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Conosciamo la"Linea Gotica": avvenimenti,curiosità e numeri di una brutta pagina di storia garfagnina

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Abbiamo sentito parlare sempre di "Linea Gotica".Per la nostra, Garfagnana sono due parole comuni che riportano a giorni tristi e lontani, giorni di morte,giorni di guerra.Per i nostri nonni questa linea di fortificazioni che tagliava in due l'Italia era conosciuta semplicemente con la parola "fronte".Per i garfagnini questa linea di morte era unicamente "il fronte".Ma cos'era nello specifico la Linea Gotica? Guardiamo com'era composto questo teatro di guerra,scendiamo nella curiosità e andiamo a cercare il perchè di questo nome e purtroppo andiamo a vedere che numeri tragici sviluppò.Insomma, conosciamola meglio.Il suo ideatore fu il feldmaresciallo tedesco Albert Kesserling, lo scopo di questa catena di fortificazioni difensive nata nel 1943 durante la II guerra mondiale era di rallentare l'avanzata alleata verso il nord Italia dopo lo sbarco in Sicilia del 9 luglio.Trecentoventi sono i chilometri della sua lunghezza totale.La Linea Gotica si estendeva dalla provincia di Massa Carrara a quella di Pesaro Urbino.Partendo dalle Alpi Apuane, proseguiva verso est lungo la Garfagnana, poi sui monti dell'Appennino modenese e bolognese, risaliva la Valle dell'Arno e quella del Tevere fino ad arrivare all'Appennino forlivese,poi discendeva ancora lungo il versante adriatico fino a Pesaro.Il progetto originale prevedeva la realizzazione di una fascia di fortificazioni larga ben 35 chilometri, ma non vi fu il tempo di realizzare ciò, gli americani premevano alle porte della Pianura Padana.Dodici anni i francesi impiegarono a costruire la linea Maginot, il complesso di fortificazioni che difendeva i confini orientali della Francia.I tedeschi invece ebbero a
Schieramenti sulla Linea Gotica
disposizione solo 10 mesi per dar vita alla Linea Gotica.I lavori iniziarono nel settembre 1943.Per la sua costruzione i nazisti reclutarono soldati e prigionieri italiani (circa 50.000 operai) e 2.000 soldati di una brigata slovacca che finirono a lavorare per la TODT (una grande impresa di costruzioni creata in Germania da Fritz Todt) e sotto il controllo diretto di 18.000 genieri germanici.Tutti coloro che lavoravano nella TODT non venivano pagati e avevano il compito di costruire bunker in cemento armato e campi minati, scavare fossi anti carro e posizionare tralicci di filo spinato.I lavori furono necessariamente interrotti nell'agosto del 1944, quando gli americani sferrarono il primo attacco.In soli dieci mesi però erano stati realizzati 3604 trincee,2375 nidi di mitragliatrici, 479 posti cannone, 16.000 postazioni di tiratori scelti,in più erano state posizionate l'impressionante numero di 95.689 mine antiuomo.I chilometri di fossato erano quasi 900 e quelli di filo spinato ben 117. Naturalmente,specialmente nelle nostre zone per costruire tutto questo la TODT fu facilitata dalla morfologia dei nostri monti, la linea fu modellata seguendo le posizioni vantaggiose che offriva l'ambiente naturale.Ma guardiamo adesso l'origine del suo nome. Perchè Linea Gotica? I tedeschi battezzarono inizialmente questa linea con il nome di Linea Gotica (Gotenstellung) in onore alla
Manifesti di propaganda
per lavorare nella TODT
antiche e impavide tribù germaniche dei Goti che invasero l'Europa centro meridionale,ma poi per volere dello stesso Hitler (che nonostante tutto sentiva odor di sconfitta) temendo ripercussioni propagandistiche negative e sbeffeggianti si decise di chiamarla semplicemente con un nome molto meno altisonante: Linea Verde (Grune Linie), nome dovuto questo dalla rigogliosa vegetazione che era presente in questi luoghi.Arriviamo quindi a quello che ci riguarda nello specifico e diciamo subito che già dal 1938 sulle alture della Garfagnana si cominciò a costruire fortificazioni di difesa dal Genio Militare Italiano, lavori interrotti quasi subito per poi essere ripresi nel 1943 dalla TODT con a capo l'ingegner Hosenfield il quale piazzò la propria sede a Borgo a Mozzano. Anche qui molti nostri concittadini furono impiegati in lavori forzati, d'altronde era l'unica via di scampo per non finire nei campi di concentramento.Una menzione particolare va rivolta ad un geometra italiano in servizio coatto nell'impresa di costruzioni tedesca,questo geometra operava nelle nostre zone e si chiamava Silvano Minucci il quale dei progetti delle difese naziste della zona faceva le copie che poi nascondeva nella canna della bicicletta e le faceva giungere al comando alleato a Lucca.La questione Linea Gotica in Garfagnana era unica perchè i tedeschi commisero un grosso errore da un punto di vista strategico,vediamo perchè. Cosa particolarissima  la linea difensiva in Garfagnana  e in Valle del Serchio era doppia e così si sviluppava:



  • La prima denominata Linea Verde Ipartiva dal Cinquale per poi giungere attraverso le Apuane in Valle del Serchio, tagliarla completamente fino a Borgo a Mozzano e risalire verso gli Appennini
  • La seconda denominata Linea Verde II partiva sempre dal Cinquale, proseguiva verso Seravezza,saliva il Monte Altissimo,la Pania della Croce,la Pania Secca, scendeva verso il Serchio all'altezza di Barga e del comune di Fosciandora dove la valle si restringe per poi risalire gli Appennini attraversando Sommocolonia                                                                                   
Castelnuovo bombardata 1944
L'errore commesso dagli ingegneri della TODT non tenne conto di una possibile incursione alleata attraverso Bagni di Lucca che si poteva raggiungere tranquillamente dalla montagna pistoiese rischiando così di essere colti alle spalle a Borgo a Mozzano (Linea Verde I).Perciò Kesserling dette l'ordine di indietreggiare di 20 chilometri fino all'altezza circa del Ponte di Campia (Linea Verde II).In questo arretramento i nazisti distrussero ponti,strade e gallerie.Nel frattempo gli americani agli ordini del generale Clark avevano dato il via alla fine dell'agosto '44 alla famosa"Operazione Olive",nome in codice del piano di attacco a tenaglia per sfondare la Linea Gotica.Per la valle cominceranno così giorni bui e tristi. Inizialmente la Garfagnana doveva essere risparmiata dagli eventi bellici, nei piani dei nazisti era considerata una "zona bianca"adibita a raccogliere gli sfollati dei territori interessati dagli scontri.Ma non fu così, si consumò una guerra di logoramento tipica della I guerra mondiale che durò 7 mesi. Il 30 settembre i brasiliani della F.E.B si aggregarono alla 92a Divisione statunitense Buffalo raggiungendo Borgo a Mozzano dove stabilirono il comando.Negli stessi giorni i partigiani coadiuvarono gli alleati conquistando le vette Apuane, "il Valanga" prese il Croce e il Matanna. Il 1° ottobre intanto fu liberata Bagni di Lucca,nella solita settimana i soldati brasiliani avanzarono ancora di 20 chilometri liberando Ghivizzano,Piano di Coreglia,
Borgo a Mozzano,
fortificazioni della Linea Gotica oggi
Fornaci,Gallicano, Barga (anche se era già stata abbandonata dalle forze germaniche da giorni) e Sommocolonia. Sembrava una cavalcata trionfale ma tutto il fronte si fermò li, bloccato per tutto l'inverno dalle pessime condizioni climatiche. Adesso il centro nevralgico delle operazioni di guerra diventò Castelnuovo. Durante questo tremendo inverno l'evento più rilevante fu l'operazione"Tempesta d'inverno"(per questa famosa battaglia leggi: http://paolomarzi.blogspot.it il-piu-tragico-natale) condotta dalle forze germaniche che respinsero gli alleati facendoli arretrare per oltre 20 chilometri (che dopo pochi giorni poi recupereranno), ma per il resto dei mesi la situazione rimase stagnante.Le scaramucce continuarono da una parte e dall'altra senza risultati importanti,gli unici a rimetterci erano i garfagnini ormai prostrati dalla guerra. I mesi passavano e lo sfinimento la faceva da padrone. Nelle forze tedesche della Wehrmacht e in quelle italiane della Repubblica Sociale (la Divisione Monterosa) cominciarono le diserzioni, molti si consegnavano al nemico,mentre dalla parte alleata il morale cresceva,la Linea Gotica aveva ceduto a Massa Carrara, 

mentre da nord stavano sopraggiungendo rinforzi. Il momento era
Borgo a Mozzano, Linea Gotica, bunker
propizio,era arrivata l'ora di dare la spallata finale alla linea e così fu. Il 18 aprile 1945 prese il via la decisiva azione di guerra denominata"Second Wind",un operazione combinata da pesanti mitragliamenti e bombardamenti e con l'aiuto dei partigiani risalendo da Gallicano fu sfondata la Linea Verde II e finalmente il 20 aprile Castelnuovo Garfagnana era libera. Nella fuga i nazisti continuarono la loro opera di distruzione,distruggendo anche il bellissimo Ponte della Villetta. La Garfagnana dopo la liberazione di Piazza al Serchio (e dei comuni circostanti) avvenuta il 25 aprile era definitivamente libera dall'oppressione nazista.La Linea Gotica in Garfagnana lasciò una pesante eredità. I danni subiti dalle infrastrutture e dalla popolazione furono ingentissimi.A quel tempo si contarono 360.000 sfollati fra garfagnini e versiliesi e 3200 morti civili (dato approssimativo). Le zone più colpite dai bombardamenti americani furono Gallicano,Barga,Molazzana, Camporgiano, Careggine, ma a
Il Ponte della Villetta 
fatto saltare in aria dai tedeschi
simbolo di tutti questi paesi c'era Castelnuovo che per il 95% della sua estensione fu rasa al suolo. Oggi le fortificazioni della Linea Gotica le possiamo ammirare a Borgo a Mozzano, sono praticamente intatte e le possiamo visitare prendendo appuntamento con la pro

loco del posto. Un appuntamento con la nostra storia da non perdere assolutamente.

La donna che attraversò tre secoli: Nelly Lemetti, "la bambina del Pascoli".

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Nelly Lemetti in età giovanile
Quale  miglior occasione dell'8 marzo per ricordare le donne?Personalmente sono però dell'avviso che non occorre un giorno particolare per ricordarsi delle donne, dell'innamorata, del papà o della mamma, lo trovo al quanto riduttivo,comunque atteniamoci alle tradizioni e anch'io farò la mia parte attraverso le pagine di questo mio blog. Il pensiero e il mio omaggio in questo giorno di festa per "il gentil sesso" va ad una donna speciale,molto particolare, una donna garfagnina che è riuscita a "toccare" ben tre secoli,una signora "antica" nata nell'ottocento e morta nel terzo millennio, una donna forte, caparbia, una vita vissuta veramente come poche, lei che era meglio conosciuta come..."la bambina del Pascoli" al secolo Nelly Lemetti.
Nelly nacque alla Barca,località nel comune di Gallicano in un lontano 19 dicembre del 1896.Suo padre Luigi era il proprietario del"Osteria del Platano" (ancora oggi esistente) al Ponte di Campia,l'osteria vedeva Giovanni Pascoli fra i suoi più assidui frequentatori.Questa amorosa bambinetta in poco tempo divenne la prediletta del poeta. S'incontravano quasi ogni giorno all'osteria, le attenzioni che il Pascoli rivolgeva alla piccola Nelly erano molte,la bambina nelle giornate estive gli sedeva accanto presso il tavolo di ferro battuto nella piazzetta davanti all'osteria, mentre d'inverno si trasferivano all'interno alla fioca luce del camino, immersi nell'odore acre del vino e del fumo. Uno dei
L'Osteria del Platano oggi
primi a ricordarsi di Nelly fu il giornalista Giulio Simonini che in occasione dei suoi cento anni (1996) la intervistò per il quotidiano"La Nazione",e lei ricordava spesso questi momenti vissuti intorno a quel tavolo di ferro battuto:

"Era qui che il Pascoli trascorreva il suo tempo libero.Amava leggermi le poesie e correggere i miei compiti, inoltre gli piaceva conversare e prendere appunti sul dialetto garfagnino dai barocciai e gli avventori che si rifocillavano al "Platano" scambiando con loro qualche bicchiere di vino. Ricordo con nostalgia le mie giornaliere visite al Colle di Caprona (n.d.r:la casa del Pascoli) per portare al professore il giornale e i sigari che aveva ordinato all'osteria del papà.Il poeta ricambiava i miei servigi con cioccolatini e fragranti biscotti preparati dalla sorella Mariù,lasciandomi poi giocare con il cagnolino Guli."
Addirittura la piccola Nelly è citata in alcune lettere private del poeta scritte al suo amico Alfredo Caselli, in una di queste si rivolge a Nelly chiamandola teneramente "figliolina"
"La mia figliolina e tornata or ora da una corsa fatta sino alla Barca per prendere i pesci"( n.d.r:alla Barca esisteva presso tale Niccodemo Marroni dei vivai di pesce).
Una vecchia foto dell'"Osteria del Platano"
si vede anche il Pascoli sulla destra
Arrivarono anche i momenti tristi e il povero Luigi, padre della piccola Nelly morì e la famiglia Lemetti rischiò seriamente di perdere le licenze per gestire l'osteria, ma grazie all'interessamento del "professor Pascoli" come diceva Nelly,la mamma poté continuare l'attività. Nelly cresceva,nel frattempo il suo mentore, "il professore" era morto (n.d.r:6 aprile 1912) e sua mamma continuava serenamente l'attività.Era arrivato quindi il momento di farsi una vita propria e in quell'intervista e nella sua mente riaffioravano ancora nitidi i ricordi del suo ultracentenario cammino e ripensava sempre a quei 16 anni quando si invaghì di un bel giovanotto del luogo di nome Giacomo, presto si sposarono e presero la decisione di trasferirsi nella terra in cui i sogni si trasformavano in realtà:"le lontane Americhe".Fu l'inizio di un avventura a lieto fine.Presero in gestione un saloon a Chicago, si rivelò subito un lavoro pesante, erano gli anni del proibizionismo e la città era frequentata dal fior fiore dei gangster e spesso i due sposi dovevano placare l'esuberanza e i litigi dei focosi clienti,ma tutto comunque andò a gonfie vele. Con la sicurezza economica tornò forte il richiamo dei familiari e della Garfagnana e si decise di ritornare in Italia.Con i soldi guadagnati in America Nelly costruì una villetta nella riviera ligure dove passava gli inverni insieme al figlio ultraottantenne Dagoberto dilettandosi nel ricamo, mentre d'estate ritornava al paese natio assistita amorevolmente dalla
Pascoli gioca con il suo cane Guli
nipote Duse Lemetti.Giulio Simonini, il suo intervistatore la ricordava come una donna con una verve invidiabile,una mente lucida, uno spirito forte e sereno, spesso sorprendeva i suoi interlocutori da tanto che era informata sui fatti che riportavano sia la stampa che la televisione.Nel 2004 Nelly ci lasciò dopo 108 anni di vita intensa e adesso riposa nel cimitero di Castelvecchio a poche centinaia di metri dalla tomba del suo protettore Giovanni Pascoli...Ecco chi era "la donna che attraversò i tre secoli".

