dell'apocalisse" che tutti conosciamo e di cui abbiamo sempre sentito raccontare. Era il 7 settembre 1920, la scossa (X° Mercalli magnitudo 6,5) interessò un area di oltre 160 chilometri quadrati, fu avvertita a Genova, Reggio Emilia, Pisa e anche a Milano, i morti furono ben 171, i feriti 650, migliaia di persone senza casa. Le scosse di assestamento durarono fino all'agosto del 1921 (per saperne di più leggi http://paolomarzi.blogspot.it/2014/09/7-settembre-1920-il-grande-terremoto-i.html) .
Così da secoli in Garfagnana viviamo con questa spada di Damocle sulla testa e  con l'angoscia di sentire che c'è qualcosa di più
Il biglietto della lotteria in
sostegno delle popolazioni colpite
della Garfagnana 1920
grande di noi: la natura che ha il potere di distruggere e di creare.




Bibliografia

  • Sismicità storica in Garfagnana- Dipartimento della Protezione Civile
  • "Garfagnana la valle dei terremoti" di Claudio Vastano Garfagnana editrice

Garfagnana e "Anni di Piombo": 1974-1979. Quando la valle era rifugio e centro di addestramento per tutto il terrorismo italiano

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Quarant'anni esatti sono trascorsi da quando il terrorismo in Italia
Aldo Moro a Castelnuovo Garfagnana,
affacciato dalla Rocca Ariostesca (1967)
toccò il suo apice con l'assassinio del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Fu un periodo storico terribile, secondo solamente ai tragici anni del secondo conflitto mondiale. Questa epoca è meglio conosciuta sotto il nome di "anni di piombo", con questo termine si è soliti intendere quel periodo di storia italiana segnato da una escalation di terrorismo e lotta armata da parte di gruppi eversivi politicizzati, tale appellativo prende curiosamente la sua origine da un film del 1981  diretto da Margarethe Von Trotta, intitolato proprio "Anni di Piombo", che trattava appunto l'esperienza storica molto simile vissuta al tempo in Germania Ovest. Furono anni tremendi, che sparsero un'onda di terrore e di sangue nel nostro Paese fra il 1968 e i primi anni '80. Tutto nacque dal veloce sviluppo economico nazionale, che riuscì ad
Il manifesto del film
"Anni di Piombo"
aumentare ancor di più le differenze sociali, nel contempo a livello internazionale si era in piena "guerra fredda", uno scontro fra ideologia liberista U.S.A e comunismo sovietico, che divideva il mondo in d
ue blocchi contrapposti. In questa scia nacquero in Italia movimenti operai e studenteschi che lottavano per l'uguaglianza sociale, scontri fra fazioni opposte di estrema destra e estrema sinistra sfociarono in attacchi terroristici per mezzo di bombe e armi da fuoco. Furono eventi luttuosi di portata storica inimmaginabile, alla polizia furono dati poteri speciali in difesa della stabilità della Repubblica, minacciata non solo dai terroristi, ma ancor di più da infiltrazioni varie, da spie americane, da servizi segreti deviati e criminalità organizzata, appositamente insinuate per perpetrare nell'animo della gente comune la cosiddetta "strategia della tensione". 
Nonostante tutto in quegli anni la Garfagnana sembrava lontana anni luce da quelle tremende stragi che sconvolsero un Paese intero. Tutto questo si svolgeva nelle grandi città e il viver quotidiano della valle risentiva marginalmente di queste tragedie...ma le indagini degli inquirenti che seguirono negli anni scoprirono un altro mondo, che nessuno si sarebbe mai immaginato. La Garfagnana fu indifferentemente per anni rifugio per terroristi di destra e di sinistra, centro di addestramento alla guerriglia e fu usata come base per pianificare gli attentati più efferati che colpirono la Nazione.
Infatti un doppio filo rosso e nero attraversava la nostra valle.
foto simbolo degli anni di piombo
Fra il 1974 e il 1979 la magistratura ha evidenziato fra interrogatori e intercettazioni varie che la Garfagnana fu terra di incontri e addestramento del terrorismo italiano, nonchè rifugio  e terra di latitanza per i maggiori esponenti dell'eversione armata. Quello che rende ancor di più inverosimile questa vicenda è che qui si incrociarono indifferentemente terrorismo rosso e nero, in ugual maniera di qui passarono gruppi neofascisti come Ordine Nuovo (colpevole anche della Strage di Piazza Fontana) e le Brigate Rosse (responsabili del sequestro Moro). Probabilmente i primi a ripararsi fra le impervie montagne garfagnine furono i gruppi neo fascisti che avevano alcuni esponenti di spicco proprio nella provincia di Lucca, per di più in Toscana operava la colonna armata legata a Mario Tuti. A queste indagini fra Garfagnana e terrorismo lavorò molto il Procuratore di Firenze Pierluigi Vigna(che le cronache anni dopo lo portarono alla ribalta nelle inchieste sul mostro di Firenze), ricerche fatte dal
Per Luigi Vigna magistrato
magistrato evidenziarono che l'esplosivo negli attentati del 1975(scoppio di una bomba sui binari della Firenze-Roma, un ordigno all'ispettorato agrario di Lucca e altri ancora)era nascosto in Garfagnana dalla fine del 1974, due quintali di questo esplosivo era stato trafugato ad Arezzo proprio dai "neri" lucchesi, ma non solo, nello stesso anno nella nostra pacifica e innocente terra fu convocato l'elite del terrorismo nero nazionale, fra i maggiori esponenti presenti c'era tale Clemente Graziani. Per render ancor più chiara la portata della situazione che si era creata guardiamo bene chi era Clemente Graziani. Clemente Graziani conobbe la Garfagnana da giovanissimo poichè vi aveva combattuto come volontario nelle file della Repubblica Sociale nella II guerra mondiale, nel 1951 tentò di affondare la nave scuola "Colombo", destinata dallo stato italiano all'Unione Sovietica come riparazione ai danni di guerra, negli anni seguenti fu protagonista di vari attentati dinamitardi per le strade della Capitale, fra cui quello al Ministero degli Esteri, nel 1973 entrò in latitanza e vi rimase fino al 1996 quando morì in Paraguay e sembra che proprio per ordine del Graziani stesso nel vertice "nero"garfagnino fu dato mandato di organizzare gli attentati ai treni, con molta probabilità la strage del treno
il treno italicus e i suoi morti
Italicus che costò ben 12 morti innocenti (nel tratto Firenze Bologna) nell' agosto 1974 fu concepita durante quegli incontri.La valle non fu però solo terra di incontri segreti, la morfologia del territorio si prestava anche ad eventuali latitanti, difatti la"primula nera" Mario Tuti dopo aver freddato due poliziotti sulla porta della sua abitazione di Empoli(24 gennaio 1975) si dette alla"macchia", fuggendo prima verso Lucca e poi in Garfagnana dove trovò ben presto rifugio e protezione, così la sua vita da umile impiegato si trasformò in quella di un pluri ergastolano (pena poi commutata in semi libertà nel 2013)

Come detto però non fu solo il terrorismo "nero" ad insinuarsi nel
mite viver quotidiano garfagnino, il terrorismo "rosso" fece sentire più che mai la sua presenza nel nostro territorio con il suo esponente maggiore, quel Mario Moretti che pianificò il rapimento e
Mario Moretti, pianifico il rapimento e
la morte di Aldo Moro
l'esecuzione di Aldo Moro, anche Barbara Balzerani(facente parte della colonna romana) come fu evidenziato nel processo di Firenze venne più volte in Garfagnana per riunirsi con altri brigatisti, come i lunigianesi Luisa Aluisini e Paolo Neri, i due avrebbero dato coordinamento logistico alle Brigate Rosse toscane. 

