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Quello che potevano e NON potevano fare le donne garfagnine (e non solo quelle garfagnine) nell'Italia del secolo passato...

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"Compete al marito, secondo la convenienza della natura, essere a
capo e signore; compete alla moglie, e sta bene, essere quasi un'accessione(n.d.r: un accessorio), un compimento del marito, tutta consacrata a lui e dal suo nome dominata" e poi: "La donna, insomma, è in un certo modo verso l'uomo ciò che è il vegetale verso l'animale, o la pianta parassita verso quella che si regge e si sostentata da sè". Ebbene si, nonostante possa apparire così, questi non sono i pensieri o le parole di qualche integralista islamico riportate da qualche quotidiano sui fattacci di cronaca che stanno riempiendo le pagine dei giornali in questi giorni. Questi concetti erano espressi dai maggiori intellettuali e filosofi italiani del tempo che fu, in questo caso rispettivamente ad Antonio Rosmini e Vincenzo Gioberti. D'altronde è innegabile e tantomeno incontrovertibile, dire che le donne fino a poco tempo fa erano purtroppo considerate cittadine di serie B. Quando oggi ci schifiamo e giustamente alziamo la voce contro quelle nazioni che negano i diritti alle donne, pensiamo bene che fino al secolo scorso (storicamente parlando è come se fosse trascorso il tempo di un batter d'occhi), la nostra Italia si trovava più o meno (in fatto di diritti civili) nella approssimativa situazione di quei Paesi e se andiamo a vedere ancor di più nello specifico, ancor peggio andava alla nostre bisnonne, che seppur inconsapevolmente vivevano una situazione ancor più deficitaria in
confronto alle altre donne che vivevano nella città, dove bene o male una possibilità, seppur minima di emancipazione poteva essere trovata. In Garfagnana sotto questo punto di vista era ancor più dura: una donna nasceva esclusivamente per lavorare nei campi, fare figli e accudire casa. Rimane il fatto che per tutte le donne italiane parlavano le leggi dello Stato. Uno Stato che a partire dall'Unità d'Italia, fino ad arrivare al suffragio universale del 2 giugno 1946, conoscerà la sola voce dell'uomo in fatto di diritti e di leggi. Così fu che il nuovo Stato unitario, nonostante l'esaltazione della madri e delle spose risorgimentali, non concesse un millimetro di emancipazione al sesso femminile, malgrado ci fosse stata la possibilità attraverso il nuovo, nonchè il primo Codice Civile del neonato Regno d'Italia, di dare il "de profundis" ai vecchi e retrogradi codici degli stati preunitari. Pertanto alle donne garfagnine (e italiane in genere)il nuovo codice non concesse un bel niente, anzi, tali leggi erano improntate sulla supremazia maschile, precludeva alla donna, attraverso la sola "autorizzazione maritale", ogni decisione di natura giuridica o commerciale. Quindi, tanto per chiarire bene la situazione nel cosiddetto "codice di Famiglia" del 1865 le donne non avevano diritto di esercitare la tutela sui figli,
nè di essere ammesse ai pubblici uffici, per di più le donne sposate non potevano gestire i soldi guadagnati con il proprio lavoro (la cosa spettava al marito), da questo ne nacque quella che fu chiamata la suddetta "autorizzazione maritale", per vendere o meno dei beni mobili ed immobili (fino al 1919). La ciliegina sulla torta la metteva invece l'articolo 486 del codice penale che prevedeva la galera da tre mesi a due anni per la donna adultera, mentre puniva il marito solo in caso di  concubinato, ossia di convivenza. Non rimaneva allora che una sola strade alle donne per emanciparsi e ottenere una coscienza civile: la scuola, lo studio. Anche qui però le nuovi leggi ben ne guardavano di dare questa opportunità al gentil sesso, anche se (solo) nel 1874 alle donne fu consentito l'accesso e l'iscrizione ai licei, anche se in realtà molte di queste scuole continueranno a respingere queste adesioni (nel 1900 le donne iscritte alle università italiane saranno 250, mentre ai licei 287...). E in Garfagnana sotto questo punto di vista come eravamo messi? La situazione era ben peggiore. Anche qualora le ragazze avessero potuto avere facile accesso alle scuole superiori, nella valle tali scuole non esistevano; addirittura bisognava considerare il livello di alfabetizzazione che nel 1901 contava il 43% di analfabeti di ambosessi. Sia le bambine che i bambini del tempo non frequentavano la scuola elementare, figurarsi i licei. In un resoconto giornalistico del 1911 sulle condizioni  sociali della Garfagnana si cercò anche di trovare un perchè a questo malcostume: "Quindi si presenta molto frequente il caso che paesetti di 100 o 150 abitanti siano distanti a 3 -4 chilometri dalla scuola più vicina ed è impossibile che fanciulli di 6-12 anni le frequentino a causa delle pessime strade di montagna, d'inverno con neve e gelo.
