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Denunce e processi a tre streghe garfagnine. Erano gli anni della caccia alle streghe

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Anno di Grazia 1424:"In quell'anno frate Bernardino(di Siena ch'era
un buon frate) fece ardere tavolieri, canti, brevi, sorti, capelli  che fucavano le donne, et fu fatto un talamo di legname in Campituoglio, et tutte queste cose ce foro appiccate, et fu a 21 iunio. Et dopo fu arsa Finicella strega, a 8 del ditto mese di iulio, perchè essa diabolicamente occise de molte criature et affattucchiava di molte persone
" . Erano gli anni tremendi della caccia alle streghe e in questo stralcio di cronaca, l'umanista Stefano Infessura ci racconta dell'importante ruolo che ebbe a Roma Frà Bernardino da Siena nell'accusare le donne che si occupavano di magia. Egli, nelle sue prediche le additava all'opinione pubblica, accendendo nei suoi ascoltatori lo sdegno e la mistica esaltazione contro queste "nemiche", non mancò di sguinzagliare le forze dell'ordine sulle loro tracce, ritenendole responsabili dei cattivi raccolti, di menomazioni o morti di neonati e di drammi individuali o collettivi. Come narra il suddetto resoconto dopo 15 giorni di estenuanti prediche alla popolazione, il frate arrivò perfino a bruciare in Campidoglio gli emblemi del lusso
e della stregoneria, ordinando ai fedeli di recarsi a baciare una sua tavoletta con l'incisione dell'ideogramma di Cristo: IHS, che era, secondo lui, l'unico vero antidoto contro le pratiche magiche. Infiammato ed eccitato da queste sue parole il popolo cercò e trovò la sua vittima sacrificale e a farne le spese fu una povera ragazza di nome Finicella, finita sotto processo come strega e data al rogo come tale, in quello che un cronista del tempo definì "un autentico spettacolo". Dopo qualche tempo da questi abominevoli fattacci, Frà Bernardino da Siena, arrivò nella nostra valle dando un'ennesimo impulso alla terrificante caccia alle streghe. In effetti la Garfagnana non avrebbe avuto bisogno dell'intervento di San Bernardino (la chiesa lo farà santo otto anni dopo la sua morte...) dato che il Tribunale Inquisitore di competenza sarà uno dei più attivi e solerti di tutta Italia. La Santa Inquisizione di Modena aveva giurisdizione su tutta la Garfagnana e il suo archivio, insieme a quello di Venezia, Siena e Napoli conserva ancora la documentazione più cospicua che testimonia di fatto la grande attività di questo tribunale durante quell'ignobile periodo, difatti nel complesso del
Convento di San Domenico sono conservati ancora oggi i fascicoli processuali di oltre seimila inquisiti in un arco di tempo che va dal 1329 al 1785. In questo importante archivio sono costuditi alcuni casi che riguardano povere donne garfagnine, accusate delle più fantasmagoriche nefandezze e per capire ancor meglio, semmai ce ne fosse bisogno, a quale livello giungeva l'ignoranza umana, ecco al mio lettore tre casi di denunce contro quelle che erano considerate delle vere e proprie streghe. Ma prima di narrarvi i tre casi mi è doverosa una premessa, necessaria per far comprendere dove nascevano simili accuse, capire a chi erano rivolte e come si svolgeva un processo per chi praticava stregoneria. Innanzitutto cominciamo con il dire che molte delle donne incolpate erano guaritrici che avevano la capacità di curare le malattie con l‘utilizzo medicinale di erbe e piante. Maldicenze e gelosie andavano a colpire quelle che erano donne sole, vedove, forestiere e che godevano di una certa libertà personale o che avevamo un particolare successo con gli uomini. Infatti, le donne nel medioevo erano considerate degli esseri caratterizzati da una innata debolezza, e per questo dovevano essere soggette al controllo di un uomo, difatti dovevano essere “proprietà“ ora del padre, ora del marito. Una donna sola, non protetta, poteva essere molto più facilmente attaccata. Per questo poi, in modo farneticante venivano accusate di tenere patti segreti con il diavolo e di riuscire, grazie ai loro poteri a piegare a loro vantaggio le forze della natura e la salute delle persone. Il processo a loro carico assumerà poi i contorni della farsa. Tale simil-processo 
si divideva in diverse fasi: la denuncia, l’inchiesta e il processo vero e proprio. La denuncia poteva avvenire sia da parte di un accusatore che aveva delle prove, sia da parte di un accusatore senza prove ma che godeva di buona reputazione. Dopo aver ricevuto le accuse il giudice avviava il processo e davanti a un notaio si faceva dire dall’accusatore se le accuse presentate erano per esperienza diretta o per sentito dire. Tra i testimoni si accettavano anche nemici