Il muro conteso:"Il Muraccio" di Pieve Fosciana.La barriera che divideva due stati,Lucca da Modena...prima ancora del Muro di Berlino

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Il "Muraccio" oggi a Pieve Fosciana
Prima del Muro di Berlino, prima della Peace Lines di Belfast,prima della barriera di separazione fra Palestina e Israele, prima di tutti questi c'era il "Muraccio" di Pieve Fosciana.La costruzione di muri e muraglie a scopo difensivo e di separazione risale alla notte dei tempi,quando per proteggere il proprio popolo e territorio da possibili invasori, re e imperatori facevano innalzare grandi barriere di pietra che arginassero gli eserciti nemici e così fu anche in Garfagnana,anche noi abbiamo avuto la nostra "muraglia cinese",il nostro bel muro che è meglio conosciuto proprio come il "Muraccio",innalzato a difendere e a dividere i territori lucchesi di Castiglione Garfagnana da quelli estensi e oggi è ancora li;per i più è solo un anonimo muro senza significato, ma per dirimere la questione 400 anni fa intervenne addirittura l'imperatore.Prima però di addentrarci nel particolare, per meglio capire la vicenda bisogna partire da un po' più lontano. 
Modena e Lucca oggi sono due città  probabilmente molto simili,due città della buona provincia italiana.Nel 1603 invece all'epoca dei fatti non potevano che essere più diverse.Modena era la capitale dei domini estensi,Lucca era una repubblica.Da una parte i nobili di corte passavano il tempo a "giocare" con le armi e ad inscenare duelli, dall'altra invece una ristretta élite di famiglie patrizie per la maggioranza banchieri (tanto per cambiare...),gestiva il
potere in modo molto più austero.Tanto per intendersi era diverso anche il modo di concepire la conquista, da parte modenese più si ingrandiva il regno e meglio era, senza badare tanto per il
Il groviglio di stati...
Modena (e la Garfagnana),Lucca e Firenze
(mappa del 1844)
sottile,mentre Lucca quando cercava di intraprendere qualche guerra lo faceva in modo oculato e sceglieva quei territori da conquistare ricchi di materie prime o posizionati strategicamente da favorire scambi e commerci e in mezzo a tutto questo c'era la Garfagnana ancorata a concezione di vita ed a ordinamenti piuttosto medievali.Agli Estensi la Garfagnana non piaceva moltissimo, mandavano a ricoprire cariche governative tutti gli amministratori di poco valore o caduti in disgrazia come il povero Ariosto o quel pazzo di Alfonso III, il duca che si era fatto frate dopo la morte della moglie Isabella di Savoia sfiancata da ben 14 parti. Da parte garfagnina invece i modenesi piacevano certo più dei lucchesi,la ragione è fin troppo ovvia ed è di questione fiscale, per i lucchesi vigeva un sistema tributario molto rigoroso e oneroso, mentre Modena era molto più "liberale" da questo punto di vista, essi erano interessati a riscuotere una somma periodica da ripartire a piacimento dei garfagnini stessi e spesso tale somma veniva pure negoziata. Un bel giorno Lucca però fece due conti (per dirla in parole povere) e vide che non tornavano, nonostante i numerosi tributi che affliggevano la Repubblica Lucchese, bisognava rimpinguare le casse dello stato.Come fare? Cercando di fare guerra agli Estensi, conquistando qualche suo possedimento in modo così da avere più sudditi sotto di se su cui applicare le tasse,l'equivalenza veniva facile:più sudditi, più tasse, uguale soldi...In Garfagnana sotto Lucca c'era la Vicaria di Castiglione, praticamente era rimasta quest'isola lucchese, quasi un enclave nel mezzo di tutta a provincia Estense,tuttavia però Castiglione rimaneva potente militarmente e toccò a lei l'improbo compito di fronteggiare le truppe modenesi per conquistare qualche lembo di Garfagnana estense.Per qualche tempo si durò a punzecchiarsi reciprocamente, qualche fucilata da un confine all'altro, qualche scaramuccia e man mano però che gli anni passavano la cosa si faceva sempre più pesante, i morti incominciarono ad essere numerosi e gli assedi molto lunghi, quella terra di confine fra Castiglione (lucchese) e Pieve Fosciana (estense) era diventato un luogo da evitare, la vita non si poteva più svolgere regolarmente neanche per la povera gente. A un certo punto (siamo nel 1613 circa) un
Mattia d' Asburgo
Imperatore del Sacro Romano Impero

garfagnino (anzi più di uno...) di simpatie estensi e che sopratutto non aveva voglia di pagar fior di quattrini di tasse agli esosi lucchesi ebbe la bella pensata di tirar su un bel muro e così una bella mattina i soldati lucchesi se lo trovarono letteralmente tra i piedi senza saper più che fare.Le scorribande fra i contendenti smisero, ma però la Repubblica di Lucca non la prese benissimo e scrisse così una lettera di protesta ufficiale nientepopodimeno che all'imperatore del Sacro Romano Impero Mattia d'Asburgo in persona,che continuava ad avere giurisdizione in materia di confini. Mattia aveva però altro a che pensare (siamo nel periodo poco prima della Guerra dei Trent'anni) e non voleva questa grana tra i piedi, però l'imperatore sapeva bene che la penisola italiana era un groviglio di staterelli, principati, ducati, tutti alleati con le maggiori dinastie europee e accontentare l'una o l'altra parte si correva il rischio di inimicarsi una importante casata, cosa da evitare assolutamente alla vigilia di una guerra...e decise quindi insieme ai suoi giuristi di fare come Ponzio Pilato, decise "di lavarsene le mani e i piedi",optò per una soluzione che accontentava tutti e allo stesso tempo nessuno. Si deliberò che questo muro andava si abbattuto,ma non adesso,bisognava misurare, bisognava verificare di persona, insomma i giuristi imperiali prendevano tempo in attesa dello scoppio della guerra che sicuramente avrebbe fatto dimenticare tutto e così successe,nel 1618 la Guerra dei Trent'anni ebbe inizio e tutto passò in secondo piano, addirittura con il tempo a guardia del muro fu costituita una guarnigione militare estense.Ora che l'Italia è unita a ricordare quel mucchio di pietre sono solo gli studiosi e gli appassionati di storia, pensare che fu un vero e proprio caso di politica internazionale, alla vigilia di un tumultuoso periodo. Eppure quello era un confine fra due stati, due culture e due mondi completamenti diversi che però permise agli abitanti di attraversare senza troppi danni tutti gli anni successivi senza scorribande, agguati ed attentati che avevano rovinato la vita a molti.
Nella mappa segnato in rosso quello che rimane oggi del "Muraccio"




La storia delle nostre montagne: le Alpi Apuane.Partendo da 220 milioni di anni fa,passando dai Liguri Apuani per finire a Dante

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Le vediamo sempre lì,conosciamo la loro bellezza, apprezziamo
La Pania Secca con Il rifugio Rossi
 l'ospitalità dei suoi rifugi, rimaniamo ammirati dalla sua fauna ed estasiati dai suoi fiori, ma forse quello che conosciamo un po' meno e la loro storia e la loro origine.Le Alpi Apuane sono i nostri monti e meritano di essere conosciuti a tutto tondo.Certo quello che andrò a scrivere non sarà sicuramente tutto quello che c'è da sapere sulle Apuane (bisognerebbe scrivere un libro,forse due, forse tre...) ma queste righe vogliono stimolare il lettore  interessato a maggiori ricerche. Partiamo da molto lontano e proviamo a fare uno sforzo con l'immaginazione e torniamo a 220  milioni di anni fa,nel periodo che i geologi chiamano Triassico Superiore.La geografia del mondo era molto diversa da quella attuale e nella zona che sarebbe divenuta l'attuale Liguria e Toscana c'era un vecchio continente detto Pangea con clima caldo ed arido,questo continente cominciava a lacerarsi e dividersi,l'allontanamento dei due margini provocava nella zona di nostro interesse un'area dapprima paludosa, poi con il maggior distaccamento si trasformò in area  marina ma poco profonda ed infine divenne un vero e proprio mare tropicale da paragonarsi a dire degli esperti alle attuali Bahamas, possiamo quindi immaginare l'attuale Versilia con scogliere coralline,calde lagune circondate da spiagge bianchissime e isolotti con vegetazione tropicale.Ma purtroppo per noi questo Paradiso era destinato a finire, l'ulteriore allontanamento dei continenti fece gradualmente raffreddare il mare.Questa situazione si mantenne fino a 96 milioni di anni fa (Cretaceo Superiore) quando due blocchi che possiamo identificare come l'Europa e l' Africa del Nord iniziarono a riavvicinarsi, stringendo come una tenaglia la terra emersa che che cominciò a deformarsi e a comprimere il tutto facendo così
I fiori delle Apuane
accavallare grosse porzioni rocciose.In questa fase di compressione e deformazione si realizzarono i processi di formazione della Apuane e dei suoi pregiati marmi e così fu che grosso modo e in parole povere le Alpi Apuane videro la luce(da notare inoltre che i cugini Appennini sono un po' più giovincelli, si sarebbero formati dopo).Comunque sia snoccioliamo due numeri e diciamo che la catena Apuana si estende per soli circa trenta chilometri e l
'area occupata dalle stesse misura 2100 kmq.Nessun punto della catena raggiunge i 2000 metri. La massima altitudine è data dal Pisanino (m. 1946), cui seguono la Tambura (1870), la Pania della Croce (1859), il Pizzo d'Uccello (1782), il Sumbra (1765), il Sagro (1749), il Corchia (1677), compresi tutti in un tratto di soli 20 km.Il nome deriva letteralmente da quello dei Liguri Apuani gli antichi suoi abitanti, ma Strabone (geografo e storico greco) li chiamava Lunae Montes (i monti della luna) e Dante i Monti di Luni (paese in provincia di La Spezia),ma il nome comune e storico è quello di Panie.Entrata nel linguaggio scientifico e ormai anche in quello comune,solo nel secolo scorso,per opera principalmente del Repetti(geografo e naturalista),la denominazione Alpi Apuane compare,forse la prima volta nel 1804 al nuovo Dipartimento del Regno Italico che ne comprendeva la regione.L'aspetto frastagliato delle creste montuose, che ricordano quello delle Dolomiti e il biancheggiare quasi niveo dei detriti marmorei giustifica il nome di Alpi a rafforzare tale concetto ci pensò Felice Giordano nel 1868 in una delle prime adunate del Club Alpino Italiano a Firenze  e disse che:

"Il nome Alpi sta bene invero a questa giogaia che proietta nel cielo un profilo scabro,straziato e irto di picchi alti".
l'eremo di San Viano
 I Liguri Apuani furono i primi ad abitare i nostri monti, i loro primi insediamenti risalgono al VI secolo prima di Cristo,quando si stanziarono nei dintorni di Pisa e verso tali montagne.Verso IV secolo a.C con la graduale espansione degli Etruschi, accompagnata da quella dei Romani costrinse i Liguri Apuani a ritirasi sui monti della Garfagnana (vedi http://paolomarzi.blogspot.it/2014/08/comera-la-garfagnana-di-duemila-anni-fa.html).Con l'andare dei secoli e dei millenni questi monti hanno conosciuto molte tragedie sopratutto nella seconda guerra mondiale,ricordiamo su tutte la strage di Sant'Anna di Stazzema e anche catastrofi naturali come l'alluvione di Cardoso e Fornovolasco nel 1996. Nel 1985 invece viene istituito il Parco Naturale delle
Alpi Apuane a difesa dell'ambiente e del territorio che si divide in tre zone distinte, la Garfagnana ,la Versilia e Massa Carrarache decretarono fra l'altro la nomina del patrono di tutte le Apuane: San Viano,l'eremita che visse sulle balze orientali del Roccandagia e che viene festeggiato e portato in processione il 22 maggio nel suo incastonato eremo posto nei boschi a una quarantina di chilometri da Campocatino.Molti poeti nel passato hanno ricordato nei loro poemi e nelle loro poesie le Apuane, da Dante,che le cita nella Divina Commedia nel XXXII°canto dell'inferno (per l'argomento vedi : http://paolomarzi.blogspot.it/dante-conosceva ),ad Ariosto, per arrivare a Pascoli e a D'Annunzio,ma le parole a me più care rimangono quelle di Fosco Maraini (scrittore,poeta e alpinista): 
"Che sono quei monti?"
 chiesi molto incuriosito,quasi impaurito 
Tramonto sulle Apuane
"Sono le Alpi Apuane"
 mi fu spiegato. 
"Ammirai a lungo lo spettacolo inconsueto che mi faceva pensare,non so perchè,alla creazione del mondo: terre ancora da plasmare che emergevano da un vuoto sconfinato,color dell'incendio".

Era il 1916,la prima acqua minerale in bottiglia di tutta la Garfagnana:"L'Acqua Minerale Naturale di Gallicano".Ecco la sua tormentata storia

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La magnifica etichetta del 1916 dell'
"Acqua Minerale Naturale di Gallicano"
Sono ben 514 etichette diverse,secondo altri fonti addirittura 608.Basta dare uno sguardo nei supermercati nel reparto acque minerali per rendersi conto di questi numeri.In Italia consumiamo pro capite ben 194 litri annui di acqua minerale in bottiglia (dato del 2006), siamo così i primi al mondo per consumo.Secondo dati disponibili del 2014 il volume di affari nel nostro paese  è valutato in circa 2,3 miliardi di euro,numeri sorprendenti ed inimmaginabili, addirittura si contano secondo una stima di Legambiente l'uso di ben 6 miliardi di bottiglie da 1,5 litri pari ad un impiego di 450 mila tonnellate di petrolio.Ma perchè vi faccio tutto questo bel discorso? Cosa c'entra tutto questo con la nostra Garfagnana? C'era un paese nella nostra valle che prima di tutti aveva annusato l'affare,questo paese era Gallicano,che fu il primo paese in tutta la Garfagnana a commercializzare le sue acque minerali, una vera novità che spingeva Gallicano al passo con i tempi, insieme ad un'Italia di inizio 1900 che cercava di cambiare la sua natura lavorativa da nazione agricola in industriale. In località Ponte alla Villa a Gallicano in passato: 
 "...si erano notate delle sorgenti minerali che andavano perdendosi nelle acque del torrente Turrite..."
Gallicano,lo stabilimento
 delle acque minerali.
In rosso l'edificio esagonale dove
veniva imbottigliata
 l'acqua(foto tratta da "Gallicano
in Garfagnana"
di Daniele Saisi)
In questa zona, da notizie di archivio di fine 1800 risulta che ci fosse un "Balneo" comunale chiamato appunto il "bagno di Ponte alla Villa",sappiamo tutti che all'epoca il bagno in casa era un lontano miraggio e allora vi erano a disposizione gratuita della popolazione questi bagni pubblici dove ci si poteva tranquillamente andare a lavare in grandi vasche.Da diverso tempo in paese però si parlava dei benefici straordinari che apportava quest'acqua, si vociferava addirittura di guarigioni miracolose e chissà di quali altri prodigi,ma sappiamo come sono le voci di paese, con il passaparola il sassolino diventa un masso, comunque sia qualcuno volle vederci chiaro e nel lontano 1903 si decise di far analizzare queste acque.I risultati furono sorprendenti, tali acque avevano una notevole mineralizzazione e si evinceva inoltre che:
"L'acqua della sorgente principale è di sapore amarognolo e ha la temperatura di 23°C"

Successive e più minuziose analisi decretarono definitivamente che le ottime condizioni geologiche,l'abbondanza,l'esame batteriologico che risultò puro dimostrarono che quest'acqua era utile in molte patologie in particolar modo nelle gastropatie, inoltre furono scoperti addirittura altri cinque punti di sorgenti nel paese, ma la più importante era proprio quella di Ponte alla Villa.Quale miglior occasione allora di commercializzare le acque di Gallicano? Nel 1916 incominciarono i lavori per la costruzione di un chiosco esagonale (di notevole fattura architettonica) adibito all'imbottigliamento dell'acqua e di fatto così la vendita partì.Ecco cosa si legge dello stabilimento di Gallicano in un libro del 1916 di Giuseppe Scipione Vinaj e di Rodolfo
Il progetto poi realizzato
del chiosco ottagonale
per l'imbottigliamento
(foto tratta da "Gallicano
 in Garfagnana
di Daniele Saisi)
Pinali intitolato "Le acque minerali e gli stabilimenti termali, idropinici ed idroterapici d'Italia":
"Lo stabilimento aperto dalla primavera all'autunno,possiede un locale per le bibite ed ha un comparto per la confezione delle bottiglie destinato all'esportazione, con locale di sterilizzazione dei vetri, di imbottigliamento, di spedizione, ecc.Gallicano dista solo pochi chilometri dalla stazione ferroviaria (previo attraversamento del fiume Serchio) questo facilita in modo assoluto l'esportazione delle ottime acque per nuovi lidi e tutte le più scrupolose misure igieniche vengono usate per questo scopo.Notevoli lavori si stanno intraprendendo per dare un utilizzo maggiore allo sviluppo delle importanti sorgenti del Gallicano"

Ma purtroppo così non fu, la produzione e l'imbottigliamento dell'acqua di Gallicano non si sviluppò e durò per pochi anni. I motivi che portarono ad una rapida ascesa e a una altrettanta rapida discesa rimango ancora oggi un mistero. Si possono ipotizzare alcune teorie,  prima fra tutte la difficile commercializzazione.Chi era perlomeno in Garfagnana nel 1916 che si poteva permettere di comprare l'acqua in bottiglia? Quando i nostri nonni la andavano a prendere alle molteplici fontane sparse nei paesi? O sennò i costi di trasporto.Data la nostra problematica collocazione geografica trasportare via treno l'acqua da vendere in città aveva dei costi enormi e poi si dice anche della concorrenza di altre stazioni termali più importanti, si narra inoltre di storie tragiche e misteriose dopo la chiusura degli stabilimenti di Ponte alla Villa che non starò qui a raccontare perchè non supportati tali fatti da prove sicure.Con il tempo gli edifici subirono un progressivo abbandono, fino a che non furono rilevati dall'amministrazione comunale che li restaurò. Oggi a molti gallicanesi di tutto ciò rimane in casa il ricordo di queste
La bottiglia dell'
"Acqua Minerale
Naturale di
Gallicano"
bellissime bottiglie e della sua magnifica etichetta che riporta tale voce:
"Azione terapeutica: 
Efficacissima nelle malattie del tubo gastroenterico-Del fegato-Delle vie biliari-Nella gotta,diabete,renella,nella calcolosi epatica,nelle affezioni del rene e delle vie urinarie-Antiurica-Fortemente diuretica 
Uso: 
Due o tre bicchieri al mattino e può adoperarsi anche per tavola"                                                                                  
Oggi a tener alto l'onore garfagnino delle acque minerali rimane unicamente "Fonte Azzurrina" di Careggine che finalmente dopo alterne vicende la scorsa estate ha ripreso la sua attività dopo che è stata acquisita dalla "Tesorino" di Montopoli Valdarno (Pisa). Auguriamo di tutto cuore di avere tutti quei successi che sono mancati al suo illustre predecessore, "L'acqua minerale naturale di Gallicano":la prima acqua minerale in bottiglia di tutta la Garfagnana.