D'altronde i brigatisti di qualsiasi fazione fossero niente lasciavano al caso e per preparare i sanguinosi omicidi in quei violenti anni avevano bisogno di una certa preparazione all'uso delle armi e com'è risaputo (anche se niente di questo è supportato da tesi ufficiali) nella valle esistevano dei veri e propri campi di addestramento all'uso delle moderne armi da
la mitraglietta Skorpion
guerriglia e sopratutto al maneggio della rinomata mitraglietta Skorpion (750 colpi al minuto), usata specialmente dalle Brigate Rosse e poi tristemente nota per essere l'arma che giustiziò il presidente Moro.

Quel duro periodo storico all'inizio degli anni '80 si concluse e così come se niente fosse, tutto questo passò sopra la testa degli ignari garfagnini che al tempo niente
Il "Corriere della Sera" titolava così
il giorno dopo la strage di Piazza Fontana
sapevano. Quella triste epoca della storia della Repubblica Italiana però non trascorse invano, l'assassinio di Moro, la morte del commissario Calabresi, del sindacalista Guido Rossa, le stragi di Piazza Fontana, Piazza della Loggia e della stazione di Bologna, quel sangue versato dai fautori della violenza rivoluzionaria provocò un profondo mutamento nei giovani del tempo, che capirono che nonostante tutti quei morti i problemi della società non si erano risolti, comprendendo  una volta per tutte che la violenza non avrebbe portato a niente.







Bibliografia

  • "La Garfagnana tra brigate rosse e gruppi neofascisti durante gli anni di piombo" di Andrea Giannasi da "Il Giornale della Garfagnana" 2 febbraio 2017 

"Mamma" Viola. Storia di coraggio, umanità e guerra

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Ebbene no...c'è chi crede che le donne nella seconda guerra mondiale
trascorressero il loro tempo a casa, in paziente attesa dei valorosi compagni e a badare alla casa e ai figli. In realtà non è così, il numero di coloro che si sacrificarono per il bene comune è altissimo. C'era infatti chi raccoglieva abiti, cibo e altri generi di prima necessità, chi si occupava dei feriti e chi si avventurava in pericolosissime staffette partigiane trasportando ordini a destra e a manca, superando i temutissimi posti di blocco tedeschi. D'altronde la storia è piena di eroi, di eroine un po' meno. I nomi spesso si dimenticano, ma i sacrifici di quelle donne che si adoperarono per la liberazione del nostro Paese, quelli hanno lasciato il segno tutt'oggi. Fra queste, giunte alla notorietà (per le loro cariche istituzionali) ricordiamo Nilde Iotti (prima donna a ricoprire il ruolo di Presidente della Camera), dopo l'8 settembre '43 entrò nelle file partigiane o anche Tina Anselmi (prima donna ad aver ricoperto l'incarico di ministro della Repubblica
Italiana)decise di entrate a far parte della Resistenza dopo che aveva assistito da parte dei nazisti all'impiccagione di trentuno prigionieri, anche lei fu impiegata come "staffetta". Ad ogni modo i numeri dovrebbero parlare da se; secondo l'A.N.P.I (l'associazione dei partigiani d'Italia)le donne coinvolte nell'ultima guerra furono migliaia e migliaia: circa 35.000 mila furono quelle coinvolte direttamente nelle battaglie, 70.000 in gruppi di protesta e ben 11.000 quelle uccise o deportate. La maggioranza di tutte queste donne è stata dimenticata dalla storiografia e dalla memoria pubblica, solo negli ultimi anni abbiamo ripreso coscienza di rendergli dignità storica e parità politica ed è in questo contesto che anche la Garfagnana ha la sua eroina da ricordare, non sarà al livello delle sue illustri colleghe, ma anch'essa lasciò un segno tangibile nella storia della Resistenza garfagnina. Lei era Violante Bertoni, ma da tutti conosciuta come Mamma Viola. La sua storia rimane indimenticata e rimarrà fra gli episodi di guerra della valle uno dei più grandi atti di coraggio e solidarietà. Viola nacque alle pendici del Monte Rovaio (comune di Molazzana) il 10 aprile 1891, la sua famiglia da generazioni coltivava quelle terre nei pressi dell'Alpe di Sant'Antonio e anche lei nel corso della sua vita continuò la solita attività. A 17 anni sposa Francesco Mori da cui avrà otto figli. La vita contadina per Viola è dura e faticosa, ma gli anni che seguiranno saranno fra i più tremendi che la storia ricordi. La seconda guerra mondiale è cominciata da anni, ma in Garfagnana il 1943 è fra gli anni più tragici.Le montagne dove sorge l'abitazion
l'abitazione di Mamma Viola oggi
(foto escursioni apuane9
e della famiglia Mori è proprio nel bel mezzo della Linea Gotica, nella zona contesa da partigiani, alleati e tedeschi. La presenza di nazisti proprio in quella zona è numerosa, d'altronde li c'è uno snodo cruciale, strategico per le sorti della guerra e questo i partigiani lo sanno bene, tant'è che anche loro cominciano a presidiare la zona, convinti più che mai di poter difendere quel territorio dal nemico, grazie alla loro risolutezza. Sono circa una settantina i ragazzi che formeranno la formazione partigiana denominata "Gruppo Valanga"(leggi anche http://paolomarzi.blogspot.com/la-storia-del-gruppo-valanga-battaglie.html), si sono attestati nella frazione Trescale, dove abita proprio Mamma Viola. La risolutezza però a volte non basta e gli uomini del Gruppo Valanga presto si accorgono che da soli non ce l'avrebbero mai fatta, non solo da un punto di vista militare, ma manca il riparo e la sussistenza, è così che Viola, con l'aiuto del marito decide che le sue provviste, la sua casa, il fienile e le stalle sarebbero stati messi a disposizione di quei ragazzi. Viola e la sua famiglia sono ben consapevoli del rischio che corrono, qualora fossero scoperti dai tedeschi per lei e per i suoi cari non ci sarebbe scampo. Viene così anche il 1944, in quell'anno il Valanga ha subito diversi attacchi, ma tutto culmina con la famosa battaglia del Monte Rovaio (per saperne di più leggi http://paolomarzi.blogspot.com/agosto-1944settantanni-fa-la.html). In
Monte Rovaio
(foto escursioni apuane)
risposta ad un agguato da parte di un uomo del Gruppo Valanga ad una pattuglia di tedeschi, c'è la travolgente azione repressiva germanica che uccide ben 19 giovani della formazione partigiana, proprio una parte di quei ragazzi che accudisce Mamma Viola non c'è più. Alla rappresaglia fortunatamente scampano i civili a cui però vengono incendiate le case e le stalle e uccisi gli animali, medesima sorte tocca a Viola, la sua abitazione viene fatta saltare in aria con la dinamite, si salva solamente la "casetta del formaggio". I giorni successivi all'attacco l'intera famiglia Mori passa le notti nelle grotte vicine, ma il carattere forte di Viola non viene piegato nemmeno stavolta.