dell’imputato e nell’interrogatorio venivano fatte molte domande sulla vita privata dell’accusato. Si procedeva poi con l’inchiesta che era la prima fase per giudicare una persona. L’inquisitore, giunto nel luogo in cui sospettava abitasse la strega si presentava al vescovo locale. A questo punto il tribunale pubblicava due editti: l’editto di Grazia, con cui si concedeva la grazia a chi si fosse spontaneamente denunciata all’inquisitore entro un determinato lasso di tempo, e l’editto di Fede, con cui si obbligava chiunque fosse stato a conoscenza dell’esistenza di una strega a denunciarla all’inquisitore. Dopo l’inchiesta l’imputata veniva arrestata, la presunta colpevole poi non poteva sapere né per cosa fosse stata accusata né chi fossero i testimoni fino al giorno processo. Per ottenere delle confessioni certe, e così poi sottoporle al processo, si usavano spesso le celeberrime torture. Le torture più comuni erano la corda, la ruota, la frusta e la lapidazione. Alcune streghe resistevano alle torture e venivano rilasciate, altre non ce la facevano e confessavano anche reati non commessi, per evitare di soffrire. Dopo la tortura e la
confessione, si decideva come la strega doveva essere uccisa in base al fatto compiuto; venivano condannate per stregoneria, eresia, omicidio, avvelenamento o satanismo. Le modalità di esecuzione erano diverse: il rogo, l’impiccagione e lo schiacciamento da pietre. Detto questo non rimane che portare alla vostra conoscenza i tre assurdi casi di denuncia fatti a tre donne garfagnine in anni diversi, a testimonianza del delirio collettivo di quel nefasto periodo. Il primo caso riguarda un fatto accaduto nell'anno 1540. La circostanza è al quanto singolare e forse secondo da quale punto di vista viene interpretato l'avvenimento forse non lo è affatto... Difatti un contadino di Sillicagnana si accorse che la moglie di notte usciva da casa mentre lui dormiva... Sospettando strani sotterfugi, rivelò al padre
inquisitore che la moglie prima di uscire di casa si denudava completamente e si cospargeva il corpo con un misterioso unguento che aveva il potere di trasformarla in un asino appena varcata la soglia di casa. - Ebbi a comprendere tutto allora !!!- enfatizzava il marito- avevo a che fare con una strega, il demonio mi era entrato in casa!-. Raccontò poi, che come prova madre della possessione, una sera mentre l'asino (la moglie) usciva l'afferrò per la coda e lo condusse nei suoi campi caricandogli sulla soma quintali di letame che erano destinati a concimare le coltivazioni. Ebbene, al mattino quando l'asino tornò ad assumere le sembianze della donna, così raccontò l'uomo, la poveretta aveva tutte le ossa indolenzite e il marito certificò il fatto che dopo questo accadimento la sposa non abbandonò più il letto. Che dire, molto probabilmente la moglie di notte usciva sicuramente, ma per andare nel letto di qualcun altro... Il marito a dir poco geloso volle vendicarsi della signora denunciandola al Sant'Uffizio. Il secondo caso accadde a Vergemoli anni dopo e si racconta di questa donna che solitamente invitava altre donne a filare in casa sua. Fin qui tutto normale fino al giorno in cui una di queste filatrici si presentò al prete del paese e gli raccontò di un giorno in cui nevicava tantissimo e che tutte le donne erano a filare tranquillamente a casa dell'Anna (la presunta strega). Ad un certo punto, così continuò il racconto: -ella si alzò e indossò uno scialle unto, bisunto e consunto e uscì fuori-. Quando
rientrò aveva con sè un cestino di fichi che offrì alle ospiti:-Questi frutti non potevano che essere frutti del diavolo, facendomi il "nomine patri" (n.d.r: il nome del padre) tutti li fichi si trasformarono in legno arso-. Quelli erano tempi in cui la miseria abbondava, talmente era tanta che si poteva tagliare con il coltello e colui o colei che magari aveva qualcosina di più, suscitava la gelosia di un paese intero. L'ultimo fatto accadde a Vagli nell'anno 1607 e la denuncia alle autorità fu di un contadino di nome "Minico" (n.d.r: Domenico), che nelle sue mucche vedeva un costante deperimento. Questi poveri animali si lamentavano e dimagrivano a vista d'occhio: - E' opre del maligno!- affermava il villico:- e io so anco chi per sua mano fu- Per scoprire da chi era era stato perpetrato il maleficio, "l'astuto" bifolco, a suo dire mise a bollire in una pentole dei ciuffi di peli della coda della mucca. A mezzanotte una donna venne a bussare alla porta del Minico pregandolo di togliere la pentola dal fuoco per le opprimenti vampate di calore che aveva... I resoconti del tempo ci dicono che nessuna di queste tre donne fu data alle fiamme come strega. Rimase per tutte le indiziate la presunzione di colpevolezza e nel dubbio che avessero avuto in qualche modo legami con il
demonio, il Sant'Uffizio decideva per delle pene corporali. La gogna era la punizione prevista. Nella piazza principale dinanzi al duomo di Modena, nel giorno della Santa Messa le misere donne erano messe alla pubblica vergogna del popolo: offese, talvolta prese a schiaffi, a sputi o bruciate con tizzoni ardenti. Dopodichè potevano fare ritorno a casa... a piedi.


Bibliografia

  • Archivio di Stato di Modena
  • https://www.asmo.beniculturali.it/home

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