Le famiglie sono poi libere di mandare o di non mandare i figli a scuola, preferiscono impegnare le femmine nei lavori domestici e nei campi e i maschi negli esclusivi lavori campestri. L'ultima preoccupazione di questi contadini è di mandare i loro figli a scuola
". Figuriamoci allora se in Garfagnana la condizione femminile era considerata un problema (anche dalle stesse donne). Rimane il fatto che nel 1902 fu approvata una prima legge per proteggere il lavoro delle donne "le ore giornaliere di lavoro sono limitate al massimo a 12 ore..."(!!!).A proposito di lavoro femminile è interessante analizzare dei dati riguardanti il censimento del 1901 che ci dava sotto questo aspetto un quadro dettagliato del panorama garfagnino dove si riscontrava che la maggior parte del gentil sesso era impiegata nei lavori agricoli (3912 femmine). Nell'industria, nei mestieri e nell'artigianato si potevano contare 501 donne (maschi 2416), il piccolo commercio era composto da 17 lavoratrici (uomini 501). Impiegate dello Stato e maestre erano 12 (maschi 608). Da notare le così poche maestre (in realtà erano molte di più) perchè risulta che questo non era il loro lavoro ufficiale, tali donne risultavano in buona parte sotto un'altra categoria, forse proprio in quella delle "cure domestiche" dove si annoverava la cifra di ben
8998 donne. Insomma, in Garfagnana circa dodicimila donne lavoravano nei campi e nelle cure domestiche e buona parte di esse non sapeva nè leggere, nè scrivere. Quale futuro ci poteva essere allora?
  Nel 1912 per la prima volta si parlò di dare il voto anche alle donne, il Presidente del Consiglio Giolitti gelò la questione definendola "un salto nel buio". Bhè, direte voi, il tempo passa, le menti si evolvono, qualcosa sarà pur cambiato. Certamente dico io... in peggio. Il nascente partito fascista ebbe da subito una posizione ambigua, da un lato dichiarava il suo favore per il voto alle donne, dall'altro accusava le stesse di togliere il lavoro ai reduci di guerra. L'ambiguità fu comunque dissipata da una serie di Regi Decreti che propendeva da una sola parte: Regio Decreto 1054, 6 maggio 1923, con la riforma Gentile si proibiva alle donne la direzione delle scuole medie e secondarie. Regio Decreto 9 dicembre 1926 n°2480, vietava alle donne l'insegnamento nei licei, dando l'esclusività femminile all'istruzione negli istituti magistrali. Il 20 gennaio 1927 furono dimezzati per decreto i salari femminili rispetto a quegli degli uomini, una legge fatta ad hoc per disincentivare il lavoro femminile a tal proposito l'esimio economista Ferdinando Loffedo nella sua "Politica della famiglia" del 1938 diceva: "Il lavoro femminile crea al contempo due danni: la mascolinizzazione della donna e la disoccupazione maschile. La donna che lavora si avvia alla sterilità; concorre alla corruzione dei costumi; in sintesi, inquina la vita della stirpe" e sempre in quest'ottica con la legge 22/1934 venne concesso alla pubblica amministrazione di discriminare le donne nelle assunzioni, escludendole di fatto da una serie di pubblici uffici. La posizione del fascismo a riguardo della condizione femminile venne poi