Pietro Petrocchi da membro del Gruppo Valanga conobbe Viola e così ne parlava: "Quante sofferenze, quanti disagi materiali e sopratutto morali! Ma non ho mai sentito dalle labbra di Viola una parola di recriminazione, di rimprovero: l'unico suo grande dolore fu la morte di tanti giovani patrioti, che accomunava nel ricordo e nel
Parte degli uomini del Gruppo Valanga
(foto tratta dal libro "L'ALTRA FACCIA DEL MITO"
di Valiensi-Petrocchi)
rimpianto ai suoi figli Luigi e Alfredo, per questo che Viola divenne più che mai per i superstiti del Gruppo Valanga la Mamma dell'Alpe". 

Infatti quello che smuove la coscienza della povera donna e che la convince più che mai a contribuire alla lotta per la Resistenza è la partenza del figlio Luigi per la guerra in Russia e l'ingresso dell'altro figlio Alfredo nelle brigate partigiane, i due ragazzi non faranno mai più ritorno fra le braccia della loro madre, il primo muore nel 1945 in Germania, mentre l'altro trova la morte sul Monte Forato calpestando una mina inesplosa. In quei ragazzi del Valanga rivedeva allora i suoi figli e pensava magari che anche per loro, da qualche parte ci sarebbe stata un'altra Mamma Viola, che come lei avrebbe dato loro un riparo, del cibo, che avrebbe diviso le provviste della propria famiglia senza pensare proprio come lei a quello che andava incontro. Petrocchi la descriveva  ancora come una donna schietta e di rude franchezza montanara, dietro il suo dolce aspetto si nascondeva una figura granitica.
L'esempio di Viola incoraggiò molte famiglie a schierarsi dalle
partigiani
parte dei partigiani.

Arriva così anche la fine della guerra e le gesta di questa donna della montagna arrivano in tutta la valle, le sue azioni protettrici e la grande umanità dimostrata nei confronti di quei giovani spinge lo Stato ad assegnarle la Medaglia d'oro al Valor civile, che lei rifiuta motivando il suo diniego con l'assenza dei figli morti, avrebbe preferito averli accanto a lei piuttosto che ricevere quel tributo. Negli anni successivi Viola si trasferisce a Cardoso di Stazzema e nel 1969 muore. Ma la storia non finisce qui. Nel 1981 il Presidente della Repubblica Sandro Pertini (anche lui partigiano) con l'appoggio della vice presidente della Camera Maria Eletta Martini decide di assegnare ai figli la medaglia al Valore per le azioni della loro mamma.
Ma non sono le medaglie che contano, quello che conta è il cuore, il
la piazza intitolata a Molazzana
cuore di una mamma, che dopo aver partorito otto figli, ne volle adottare altri settanta, e proprio come fa una vera madre mise a disposizione la sua vita per la sopravvivenza di quei ragazzi, per questo e per tutti è e rimarrà sempre la mamma dell'Alpe.





Bibliografia

  • Carla Guidi liceo Scientifico Michelangelo Forte dei MARMI
  • La Nazione 1 settembre 1981    

Così leggenda dice...la creazione delle Alpi Apuane

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"- Che sono quei monti?- chiesi molto incuriosito, quasi impaurito.
Alpi Apuane al tramonto
(foto di Cristoforo Ravera)

-Sono le Alpi Apuane- mi fu spiegato. Ammirai a lungo lo spettacolo inconsueto che mi faceva pensare, non so perchè alla creazione del mondo: terre ancora da plasmare che emergevano da un vuoto sconfinato, color incendio"
Questa fu l'impressione di Fosco Maraini (scrittore, fotografo e alpinista)quando alla fine degli anni '20 si trovò per la prima volta di fronte a tanta magnificenza, del resto qui trovò il suo ultimo "rifugio", quando a Pasquigliora (Molazzana) nel lontano 1975 acquistò una casa isolata nel cuore delle Apuane. Quella casa fu infatti l'ultimo suo amore, il suo universo, in quei monti trovava qualcosa di magico e ancestrale, una concordia di elementi, una natura benigna: "la rivelazione perenne e la montagna come Chiesa", difatti quassù, tra le Panie, si aveva proprio l'impressione che Dio c'avesse messo la mano. Anche la tradizione orale dei racconti narrati al fuoco da vecchi sapienti e saggi confermava questa tesi. Per creare tanta grandiosità e bellezza servì infatti un intervento divino.
Era l'inizio di tutto, quando "in principio Dio creò il cielo e la
Dalla Pania della Croce
(foto Paolo Marzi)
terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso..." (Genesi).

Durante la creazione del mondo il Signore affidò ai suoi arcangeli prediletti di fare meraviglie del suo Creato, a due di essi affidò il compito di innalzare a uno le Alpi e all'altro gli Appennini, mise a loro disposizione tutto il materiale necessario, granito, calcare, rena, quarzo, gesso, argilla e un'altro materiale a dir poco prezioso, unico per la sua bellezza, il suo colore era di un bianco accecante, era il marmo. Nostro Signore considerava talmente pregiata questa pietra che si raccomandò di usarla con parsimonia, un po' qui e un po' là. Una volta date le sue disposizioni Dio se ne andò e i due arcangeli di buona lena si misero a lavoro. Il primo si occupò di costituire la cerchia alpina e l'altro si premurò di rafforzare la penisola italiana con una dorsale, prendendosi quindi il compito di plasmare gli Appennini.Il primo arcangelo era molto creativo, pieno d'ingegno e per le Alpi creò pareti vertiginose, picchi scoscesi e guglie acuminate, il secondo aveva un estro più moderato e semplice e modellando gli Appennini cercò forme più sinuose, delicate e lineari. Il brioso
Roccandagia
(foto Paolo MARZI)
arcangelo delle Alpi lavorò con tanto impeto ed entusiasmo da finire assai presto la propria opera, tempo ne rimaneva ancora e decise così di andare a trovare il suo compagno, vide che questi aveva cominciato il suo lavoro dal basso dello stivale e su, su, piano, piano era arrivato al punto in cui le coste occidentali dell'Italia cominciano a curvare sul Golfo di Genova. Il materiale a sua disposizione cominciava comunque a scarseggiare:

-Ho paura che con quello che ti rimane non giungerai alla fine del tuo compito- disse l'arcangelo delle Alpi all'altro - Se vuoi un consiglio interrompi da questa parte e continua dove io ho finito le Alpi, proprio nel punto in cui ridiscendono verso il mare, dopodichè una volta uniti gli Appennini e le Alpi procederai fino qui con il materiale che rimane-. L'arcangelo degli Appennini accettò di buon grado il consiglio e caricandosi sulle spalle pietre, massi e rocce
Monte Croce
(foto Paolo Marzi)
si recò nel punto in cui terminano le Alpi Marittime, creando di fatto l'Appennino Ligure. Rimasto solo l'arcangelo "alpino" vide da una parte che il mucchio di marmi era quasi intatto:

-Quanto marmo !- esclamò- D'accordo  che Dio aveva detto di usarlo con cautela ma qui abbiamo esagerato- pensò fra se e se - bisogna rimediare in qualche maniera- Pensa che ti ripensa ebbe un'idea che lo entusiasmò - Ma perchè non usare questo marmo per creare una catena di monti tutta nuova?-
Ecco allora che la fantasia dell'arcangelo riprese vita, cominciò ad ammassare i marmi sul luogo dove il suo compagno aveva interrotto gli Appennini,fu un vero e proprio prodigio e diede forma a una
Monte Procinto
(foto Daniele Saisi)
schiera di monti le cui coste finivano quasi al mare. Che cosa stupefacente ad osservarla da lontano era una meraviglia: i marmi brillavano di luce propria e formavano creste, torrioni, canali, gole e rupi immense, ma quando tornò l'arcangelo degli Appennini il suo entusiasmo si smorzò: - Ma che hai combinato!? Adesso il Signore ci sgriderà per aver utilizzato tutto il marmo in un unico luogo- Il Signore difatti arrivò, osservò le Alpi e disse che "era cosa buona", ma arrivato sugli Appennini si fermò e si girò stupito e sbalordito verso quella piccola catena di montagne bianche come il latte che somigliamo così tanto alle Alpi: - Cosa ci fanno qui questi monti? E tutto questo marmo?- I due arcangeli avevano gli occhi bassi, erano confusi e dispiaciuti, ma il buon Dio fu comprensivo, ascoltò le ragioni dei suoi fidati e sorridendo benedì queste montagne dando così il suo assenso a tale portento,
Pizzo delle Saette sullo sfondo
(foto Paolo Marzi)
si raccomandò però solo per un'unica cosa, di nascondere quelle luccicanti vette: -Non voglio che l'uomo veda subito tutto quel marmo, coprite tutto con prati, boschi e selve. Gli uomini dovranno scoprirlo lentamente e dovranno lavorare sodo per estrarlo-.

L'ordine fu eseguito e fu così che per migliaia d'anni il marmo sotto queste montagne rimase invisibile, lo scoprirono i romani che per sconfiggere il popolo degli Apuani disboscò quei monti facendo venire così alla luce i primi marmi.
Fu così che quella piccola catena montuosa prese il nome dal fiero popolo apuano, ma non furono chiamati Appennini Apuani (come forse
Monte Forato
(foto Paolo Marzi)
geografia direbbe), ma bensì Alpi Apuane visto che il loro "architetto" era proprio lo stesso che aveva modellato le Alpi.




  • Tratta dalla tradizione orale locale

Un mistero del tempo ancora irrisolto: le statue a stele

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Vi ricordate di Obelix? Sicuramente si. Chi ha la mia età sopratutto
si rammenterà di quel fumetto su due irriducibili Galli, usciti dalla matita di Renè Goscinny e Albert Uderzo. Uno piccolo e biondo e l'altro grande e grosso. Ecco, quello grande e grosso era Obelix, la cui attività primaria era quella di malmenare romani, farne collezioni di elmi e divorarsi dei cinghiali arrosto interi. Oltre a quello, un'altra sua caratteristica era quella di trasportare sulle sue spalle giganteschi menhir. Menhir è una parola che deriva dall'antico bretone "maenhir", che significa pietra alta. Non solo in Gallia però si aveva l'uso di erigere queste enormi pietre, il loro impiego e la loro funzione è un mistero ancora oggi, così come sono un mistero le statue a stele(o statue menhir)rinvenute in piccola parte in Garfagnana e in buonissima parte in Lunigiana.
Ma cosa sono questi monoliti?
Come visto, tutti abbiamo in mente cosa siano questi menhir: pietre
Un vero menhir
verticali conficcate nel terreno migliaia di anni fa, esiste anche un'altra tipologia di menhir, dove su di esso sono scolpite forme umane (statue antropomorfe), ebbene le statue a stele sono una via di mezzo tra un menhir e una statua antropomorfa, infatti non

potevano reggersi da sole in piedi, poichè queste statue non hanno nè gambe nè piedi, di conseguenza anch'esse si dovevano conficcare nel terreno lasciando visibile solo la parte superiore. Questo fenomeno artistico singolare risale alla tarda preistoria e per meglio datare e inquadrare la situazione le possiamo far risalire in un lungo periodo di tempo che va dal III millennio prima di Cristo fino al VI secolo a.C. Con ogni probabilità le statue a stele rinvenute fino ad oggi sono una piccola parte rispetto a quelle ancora sepolte nei boschi o a quelle che adesso sono murate in vecchie case...d'altra parte ai nostri "nonni" a cosa potevano servire quelle buffe pietre? Infatti ciò che rimaneva osservabile all'occhio umano era questa strana figura scolpita in bassorilievo su roccia arenaria, formata da una particolare testa, un corpo tozzo, degli elementi umani quali braccia e mani che impugnavano oggetti come pugnali,punte di lancia, asce o indossavano collane o monili vari,con ogni probabilità questi raffiguravano dei guerrieri, le donne invece si distinguevano dalla presenza di seni ed ornamenti femminili. La prima statua stele (storicamente parlando) fu ritrovata molto tardi, durante dei lavori
Statua stele donna
nei campi nel 1827 (in provincia di La Spezia) vennero alla luce i primi reperti, seguirono poi interventi degli studiosi che nel corso dei decenni successivi portarono alla scoperta di nuove statue, ad oggi ne possiamo contare un'ottantina, si presume poi che con l'avvento del cristianesimo molti di questi manufatti siano stati decapitati, sotterrati o distrutti ritenendole frutto di culti pagani e ancor peggio fonte di superstizione. Quello che però affascina di più è il mistero che c'è dietro queste statue- stele, nonostante in molti abbiano tentato di interpretare il loro significato a tutt'oggi non sappiamo il perchè preciso della loro esistenza. Gli archeologi hanno provato a dare un perchè analizzando i luoghi dei ritrovamento; nel 1905 a Pontevecchio(nei pressi di Fivizzano) ne furono ritrovate ben undici, conficcate nel terreno e ciascuna con il volto rivolto verso il sorgere del sole, dal luogo della scoperta gli studiosi hanno ipotizzato che questi posti dovevano rappresentare per gli antichi punti di importanza particolare: forse guadi, luoghi di sosta o incroci di vie e strade principali. Un'altra fonte di studio porta in un'altra direzione e dice che questi manufatti rappresentavano delle divinità o antenati che nella società del tempo avevano
statue stele in Europa
lasciato un segno importante. A convalidare questa tesi secondo questi ricercatori è proprio la zona dei ritrovamenti: in radure boschive e quindi al di fuori dei centri abitati e dalle necropoli, e perciò in una sorta di santuario isolato all'aperto, che vedrebbe raffigurati nelle statue femminili la Dea Madre, simbolo di vita e fertilità e nelle figure maschili (contraddistinte da coltelli e asce) in divinità protettrici 

Per fare ulteriore chiarezza su questo preistorico mistero possiamo riassumere la questione in due direzioni: una civile e l'altra sacra:

  • Rappresentano personaggi realmente vissuti, probabilmente di
    Santuario della Madonna del Soccorso
    Minucciano. Luogo dei ritrovamenti
    garfagnini
    alto rango (come capi villaggio o antenati eroi)posti a memoria o a protezione dei villaggi stessi, delle zone di caccia o in particolari vie di transito o commercio
  • Raffigurano divinità immaginarie a cui viene data forma e anch'esse messe a protezione di punti significativi
Come detto in precedenza i ritrovamenti delle statue stele in Garfagnana sono
Statua denominata
Minucciano III
rari, infatti nel corso di tre anni (1964-1968)in un campo vicino al Santuario della Madonna del Soccorso a Minucciano sono state rinvenute per caso tre stele, risalenti al periodo compreso fra il Bronzo Medio e l'inizio dell'Età del Ferro. Oggi sono conservate nel bellissimo Museo delle Statue a Stele della Lunigiana nel castello di Piagnaro e con molta fantasia sono state denominate Minucciano I,II,III.

