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1607 Soraggio.Cronaca di un processo per stregoneria (dai clamorosi risvolti)

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Il sabba delle streghe di Francisco Goya
In Garfagnana, quando il buio avanzava come una tenaglia dai crinali degli Appennini e dai giganteschi contrafforti delle Apuane, c’era chi giurava di vedere interminabili processioni di lumi fiochi salire in silenzio lungo i crinali. Altri parlavano di veri e propri tizzoni ardenti che volavano nella notte a velocità impressionante,qualcuno invece la sera sentiva picchiettare alla porta di casa e la mattina dopo trovava segni neri come impronte di mani infuocate e a questo punto non c'era più dubbio erano proprio loro...ma loro chi?...Le streghe! Andava proprio così erano secoli veramente bui quelli che vi sto per raccontare, dove l'uso della ragione era patrimonio di pochi e l'ignoranza abbondava in ogni dove. Questa è una storia persa nel tempo, rimossa dai ricordi più nascosti che grazie al lavoro del professor Oscar Guidi è stata recuperata. Si tratta di un processo per stregoneria (con risvolti clamorosi direi...) avvenuto nel 1607 condotto dalla Santa Inquisizione di Modena nei confronti di alcune persone di Soraggio vicino Sillano. Siamo all'inizio dell'estate del 1607 e il rettore della Chiesa di San Martino di Soraggio il presbitero Joannes Paninius (così si legge testualmente negli atti) si reca al convento di San Francesco tra Pieve Fosciana e Castelnuovo per incontrare il vicario del Sant'Uffizio per la Garfagnana padre Lorenzo Lunardi per denunciare almeno 60 persone"maleficate" e ritiene la causa di tutto ciò quattro abitanti del luogo da lui individuati come streghe e si tratterebbe di:

Lucrezia moglie di Biagio dalla Villa di Soraggio;
Jacopino di Luca da Brica;
Maria di GiovanAntonio di Brica
Maria già moglie di Francesco Cappa, anche questa di Brica.

Gli indizi a suo parere per cui ritiene di chiamare questi "esseri"streghe sono inconfutabili poiche circola voce che discendono da persone
Villa Soraggio
ritenute tali e che inoltre siano in grado di compiere malefici e per di più, a riguardo cita numerosi testimoni pronti a confermare quanto affermato e per sgombrare ogni dubbio il prelato sottolinea il fatto che queste quattro persone quando incontrano dei religiosi mostrano timore e "non ardiscono alzare gli occhi". L'Eccellentissimo Vicario del Sant'Uffizio Padre Lunardi si mette subito in moto e il 3 luglio lo troviamo già a Soraggio per ascoltare i testimoni.Anastasia di Francesco, di Villa Soraggio, è vicina di casa di Lucrezia di Biagio, talvolta la notte sente che i suoi figlioli la chiamano ma ella non risponde; così ritiene che in quei frangenti Lucrezia sia via con le streghe, "imaginandomi che all'hora sia in stregaria";per cui gli avrebbe anche domandato dove se ne vada la notte, Lucrezia le avrebbe risposto vagamente di stare fuori a vegliare.Lucia moglie di Francesco, anch'ella di Villa Soraggio, riferisce che una mattina, presso una fonte chiamata "Il Canale", l'imputata Lucrezia le toccò una gamba dicendo: "Oh la bella gamba che tu hai";quasi immediatamente sulla gamba si formò un livido molto esteso, e da allora lei si è sentita la vita tutta "travagliata".Una certa Antonia, moglie di Andrea di Giovanni, di Metello, dice di aver sentito una volta Jacopino, di ritorno dalla messa, pronunciare queste parole: "l'anima mia è spedita".Su Jacopino vengono riferite altre accuse: avrebbe piantato un chiodo nella radice di un gelso vicino a casa di Francesca di Francesco Ramella, di Brica, affatturando così la propria figlia, che mentre toglievano finalmente quel chiodo faceva grandissimi strepiti ed urli bestiali, avrebbe poi insistentemente invitato Angiola figlia di Bartolomeo di Villa Soraggio ad andare con lui in "stregaria," promettendole "...gusti, e piaceri, come di soni, canti, balli, cibi delicati, e coito a gusto mio..." . Insomma le testimonianze abbondavano e detto fatto il solerte Padre Lunardi tre giorni dopo, il 6 luglio trasmette gli atti all'Inquisitore Generale Padre Serafino Borra da Brescia che decide per paura di fughe dei quattro imputati di farli arrestare e di condurli a Modena a disposizione del tribunale della Santa Inquisizione. Gli interrogatori cominciarono il 23 luglio ma clamorosamente durante il processo comparve una lettera consegnata da un tale Giovanni proprio nella mani dell'inquisitore generale fra' Serafino. la lettera getta una chiara luce su tutta la vicenda e così ve la riporto:

Molto Reverendo Padre Inquisitore,Faccio sapere a Vostra Signoria che quelli poveretti da Soraggio sono stati messi al Sant'Offitio per malignità del prete del detto loco di Soraggio.La causa è che i detti che sono impregioni da Vostra Signoria havevano ditto e parlato d'alcune donne che facevano le spiritate et andavano e vanno di continuo a darsi piacere co detto prete alla sua
Una "strega" al rogo
canonica, et per haver scoperto questo detti poveretti sono stati tribolati come Vostra Signoria sa, et questo lo significo a V.S. perchè so che il Sant'Offitio no 
persegue 
alcuno per vendetta, suplicando V.S. a liberare detti carcerati sapendo io che loro so' buoni christiani."                                                                             
 La lettera venne messa agli atti del processo, ma gli interrogatori durarono per mesi, da luglio fino ad ottobre. Tutti negarono decisamente le accuse, nemmeno la tremenda tortura della "corda"(che consiste nel sollevare da terra l'imputato con le braccia legate dietro la schiena e dandogli dei"tratti", cioè svolgere rapidamente la corda attorno alla carrucola, causando tremende distorsioni e dolorose fratture alle articolazioni) piegò i poveri imputati. Naturalmente una delle tre donne, la più anziana, Maria moglie di Francesco Cappa perse la vita e il 18 settembre venne sepolta. Gli altri tre come si crederebbe non verranno condannati al rogo proprio grazie alla lettera contro il parroco di Soraggio che aveva messo seri dubbi nella testa dell'inquisitore "Non videntur probata indicia" (Non vidi prova certa) e credette comunque di condannare i tre disgraziati a pene varie e a una moltitudine di penitenze la più grave delle quali l'esilio forzato per due anni e mezzo dal paese nativo (Soraggio).
La tortura della "corda"

Vorrei concludere facendo una mia modesta analisi nel dire che risulta in maniera assai chiara quale fosse il clima sociale in cui nascevano denunce che potevano portare alla morte degli innocenti, come fu anche in questo caso, nel quale un religioso, probabilmente per coprire uno scandalo che lo vedeva coinvolto, non esitò, con la collaborazione di alcuni abitanti dei luoghi, a fare incarcerare, torturare e condannare anime affidate alla sua cura e pensare che fra il 1450 e il 1650 in questo modo sono stati mandati al rogo decine di migliaia di persone innocenti.
Gli atti del processo sono conservati presso l'Archivio di Stato di Modena; sono stati studiati e pubblicati da Oscar Guidi.

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