rafforzata dalla Chiesa che nel 1930 ribadiva il ruolo primario della donna come madre e si condannava come "contro natura" ogni idea di parità tra i sessi. A chiudere miseramente il cerchio su tali leggi fu l'approvazione dell'articolo 587 del codice penale che prevedeva la riduzione di un terzo della pena per chiunque uccidesse moglie, figlia o sorella per difendere l'onore suo o della famiglia. Fu istituito in questo modo il cosiddetto "delitto d'onore" (quello che è più grave) rimasto in vigore fino al 1981. Arrivò poi la guerra e qui, se mai ce ne fosse stato bisogno, le donne assunsero il ruolo di protagoniste assolute. Svani per sempre l'immagine della donna come angelo del focolare e anche e soprattutto in Garfagnana, quando mariti, figli o nipoti partirono per la guerra o per la lotta partigiana, la donna prese su di sè tutto il carico della società, sostituendo il lavoro fatto in fabbrica degli uomini (vedi la S.M.I di Fornaci di Barga e la Cucirini di Gallicano), sostituendo sempre gli stessi anche nei lavori della terra, al contempo non fecero mancare il sostentamento agli altri familiari nei lavori casalinghi. A questa situazione la donna garfagnina non era nuova, non era infatti la prima volta che si sobbarcava sulle spalle tutta la responsabilità familiare, era già accaduto negli anni passati quando nella valle l'emigrazione raggiunse il suo apice, la donna oltre ai suoi
tradizionali compiti, assunse anche quelli dell'uomo che era emigrato in terre lontane, il fenomeno è evidente in documenti degli anni 20-30 del 1900, dove negli atti notarili è ben evidenziato che i contraenti di accordi di ogni tipo e di compravendite varie  sono in prevalenza firmati con nomi di donne. D'altra parte fu proprio dalla fine di quella maledetta guerra mondiale che le donne, grazie alla loro forza e alla loro caparbietà presero in mano il proprio destino. Quel 2 giugno 1946, quando finalmente anche loro poterono votare, fu vissuto da quelle "ragazze del '46" proprio come l'inizio vero del cambiamento. Un cambiamento, se si vuole vissuto anche con timore, quel timore reverenziale di chi non ha mai assaporato una certa autonomia. A tal proposito rimasero impressi nella mia memoria di bimbo i ricordi della mia nonna Beppa di Gallicano, che di quel giorno rammentava: 
"Misi cappello e guanti (l'ultima volta l'aveva fatto per la comunione delle figlie)e mi preparai per uscire a compiere a 40 anni e per la prima volta il mio dovere di cittadina". Ricordava sempre che nell'attimo che aprì la porta di casa  per recarsi al seggio ebbe un attimo di
esitazione, 
guardò il nonno che già era andato a votare e gli chiese: - Alfredo, cosa devo votare?- La cara nonna era stata impaurita dalla troppa indipendenza che gli si presentava in età adulta, lei che fino a quel giorno aveva accudito e pensato solo alla numerosa famiglia, mentre il nonno (come diceva lei) "si occupava di cose importanti, di cose da uomini"...


Bibliografia

  • "Il sogno realizzato" di Umberto Sereni, Banca dell'Identità e della Memoria, anno 2011
  • Biblioteca digitale ISTAT . Censimenti 1901-1911
  • "La Garfagnana" di Augusto Torre, articolo pubblicato su "La Voce" il 26 ottobre e il 2 novembre 1911


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