L'Italia è piena di misteri che la storia si porta dietro ,solo dallo studio dei ricercatori possiamo scoprire qualcosa, ma non tutto e grazie comunque a loro che dalle nebbie del tempo ogni tanto qualche raggio di luce riesce a penetrare. 




Bibliografia

  • Le misteriose statue stele della Lunigiana (duepassinelmistero.com)
  • Le statue stele (Archivio C.A.I)

Napoleone...ecco come cambiò il dialetto garfagnino (e non solo quello)

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Eppure, lui parlava italiano...anzi il suo modo di esprimersi era
molto vicino al dialetto fiorentino e pisano, tuttavia la sua prorompente discesa in Italia lasciò un segno indelebile nel Paese, aggiungendo (fra le altre cose) alcuni vocaboli al nostro vernacolo garfagnino (così come ad altre parlate) inserendovi dei sofisticati francesismi...Chi era costui? Nientepopodimeno che Napoleone Bonaparte.
Facciamo chiarezza subito su questa cosa, che a molti potrà risultare strana e bizzarra.
Napoleone come tutti sappiamo nacque in Corsica (Ajaccio)nel 1769 quando ormai da poco più di un anno l'isola era stata ceduta dalla Repubblica di Genova alla Francia. La stirpe dei Bonaparte difatti vantava nobili origini toscane e a quanto pare si trasferì in Corsica nel 1567, entrando da subito a far parte della piccola borghesia corsa. In Corsica la lingua ufficiale era l'italiano e Napoleone nacque e crebbe parlando italiano, i suoi genitori erano italiani al 100%, tant'è che Carlo Maria Buonaparte (padre del futuro imperatore di Francia)si laureò avvocato all'università di Pisa e il casato della madre, Maria Letizia Ramolino, faceva parte della nobile stirpe toscana che porta tal nome. Non a caso nel suo esilio di Sant'Elena ebbe così a dire:"Io mi sento italiano o toscano piuttosto che corso".
Nondimeno si fece scrupoli della Patria dei suoi avi, quando nel
la casa dove nacque Napoleone ad Ajaccio
1796 (nella prima campagna d'Italia) mise a ferro e fuoco la nostra nazione sotto l'egida francese. A ciò non scampò nemmeno la nostra Garfagnana quando il 7 maggio 1796 il duca Ercole III d'Este padrone e signore (anche) della Garfagnana stessa, scappò a gambe levate a Venezia, lasciando la patata bollente di trattare la resa con Napoleone al fratello, Don Federico d'Este conte di San Romano. La resa fu ottenuta a caro prezzo con un atto di totale sottomissione, sborsando oltretutto soldi sonanti come indennità. Per farla breve la dominazione napoleonica e quindi francese anche nella Valle del Serchio durò circa quindici anni, influenzando la società italiana in tutti i suoi aspetti: politico, amministrativo, finanziario e addirittura anche linguistico...facendo penetrare la fine lingua francese, pure nel rude dialetto garfagnino. D'altra parte nel 1805 si costituì la Repubblica di Lucca a cui verrà annessa la Garfagnana con a capo
Elisa Bonaparte
l'augusta sorella Elisa Bonaparte, che teneva particolarmente a dare un'impronta transalpina al suo dominio (per saperne di più: http://paolomarzi.blogspot.com/quando-la-garfagnana-si-ribello.html). Ecco allora, che piano, piano, alcune parole francesi vennero adottate e "dialettizzate" nell'uso del parlar comune, giungendo inalterate fino ad oggi.

Facciamo quindi questo curioso viaggio franco-dialettale lasciato in eredità  a tutta la Garfagnana (e alla provincia di Lucca in genere) da sua maestà Napoleone Bonaparte.
Cominciamo prima con una curiosità. Quante volte abbiamo sentito dai nostri nonni parlare di FRANCHIriferendosi alle vecchie lire? Ebbene, dopo la rivoluzione francese, in Francia venne adottato come moneta unica il franco che sostituiva la livre (la lira), anche in Italia con l'avvento di Napoleone, durante la seconda campagna d'Italia venne introdotta la lira (vecchio nome della moneta francese) e così in una sorta di confusione "monetaria" si confondevano le due valute che generalmente venivano appunto chiamate "franchi". DelTIRABUSCIO'che dire? Il vocabolo deriva da "tire-bouchon", ovverosia cavatappi. O sennò chi non ha sentito da qualche anziano l'esclamazione: TAMPI'? come a significare: pazienza! Questo termine nasce da "tant pis". Chi non ricorda invece il bel "COMO'" della
comò
nonna? In Francia era il "commode" i cassettoni dove si riponevano le profumate lenzuola, magari queste lenzuola rendevano il letto molto SCICCHE, cioè elegante e di gusto (da "chic"). La BUGIA invece non è solo una menzogna, ma è anche un piccolo candeliere basso dotato di manico, infatti in francese "bougie" significa proprio candela. Anche le signore altolocate nel farsi belle impararono un nuovo vocabolo: il farsi la TOELETTA, da "toilette" che si riferiva (in questo caso) al mobile usato in passato per pettinarsi e truccarsi e sempre a proposito di persone altolocate, a loro sicuramente non poteva mancare lo SCIOFFER, colui che conduceva le eleganti carrozze del tempo,con il passar degli anni lo "chauffer"
bugia
assumerà il significato più ampio di conducente. L'ultimo termine è quello più franco-garfagnino che esiste e la "cerise" francese non può altro che essere la CERAGIA garfagnina, nonchè la ciliegia italiana, anche se qui, ad onor del vero pare essere la radice latina che ha portato le varie modifiche a questo nome nei vari idiomi.

Insomma, questa è la prova di come le conquiste di questi valorosi condottieri non cambiano solamente la politica di una nazione e il suo modo di vivere, ma certe volte arrivano a modificare anche il modo di parlare. Da questo punto di vista, meglio di noi italiani non lo sa nessuno, dopo millenni ancora oggi le vittorie di Roma hanno segnato per sempre il modo di parlare di milioni e milioni di persone e proprio la lingua parlata dai romani, la lingua latina è il fondamento degli idiomi fra i più parlati (Francese, Spagnolo e Portoghese)...Roma docet...



Bibliografia


  • Un particolare ringraziamento a Giampiero Della Nina che mi ha permesso di attingere da un suo articolo per ricercare queste bizzarre parole

La Garfagnana, la sua storia industriale e le sue vecchie fabbriche

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Sembrerà strano e a molti suonerà come un termine incompatibile ma
L'ingresso della SMI a Fornaci di Barga

esiste anche l'archeologia industriale. Ci siamo sempre immaginati l'archeologia come una materia che studia e raccoglie documentazioni e materiali di tempi lontanissimi, risalenti a migliaia e migliaia di anni fa, ma come detto l'archeologia non è solo quella. Sono passati oramai oltre due secoli e mezzo dalla prima rivoluzione industriale e da quando verso la seconda metà del '700 la macchina a vapore prese il sopravvento. La rivoluzione industriale comportò una profonda ed irreversibile trasformazione della società, tanto da sviluppare lo studio di questa branchia dell'archeologia, meglio nota come archeologia industriale. L'archeologia industriale studia tutte le testimonianze inerenti al processo di industrializzazione, allo scopo di approfondire la conoscenza della storia e del passato industriale. Le testimonianze a cui fare riferimento sono molteplici: i luoghi dove sorgevano questi stabilimenti, lo studio delle vecchie macchine, i processi di lavorazione e le fonti fotografiche e orali. La prima volta che si sentì parlare di questa branchia di studi archeologici risaliva agli anni cinquanta del
Un paese ,una fabbrica
LA SMI a Fornaci 
'900, in Inghilterra e tale espressione venne usata nel 1955 da Michael Rix professore dell'università di Birningham, in un suo articolo pubblicato nella rivista "The amateur historian".