La povertà in Garfagnana.Quando per il 50° compleanno del principe vennero distribuite mille porzioni di pane bianco...

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Oggi certi alimenti che vediamo sulla nostra tavola siamo abituati a vederli e sopratutto a mangiarli tutti i giorni e non pensiamo che forse una volta erano considerati delle cose uniche,dei cibi esclusivi che si potevano permettere di mangiare solo i grandi signori.Ad esempio cosa c'è di più classico e normale di una pagnotta di pane bianco? Una volta in Garfagnana non era normale mangiare pane bianco, anzi...Oggi vi voglio raccontare una storia curiosa che spero possa far meditare (nonostante tutto) sulla nostra condizione sociale attuale e inoltre attraverso questo racconto vorrei inoltrarmi nella miseria della povera gente garfagnina di allora. 
Tante furono le iniziative promosse dai regnanti nei secoli andati in occasioni di grandi eventi, di ricorrenze reali quali matrimoni,compleanni e quant'altro.Usava particolarmente in queste ricorrenze la distribuzione di pane bianco ai poveri.Lo scopo di tanta magnanimità era però chiaramente subdolo, si voleva in tal maniera ingraziarsi il popolo e apparire benevoli agli occhi del mondo, quindi la distribuzione doveva esser fatta pubblicamente e con più risonanza possibile.Maestri di tale pratica furono sicuramente a inizio 800 i "munifici principi napoleonici", i quali avevano creato un apposito ufficio di beneficenza. Di queste elargizioni occasionali beneficiarono più volte anche i poveri di Garfagnana, quando la Garfagnana per volere di Napoleone fu unita al Principato di Lucca e Piombino nel 1806.Il pane, anche se per molti può sembrare impossibile, raramente faceva parte della dieta dei garfagnini.Nemmeno i contadini,che in qualche zona pianeggiante della Garfagnana producevano grano in buone quantità avevano sempre la possibilità di imbandire la tavola con questa prelibatezza poichè
Segnato in arancione il Principato
  napoleonico di Lucca e Piombino
di cui la Garfagnana fece parte
 dal 1806 al 1814
vendevano buona parte (quasi tutto)del loro raccolto per comprare scarpe e vestiti,soltanto nella mensa dei signori era presente quello che oggi si potrebbe chiamare senza esitazione un bene di lusso.In compenso i mezzadri avevano la possibilità di sfornare il pane cosiddetto "nero",di segale, mentre i "poveracci"dovevano impastare tutto quello che gli capitava a tiro:miglio,panico,veccia,ghiande,patate,scarzella,farro,orzo...
erano gli ingredienti più usati dai nullatenenti,specialmente nei periodi di scarso raccolto. A dimostrazione di ciò nel 1833 Carlo de Stefani (geologo e studioso che operò in Garfagnana) ebbe a scrivere:
"Intanto i poveri del comune vanno a cercare le spighe sfuggite dalle mani dei mietitori"
Felice Baciocchi il principe e
 cognato di Napoleone
e la sorella Elisa che ressero
 le sorti della Garfagnana per 8 anni
Quindi è facile immaginare in questa situazione di indigenza che era la nostra valle con quanta ansia la folta schiera di malnutriti aspettava i grandi eventi e i compleanni dei regnanti.Tra questi attesi avvenimenti è ben documentato nell'archivio storico di Castelnuovo Garfagnana il cinquantesimo compleanno del principe Felice Baciocchi,cognato di Napoleone Bonaparte,nonchè marito della sua augusta sorella Elisa,nel cui programma dei festeggiamenti vi era un articolo che autorizzava il presidente dell'Ufficio di Beneficenza a sfornare mille razioni di pane bianco per i poveri della Garfagnana:
"Le rimetto un esemplare del Programma concernente le feste da farsi per solennizzare il giorno
anniversario di nascita, e di nome di S. A.l’Augusto nostro Sovrano. Ella si compiacerà prendere per tempo le opportune misure, perché l’Ufficio di Beneficenza provveda al riparto delle razioni di pane accordate dall'articolo 4 del programma stesso ai Poveri di tutte le
Comuni, e Sezioni del Circondario, procurando che liSignori siano avvertiti del numero delle razioni,che debbono far fare, e distribuire rispettivamente...".
Ma come fare a selezionare gli aventi diritto a tale beneficenza? Questo compito era affidato ai parroci dei vari paesi che meglio conoscevano le varie miserie dei loro fedeli, ma la situazione era però talmente critica che il numero dei"veri poveri" superava di gran lunga le quote di pane assegnate. Stabilire il "grado di povertà"in una terra di povera gente era veramente difficile essendoci famiglie che piangevano miseria a pancia piena ed altre che per riserbo e dignità non se la sentivano di spandere i loro problemi a destra e a manca. Di solito i principali criteri di selezione che adottavano i parroci erano fondamentalmente quattro: la disoccupazione,l'elevato numero di figli, seguite poi dalle lunghe malattie e dalle invalidità permanenti. Tutto questo pensate un po' per una libbra castelnuovese  (equivalente a circa tre etti e mezzo)di pane per ogni persona selezionata (per le unità di misura garfagnine vedi:http://paolomarzi.blogspot.it/le-unita-di-misura-garfagnine).Detto questo l'Ufficio di Beneficenza di Castelnuovo arrivate le "quote pane" dai preti così suddivise le porzioni nei 17 comuni del circondario:
"Camporgiano n. 50, Careggine 43, Castelnuovo 166, Castiglione 71, Fosciandora 37, Gallicano 43, Giuncugnano 46, Minucciano 46, Molazzana 62, Piazza al Serchio 50, Pieve Fosciana 59, San Romano 43, Sillano 53, Trassilico 81, Vagli Sotto 57, Vergemoli 40, Villa Collemandina 53."
Furono cotti così 500 pani da due libbre castelnuovesi (circa sette etti) che furono tagliati a metà e consegnati alla popolazione la mattina del 18 maggio 1813 non appena finite le celebrazioni religiose indette per il compleanno del principe.
Poveri contadini garfagnini

Castelnuovo per accontentare veramente tutti i suoi poveri le sue porzioni di pane bianco furono ulteriormente divise:le sue 166 porzioni di pane diventarono così 227, avendo tra i suoi abitanti per la maggior parte manovali e braccianti:gli altri paesi avevano meno esigenze, essendo la loro economia prevalentemente contadina. Tant'è che questi contadini non erano nemmeno contati nelle liste di povertà perchè benchè mangiando poco o tanto bene o male mangiavano tutti i giorni. I festeggiamenti si svolsero a Castelnuovo in un gran tripudio, il consigliere del principe intervenuto riferì a sua maestà di:
"Aver più volte sentito il popolo gridare in coro e con grande entusiasmo il nome del generoso Sovrano"
Mentre ai sudditi acclamanti, che già avevano digerito le scarse razioni gratuite, non restava che sperare nei futuri compleanni
e magari nella nascita di qualche principino, per assaporare ancora il prelibato cibo.

Garfagnana 1451:quando la Pasqua non voleva dire uovo di cioccolato,ma bensì autoflagellazione e corona di spine...

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Si fa presto a dire Pasqua.Oggi quando si dice Pasqua ci viene subito in mente l'uovo di cioccolato,il luculliano pranzo del dì di festa o il seguente giorno del lunedì dell'Angelo quando andiamo a far "merendelle" per i prati.Ma non è stato sempre così, anzi, le ricorrenze di quei giorni della Settimana Santa in Garfagnana di qualche secolo fa erano lugubri e tristi,più che festeggiare bisogna pentirsi ed espiare attraverso le sacre rappresentazioni,anche se di rappresentazione avevano ben poco...qui si faceva sul serio.Il Concilio di Trento (1545-1563) ha costituito un momento importante per lo sviluppo  e l'evoluzione delle sacre rappresentazioni.Nei secoli passati in Italia avevamo avuto un nascere incontrollato di riti, si approfittava di ogni occasione e di ogni ricorrenza per manifestare la fede.In seguito alle decisioni di Trento furono limitate ed in alcuni casi anche impedite.Quelle manifestazioni erano diventate troppo rumorose e disordinate che il popolo riteneva giusto celebrare dentro gli edifici sacri.Si decise quindi per la sopravvivenza dei riti più importanti,fra questi appunto continuò a vivere la Sacra Rappresentazione della Passione di Cristo da farsi durante la Settimana Santa. Questa consolidata tradizione intorno al 1600-1700 subì sopratutto in Garfagnana una spinta maggiore dovuta alle grandi predicazioni dei gesuiti che proliferavano in zona e pensare che di questa spinta ulteriore non ne avevamo proprio bisogno dato che il nostro fervore religioso era già a dir poco alto se nel 1451 a Castelnuovo venne costituita una confraternita di flagellanti:la Compagnia della Croce (n.d.r:gli antenati dell'attuale Misericordia di Castelnuovo) fondata dal francescano frà Francesco Corso, essi furono autori di meritevoli iniziative, dall'assistenza ai  bisognosi a quella dei malati che poi in seguito porteranno anche alla fondazione dell'omonimo (e attuale) ospedale, il"Santa Croce" di Castelnuovo Garfagnana, ma è anche giusto
l'autoflagellazione
ricordare che per il periodo pasquale ( e non solo) questa confraternita si attivava in estenuanti preghiere e addirittura nella fustigazione volontaria, questa autoflagellazione avveniva in pubblico nella piazza principale del paese e veniva considerata una forma di penitenza. Fu un movimento questo in Garfagnana che arrivava a organizzare processioni nel giorno del venerdì santo composte da un migliaio di persone, processioni interminabili, che coinvolgevano ogni strato sociale:dal povero al ricco e che attraversava e toccava ogni posto e località della cittadina garfagnina, i penitenti facevano uso di corona di spine,del cilicio (n.d.r: cinghia contornata da uncini e costellata di nodi che veniva stretta o intorno alla vita o alla coscia in modo da provocare un dolore forte e costante) e tutti i confratelli si frustavano a sangue, il tutto (dicevano) per soffrire come soffrì Cristo sulla Croce.Ma è bene dire ad onor del vero che questo strazio fu vietato da Papa Alessandro IV nel 1261 (e ribadito ancora nel Concilio di Costanza del 1417), ma che poi in barba alle leggi del Santo Padre fu continuato per secoli ancora e nel 1700 circa eravamo sempre alle solite.Come detto questa volta erano i gesuiti, predicatori in Garfagnana che affermarono ancora questa "tradizione"pasquale, convinti nel fatto che la fantasia popolare andasse colpita il più possibile, per garantire un attaccamento sempre maggiore, quasi morboso alla fede cristiana. I sapienti predicatori utilizzavano l'arte oratoria e con sapienza marcavano le loro gesta e i loro movimenti erano teatrali e queste processioni nonostante il divieto papale continuavano ad essere un supplizio: i partecipanti questa volta incappucciati ed incatenati continuavano a portare il cilicio e sopra il nero cappuccio la irta corona di spine, il tutto nella surreale atmosfera creata dall'oscurità, rotta sola dalla
Il cilicio
tremolante luce della fiaccole.Una volta arrivati nella cima di una collinetta nei pressi di San Carlo il predicatore si ergeva sul palco ed inscenava momenti della Passione e della dannazione dei peccatori...Che dire! Per fortuna una volta ogni tanto i tempi cambiano in meglio...


Il Pascoli conteso. Ecco l'assurda e tormentata vicenda che vide coinvolte le mortali spoglie del poeta...

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Giovanni Pascoli
E' il destino dei grandi personaggi che il loro corpo una volta cessata la loro vita terrena venga conteso fra le città di nascita e quelle di adozione, così successe al Sommo Poeta Dante Alighieri morto a Ravenna nel 1321 e li sepolto, dove pochi anni dopo sua la morte i fiorentini cominciarono a reclamare le sue spoglie, ma non ci fu niente da fare il suo corpo rimase in terra romagnola e così successe pure a uno dei nostri più illustri ospiti:Giovanni Pascoli.Proprio in questi giorni ricorre l'anniversario della sua morte e di tutta l'assurda vicenda che capitò dopo che il poeta esalò il suo ultimo respiro in quel di Bologna.Partiamo allora dall'inizio (anzi dalla fine...) di questa incredibile storia che vide il Pascoli partire in treno da Castelvecchio il 17 febbraio 1912 per curarsi nel capoluogo emiliano a quel tumore allo stomaco che lo stava annientando. Il suo fu un calvario che durò circa due mesi e il 6 aprile dello stesso anno dopo un agonia di 36 ore a 56 anni morì nella sua casa bolognese in Via dell'Osservanza al n°4(per gli ultimi giorni di vita del Pascoli leggihttp://paolomarzi.blogspot.it//6-aprile-1912-gli-ultimi-istanti-). Da quell'attimo il corpo senza vita del poeta non troverà pace, infatti di li a poco si scateneranno tumultuose discussioni sul luogo del suo eterno riposo.I romagnoli a gran voce reclamavano i loro diritti di sepoltura poichè dicevano che la tomba di famiglia era nella loro terra e poi si rifacevano ad una aleatoria volontà che la si poteva leggere nella poesia "I Gigli"dove si dice:
La casa bolognese
di Via dell'Osservanza oggi,
dove il Pascoli morì



"...Maria mi porti
nella mia casa 
per morirvi in pace
presso i miei morti"

Da San Mauro di Romagna (paese natale del poeta) era partita una delegazione per difendere anche con un atto di forza quello che per loro era considerato "un sacro diritto", a Mariù (l'amata sorella) fu proposto anche di tumularlo a Bologna accanto all'antico maestro Giosuè Carducci (morto cinque anni prima) nella Certosa cittadina o sennò nella Basilica di Santo Stefano,ma lei rimase ferma e sicura nei suoi intenti,il fratello doveva essere seppellito a Castelvecchio,così come egli aveva espresso nei suoi ultimi anni di vita e così poi come aveva scritto in uno dei sui ultimi componimenti:

"C'hio ritorni al campanile
del mio bel San Niccolò (n.d.r:la chiesa di Castelvecchio)
dove l'anima gentile
finalmente adegerò"