Ma questa disciplina si può anche applicare in Garfagnana? La nostra è stata terra prevalentemente agricola o dedita alla pastorizia, eppure anche noi abbiamo la nostra storia industriale di tutto rispetto. Faremo quindi un viaggio nelle vecchie industrie della Garfagnana, naturalmente questo articolo non vuole essere un saggio di archeologia industriale (nemmeno ci si avvicina) però per chi è curioso da queste poche righe può prendere ispirazione per qualche sua personale e più approfondita ricerca.

"...Mentre vedevasi l'Italia tutta camminare a gran passi per la via del progresso nelle associazioni e nelle industrie al fine di rendersi indipendente dagli stranieri ai quali fummo fin qui indirettamente tributari: nel mentre fuori di questa regione,
Prima dell'avvento dell'industria
 in Garfagnana si viveva così
sorgono ovunque società che fondano stabilimenti, opifici e stabiliscono nuove industrie; addolora il mirare questa bella parte della nostra terra italiana, fornita dalla natura di tanti doni per i quali altri sacrificherebbero ingenti tesori onde goderne, starsene neghittosa (n.d.r: pigra,negligente), non curante del presente e del bene che per l'avvenire può derivarle dall'uso di questi tesori. Non vi sarà alcuno che vorrà porre in dubbio essere la Garfagnana in generale un paese ricco d'ogni sorta di prodotti agricoli, di tesori nascosti nelle viscere dei suoi monti e sotto i letti dei fiumi e torrenti: ma nessuno vorrà poi niegare che questa Garfagnana sia la parte d'Italia che men siasi slanciata nella via del progresso rispetto all'agricoltura, al commercio ed all'industria..."

Questa impietosa analisi di fine'800 di Paolo Stella (maggiore del regio esercito che prese residenza nella nostra valle)non lascia scampo, descrive la Garfagnana come una regione ricca di risorse naturali che non riesce a sfruttare, per favorire la nascita di nuove industrie che porterebbero ricchezza e benessere. L'Italia ha intrapreso la via dell'industrializzazione e la Valle del Serchio è ancora indietro e non ne vuole sapere di uscire dal suo torpore. Eppure le sue acque e il suo marmo sarebbero veramente da sfruttare per favorire nuove industrie, come già fanno nel versante opposto della Apuane. Già delle cave infatti erano state aperte verso la
Operaie all'interno della SMI
metà dell'800 nella zona di Arni, addirittura i cavatori garfagnini andavano a lavorare nelle cave versiliesi e massesi. Ma perchè tutto questo? Mancanza di strade? Di capitali? O di spirito d'iniziativa? Non di meno la situazione era la medesima per lo sfruttamento delle acque del Serchio e dei suoi affluenti, possibile che in un momento in cui stava prendendo piede l'industria idroelettrica a nessuno fosse venuto in mente di sfruttare una zona ricca di acque come la Garfagnana? Volevamo forse rimanere una regione dedita ancora all'agricoltura? e coltivare il nostro orticello per il fabbisogno personale? D'altronde noi garfagnini siamo sempre stati un po' allergici alle novità, per indole siamo abitudinari, ma il progresso non si ferma e non si fermò nemmeno (e a maggior ragione)nel nascere del nuovo secolo, quando agli inizi dell'900 un fremito di rinnovamento scosse dall'apatia tutta la valle. Fu così che proprio nel 1900 i comuni di Vagli e di Minucciano dettero il via alla prima e vera propria industria nostrana, quando due contratti di concessione per lo sfruttamento del marmo locale furono dati ad altrettante società di estrazione, dove dietro di esse c'erano prestanome e capitali esterni di banche. Nell'anno successivo la "Società anonima marmifera di Minucciano" cambiò nome in "Società
Gorfigliano il trenino che trasporta il marmo
marmifera Nord Carrara"
acquisendo anche le concessioni sul bacino marmifero di Vagli (dal 1921 la Nord Carrara entrerà a far parte del Gruppo Montecatini). L'industria infatti non portò solo posti di lavoro per i garfagnini ma favori anche l'arrivo della ferrovia, la costruzione di nuove strade e cosa altrettanto importante la gente prese coscienza della propria posizione sociale, nacque così una classe operaia che ben presto diede luogo alla nascita di associazione ed enti per la tutela dei propri interessi, del resto l'incremento di questa nuova classe sociale (nel settore marmi)non era da trascurare dato che nel 1906 gli occupati erano circa 800 arrivando poi ai 3000 del 1920. Anche lo sfruttamento delle acque prese vita, quando fu operante la "Società idroelettrica garfagnina" che costruì gli impianti nel comune di Sillano, sorsero poi altre industrie idroelettriche "foraggiate" queste da capitali esterni, ecco allora nascere nel 1913 la diga di Corfino-Villa Collemandina e poi nel tempo gli impianti di Castelnuovo, Gallicano e Pontecosi. La diga di Vagli nascerà per ultima, nel secondo dopoguerra. Questa attività fu indubbiamente fonte di lavoro, ma ben presto nacquero disservizi, la gente protestava con l'impresa distributrice di energia, la S.E.L.T (SOCIETà ELETTRICA LIGURE.TOSCANA),
Centrale elettrica Gallicano
paradossalmente molti paesi non erano raggiunti dall'elettricità...e ciò continuò fino agli 60 del 1900. Non mancarono naturalmente le industrie manifatturiere, anzi queste furono la maggior parte. Già nel 1880 a Castelnuovo esisteva "la Fabbrica dei Tessuti"(nel tempo prenderà il nome di Valserchio tessuti) fondata dal Conte Carli, per molti e molti anni fra vicende alterne questa azienda darà occupazione a molte donne della valle. Sempre nel settore tessile a Gallicano nel 1904 nascerà anche la Cucirini che produrrà filati, ancora a Gallicano nei soliti anni la "S.I.P.E Nobel" porterà un suo stabilimento di polvere da sparo. Dall'altra parte del fiume, a Fornaci di Barga, ecco nascere la fabbrica per
Operaie e operai della Cucirini di Gallicano
eccellenza della valle. Era il 1916 quando la S.M.I (SOCIETà METALLURGICA ITALIANA)nacque per incrementare lo sforzo bellico producendo munizioni per la "Grande Guerra" che era in corso. Questa fabbrica cambierà per sempre il modo di vivere dei garfagnini, fu il più grande stabilimento industriale di sempre, presente in zona, arriverà ad occupare migliaia e migliaia di persone (fra le quali moltissime donne). Sembrerà strano ma proprio in quegli anni si comincerà a prendere coscienza che la Garfagnana poteva essere sfruttata anche da un  punto di vista turistico e sviluppare quindi una nuova risorsa economica. Sul finire dell'800 erano già presenti dei villeggianti e sui giornali locali si affittano case per vacanze. Nel 1904 proprio per sviluppare questo settore fu pubblicata una guida corredata da molte fotografie e da carte topografiche. La questione turistica cominciò anche ad essere dibattuta sui giornali locali, si cercò di dare linfa vitale a questa nuova "industria", proprio come dovrebbe succedere oggi, dove ancora questa risorsa non viene ancora messa a profitto come si deve. Questo stralcio di articolo del 1927 tratto dalle colonne de "La Garfagnana" sembra essere stato scritto ieri data la sua corrente attualità:"...l'industria principale, che parrebbe la più possibile ad essere sfruttata, quella turistica, è
1946 "La domenica del Corriere"
pubblicizza la Garfagnana
 turisticamente
purtroppo da scartarsi. Per varie ragioni...Mancano poi gli alberghi e i pochi esistenti non offrono il cosiddetto comfort moderno, che per i nuovi ricchi culmina nei divertimenti di ogni genere, leciti ed illeciti. La borghesia e la classe sociale più eletta inoltre hanno le loro ville altrove. Il ceto professionista trova la Garfagnana fuori mano a causa delle poco agevoli comunicazioni. Chi può dunque venire preso da noi? Non resta che il modesto impiegato".