La decisione della sorella fu poi rinfrancata prontamente da un telegramma che veniva proprio da Castelvecchio che citava:"Popolazione intera Castelvecchio STOP addoloratissima grande sventura suo Giovannino STOP mostra suo dolore profondo unanime STOP implorando reclamando ultimo conforto venerata salma STOP ombra salici piangenti STOP",firmato Don Barrè, parroco di Castelvecchio. Insomma era una lite ed un contenzioso a "colpi" di poesia fra emiliani e toscani, tutto questo mentre nelle camera ardente allestita nella sua casa bolognese ci fu una gran folla a dare l'ultimo saluto, politici (quelli non mancano mai...),personalità culturali e sopratutto gente comune,fu una lunga fila che durò per due giorni interi. Si arrivò poi al giorno dei funerali il 9 aprile 1912 
I funerali bolognesi nella basilica
di San Petronio
celebrati nella cattedrale di San Petronio. Dopo i funerali la salma partì quasi di corsa alla volta della Valle del Serchio su un treno speciale su cui viaggiavano professori universitari e politici, fra cui il ministro dell'istruzione Credaro. Ad ogni stazione il treno veniva salutato da tantissima gente che lanciava fiori al treno in corsa ma una volta valicato l'Appennino cominciò anche a piovere. Finalmente fu raggiunta Lucca e il prefetto Carafa intravedendo strane manovre a livello massonico e politico (di li a poco ci sarebbero state le elezioni) decise che fossero chiusi i cancelli della stazione e che in nessuna maniera fossero tributate solenni onoranze alla salma, tutta la zona era presidiata da contingenti di polizia e carabinieri che avevano l'ordine di non far passare la gente, ma la folla che si era recata a salutare il passaggio della
La folla ai funerali bolognesi del Pascoli
salma era già formata da "parecchie migliaia di persone" come ebbe a dire il giornale socialista "La Sementa" e tutte le misure di sicurezza si andarono a farsi benedire, i cancelli furono aperti di forza e una fiumana di persone invase la stazione, faticosamente si riuscì in qualche maniera a fare il trasbordo della salma su un altro treno che ripartì alla volta della stazione di Fornaci di Barga. Era ormai notte quando il treno raggiunse Fornaci e la pioggia si era fatta 
veramente incessante e violenta.La banda musicale cittadina che lo attendeva in stazione suonava la marcia funebre di Chopin e precedeva tutto il corteo funebre che si diresse verso il cimitero di Barga sotto un vero e proprio diluvio, fu un procedere lento e con grande difficoltà nel buio di una strada che ormai era ridotta ad un vero e proprio fiume, il vento spegneva le fiaccole e scompigliava le ghirlande. Era stata fatta poca strada dal carro funebre trainato da cavalli quando la mesta processione fu costretta a fermarsi nelle vicinanze di un casolare per la via di Loppia, a quel punto la tensione salì alla stelle, in molti non capivano il perchè non si poteva aspettare la mattina seguente,alcuni se la
La casa dove nacque il Pascoli
a San Mauro di Romagna
presero con il commissario prefettizio Salerni che diede ordine di raggiungere il cimitero di Barga a qualsiasi costo per paura di
"disordini sociali",si tentò comunque di tornare indietro e di far sostare il corpo senza vita del poeta in una sala della stazione ferroviaria di Fornaci, ma ci si mise anche la sorella Mariù che volle procedere senza esitazione anche lei verso Barga. Si raggiunse così in qualche maniera la cittadina e a quel punto alcuni studenti bolognesi (che già avevano rumoreggiato al funerale) insieme ad alcuni cittadini di San Mauro di Romagna cominciarono a protestare perchè non volevano che la salma fosse benedetta dal parroco Don Barrè, ma il prete "per volontà della sorella" benedì la salma ma senza esequie solenni e una volta raggiunto il cimitero il feretro in tutta fretta fu rinchiuso in un loculo provvisorio.Tutto intorno era sorvegliato da forze dell'ordine con proiettile in canna:la paura maggiore era che il corpo fosse trafugato (n.d.r: così successe anche a Dante).Con grande sollievo comunque il commissario prefettizio si affrettò a telegrafare alla Prefettura:
La lapide del loculo (ancora oggi vuota)
nel cimitero di Barga dove il poeta
fu posto provvisoriamente per 6 mesi

"Sotto pioggia torrenziale salma Pascoli STOP trasportata cimitero e tumulata ore 23 STOP nessun incidente STOP".
Il timore che le spoglie del poeta nonostante l'inumazione fossero ancora sottratte crebbe con i giorni a venire,i cittadini di San Mauro si diceva non si sarebbero dati pace finchè il loro amato concittadino non fosse stato seppellito nella sua terra natia, furono rafforzate così le misure di sicurezza, per altri giorni ancora, guardie comunali insieme alla forestale ed ai carabinieri reali fecero a turno per far la guardia. Giovanni Pascoli rimase nel
6 ottobre 1912 finalmente il poeta
troverà pace definitiva a Castelvecchio
loculo, dentro"la grave cassa di noce" per alcuni mesi ancora e finalmente quando le acque si calmarono il 6 ottobre 1912 dopo una grande commemorazione al teatro dei Differenti di Barga con la presenza anche del grande "fratello d'arte" Giacomo Puccini fu trasportato tra fiori,bandiere ed un addolorato suono di campane nella cappellina di Castelvecchio dove la sorella aveva deciso di metterlo in un sarcofago esterno visto che negli ultimi giorni di vita Giovannino aveva espresso l'orrore di andare sotto terra.Oggi il nostro
Il sarcofago dove è custodito
Giovanni Pascoli oggi
illustre ospite è ancora lì, a riposare finalmente in pace e come ci ricordava nella sua prima raccolta di poesie Myricae:


"La vita è bella,è tutta bella,cioè sarebbe,se noi non la guastassimo a noi e agli altri."

Le fate garfagnine, la loro origine, il loro carattere e la loro casa...

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La Pania di Corfino
La Garfagnana è da sempre abitata dagli esseri più fantasiosi e bizzarri, le nostre tradizioni parlano di buffardelli (per la sua storia vedi http://paolomarzi.blogspot.it/2014/05/il-buffardello-folletto.html ), linchetti, streghe, streghi per continuare poi con l'omo selvatico (leggi anche http://paolomarzi.blogspot.itl-mito-dell-omo-selvatico.htmlhttp://paolomarzi.blogspot.it/2014/06/il-mito-dell-omo-selvatico-signore-del.html) e i vari esseri avvistati per le nostre montagne, il tutto degno dei migliori romanzi fantastici di J.J.R Tolkien (l'autore de "Il Signore degli Anellli") e pensare che abbiamo un posto nella nostre valle che è il luogo per eccellenza dove abitano gli esseri più
Un buffardello
fantastici e buoni che la fantasia umana abbia creato. Chi per una volta nella vita (specialmente le bambine) non ha mai ambito a diventare una fata? Questi personaggi fra tutti quelli della tradizione garfagnina sono quelli a cui si fa meno "pubblicità", perchè molto probabilmente un buffardello dispettoso o uno strego cattivo fa più notizia di una fata buona, come sapete e come i migliori giornalisti insegnano la notizia cattiva fa più "rumore" di una buona. Ma oggi è arrivato il momento di dare rivalsa alle fate ed è giusto che tutti imparino a conoscere questi esseri ingiustamente bistratti perchè troppo buoni ( e neanche questo è vero...) e chi per caso volesse andare a fargli visita e avesse la fortuna di incontrarle vi dico che la loro casa è...sulla Pania di Corfino.Nei racconti popolari garfagnini la fata nonostante tutto ha un certo rilievo, addirittura un importante studio del 1927 fatto da Nino Massaroli ci dice che possono apparire sotto varie forme come ad esempio quella di una vecchietta pulita,linda, dall'aria casalinga e simpatica o sennò nell'aspetto più classico come pare essere quello riferito alle fate della Pania di Corfino,chi le ha viste le descrive non molto alte, dall'aspetto gracile e dalla pelle chiarissima, i loro abiti sono velati e di un solo colore che rispecchia la loro
Una fata dipinta da
Luis Ricardo Falero
personalità, inoltre questi vestiti sono lunghissimi per coprire eventuali deformità (quasi ogni fata presenta una parte del corpo con code o zoccoli o quant'altro di bizzarro),in più hanno dei capelli belli e lunghissimi.La loro nascita è avvolta nel mistero,si dice che siano prodotti spontanei della natura,e
sse hanno un preciso incarico, un esatto compito: disfare i malefici delle streghe,difendere le creature impossessate dai geni del male e dai mostri della notte,la loro indole infatti è principalmente buona, ma è giusto dire che sono molto vanitose e egocentriche per non parlare poi della loro permalosità e della loro irascibilità, un solo torto può scatenare la loro ira e può spingerle a lanciare fra le più potenti maledizioni conosciute.Sulla Pania di Corfino ci sono delle grotte abitate dalle fate,all'interno di una di queste si trovano molte stanze,qualcuno sembra averci visto tavoli e sedie di pietra.La gente dice che nei giorni di sole si vedevano i loro panni stesi ad asciugare sulle rocce,si trattava di tele molto pregiate e belle che le donne del paese avrebbero fatto carte false per possederle.Ma le fate sono molto gelose, a nessuno è permesso avvicinarsi ai loro posti, è già successo però che qualche pastore del luogo si sia impossessato di questa stoffa leggera e trasparente per portarla alla propria moglie, ma la notte le fate sono scese nella sua casa e hanno cominciato a lamentarsi e a piangere per notti e notti fino a che il pastore restituì ciò che aveva rubato. C'è un'altra storia sulle Fate di Corfino che ci fa capire che anche loro bene o male hanno le loro simpatie. Accadde ad un uomo che aveva la gobba che passando vicino alla grotta senti le fate che cantavano una melodia che ripeteva in continuazione:
"Lunedì...Martedì...Lunedì...Martedì", il gobbo spontaneamente rispose:
"Mercoledì...Giovedì...Mercoledì...Giovedì",alle fate  piacque il ritornello e in men che non si dica ringraziarono l'uomo e gli fecero sparire la gobba.Un altro gobbo del paese avendo saputo l'accaduto si recò alla grotta e a tale cantilena aggiunse il Venerdì e il Sabato, ma alle fate non piacque, anche perchè il Venerdì era il giorno in cui si dovevano trasformare in serpenti, così il malcapitato invece di trovarsi senza gobba se ne trovò due. Sempre a proposito delle fate di Corfino dice Georg Fausch (autore del libro "Testi dialettali e tradizioni popolari della Garfagnana") che "insegnarono ad un bambino a fare la ricotta ed il formaggio,ma non a far l'olio perchè i genitori vennero a prenderlo" .Per
La Grotta delle Fate (foto di Loriano Lucchesi)
concludere si ha notizia anche di un figlio delle fate, tale Biricalzè, raccolto dai contadini del luogo in una grotta delle fate perchè creduto abbandonato, fatto sta che le fate stesse se lo vennero a riprendere a gran voce chiamandolo tutta la notte... Si perchè chi è fata lo è per sempre, perchè si dice che non muoiono finchè ci sarà qualcuno che crede in loro.

Il tedesco e la bambina. Storia di guerra, amicizia e liberazione

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Gallicano bombardata con veduta
su Piazza Vittorio Emanuele
(foto tratta da "Gallicano in Garfagnana"
 di Daniele Saisi)
Questa è una di quelle storie che ci fa capire che chi di solito è dipinto come cattivo non lo deve essere per forza e comunque. Gli avvenimenti che andrò a raccontare rientrano proprio nell'ottica per ricordare i 70 anni della liberazione d'Italia dal nazifascismo (25 aprile 1945) e ancor di più per cercare di far capire il dramma personale di quei soldati che sotto ogni bandiera e nazione la guerra l'hanno vissuta sulla propria pelle quotidianamente, pensando ogni giorno a quei figli e a quelle mogli lasciate a casa sperando un dì di ritornarvi. I fatti si svolgono a Gallicano nell'estate del 1944 in piena seconda guerra mondiale in via Serchio, una delle vie principali del paese. Al numero 18 di questa strada abita una bambina a dir poco esuberante e vivace, questa bambina si chiama Albertina e quando esce di casa per giocare la mamma fra le tante e doverose raccomandazioni gli dice di non andare nell'aia dietro casa,di non parlare con i soldati e di non dargli affatto confidenza. Si, perchè nella capanna nell'aia dietro casa ci sono le salmerie dell'esercito tedesco, i muli adibiti al trasporto di viveri e armi e alcuni camion adoperati per il movimento delle truppe. Qui i soldati tedeschi della Wehrmacht appartenenti al reggimento alpino denominato Mittenwald presidiano il posto 24 su 24 e dormono al piano inferiore della casa di Albertina, immaginiamo quindi la paura che regna in quella casa di notte,la famiglia della bambina al piano di sopra e gli alpini tedeschi al piano di sotto accampati dentro a dei sacchi a pelo. Comunque sia le giornate scorrono abbastanza tranquille e Albertina per disobbedire è l'asso di briscola, ma cosa si vuole pretendere da una bambina di 8 anni? Sappiamo come sono fatti i bimbi,fatto sta che la piccola quel giorno in mezzo all'aia vede fra gli altri un soldato tedesco seduto su un ciocco di legno intento a pulire il suo Mauser Karabiner 98K(n.d.r:fucile da guerra della Germania nazista) e siccome la bambina come gli è stato detto sa che il tedesco è il nemico e vuole anche lei a suo modo combatterlo, così si mette dalla parte opposta dell'aia stessa dove in un angolo ci sono dei sassi, detto fatto la piccola raccoglie questi sassi e comincia a scagliarli verso il
Albertina è la prima
 a destra (la più bassa)
con delle amiche,a destra
si vede uno scorcio dell'aia
soldato, prima lo colpisce a una gamba e il tedesco alza la testa dicendogli seccamente:

-Genug haben !- (n.d.r: "Finiscila, ne ho abbastanza!")
la piccola continua e lo colpisce sul calcio del fucile e il tedesco ancora:
-Genug haben !-, ma lei imperterrita insiste e lo centra ancora su una spalla, a quel punto il soldato si alza, posa il fucile a terra, la bambina tenta di fuggire viene però acciuffata e sonoramente sculacciata. Albertina piangente corre a casa di corsa dalla mamma e gli racconta l'accaduto, la mamma naturalmente si arrabbia con la figlia e gli raccomanda di andare subito a scusarsi con il soldato, non si sa mai a volte per scatenare ripercussioni sulla persone inermi basta molto meno e poi quei soldati dormono nella loro casa. Stavolta Albertina è impaurita sa di averla fatta grossa e capisce che bisogna chiedere scusa e parte per mano con la mamma nell'aia alla ricerca del soldato. Trovano l'uomo che si sta adoperando a dar da mangiare ai muli, subito la mamma frettolosamente e con paura batte sulla spalla dell'uomo e immediatamente chiede perdono per l'accaduto promettendogli che questo non sarebbe più accaduto, Albertina annuisce alle parole della mamma, il soldato capisce e in un italiano stentato risponde:
-No problema-, fa poi un cenno alla piccola di aspettare, va verso la sua bisaccia e tira fuori una barra di cioccolato fondente Van Houten (n.d.r: marca di cioccolato olandese) e lo porge alla bambina accarezzandole il visino. Da quel momento fra Albertina e il soldato nascerà una profonda e sincera simpatia,un'amicizia.Albertina ogni giorno è nell'aia in barba a tutti i divieti dei genitori,insieme al suo nuovo amico soldato Lucas o semplicemente Lucky per gli amici. Il tedesco dai ricordi della bambina si chiamava Lucas, ma tutti i suoi commilitoni come detto lo chiamavano Lucky. Agli occhi della piccola quest'uomo era già molto diverso da tutti gli adulti che conosceva:aveva circa trent'anni, robusto, alto, biondo e con gli occhi celesti come il mare e questo gli appariva già di per se molto strano abituata a vedere uomini mori e di statura media, addirittura poi si ricordava pure della città di provenienza che era Augusta (la piccola si rammenta anche la città  perchè si chiamava così anche la sua zia...), terza città bavarese per popolosità.Così anche Lucas prende a ben volere quella bambina gallicanese che gli ricordava molto la sua piccola figlia Elga, anche lei nata nel 1936 come Albertina, anche lei mingherlina e castana e ormai purtroppo erano già passati due lunghi anni dall'ultima volta che l'aveva vista insieme alla cara moglie.Tutti i giorni il tedesco mostra così alla piccola Albertina le foto della sua bimba, di sua moglie e di un piccolo cane nero,mentre la mamma ormai rassegnata alla disobbedienza della figlia la osserva sempre con occhio vigile dalla finestra di casa.Alla fine della giornata,al rincasare il saluto fra la strana coppia di amici si svolge sempre nella solita maniera: Lucky ogni fine giornata allunga sempre qualche preziosa cibaria alla piccola e poi raccomandandole il silenzio più assoluto mettendosi il dito indice vicino naso gli dice:
-Shhh,Hitler und Mussolini sind scheißt- (n.d.r:"Shhh,Hitler e Mussolini sono delle merde"), così ogni volta. Il tempo passa e fra Albertina e Lucky l'amicizia si è consolidata. Albertina ha imparato a contare fino a dieci in tedesco e così ha fatto anche
Atto ufficiale del comune di Gallicano
del 1945 che attesta la liberazione
del paese il 9 ottobre '44
(documento gentilmente concesso
 da Claudia da Prato)