Fu un cambiamento epocale quello dell'avvento dell'industria in Garfagnana, c'è chi ebbe a dire che i problemi per valle fossero finiti e che la povertà che ci affliggeva da secoli fosse definitivamente sconfitta, in parte fu vero...uno stipendio sicuro, la certezza di una continuità lavorativa...ma non era oro tutto quello che luccicava, ed in risposta a chi faceva notare la tanto decantata ricchezza metteva in evidenza che per il momento serviva"a due cose soltanto, a formare i dividendi delle imprese forestiere e versar quattrini nelle tasche dell'erario".



      
Bibliografia

  • "Dal fascismo alla resistenza. La Garfagnana fra le due guerre mondiali" di Oscar Guidi. Banca dell'identità e della memoria anno 2014
  • "La Garfagnana" articolo pagina 2 anno 1927

L'epopea degli sfollati garfagnini nella II guerra mondiale. Fatti e testimonianze di una tragedia poco conosciuta

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La definizione che da il vocabolario della parola "sfollato"è netta
Sfollati. II guerra mondiale

e precisa, non lascia ombra di dubbio sul significato di questo termine: "Persona che ha dovuto abbandonare la propria residenza o il proprio centro abitato a causa di una guerra, di una calamità naturale o per motivi di sicurezza". Ad oggi, o perlomeno dagli ultimi dati aggiornati di fine 2017 dall'Unchr (l'agenzia della Nazioni Unite per i rifugiati) gli sfollati nel mondo sono circa 68 milioni. Solo nel 2017 le persone costrette a fuggire di casa a causa di guerre e persecuzioni sono state più di 16 milioni, un numero enorme che (spiega l'O.N.U) equivale a 44.500 persone sfollate al giorno o una persona sfollata ogni due secondi. A pesare sul numero delle persone in fuga lo scorso anno sono stati in particolare la crisi nella Repubblica Democratica del Congo, la guerra in Sudan e il trasferimento in Bangladesh di centinaia di migliaia di rifugiati di persone di etnia rohingya provenienti dal Myanmar.
Luoghi ed esseri umani lontani questi, di cui forse nemmeno conosciamo il nome del loro Paese di provenienza o della loro etnia,
Agenzia delle Nazioni Unite
per il rifugiato
eppure anche noi italiani siamo stati "sfollati", anche noi abbiamo conosciuto l'oltraggio e il dolore di lasciare la propria casa, le proprie abitudini per rifugiarsi altrove. Sono passati più di settanta anni da quei giorni, quando la seconda guerra mondiale travolse con una violenza massiccia centinaia di migliaia di civili. Moltissime città furono distrutte dai bombardamenti incessanti, la popolazione era sconvolta dalla paura e dall'avanzata di due eserciti contrapposti, la gente oramai era ridotta alla fame, costretta a vivere ammucchiata in ricoveri di fortuna o ancora peggio costretta a spostarsi verso zone ignote. Questi sono gli sfollati della seconda guerra mondiale, un numero elevato, più di due milioni di italiani, di donne, di bambini, anziani, uomini inadatti all'uso delle armi, vissero un'esperienza al limite dell'esilio, colpita dall'umiliazione e dalla privazione degli affetti più cari. Una tragedia senza voce e nonostante l'importanza di questo fenomeno, gli storici non hanno mai voluto approfondire questo argomento che segnò per sempre la vita di molti. Ad oggi ci rimangono però le testimonianze di coloro che vissero questa tragedia, ci rimangono le parole di molti garfagnini che vissero sulla propria pelle questo dramma. La Garfagnana fu infatti una delle zone più colpite da questi avvenimenti; la morfologia delle nostre montagne  era l'ideale per fornire rifugio e riparo dalle bombe e dalle violenze della guerra, la nostra terra non fu in realtà ricovero per i soli garfagnini, ma per moltissima altra gente che proveniva dalle città di tutta la Toscana e da molte altre zone d'Italia.

La situazione di fatto cominciò a peggiorare drasticamente a partire dal 1943, quando in molte città iniziarono i bombardamenti più
Castelnuovo Garfagnana bombardata
insistenti, molte persone presero la decisione di fuggire in Garfagnana in cerca di un rifugio e di una relativa tranquillità, non sospettando poi di rimanere intrappolati in una morsa letale, di li a pochi mesi il fronte si attesterà nella valle, americani e tedeschi si affronteranno senza esclusione di colpi sulla celeberrima Linea Gotica. Nel corso del 1944 proprio sulla base di questi eventi bellici tutta la provincia fu presa dal panico totale quando si profilò l'intenzione di uno sfollamento generale di tutta la popolazione. Trecentosessantamila civili si sarebbero dovuti spostare per destinazioni ignote per far combattere liberamente i due eserciti, il piano non fu poi attuato per la difficoltà dell'operazione, ma la cosa non cambiò di molto se gli sfollati nel novembre '43 a Castelnuovo erano già 676, provenivano non solo dalle città vicine come Lucca, Firenze, Livorno, Pisa e La Spezia ma da altre città della penisola come Roma, Torino, Cagliari, Bolzano, Varese, Verona. Ma anche gli stessi castelnuovesi abbandonarono la loro cittadina, rendendola letteralmente un  paese fantasma, la popolazione lasciò le case e i propri beni in cerca di riparo nei paesi ritenuti più sicuri, alloggiando presso parenti o amici, ma non mancò chi anche trovò riparo in metati, capanne, chiese, gallerie ferroviarie o addirittura nelle grotte:- Tutti fuggono dalle loro case- scrisse Don Gigliante Maffei, parroco di Torrite- lasciando lauta preda agli ottimi predoni tedeschi e agli sciacalli italiani che si fanno spie e traditori del poco bene nascosto dai castelnuovesi sfollati-.  Il commissario prefettizio Guerrini nell'agosto 1944 denunciava già un emergenza umanitaria in tutta la Garfagnana:
- ...terminate tutte le scorte di viveri e di denaro, al momento non si può fronteggiare la situazione. Mancano viveri (il prodotto della farina dolce, l'unica risorsa della zona, anche quest'anno è rimasto minimo perchè danneggiata dal maltempo),
Rifugiati francesi che tornano
 nelle loro case 1944
AP Foto colorazione
di Sanna Dullaway per TIME
vestiario, specialmente calzature e fondi liquidi per sussidiare i meno abbienti. A quanto sopra si aggiunga una forma epidemica tifoidale...-.
O
ltre 600 sfollati erano giunti anche a Castiglione, provenienti per la maggioranza da Livorno e Viareggio, gran parte di questi erano nullatenenti, la stessa amministrazione comunale cercava di fare il possibile per aiutare la popolazione e gli sfollati, il reperimento del cibo come visto era problematico, trovare le medicine per gli ammalati era quasi impossibile. Nel resto della valle la situazione era identica, pure a Gallicano e a Sillano gli sfollati erano più di 600, 55 a Vergemoli, a Molazzana svariate decine. A Giuncugnano il comune metteva a disposizione degli sfollati stessi 25 case, insomma, si calcola che fra il 1943 e il 1944 in Garfagnana vi siano stati stabilmente circa 5.000 rifugiati. Come detto a memoria di tutto questo rimangono ancora vive le testimonianze indimenticabili che ha raccolto Tommaso Teora nel suo bel libro "Storie di guerra vissuta".
Lei è Tagliasacchi Teresa di Castelnuovo Garfagnana al tempo era una ragazza di diciassettenne anni e viveva con la sua famiglia in località i "Ceri" nei pressi della cittadina. Così racconta di quel periodo:
"Tutto rimase tranquillo fino a quel 2 luglio '44 quando Castelnuovo fu martoriata dai bombardamenti alleati. Arrivarono così nella
Castelnuovo. Porta Castracani
 dopo il bombardamento
località molti sfollati da Castelnuovo, credendo che in campagna fossero più al sicuro. La capanna e il metato furono completamente occupati dalle famiglie Lenzi, Vangi, Tolaini, Mazzei e dagli zii da parte di mio padre, in tutto eravamo una quarantina. Abbiamo vissuto con i bombardamenti aerei continui finchè ad ottobre cominciarono a piovere cannonate anche da Barga. Verso i primi di novembre una di queste colpì l'angolo della capanna. Erano circa le 18. Purtroppo dentro c'erano i Vangi ed i Tolaini. La moglie dell'Umberto Vangi fu colpita ad un braccio da una scheggia ed i due figli maschi più grandi furono feriti e portati in ospedale...Purtroppo perirono entrambi il giorno dopo...
- e il terribile racconto continua:- La paura fece scappare tutti gli sfollati che se ne andarono verso le Piane di Cerretoli. Rimanemmo solo noi ed i parenti- 