il soldato che a sua volta ha imparato anche lui a contare fino a dieci in italiano e che dire poi delle risate che si fanno quando insieme cantano "Quel mazzolin di fiori".Arriva così anche la fine di quell'estate del '44, i bombardamenti alleati si fanno sempre più insistenti, la V^ armata americana comandata dal generale Mark Wayne Clark e i brasiliani della F.E.B (n.d.r: Força Expedicionária Brasileira)del comandante Joao de Morais stanno risalendo velocemente il Serchio e il 9 ottobre 1944 entrano in Gallicano liberandolo, è un grande tripudio e una felicità per tutta la popolazione, ma fra tutta questa felicità c'e una bambina triste, la piccola Albertina ha perso il suo amico soldato, quell'aia ormai è vuota e senza significato, i tedeschi si sono ritirati sui monti circostanti e hanno di conseguenza spostato il proprio comando a Castelnuovo Garfagnana. I mesi trascorrono, Albertina ha cominciato a capire l'importanza di tale evento,il significato di libertà incomincia a entrare nella sua testolina dato che per la sua giovane età ancora non l'ha mai assaporata, solamente l'aria che si respira in paese e le facce distese delle persone mettono il buon umore. Ma purtroppo non è finita lì e nei giorni più belli dell'anno,quelli di Natale, scattò inesorabilmente l'operazione "Wintergewitter"(n.d.r:"Tempesta d'inverno".Per la cronaca di quella battaglia leggi: http://paolomarzi.blogspot.it/2014/12/il-piu-tragico-natale-che-la-garfagnana.html), i tedeschi lanciano a sorpresa questa controffensiva e il 27 dicembre 1944 hanno già
rioccupato nuovamente Gallicano.Albertina dentro il suo misero cappottino si mise sul cancello dell'aia sotto un sferzante vento gelido aspettando il ritorno dell'amico soldato.La piccola ormai si era resa conto che la sua amicizia sarebbe comunque finita, ma il
desiderio di salutarlo per un ultima volta era grande. Il soldato non passò mai da quel cancello.Cinque giorni dopo i tedeschi si ritirarono di nuovo sulle montagne, gli alleati con l'aiuto dei Gurkha nepalesi dell' 8^ divisione Indiana e di un massiccio bombardamento ricacciarono indietro il nemico e con quella anche l'ultima speranza di rivedere Lucky fu miserevolmente persa.Nella primavera del 1945 le sorti della guerra erano segnate, nelle file naziste e in quelle della Repubblica Sociale si moltiplicarono le diserzioni, molti si consegnarono anche agli alleati. Il 18 aprile gli americani fecero scattare l'operazione "Second Wind", un azione combinata di mitragliamenti e bombardamenti che risaliva da Gallicano verso la Garfagnana. Il 20 aprile '45 Castelnuovo fu liberata, gli ultimi baluardi di resistenza ci furono verso Piazza al Serchio, ma entro il 25 aprile tutta la valle era definitivamente libera dall'oppressione nazista. Albertina anche quando diventò grande non smise mai di pensare e pregare per quel soldato, nel sogno che un giorno abbia fatto ritorno sano e salvo a casa dalla sua piccola Elga.
"Questo racconto lo dedico a colei che a quel tempo era la piccola Albertina e che purtroppo oggi non c'è più.Dopo 27 anni da quei fatti Albertina diventò la mia mamma".
In seguito la mamma, nonostante le insistenze dei familiari non volle mai fare ricerca di Lucas (pur sapendo abbastanza notizie per identificarlo) per paura e il dispiacere di
La Divisione Buffalo (composta da solo negri)
furono i primi americani
ad entrare in Garfagnana

saperlo morto nella ritirata.Lei lo voleva immaginare a casa, in Germania vicino al camino acceso con la sua piccola Elga sulle ginocchia che raccontava che in Italia durante la guerra aveva conosciuto una bimba come lei, graziosa e vivace di nome Albertina.

L'epica storia delle corriere in Garfagnana: dall'impresa di trasporti del 1912 del Cavalier Raffaelli fino ai giorni nostri

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1912 Via Vittorio Emanuele Castelnuovo G..
Un rampante automezzo FIAT
la "corriera" del Cav Raffaelli
(foto tratta dalla collezione di Silvio Fioravanti)
C'è poco da dire, per quanto riguarda strade, circolazione e trasporti in Garfagnana abbiamo sempre a dir poco penato. Fino a circa 70 anni fa le nostre strade erano perlopiù quasi tutte sterrate, avevamo ancora come mezzo di trasporto "il miccio" (n.d.r: l'asino),il carretto o la carrozza e le macchine erano rare. Ripercorriamo oggi l'epica storia delle "corriere"(gli odierni autobus) che hanno attraversato la Garfagnana in lungo e largo sotto mille avversità ed intemperie, dagli inizi del 1900 ad oggi.Questi mezzi furono tanto utili e fondamentali per il trasporto di persone merci e posta,era poi il mezzo di trasporto più comune (dato che l'automobile per le persone comuni era un'utopia) ed economico che esisteva e a differenza del treno la corriera arrivava dove il treno non poteva, in più è bene dirlo a chiare lettere la corriera (con il treno) è stato importantissimo per lo sviluppo socio-economico di tutta la valle,la Garfagnana con questi mezzi di trasporto agli inizi del secolo scorso uscì finalmente da quel torpore "medievale" e si aprì al mondo, incominciammo a conoscere le città e le loro meraviglie e a commerciare con Lucca e con Modena. Prima però facciamo un veloce excursus e guardiamo un po' com'era la situazione delle nostre strade alla fine dell'800. Con l'unità d'Italia la gestione e la manutenzione delle strade fu affidata alle province (così come in parte oggi).Nel 1866 si provvide a fare un censimento delle strade e con l'ultima revisione del 1882 fino al 1910 risultarono 26 strade provinciali classificate in prima e seconda categoria, per dimensioni,collocazione e destinazione. Fu così all'inizio del '900 che nella Valle del Serchio con lo svilupparsi delle industrie (vedi S.M.I) e l'incremento della circolazione di auto che si decise la costruzione e la ristrutturazione di nuove e vecchie strade. A partire dal 1920 vengono compiute importanti opere di consolidamento ponti:tra questi il Ponte di Calavorno e la costruzione di nuovi come nel 1923 del Ponte di Gallicano (che finalmente lo congiunse con la stazione dei treni).Mentre lo sviluppo definitivo delle nostre strade l'abbiamo ben più tardi, negli anni 50.Viene infatti promossa e sostenuta attraverso il Ministero dei Trasporti la creazione di consorzi per la costruzione di nuove strade e la miglioria di quelle "vecchie", grazie alle legge 18 ottobre 1950
La strada Castelnuovo Arni in costruzione
(foto tratta dalla collezione
 di Silvio Fioravanti)
n.647 che sovvenzionava questi interventi in zone cosiddette depresse (com'era considerata la Garfagnana) e viene così fatto il secondo tronco della Sillano-Pradarena,la strada Castelnuovo- Arni, viene inoltre asfaltato il tratto Fornoli - Ponte di Campia e il tratto Cerageto-Casone.Nel 1960  risultavano così asfaltate in tutta la valle 253 Km di strade con una crescita vertiginose se si pensa soltanto che nel 1956 erano asfaltati solo 61 Km e queste erano di fatto le strade che negli anni le nostre corriere dovranno affrontare. Le prime notizie di una corriera in Garfagnana si hanno nel 1912 quando per soddisfare i più urgenti bisogni della popolazione ebbe inizio il servizio automobilistico che collegava Castelnuovo Garfagnana con Piandelagotti e Frassinoro.Il servizio era offerto dall'impresa del Cavalier Raffaelli tramite un rampante automezzo FIAT e riattivava le importanti relazioni commerciali che da tempo non c'erano più fra la Garfagnana e il Modenese.Furono imprese epiche quelle che si raccontano su questo servizio,d'estate, come si suol dire era una passeggiata di salute,l'inverno invece era una vera e propria odissea affrontare il Passo delle Radici con la neve alta due metri, si racconta che gli stessi clienti scendevano a spalare la neve, si dice che quei 50 Km di distanza fra Castelnuovo e Frassinoro a volte ci volessero anche 12 ore per percorrerli, un servizio questo veramente eccezionale se si pensa alle strade di allora,dove non c’erano altro che spazzaneve a braccia e le gomme termiche erano un lontano miraggio,però il servizio non fu mai
Casone di Profecchia la corriera
deve raggiungere Frassinoro in tutti i modi...
(foto tratta da collezione Silvio Fioravanti)
sospeso ed ebbe l'invidiabile record di aver sempre raggiunto i due capolinea sia all'andata che al ritorno. Gli anni passano e le persone sentono maggiore il bisogno di questo servizio e le vecchie imprese di trasporti come quella del Cavalier Raffaelli non tengono più il passo che hanno tenuto per alcuni decenni, ecco così che si fa avanti una vera e propria azienda di trasporti ligure,di Chiavari, un impresa dal nome al quanto curioso: "Fiumana Bella", che prende la sua denominazione addirittura da dei versi della Divina Commedia:

"Intra Siestri e Chiaveri s'adima una fiumana bella..."(Purgatorio Canto XIX)
Dante qui fa riferimento al fiume Entella che attraversa la Val Fontanabuona (n.d.r: che comprende fra le altre le cittadine di Chiavari e Lavagna),zona di origine dell'azienda.Questa società prenderà servizio in tutta la Valle del Serchio in pianta stabile dopo la II guerra mondiale e stavolta i suoi servizi copriranno per intero tutta la zona, da Lucca fino a Frassinoro. Fu un vero evento per l'intera Garfagnana, negli anni '50 i trasporti pubblici nella
nostra valle erano tra i migliori della regione, certo non come mezzi che erano vecchi e sgangherati, ma perchè oltre al trasporto dei passeggeri e delle  merci, effettuavano un servizio postale molto efficiente, infatti le corriere, come usa ancora oggi venivano chiamate “postali”, a bordo vi era un autista e il bigliettaio,che oltre ai biglietti, pensava ad aiutare i passeggeri con i bagagli ed a raccogliere i sacchi della corrispondenza nei vari uffici postali ed anche dai privati che abitando molto lontano da essi non avrebbero potuto spedire le loro lettere.La prima corsa partiva da Castelnuovo alle 6,30 del mattino fermandosi ovunque
ci fossero persone in attesa, arrivava a Lucca in piazza della Magione alle 8, dopo una brevissima sosta la corriera faceva ritorno a Castelnuovo con il suo carico di passeggeri fermandosi a tutti gli uffici postali,consegnava e ritirava i sacchi della posta. La corriera oltre ai servizi era un mezzo che univa psicologicamente i vari paesi, scandiva i tempi delle migrazioni,quando era primavera si sapeva subito se qualcuno iniziava a tornare nella valle e così pure era per le partenze autunnali, per i bambini era un rituale stare ad aspettare il suo passaggio per salutare chi era in viaggio, ma non avevano bisogno di avere l’orologio per sapere l’ora, perché la corriera ad ogni curva si annunciava con il classico
Anni '50 Il Postale
della "Fiumana Bella"
(foto tratta da "Gallicano in
 Garfagnana" di Daniele Saisi)
“lirùlirù”.
Oltre alla linea che collegava Lucca con la Garfagnana persisteva ancora la vecchia linea che collegava Castelnuovo con Frassinoro Verso la fine degli anni ’50, nel mese di agosto,la Fiumana Bella istituì un nuovo servizio, “Il Gran Turismo”, una corriera nuova che faceva servizio da Castelnuovo con arrivo a Viareggio alle 11,30, ripartiva alle 5 del pomeriggio, per permettere le scampagnate al mare, non faceva servizio postale e fermava solo nei paesi più grossi, fu questo un servizio che durò poche estati.Negli anni ’60 con il boom economico ed il forte aumento delle auto private la corriera ritornò a poco a poco al solo ruolo di postale. Nel gennaio del 1969 fu fondato così il "Consorzio Lucchese Autotrasporti Pubblici" meglio conosciuto come CLAP,nel 1972 rilevò la Fiumana Bella e negli anni successivi anche molte altre piccole aziende di trasporti (Donati,Nardini,Luisi, Sforacchi e Torre). Un vero monopolio che negli anni '80 la portò ad avere oltre 500 dipendenti. Infine è storia di oggi, nel 2012 il CLAP si fonde insieme ad altre società della Toscana Nord per formare una nuova società la CCT Nord (Compagnia
L'orario della "Fiumana Belle" del 1949
(tratto dal sito web Bargarchivio)
Toscana Trasporti).Ormai la corriera ha perso tutta la "poesia" di un tempo,oggi non rimane niente di quel leggendario trasporto del Cavalier Raffaelli di inizio secolo se non un servizio sempre più scarso e disagiato.

"Calamitas Calamitarum": la peste in Garfagnana nel 1630, una vera e propria ecatombe

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Un'immagine della peste a Firenze del 1348
Venne soprannominata "calamitas calamitarum" per la sua particolare virulenza, si manifestava con alcuni gonfiori all'inguine e sotto le ascelle, da questi rigonfiamenti usciva sangue con pus a cui seguivano macchie sulla pelle, il malato emetteva un odore ripugnante, i primi sintomi si manifestavano con vomito, cefalea, dolore articolare e malessere.La temperatura corporea saliva fino a 40° e il polso e la respirazione di colpo aumentavano, le vittime sputavano sangue per tre giorni, poi morivano. Questa è la peste bubbonica che nel 1630 colpì tutto il nord Italia, Garfagnana compresa.Oggi raccontiamo quello che fu questo flagello che colpì la nostra valle. Di questa epidemia raccontò anche Alessandro Manzoni ne "I Promessi sposi":

"La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c'era entrata davvero,come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò buona parte d' Italia" (capitolo XXXI)

Ne "I Promessi sposi" si racconta
della peste del 1630

Manzoni qui fa riferimento a "bande alemanne".Si, perchè a diffondere l'epidemia furono proprio loro, i Lanzichenecchi, soldati mercenari arruolati nelle regioni tedesche del Sacro Romano Impero.Con l'arrivo nel nord Italia di questo esercito alleato con gli spagnoli, la popolazione fu sottoposta a ogni sorta di violenza e saccheggio e quando l'esercito si ritirò dietro di se oltre che devastazioni lasciò anche il terribile morbo.Generalmente la peste ha inizio quando una persona è morsa da un roditore o può venire anche dalla pulce stessa e si diffondeva sempre più per via delle scarse (scarsissime direi...) condizioni igieniche:le fogne a cielo aperto, le acque stagnanti e sporche ed anche la poca pulizia delle persone, è stato stimato che all'epoca vi fosse almeno una famiglia di ratti per abitazione,con almeno tre pulci per ratto, la solita situazione si viveva in Garfagnana.La Toscana fu il confine in cui si manifestò la peste, il contagio si fermò nel senese e quindi anche la nostra terra fu colpita. La malattia veniva da nord come detto e ben presto si diffuse in tutta la nostra valle, complice anche i tardivi ed inefficaci provvedimenti presi da Francesco I d'Este duca di Modena.Le prime notizie di contagio in Garfagnana arrivarono nel dicembre del 1629 e tosto il reggente governatore Giacomo Spaccini da Castelnuovo in difesa della popolazione mise delle guardie sui confini appenninici a spese dei comuni, si provvide subito a istituire consigli di sanità, si pubblicarono grida con le quali si proibiva l'entrata di forestieri senza fede sanitaria (n.d.r:senza certificato medico)pena la morte, inoltre si vietò l'introduzione di pelli animali sotto pena di scudi 200 e la galera, si vietavano i mercati e le fiere.Ma non ci fu niente da fare nel 1630 il male si era già diffuso a Castelnuovo e nelle montagne circostanti.Il primo giugno una certa Margherita da Magnano che era stata a Bologna da sua figlia morì con sospetto di peste e lo stesso giorno poco distante Antonio il mugnaio che aveva portato della farina alla donna si ammalò  e morì,intervennero le autorità e sequestrarono i morti e gli oggetti delle case. Non si sapeva più a quale Santo affidarsi,la peste era arrivata, era un continuo moltiplicarsi di morti.Il 30 giugno il consiglio generale di Castiglione Garfagnana stabilì che per sei mesi continui si facesse celebrare ogni giorno una messa, anche perchè la chiesa stessa
A San Pellegrino nel 1630
si facevano continue
 processioni per ingraziarsi
 la benevolenza del santo contro la peste
credeva che la peste fosse una punizione divina e che poi si andasse in processione alla chiesa di San Pellegrino e San Bianco. Dall'altra parte anche i fiorentini e i lucchesi presi dal panico cominciarono a impedire l'accesso ai lombardi (n.d.r: così venivano chiamate le popolazioni a nord dell'appennino)  e ai garfagnini, mandarono così anche loro i soldati a Foce a Giovo e sul Monte Rondinaio con l'ordine di sparare su chiunque avesse voluto attraversare il confine. Ormai eravamo al delirio e alla disperazione più totale, si diede imposizione di uccidere tutti i cani e tutti i gatti della valle per paura che fossero veicolo di contagio,di bruciare case e mobili di coloro che fossero stati colpiti da peste.La maggior parte delle famiglie erano distrutte, la gente si mise alla ricerca dei responsabili, identificati nei vagabondi e nei più poveri .La folle paura di presenze diaboliche giustificò una vera e propria caccia all'untore da parte dell'autorità che si servivano di tutti gli strumenti allora previsti: denunce anonime, torture ed esecuzioni in pubblico. Su ordine del duca di Modena si decise di aprire dei lazzeretti e di inserire una nuova figura allora mai vista in Garfagnana: il monatto.I monatti erano addetti ai servizi più pericolosi e penosi della pestilenza, dovevano togliere i cadaveri dalle strade e dalla case e portarli nelle fosse comuni, dovevano accompagnare il malato al lazzaretto e avevano il compito di bruciare gli oggetti infetti e le case dei malati, erano assunti dal governo cittadino, erano brutali e senza pietà.Il loro abito rosso, il campanello al piede e l'inconfondibile maschera (n.d.r: la maschera serviva per non farsi riconoscere) era simbolo di orrore. Fra i maggiori lazzaretti della valle si ha conoscenza di quello di Loppia,quello nei pressi di Torrite e a Gallicano nelle vicinanze della chiesa di Santa Lucia.Questi luoghi erano gestiti dai frati cappuccini,erano
Il Monatto
situati fuori dal paese e servivano per raccogliere tutti i malati di peste.Di solito questi posti contenevano oltre la loro naturale capienza, molti infatti in gran segreto provavano a farsi curare a casa, finire dentro un lazzaretto significava morte sicura.Venivano quindi provati tutti i rimedi possibili ed immaginabili per guarire,si credeva di poter guarire dalla peste con la recita del rosario o con l'ungersi il corpo con l'olio benedetto e a tal proposito ecco un "rimedio" contro il morbo del 1630 rinvenuto nell'archivio storico di Modena e trovato a sua volta a San Romano Garfagnana:


-Unguento:Cera nuova,olio comune,olio lamino,olio di sasso,erba d'ameto,granelle di lauro numero sei,aceto forte un poco.Tutto si faccia bollire tanto che si riduchi in forma d'unguento e con esso si unta le narici, li polsi delle mani e le piante dei piedi-

La peste paralizzò la già povera economia garfagnina.Si interruppero tutti i commerci con gli stati vicini per pericolo del contagio,le coltivazioni furono tutte abbandonate,le persone non lavoravano e di conseguenza non guadagnavano e per di più coloro che potevano dare una mano come le persone ricche e con denari fuggivano dai paesi per raggiungere lidi più tranquilli e sani. Si continuò così per tutto il 1630 e con il finire di quell'anno parve che l'epidemia si fosse calmata, ma non fu così.Finito l'inverno e con l'arrivo della primavera del 1631 il morbo riprese più forte che mai e così ancora nel 1632 per poi finalmente cominciare a scemare.Ormai non c'era quasi rimasto più nessuno da uccidere,interi nuclei familiari scomparvero,altri furono decimati,questa peste aveva fatto orfani su orfani, ci fu una particolare ed inevitabile tendenza:si racconta che in quel periodo si riformarono molti nuclei familiari fra i superstiti stessi. I numeri precisi delle morti nella Valle del Serchio e in Garfagnana non si sanno, si può stimare che ci fu un calo demografico dal 10% al 60% e un crollo totale delle nascite. Tanto per prendere come metro di paragone possiamo vedere che città come Bologna che prima della peste (1628) contava 62.000 abitanti nel 1631 erano già 47.000, nel solito periodo Firenze passò da
L'indice demografico dal 1550 al 1800 da
notare gli anni relativi alla peste(1630)
70.000 a 63.000, per non parlare di Milano, da 130.000 a 65.000. Questa fu per la Garfagnana la peggior calamità, disgrazia, sciagura o come meglio la si voglia chiamare che le sia mai capitata nella sua lunga storia,ma anche stavolta seppe rialzare la testa e ripartire.

"Il baliatico": quando le donne garfagnine emigravano per fare da balia ai bimbi delle signore ricche...

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emigranti in partenza
Storie dure,di privazioni, sacrifici, di famiglie abbandonate nella speranza di una vita migliore,lavoro duro ma onesto per guadagnare quei maledetti soldi per risollevarsi da un destino scritto.Non sono storie di oggi, non si parla di migranti giunti con i barconi da chissà dove. Si tratta dei nostri bisnonni,dei nostri parenti che partivano dalla Garfagnana per ogni angolo del mondo per lavorare e cercare poi di mandare qualche soldo alla famiglia lontana nella speranza di un ricongiungimento.Tanto per parlare in cifre e capire bene l'entità di questo fenomeno dal 1880 sono state calcolate mediamente 1000/1500 persone l'anno emigrate in un territorio come la Valle del Serchio di circa 40.000 anime Di solito erano gli uomini, i capifamiglia a prendere la gravosa decisione di abbandonare la Garfagnana  per andare nelle lontane  "Meriche"(n.d.r: in alcune lettera di emigranti garfagnini le lontane Americhe venivano chiamate erroneamente "Meriche"), ma stavolta vi racconto il contrario e cioè quando erano le donne che partivano e i mariti rimanevano a casa a coltivare i campi, addirittura si può dire che i primi flussi migratori garfagnini erano composti da sole donne, fatto veramente singolare che vale la pena di essere raccontato.Tutto cominciò molto prima del grande esodo fine ottocentesco,quando i garfagnini cominciarono a partire per la Corsica impiegandosi nei lavori agricoli e poi in Francia attratti da paghe migliori, insieme agli uomini partirono anche le loro mogli, giovani spose, forti e robuste che trovarono impiego come balie, da li cominciò quel fenomeno meglio conosciuto come "baliatico". Spieghiamo un po' di cosa si trattava: il baliatico nacque come frutto di questa migrazione stagionale in Corsica e nella parte meridionale della Francia. Ebbe inizio poco oltre la metà dell'800 e si sviluppò principalmente ad Ajaccio, Bastia, Nizza ed anche Parigi.
"La Signora allattando perde la linea...se si trovasse una balia, non baderebbe a spese!"
La voce corre e giunge in Garfagnana:le donne e le ragazze garfagnine sono considerate le migliori in assoluto in tutta la Corsica e nel sud della Francia, le migliori perchè robuste,sane, si cibano di cose naturali e anche per carattere sono le più servizievoli e con pochi idee balzane nella testa. Il trattamento che veniva offerto era veramente allettante: oltre al vitto e
Balie garfagnine 1906
all'alloggio ben diverso da quello abituale, si prometteva un salario doppio e anche triplo rispetto a quello dei mariti che in quelle stesse zone avevano lavorato come braccianti. Molte mamme lasciavano i loro bambini a casa, in Garfagnana, ed andavano ad allattare i bambini delle signore. Scriveva il Gian Mirola (n.d.r: noto scrittore e studioso garfagnino):

"Qualche volta il baliatico fu imposto come condizione di matrimonio:ci sposiamo, tu vai a far da balia, io resto qui, al nostro figlio daremo il latte della Brunella (la mucca)".
Naturalmente si trattava di un lavoro temporaneo, il lavoro da balia durava dai 12 ai 14 mesi tranne nei casi che il bambino affidatole morisse o lei perdesse il latte. Poteva capitare (molto spesso) che ultimato l'allattamento, la balia passasse ad un altra famiglia o rimanesse nella solita casa come serva. Ma guardiamo come avveniva la selezione per diventar balia. La donna interessata si presentava ad un medico o a alcune levatrici locali che facilitavano l'incontro tra domanda ed offerta spesso dietro al pagamento di una tariffa. Esistevano radicate convinzioni che rapportavano l'aspetto fisico delle donne (alte,basse,brune o bionde) alla loro capacità di balia e prevedevano un trattamento economico conseguente. Individuata la famiglia di destinazione la balia garfagnina doveva essere pronta a partire appena richiesto ma alla condizione essenziale e tassativa che il marito rimanesse in Garfagnana, senza mai raggiungerla dato che, si credeva che eventuali rapporti sessuali potessero  avere in qualche maniera effetto sull'allattamento. Le veniva quindi pagato il viaggio verso la Corsica, un salario mensile, inoltre regali ed omaggi in funzione della sua bravura e del rapporto che si instaurava tra lei e il bambino, esisteva inoltre un corredo da balia che andava dagli abiti, alla biancheria, perfino ai gioielli nelle famiglie più ricche.Naturalmente non era tutto rose e fiori consideriamo sempre la lontananza della famiglia,la difficoltà della lingua e dell'impatto sull'ambiente cittadino e tutta quella serie di comportamenti imposti che cozzava in pieno con lo stile di vita garfagnino. Si pensi alle norme igieniche da osservare per
Balie al parco
l'allattamento o ai precisi orari per le poppate. Ci fu inoltre (tanto per complicare le cose) tra la fine dell'800 e gli inizi del '900 un forte movimento che si vedeva contrario a questo tipo di emigrazione e di lavoro, fu ampiamente discusso e criticato questo abbandono della propria prole da parte delle balie, fortissime furono le polemiche anti- emigrazione, anche nella nostra valle si ebbero vere e proprie campagne denigratorie contro le balie condotte da alcuni giornali locali con esplicite accuse di "maternità mercenaria", la cui deriva naturale (così si diceva) era il meretricio (la prostituzione). Ma ciò che turbava veramente i denigratori era il sovvertire dei ruoli familiari consolidati che portava la donna ad assumere il ruolo di capofamiglia, inteso nella semplice accezione di chi guadagna di più. Ma come detto nonostante gli ottimi guadagni la sofferenza di queste donne garfagnine era tanta, questo è uno stralcio di una lettera del 1901 di una balia garfagnina di Villa Collemandina alla propria famiglia che cresce suo figlio:

"Il bimbo mi farete sapere se via fatto tribolare e mi direte se continua andando migliorando se avere speranza che cammini almeno verso primavera e quanti denti a fatto mi direte tutte le cose che o molto piacere disaperle, la lettera che mia scritto il fratello gredetemi chio non sono stata capace di leggerla una volta intiera senza piangere".La vostra Anna.
la balia,il bimbo e la mamma
Il baliatico si protrasse ancora molto nel tempo da quella data ed è innegabile che contribuì sostanzialmente alla trasformazione dei costumi e della mentalità.

La leggenda del Monte Croce: dai saccheggi dei feroci Saraceni per arrivare alle sue candide giunchiglie

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Il Monte Croce
Lasciando la fondovalle all'altezza dell'incrocio per Turrite Cava intraprendiamo la strada che va su per la valle omonima, passiamo il paese di Fabbriche di Valico e continuiamo per il vecchio borgo di Palagnana che per qualche bizzaria burocratica si trova nel comune di Stazzema, quindi in Versilia, anche se lo si può raggiungere più che agevolmente in appena 25 minuti circa da Gallicano. Passato il borgo di Palagnana lasciamo l'auto sul bordo della strada e ci avviamo a piedi su per il bosco per uno dei posti più belli di tutta la nostra valle:il Monte Croce. Il Monte Croce fa parte delle Apuane meridionali, si trova appunto nel comune di Stazzema e la sua vetta raggiunge i 1314 metri è così chiamato poichè i quattro crinali principali che lo formano si intersecano formando perpendicolarmente una croce. Splendido questo monte sopratutto nel mese di maggio perchè rinomato per la fioritura delle giunchiglie infatti è anche conosciuto come Monte delle Giunchiglie.Tipicità unica questa, dato che proprio in questo periodo i suoi pendii si ammantano di un bianco candido così come nessun monte delle Alpi Apuane.Molti si sono domandati il perchè di questo esclusivo fenomeno e tanti credono che il tutto risalga a più di 1000 anni fa quando con la fine dell'Impero Romano nel 900 d.C
Le giunchiglie del Monte Croce
l'Italia versava in condizione a dir poco penose. Le discese dei Longobardi, Goti e Visigoti ed aggressori di ogni genere avevano portato alla distruzione e al saccheggio del nostro paese, solo i centri abitati sulla costa si sentivano un po' più al sicuro perchè protetti dalle montagne e sopratutto perchè i popoli aggressori non erano dotati di flotte navali.Purtroppo le cose cambiarono e in questa Italia saccheggiata dai predoni di  ogni sorta ne approfittarono anche i Saraceni che cominciarono a solcare le acque del Tirreno centrale. La bandiera con la mezza luna ben presto diventò motivo di terrore anche per le coste dell'attuale Versilia. Nel 813 la costa antistante l'attuale Viareggio fu presa di mira dai feroci turchi che
Antico riparo per pastori sul Monte Croce

sferrarono un attacco senza precedenti.A difendere i villaggi di pescatori sulla costa dalle incursioni barbaresche furono chiamati tutti i giovani del circondario e fra questi anche un pastore che pascolava i suoi greggi nei verdi prati sottostanti la cima delle montagne. Questo giovane pastore si era innamorato di una pastorella anche lei abitudinaria dei soliti verdi pascoli e destino volle che si erano promessi marito e moglie.Il giovane pastore andò malvolentieri a difendere i villaggi,la sua testa e il suo cuore erano tutti per la sua innamorata e proprio durante un terribile scontro in battaglia il giovane fu ucciso a tradimento.La notizia gettò nella
La vetta del Monte Croce
circondato da giunchiglie
disperazione più profonda la povera ragazza che corse sulle balze delle montagne sopra il mare dove tante volte aveva passeggiato con il suo promesso sposo. Iniziò a piangere e subito ogni lacrima si trasformava in un fiore profumato. Ma il dolore era grandissimo, insopportabile e la ragazza morì di crepacuore. Si racconta così che in certe notti estive due bellissime fiammelle serpeggianti vengono ad  abbracciarsi sulla cima del Monte Croce, quel monte stesso che vide i due pastori amarsi,una di queste fiammelle accorre dal mare strisciando leggerissima sopra la spuma dei flutti,l'altra, che si muove ad incontrarla proviene dai boschi della montagna e come di solito erano fare i due amanti queste due fiammelle si riuniscono e incominciano a rincorrersi per i pendii del monte fino a che non comincia a spuntare il sole. Chi sale poi come detto nel
Una giunchiglia del Monte Croce
mese di maggio sulla cima del Monte Croce potrà vedere i fianchi della montagna ricoperti da una moltitudine di meravigliose giunchiglie. Sono le lacrime versate dalla giovane pastorella che sbocciano ogni primavera in candidi fiori per ricordare per sempre quella indissolubile storia d'amore finita malo modo.

Bellissime queste leggende che risalgono a tempi lontanissimi,racconti che vanno mantenuti e narrati perchè tali poesie non vengano disperse nell'oblio dei tempi.

La Grande Guerra: lettere dal fronte di soldati garfagnini

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Italiani in trincea
Sono passati 100 anni precisi dalla scoppio della I guerra mondiale, una guerra questa che abbiamo sempre sentito lontana dalla nostre parti sopratutto perchè non vissuta sulla nostra pelle direttamente a differenza della seconda che l'abbiamo avuta sulla porta di casa. La "Grande Guerra"come fu chiamato poi il primo conflitto mondiale si svolse nelle Alpi e nelle Prealpi e nella pianura veneto friulana,quindi ben lontana dalla nostra Garfagnana, ma comunque sia ci toccò, eccome se ci toccò,perchè padri di famiglia, figli,fratelli e mariti garfagnini partirono per il fronte il 24 maggio 1915 (e poi nei mesi e negli anni successivi) abbandonando coltivazioni e campi,unico sostentamento per le famiglie di allora. Si partì per il conflitto da Paese povero ed impreparato, ci si trovò presto in trincea per difendere il proprio territorio e sopratutto per riportare la pelle a casa. Questa fu una guerra che forse pochi conoscono nei numeri:fu il più grande conflitto mai visto,coinvolse ben 30 nazioni al mondo e vi parteciparono ben 65 milioni di uomini, provocò la morte di ben 15 milioni di persone e fra questi morti un milione e trecentomila circa furono solo italiani (nella II guerra mondiali gli italiani morti furono quasi mezzo milione...). Oggi se ci sono arrivati fino a noi gli atti di eroismo, gli orrori e la durissima vita di trincea lo dobbiamo in buona parte ai nostri soldati (e delle altre nazioni) che hanno lasciato miliardi di lettere inviate dal fronte.
Ricevimento e spedizione
della posta in guerra
Calcoliamo che durante la guerra viaggiarono ben quattro miliardi di lettere e cartoline postali. Il trauma della guerra accelerò il bisogno degli uomini di scambiarsi informazioni tramite l'unico mezzo disponibile: la scrittura. Una scrittura però del tutto singolare dato il basso livello di alfabetizzazione, quindi queste lettere erano piene di errori, in dialetto, ma non per questo prive di significato e colme di emozioni. Ecco,oggi pubblicherò fedelmente alcune di queste lettere di soldati garfagnini, in alcune pubblicherò il nome, in altre no. Con queste lettere si cercava il contatto con la famiglia e con un mondo "normale" al quale speravano di tornare. Queste testimonianze ci danno un'immagine autentica e diretta di quanto accaduto.

"12 giugno 1915.Cari genitori di già che oggi sono un po' più trancuillo e che il nemico un mi da noia voglio descrivervi un po' come pressapoco dove mi trovo. Davanti a me si stende un infinità di montagne,tante cusì tutte assieme nanco a casa c'enno. Mi trovo propio sotto la punta del famoso Monte Nero (n.d.r:il Monte Nero oggi fa parte della Slovenia ed è una montagna delle Alpi Giulie alta 2245 metri) di cui avreste già letto sul giornale per i grandi combattimenti. Ora non potendolo piglià di fronte altre truppe lo stanno aggirando e camminino anco velocemente malgrado la resistenza di quei mammalucchi (n.d.r:riferito agli austriaci). [...] Non sembra al presente di essere in guerra, pare un campo estivo, ma poi verrà il seguito anco per noialtri. Ma intanto vada pure così"
(Lettera di Mario Bonaldi dell'Alpe di Sant'Antonio (Molazzana) sopravvissuto, poi emigrato.)
Non faccia stupore se il fronte di guerra viene descritto come "un campo estivo".La principale preoccupazione del soldato e diffusa poi tra tutti i commilitoni è la volontà di rassicurare i propri cari.
"Cari Genitori,la mi salute al presente è ottima come spero di voi tutti in famiglia. Come vi replico ancora mi trovo in questo paese che si chiama Galeriano,qui mi fanno fare l'istruzione tutto il giorno altro che si sta male con il rangio che tutti i soldati si lamentino. Sarebbi pronto anco a rinunciavvi al rangio pure che mi lascino qui e non mandammi in trincea. Adesso cari genitori posso ringraziare il Signore che mi ritrovo qui in Italia i miei compagni sono in trincea  e gli tocca fa il turno di 21 giorni e se dice peggio anco 40. Anco se siamo a 100 chilometri si sentino i cannoni come fossero li. Questo meso di maggio un è poi bello perchè arrivino gli ordini sempre di avanzare e fare le avanzate è molto brutto. Caro Padre fatemi sape come va la campagna se hanno fiorito bene, se ci  si pole già accorge dei frutti e delle semine e lo so che siete
Gli assalti suicidi 
solo, poi con tutte quelle bestie nella stalla
 
 (n.d.r:per "bestie" naturalmente ci si riferisce alle mucche)(Lettera inviata a Castiglione Garfagnana)
 "...se la trincea è dura,l'assalto è un incubo,lasciare la trincea e lanciarsi nel vuoto, verso le armi che sputano fuoco è un suicidio"
Brano di lettera di Aldemiro Magni Sergente Maggiore Regio Esercito Italiano Castelnuovo Garfagnana.
L'assalto nella prima guerra mondiale era il limite umano della sopportazione. Uscire dalla protezione della trincea e lanciarsi contro le pallottole delle mitraglie nemiche era un vero e proprio suicidio, la sopravvivenza era un fatto puramente casuale. Ogni volta che il soldato era sottoposto a una simile prova perdeva parte della sua personalità e una parte di intendere e volere. Dopo un certo numero di queste esperienze il soldato impazziva,spesso molti si suicidarono e quelli che si rifiutavano di assaltare venivano fucilati dai propri compagni per ordine degli ufficiali stessi.
Infine per chiudere voglio pubblicare questo post trovato in Facebook,nel gruppo "Istituto della Resistenza Lucca". Un post questo tratto dalle lettere di Adriano Tomei (1896-1976) di Ponte a Moriano (forse), combattente della Grande Guerra, molto eloquente e la dice lunga sul fatto che i secoli passano ma la storia è sempre la stessa...
"Senti mamma, io sarò forse pessimista ma mi pare che la
Ecco la lettera originale di Tomei
guerra la facciano i coglioni e che i furbi siano con la pelle al sicuro,facciano i denari,si divertano e...enormità, gridano ancora gli evviva alla guerra!"

Le antiche strade garfagnine:La millenaria Via Francigena,una strada che cambiò il nostro modo di vivere

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Mille anni fa e nei secoli successivi le vacanze non esistevano, anzi non erano proprio minimamente pensate e ci si spostava da casa per due motivi sostanziali considerati fondamentali per l'esistenza terrena e spirituale dell'uomo:per combattere le guerre o per fare pellegrinaggi. Una delle più importanti strade di pellegrinaggi passava anche dalla bella Garfagnana. Questa strada diventerà presto conosciuta a molti come la Via Francigena. La Francigena era una "selva" di strade,viuzze e di sentieri spesso paralleli,confusi, uniti e scissi dallo scorrere del tempo, in pratica qui vi si riversava un fiume di passione e di fede che trovava il suo passaggio anche in Garfagnana e nei suoi "hospitali".La Francigena o Franchigena, Francisca o Romea, come detto fa parte di un fascio di vie che conducevano dall'Europa centrale a Roma per fare pellegrinaggio e visita alla tomba dell' apostolo Pietro.Era nel medioevo una delle tre "peregrinationes maiores" insieme alla Terra Santa e a Santiago de Compostela.Per questo che l'Italia era percorsa da pellegrini di ogni sorta,molti si fermavano a Roma ma molti avrebbero poi proseguito fino al porto di Brindisi dove c'era l'imbarco per la Terra Santa.Nella maggior parte dei casi i
Le antiche direttrice della Framcigena
pellegrini seguivano le vecchie strade consolari costruite dagli antichi romani.Sopratutto i pellegrini,  provenienti dalla terra dei Franchi (la Francia), in età post carolingia cominciarono a passare le Alpi ed entrare in Italia in Val di Susa attraverso il colle del Moncenisio o del Monginevro, per questo motivo che il nome di questa strada fu "Francigena", cioè strada proveniente dalla Terra dei 
Franchi. Le notizie scritte più antiche della Via Francigena risalgono al 990 d.C, da una relazione dettagliatissima fatta da Sigerico arcivescovo di Canterbury di ritorno da Roma. L'arcivescovo inglese descrive 79 tappe del suo viaggio annotandole in un diario. Il testo originale della cronaca annota numerandole queste tappe toscane a noi vicine: 

"XXV Forcri, (oggi Porcari),XVI Luca, (oggi Lucca), XXVII Campmaior, (oggi Camaiore).XXX Aguilla, (oggi Aulla),XXXI Puntremel, oggi Pontremoli)"
Quindi si deduce che i primi itinerari scansavano la Garfagnana. Ma come ben detto e com'è importante sottolineare la Francigena non era propriamente una strada, ma piuttosto un fascio di vie, un sistema viario con molte alternative.Una di queste vie alternative al tracciato di Sigerico era appunto in Garfagnana,una direttrice del pellegrinaggio che portava in Pianura Padana e da qui su una delle varianti che conducevano nella Val di Taro (Parma), che scendeva poi in Lunigiana attraverso il Passo di Tea e in alternativa valicava il passo di San Pellegrino da Modena,dal quale fin dalla metà del 700 d.C salivano i pellegrini padani per giungere in Garfagnana .La via Francigena che passava in Garfagnana con il tempo prese sempre più importanza, per tre motivi:il primo perchè "saltava" tutta la costa
evitando così il pericolo di essere contagiati da febbri malariche derivanti dalle zone paludose vicine al mare, il secondo permetteva di evitare attacchi e saccheggi da parte di pirati ottomani che infestavano la costa in quel periodo e poi perchè questa garfagnina era la strada più breve per raggiungere tranquillamente Lucca ed andare a venerare anche il Volto Santo che si pensava nel medioevo rappresentasse il volto reale di Cristo. Attualmente infatti il tratto della variante "Francigena di Garfagnana"è chiamata"la Via del Volto Santo". Ogni paese in Garfagnana si trascina dietro di se il segno millenario di stirpi di "romei" diretti da San Pietro in Roma per il pellegrinaggio della vita,un interminabile impeto di fervore religioso che passava dai valici appenninici, collanti tra Lunigiana e Garfagnana,poi continuava negli "Hospitali" di San Michele,le Verrucole, oppure nel convento della Sambuca,procedendo sempre da nord si trovavano ben quattro spedali dipendenti dalla pieve di Fosciana (l’Hospitale S.Peregrini, L’Hospitale S. Reguli de Monteperpori, l’Hospitale S. Bartholomei de Saltello e l’Hospitale S. Marie de Buiti),da non dimenticare inoltre  Lo spedale“de Ysola Sancta” che era dipendente della pieve di Careggine, poi a Castelnuovo, Barga,il piccolo convento di San Bernardino (Mologno), due spedali erano anche nel plebanato di Gallicano (“Hospitale S. Concordii de Colle Ascinario e l’Hospitale de Garilliano”), tre nel plebanato di Loppia (l’Hospitale Pontis Populi, l’Hospitale de Calavurna” e la “Domus infectorum de Strignano”e infine l'antico monastero di Borgo a Mozzano. Sono molti quindi i luoghi che la storia ricorda come ospizi dove i pellegrini trovano conforto e preghiera oltre che un piatto caldo e un giaciglio accettabile. Anche gli ingegneri dovettero risolvere il fatto di agevolare il flusso di queste peregrinazioni in
Il Ponte di San Michele
Garfagnana,ed ecco che proprio in questo periodo nascono quei meravigliosi ponti a "gobba d'asino" che dovevano collegare le sponde di impetuosi fiumi e torrenti.Bellissimi sono i ponti di San Michele,di Pontecosi, Castelnuovo,Loppia. Lungo le strade il "romeo" diretto a Lucca incontrava decine di "mestaine" a cui affidare in preghiera la propria anima in viaggi così lunghi e pericolosi(per l'argomento leggi http://paolomarzi.blogspot.ii/un-patrimonio-artistico-.html).Curiosità delle curiosità mi piace evidenziare che proprio nel medioevo e proprio perchè eravamo una rotta della Francigena che abbiamo oggi in Garfagnana i nostri mercati settimanali.Segni di grandi passaggi sorti nel tempo,i mercati di Piazza al Serchio,Castelnuovo,Gallicano,Barga furono regolati rigidamente dai governi locali perchè ogni località un giorno alla settimana alternativamente potesse godere di scambi commerciali con i pellegrini che giungevano da ogni dove in Garfagnana, un vero momento di unione fra valligiani e forestieri,per cui si decise
Il Ponte di... Pomtecosi 
(foto di Mariani Pasquale)
il giorno settimanale che ogni paese potesse mettere in mostra le sue merci(mercoledì Gallicano,giovedì Castelnuovo e così via...).A

partire dal 1994 la Via Francigena è stata dichiarata"Itinerario Culturale del Consiglio d' Europa" assumendo alla pari del Cammino di Santiago dei Compostela una dignità sovranazionale. Tutti gli anni inoltre viene ripercorsa questa storica strada con una bella "passeggiata" da San Pellegrino
in Alpe a Gallicano. Un bel percorso attraverso la millenaria storia di una Garfagnana dai mille volti.

Lo strego, la macabra storia di un essere tutto garfagnino

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"...Di notte si appollaiano gli streghi, si mettono li sopra ad aspettare gli uomini, neri come come corvi.Se ti dovessero domandare: per chi è la notte? Rispondigli:per te,per me,per tutti quelli che camminano nella notte, solo così ti lasciano passare,solo così non diventi uno di loro"
Gli Streghi di Giacomo Agnetti opera propria
C'è una cosa fra le tante che delimita il confine fra l'antica civiltà contadina e la modernità:questa cosa è il buio.Oggi in qualsiasi momento, anche solamente con un display di un telefonino possiamo rischiarare le tenebre e ci rendiamo conto come nella nostra vita il buio,quello vero,sia scomparso. Si, perchè certe storie e certe credenze nascevano nel buio e nel silenzio della Garfagnana e quando il buio avanzava come una pesante coltre dai crinali degli Appennini e dalle Panie,c'è chi giurava di vedere interminabili processioni di lumi fiochi salire e scendere in silenzio lungo i crinali delle montagne:
"All'Alpe, questo me lo ricordo io, queste donne all'Alpe dovevano ballare sicchè aspettavano i suonatori...che dovevano venire questi suonatori...poi c'avevano i fidanzati,insomma dovevano venire.Guardavamo ogni momento se dovevano venire,allora qualcuno disse - Oh, vengono adesso! Vedo laggiù una fila di lumi,vengono adesso!- Ma allora ce li hanno davvero i lumi?...Allora andammo in cima al collettino, che dovevano passare di li sotto...una fila...una fila...una fila...non finiva mai: erano gli streghi. Allora la mia mamma si levò la corona del rosario e me la mise al collo e poi dopo andammo...ci rinchiudemmo dentro, non riuscimmo neanche fuori...e c'era un noce li sopra e andarono a ballare li. Ballavano li sopra, con i suoi lumi che c'avevano...i lumi erano bracci,non erano mica lumi, i bracci facevano lume...Successe quella sera li sola, poi non l'abbiamo mica più visti noialtri...Gli streghi li ho visti quella volta li sola,io...non parlavano zitti e mosca, e tutto un vestito tutto scuro"
Il noce l'albero degli streghi
Questi erano i racconti che gli anziani della Garfagnana narravano durante le veglie nei metati e raccontavano di questi esseri sovrannaturali:gli streghi. Lo strego come ci dice il professor Guidi nella sua analisi (tratta dal libro"Gli streghi,le streghe...") è un personaggio maschio della tradizione popolare garfagnina e a differenza delle streghe e stregoni classici dediti alla stregoneria e volti a procurare il male ad altri,lo strego sembra avere un atteggiamento più ambiguo,in quanto di norma si disinteressa degli esseri umani preferendo riunirsi in gruppo per svolgere cerimonie dedite al diavolo e anche al contatto con l'aldilà, si diceva che fosse capace di fare incantesimi,magie,per cui poteva parlare con i morti e farli tornare in vita,trasformarsi in animale e curare con unguenti.Non era difficile infatti nei tempi andati incontrare anziani che gli streghi li avevano incontrati da vicino, magari proprio nell'ora dell'ordinotte (n.d.r:il rintocco della campana che suona l'Ave Maria la sera),si diceva che i loro volti rimanevano nell'ombra, si intuivano solamente delle possenti figure appena accennate da queste fioche luci.Una diffusa credenza raccomandava di tirare diritto, di fare finta di niente, non si doveva mai per nessuna ragione accettare uno dei loro lumi per rischiarare la via,alla prime luci dell'alba si sarebbe trasformato in un osso di morto.Meno che mai bisognava seguirli nei loro cortei, si correva il rischio di scomparire, morire o anche diventare pazzi, tutto questo perchè queste cerimonie avevano a che fare con i morti e conoscere o anche solo sfiorare i misteri della morte era un'esperienza da cui nessun essere vivente poteva tornare indietro. Come nella più classica delle tradizioni l'albero del noce era quello dove si radunavano gli streghi,non è chiaro proprio perchè il noce, ma si pensa che questo albero tende a crescere isolato, facendo il vuoto attorno e che le sue foglie per alcuni animali siano tossiche,quindi poteva succedere che passando davanti a questi alberi di sentire il richiamo di una civetta, durante il tramonto non è un fatto straordinario,ma se questo richiamo è insistito vuol dire che in quel momento è in corso un sabba di streghi che si sono trasformati in uccelli notturni,più inquietante sarebbe notare che i rami di tale albero si muovono senza il ben che minimo soffio di vento, in quel caso gli streghi non sono sul noce ma bensì un tutt'uno con  il noce stesso, in quell'occasione conficcando un pugnale nella pianta gli streghi rimangono imprigionati nel tronco, così non potranno fare ritorno nel loro corpo e nella loro casa,infatti il potere del metallo contro gli spiriti si unisce alla forma del pugnale che ricorda la croce di Cristo, è bene fra l'altro chiarire un importante concetto, di giorno questi streghi erano uomini normali che svolgevano la consueta vita quotidiana e allora come capire se il marito,il figlio o l'amico sia strego o meno? Ad esempio se di notte veniva trovato esanime,sprofondato nel sonno da cui era quasi impossibile svegliarlo era segno che la sua anima era in giro per dei ritrovi con altri streghi e che non
Gramolazzo (canale della Gattaia)
 1930:da queste capanne con il tetto
 di paglia e nei racconti
 a veglio nascevano i racconti sugli streghi
(foto collezione Fioravanti)
avrebbe quindi fatto ritorno prima dell'alba. Un'altra maniera indiretta ci arriva da altre testimonianze in tal senso e ci dice che è da tenere d'occhio colui che viene infastidito da un gatto particolarmente nervoso o sennò la persona che viene richiamata ossessivamente da una civetta. Parliamo però adesso di come ci si può proteggere e chiariamo il fatto che streghi si nasce e per nascerci bisognava venire alla luce intorno a San Giovanni (cioè fra il 24 e il 26 giugno) e difatti le mamme per proteggere i loro figli nati in quei giorni mettevano della cera nelle orecchie dei piccoli, si credeva così  che non sentissero i richiami degli streghi.Erano destinati a diventare streghi anche coloro che nascevano con la "camicia", cioè avvolti nell'amnio. Per scongiurare questi diabolici esseri o meglio per allontanarli dal raccolto della castagne esisteva anche un'antichissima tradizione contadina meglio conosciuta come "Maconeccio"di cui si hanno notizie già dal lontano 1671 e Anselmo Micotti nel suo"Descrizione cronologica della Garfagnana" a proposito di questo ci dice:

"In questa terra anch'oggi conservano un'usanza molto strana.Ogn'anno la notte di San Michele di settembre gli huomini vanno fuori alla campagna e come essi dicono a cacciare gli streghi,suonando campane,tamburi e scaricando archibugi e facendo altri strepiti,gridando ad alta voce: -Maconeccio,maconeccio- parole cred'io barbare, e credono in questo modo di assicurare la raccolta delle castagne dalle stregharie"
 Il Maconeccio era una cerimonia molto importante.Il nome è composto da "maco" che per alcuni significa abbondanza e da "neccio" cioè farina di castagne.La sera di San Michele (il 29 settembre) la gente dei paesi si riuniva nelle piazze, ognuno prendeva "un mannello"(n.d.r:un fascio) di paglia incendiato e iniziava una sorta di processione profana per le vie e per i castagneti vicini che si concludeva poi con un grande falò nella piazza di partenza. Si gridava e si suonavano pure strumenti musicali e si ripetevano formule e litanie di rito per allontanare gli streghi dai raccolti di castagne, fondamentale sostegno per tutta la Garfagnana. Addirittura questa usanza durò fino agli anni precedenti lo scoppio della seconda guerra mondiale e poi finì e in realtà oggi gli streghi sono spariti perchè il buio di cui accennavo all'inizio del racconto non esiste più e senza dubbio e secondo gli anziani garfagnini gli streghi sono spariti da quando c'è la luce elettrica...