Nel dicembre ancora una cannonata colpì la casa di Teresa e pochi giorni dopo, l'ennesimo colpo di cannone scoppiò ad una quarantina di metri dall'abitazione, questo fece desistere ogni speranza di rimanere in casa, così la famiglia Tagliasacchi eccetto padre e zio e nonni fuggì
- Mentre salivamo con la neve verso "Buggina", fu lanciato un bengala e ci fermammo tutti, nascondendoci contro una cisterna
Tedeschi in fase di rastrellamento
dell'acqua. Finito il chiarore si ripartì. Sostammo in una capanna già occupata nella parte superiore da molti sfollati, noi ci sistemammo di sotto dopo aver steso il fieno in terra, dove il bestiame non c'era più, ma c'era un gran freddo. Il giorno dopo vedemmo arrivare mio nonno, portato con una barella improvvisata, perchè infermo e mia nonna trasportata a spalla. Il babbo e lo zio erano rimasti ad accudire le bestie. Nel frattempo gli uomini scavarono un rifugio vicino alla casa, aiutati da Decimo Lunardi, esperto di scavi perchè aveva lavorato in galleria. Fecero un bel rifugio con pali e tavoloni di circa dieci metri. Tornammo tutti a casa quando finì il conflitto-.

Significativo e spaventoso è anche il ricordo di Tognocchi Ivana classe 1930 di Brucciano (comune di Molazzana), all'epoca viveva con la sua famiglia nella casa dove ancora abita:
- Già nel 1943 arrivarono in paese tanti sfollati da Pisa e da Livorno, poi in seguito nel 1944, anche quelli da Castelnuovo e Gallicano. Quando iniziarono a piovere le cannonate da Ghivizzano e da Barga, i primi giorni dell'ottobre '44 cominciò la paura. Ce ne andammo in casa dei nonni paterni, dove internamente c'era anche una grotta, insieme ad altri parenti; eravamo circa una ventina. Il 22 ottobre verso le 22 vedemmo arrivare Don Pietro Dini accompagnato da due o tre soldati tedeschi con il mitra spianato, che ci disse: "Bisogna partire tutti". Rimasero in paese solo le persone anziane, mio zio Renato e mio padre, che dovevano accudire i nonni e le bestie-
Tutti i rastrellati furono così portati a Castelnuovo a Palazzo
Sfollati. Madre e tre figli
Pierotti, alcuni fuggirono lungo le canale dello stabile e gli altri attesero il loro destino. La mattina seguente gli sfollati furono tutti portati al Poggio, li identificati e poi tutti rilasciati. Da questo momento per la famiglia Tognocchi comincerà un lungo esilio prima di tornare a casa:

- Da qui in tanti decisero di andare con il prete a Corfino, noi invece decidemmo di andare a Sillicano, dove mia zia Marianna, maestra elementare di Gallicano, conosceva il parroco Don Aurelio Ricci. Arrivammo a buio in canonica trovammo altre persone, eravamo una quindicina. Il sacerdote ci accolse con carità e siamo rimasti li per tre o quattro giorni, dopodichè si decise di tornare a Brucciano-
A Brucciano non arriveranno poichè il paese era in mano ai tedeschi. Il lungo peregrinare continuò prima sostando diversi giorni a Eglio dai genitori di una vicina di casa, poi di li a Calomini da una
Sfollati in fuga
conoscente che li accolse in casa, dopodicè i Tognocchi ripartirono, destinazione Gallicano, accolti da un cugino della mamma di Ivana, li rimasero fino al bombardamento del paese il 28 dicembre. Presi dalla paura fuggirono ancora e arrivarono a Valico di Sotto dove rimasero fino alla fine della guerra. Ecco ancora dalle parole di Ivana il tragico epilogo di questa storia:

- Alla fine di aprile '45 siamo tornati in Sant'Andrea (n.d.r:località di Gallicano) dal cugino di mia madre. Purtroppo in quel lasso di tempo, dopo varie interrogazioni a parecchie persone, alle quali chiedevamo notizie di mio padre e di mio zio, venimmo a sapere della loro morte- 
Ivana continua a raccontare così la morte del padre, che nell'intento di superare il fronte...: -Arrivati in "Selva Piana", località sopra il Ponte di Campia, mio padre calpestò una mina e fu sventrato, lo zio morì poco dopo dissanguato-.
Orrori, tragedie, drammi e mortificazioni che solo una guerra può dare, ed ecco allora che nel 2004 in una Giornata Mondiale delle migrazioni a monito per l'intera umanità riecheggeranno per sempre le parole di Giovanni Paolo II : "Costruire condizioni concrete di pace, per quanto concerne i rifugiati, significa impegnarsi
seriamente a salvaguardare innanzitutto il diritto a non fuggire dalle proprie case, a vivere cioè con pace e dignità nella propria Patria".



Bibliografia:

  • Rapporto annuale 2017 "Global Trends Forced Displacement", Unhcr (United Nations Commission for Refugees)
  • "Dal fascismo alla resistenza. La Garfagnana tra le due guerre mondiali" di Oscar Guidi, edito Banca dell'identità e della memoria, anno 2004
  • "Storie di guerra vissuta. Garfagnana 1940-1945" di Tommaso Teora, edito da Tra le righe Libri, anno 2016
Fonte:
  • Rai Storia "Sfollati Italiani della seconda guerra mondiale" con Silvia Salvatici, Chiara Chianese
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