Un viaggio nella storia e nella natura del Parco dell'Orecchiella,meraviglia della Garfagnana

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Abbiamo in Italia fra i parchi nazionali più belli in assoluto, ci vengono invidiati da tutto il mondo, come non ricordare il Parco Nazionale del Gran Paradiso, o perchè no quello della Stelvio, senza dimenticarsi quello d'Abruzzo, insomma per non fare torto a nessuno i parchi nazionali in Italia sono ben 24 e tutti fanno parte dell'E.U.A.P ovvero dell'elenco ufficiale delle aree naturali protette, che è un elenco stilato e periodicamente aggiornato dal Ministero dell'ambiente.Pensiamo bene che questi parchi coprono una superficie di 1.500.000 ettari pari al 6% del territorio nazionale e in tutto questo ben di Dio che la natura ci ha offerto come non poteva finirci anche la Garfagnana? Forse pochi lo sanno ma un parco
Il Parco dell'Orecchiella 
(foto trattada "Fabrizio diario")
nazionale nel vero senso della parola l'abbiamo in casa, ovvero il Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano istituito con Decreto del Presidente della Repubblica (Carlo Azeglio Ciampi) in data 21 maggio 2001.Il suo territorio si estende per oltre 22.000 ettari lungo la dorsale appenninica interessando le province di Massa-Carrara,Lucca,Reggio Emilia e Parma. In Garfagnana tocca i comuni di Giuncugnano,San Romano e Villa Collemandina e all'interno di questo parco c'è uno dei gioielli più belli di tutti,una riserva naturale statale tutta garfagnina:oggi racconterò la storia del Parco dell' Orecchiella.

Anche i parchi hanno la sua storia che merita di essere narrata, non sarà fatta di guerre o di conquiste, ma cosa ancor più importante è una storia che fonda le sue radici nella salvaguardia del territorio.La riserva dell'Orecchiella è un'area naturale protetta dal Corpo Forestale di Stato, si estende a forma di rombo nei territori comunali di Piazza al Serchio,San Romano,Sillano e Villa Collemandina su una superficie di 52 Km quadrati e al suo interno vi è il monte più alto di tutta la Toscana,il monte Prado (2054 metri).Questo parco nacque con l'intento di salvaguardare e conservare un luogo di grande valore naturalistico. In effetti una volta queste terre da un punto di vista ambientale erano in un profondo degrado,ogni metro quadro di questi terreni era maltrattato a più non posso.Conclusa la prima guerra mondiale le condizioni socio-economiche di queste zone (e come nel resto della Garfagnana) erano a dir poco critiche. La crisi dell'agricoltura arrivò nei posti più estremi della Garfagnana e portò ad un estrema povertà, i paesi si spopolavano,la gente emigrava per cercare fortuna altrove e il territorio di conseguenza andava alla malora,nessuno coltivava più,le selve erano abbandonate a se stesse e pur di mangiare si
Il Centro visitatori
(foto tratta dal blog "Una montagna di foto)
uccideva qualsiasi animale muovesse foglia, con gli anni a seguire ci fu una ripartenza,la gente si riprese dalle brutture della guerra però si presentò il problema opposto.Le persone erano tornate a lavorare nei boschi e in quel periodo il territorio subì un abuso delle sue risorse naturali,in particolare nei ripetuti e troppo abbondanti tagli alla vegetazione dovuti sopratutto all'attività dei carbonai.Possiamo infatti ancora oggi vedere molte carbonaie in disuso per i boschi della Garfagnana,capita infatti di trovare delle piazzole pianeggianti senza alberi.Queste strutture erano tipiche delle faggete situate spesso nei luoghi più remoti dai quali risultava difficile trasportare il legname e si produceva quindi il carbone vegetale più leggero e facile da trasportare,ma non solo, gli eccessivi pascoli contribuirono allo sfruttamento sfrenato del terreno,soggetto sempre di più a smottamenti e frane,insomma oggi come allora la difficile gestione dei sottili equilibri fra uomo e natura veniva fuori con tutta la sua 
prepotenza.Per questo che nel 1927 il Regio Distretto Forestale di Lucca presentò un progetto per la ricostruzione e riqualificazione del suolo.Nel 1936 partirono i primi rimboschimenti e dopo la seconda guerra mondiale,nei primi anni 50 il progetto continuò anche sotto la nascente Repubblica.La "Forestale" da quel momento fece sentire ancor di più la sua presenza e portò due sostanziali novità:il ripopolamento della fauna e provò ad incentivare lo sviluppo turistico nuovo motore trainante del nascente boom economico italiano. Il  Parco dell'Orecchiella quindi vide così la
Il lago
luce nel 1960, in maniera se mi si permette quasi "abusiva", tant'è che mancava una vera e propria legge istitutiva (che arriverà con
"calma" nel 1980),nonostante tutto fu creato su richiesta degli abitanti stessi di queste zone in collaborazione con il Corpo Forestale. Fra l'altro l' Orecchiella risultò con un alta concentrazione di siti preistorici(e così anche oggi),tanto da essere segnalata come "unicum" in Toscana,le prime presenze dell'uomo in queste zone risalgono addirittura a 10.000 anni fa,a quel periodo risalgono le officine "litiche"(n.d.r:l'insieme degli oggetti fabbricati dall'uomo come utensili e armi) per la lavorazione della selce rinvenute in località Casini di Corte e la Greppia, per non parlare poi della recentissima scoperta fatta sulla Pania di Corfino di un'antico e rarissimo gioiello (per la scoperta leggi http://paolomarzi.blogspot.it/2014/12/eccezionale-scoperta-sulla-pania-di.html).Oggi il vero padrone di tutta questa meraviglia è tornata ad essere la Natura. Un centro visitatori accoglie i turisti che potranno ammirare il museo dei rapaci e quello naturalistico, un meraviglioso giardino di montagna ed un orto botanico, ma i veri protagonisti restano gli animali:cervi,mufloni,caprioli,cinghiali, puzzole e scoiattoli e se si ha fortuna si possono anche ammirare gli uccelli
Un orso dell' Orecchiella
che sovrastano questi cieli:la ghiandaia,la cinciallegra,il picchio o anche la poiana,il gheppio e il falco fino ad arrivare a lei: l'aquila reale.Vera attrazione del parco sia per grandi e per bambini sono gli orsi,diventati a buon ragione simbolo di questo meraviglioso parco.

Tutto questo in Garfagnana...

Sui banchi del regime.La scuola in Garfagnana all'epoca del fascismo

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La scuola di una volta in Garfagnana. Da poche settimane è finita la scuola per la gioia di tutti i bambini, cominciano le giornate estive spensierate e divertenti, ma se mi è permesso vorrei  dare un un suggerimento ai genitori e ai nonni che leggono queste pagine, di far leggere queste righe ai loro figli o nipoti che ancora vanno a scuola, una lettura a mio avviso significativa che serve sopratutto a fare differenze fra la scuola di oggi e quella di settantacinque anni fa,d'accordo i tempi saranno cambiati e giustamente qualcosa di buono sarà da prendere dalla nuova scuola, ma anche qualcosa da apprendere dalla vecchia educazione del 1940 (anche se molto è da buttare) non sarebbe da tralasciare. Comunque sia ognuno tragga le sue conclusioni. Questa è la scuola in Garfagnana nel 1940 in piena era fascista.
Partiamo con il fare due conti spicci e incominciamo con il dire che nei primi anni 20 del '900 l'Italia aveva circa 37 milioni di abitanti e in questo quadro la Garfagnana si presentava come una zona prevalentemente agricola e con un altissimo numero di analfabeti. Dai documenti ancora esistenti nell'Archivio Storico Centrale di Roma risulta che nel 1921 il 25% dei giovani garfagnini fra i 21 e 29 anni non sapeva leggere,peggio ancora andava per le garfagnine, sempre nella solita fascia d'età la percentuale saliva al 31%,una percentuale a dir poco impressionante, se poi salivamo ancora d'età i numeri aumentavano vertiginosamente.Il fascismo sali al potere nel 1922 e immediatamente l'anno dopo fu attuata la riforma della scuola,la famosa riforma Gentile, definita dallo stesso Mussolini "la più fascista delle riforme" e infatti lo stesso duce in un discorso del 5 settembre 1935,XIII° anno del era fascista puntualizzava:
"Ora poichè nella scuola passano tutti gli italiani è necessario che essa in tutti i suoi gradi sia intonata a quelle che sono oggi le esigenze spirituali, militari ed economiche del paese" 
e così fu,la scuola diventò uno dei luoghi privilegiati dove plasmare il fascista del futuro sotto il motto "Libro e moschetto fascista perfetto". Bambini e bambine garfagnine vennero inquadrati fin dalle elementari in organizzazioni di tipo paramilitare,per
questo nel 1926 venne istituita per i ragazzi l'Opera nazionale Balilla che aveva carattere parascolastico e come detto paramilitare: con essa si intendeva "dare l'assistenza e l'educazione fisica e morale, ai giovani dagli 8 ai 18 anni. Impartire l'educazione religiosa, spirituale e culturale, lo sport, l'educazione militare e professionale."L'O.N.B fu divisa per età e sesso:I ragazzi furono ripartiti ne i Figli della Lupa (6-8 anni),Balilla (9-10 anni),Balilla moschettiere (11-13 anni) e
Balilla
Avanguardisti (14-18 anni). Le ragazze furono ripartite nelle Figlie della Lupa (6-8 anni),Piccole italiane (9-13 anni) e Giovani italiane (14-17 anni).Natalina di Castelnuovo ricorda:

-La mattina a scuola la prima cosa che si faceva era la preghiera e dopidichè immediatamente si urlava tutti insieme salutando romanamente - W il Duce !!!-.
Ascoltando i ricordi della gentile signora Natalina chiudendo gli occhi sembra di vivere quei momenti:
-Nell'ingresso della scuola c'era una campana appesa alla parete che suonava sia l'entrata che l'uscita.L'entrata suonava due volte poi il portone veniva chiuso e chi arrivava in ritardo doveva tornare a casa.-
Ogni scuola piccola o grande che fosse doveva obbedire alle direttive che venivano da Roma per quanto riguarda perfino l'arredo stesso,la dotazione infatti prevedeva:il crocifisso, i
ritratti del re e del duce,la bandiera e il bollettino della vittoria della prima guerra mondiale, poi i cartelloni per l'insegnamento, gessetti, lavagne in ardesia e carte geografiche che dovevano servire sopratutto per appuntare con gli spilli l'avanzata dell'esercito italiano in Africa e non poteva mancare nelle scuole più grandi come quelle di Gallicano,Castelnuovo,Barga l'altoparlante collegato alla radio attraverso il quale era possibile ascoltare i discorsi del duce e sempre a proposito di arredamento e dotazioni varie sempre Natalina ci spiega come andava a scuola
- A scuola mi accompagnava la mamma, a quel tempo non c'erano i pulmini mi facevo a piedi cinque chilometri ad andare e cinque a tornare.Il banchino era a due posti, il piano era inclinato e sotto c'era l'appoggia piedi,sul piano c'erano due fori dove si metteva il calamaio che conteneva l'inchiostro. Com'era il mio astuccio !? Il mio astuccio era una scatolina di legno con un coperchio che scorreva dentro delle guide e ci tenevo la penna che era un'asticciola di legno dove inserivo i pennini,un lapis e una gomma e siccome la gomma cancellava male e lasciava segni sul quaderno prendevamo allora della mollica di pane ci facevamo una pallina e con quella potevamo cancellare meglio il lapis.-
Non si usavano zainetti, ma borse di tela o di pelle, a seconda delle possibilità delle famiglie oppure si tenevano legati i libri con un elastico.Per la gioia di tutti i bambini e nonostante che si
Libro di testo II
ELEMENTARE
pensi il contrario i giorni di festa durante l'anno scolastico erano di più che di adesso,infatti oltre a quelli che conosciamo oggi, all'epoca dovevamo aggiungere:il 28 ottobre (anniversario della Marcia su Roma), il 4 novembre(anniversario della vittoria della I guerra mondiale), l'11 novembre (il compleanno del re Vittorio Emanuele III),l'8 gennaio (compleanno della Regina Elena), 23 marzo (fondazione dei fasci di combattimento),21 aprile (compleanno di Roma e festa del lavoro),7 maggio (festa dell'Impero),24 maggio (entrata in guerra dell'Italia).Altri giorni di vacanza previsti erano: San Giuseppe (19 marzo), l’Ascensione,il Corpus Domini, San Pietro e Paolo, insomma era una pacchia per chi se la poteva permettere perchè festa a scuola non voleva quasi mai dire festa a casa, Carolina di Gallicano ricorda che:

- Appena finita la scuola la prima cosa che dovevo fare era mangiare  e poi subito di corsa dal babbo,dovevo aiutare nei campi, "governare" le bestie e guardare i miei fratelli più piccoli e...anche quelli più grandi,quando mi rimaneva tempo e se mi rimaneva facevo i compiti,gli unici giorni di festa piena erano tutte le feste religiose, per le altre se non si andava a scuola si lavorava a casa...preferivo andare a scuola-
Croce e delizia erano e sono le pagelle:italiano, matematica, storia ma nel 1940 oltre alle classiche materie dovevamo aggiungerci:disegno e bella scrittura,ortografia,cultura fascista,lavori donneschi (per le femmine) e manuali (per i maschi), igiene e cura della persona. Come abbiamo visto era tutto incentrato sul duce e il fascismo, perfino la declinazione dei verbi era incentrata su questo culto della persona, da dei libri di testo infatti si legge:"io amo Benito Mussolini,tu ami Benito Mussolini,egli ama Benito Mussolini, noi amiamo Benito Mussolini , voi amate Benito Mussolini..." e così via, e i problemi matematici? Leggete un po'questi tratti da dei quaderni di una III elementare di Gallicano nel 1940: 
1) Diciotto Balilla partecipano ad una gita scolastica: se tutti pagassero, la quota di ciascuno sarebbe di lire 17,50. Siccome pagano soltanto 15 Balilla, quanto paga ciascuno di essi?
2) La corazzata «Vittorio Veneto» è armata con 9 grossi cannoni, con 12 di medio calibro, 12 di piccolo calibro e 20 mitragliere. Quante armi sono pronte sulla possente nave? 
Infine voglio chiudere con una bellissima testimonianza della signora Lidia che al tempo frequentò le elementari anche lei a Gallicano. Una testimonianza struggente che non lascia spazio alla parole,ma a una profonda riflessione:
-Ho frequentato la scuola dal 1933 al 1937-38. A causa di una malattia, non ho potuto finire la quinta. Non ricordo con piacere il periodo scolastico perché le maestre picchiavano. Mi ricordo che partivo da casa con un grembiule nero (o con la divisa quando c’era ginnastica, come dettavano le leggi fasciste) e percorrevo i due chilometri che separavano la mia casa dalla scuola a piedi.
A scuola mi aspettavano le maestre e poche materie: italiano, storia, geografia, scienze e matematica,ma per me erano anche troppe. Mi ricordo che i compiti erano molti, ma non li facevo perché andavo a lavorare nei campi.I miei genitori criticavano la scuola, perché non lasciava lavorare i figli in campagna e quindi
Una scolaresca femminile negli anni 40
la terza da destra è la mia mamma
dovevano lavorare di più loro. Io considero la scuola di oggi migliore della mia perché si impara di più e le maestre non picchiano.Il momento più bello della giornata era l’intervallo.
Io, della mia vita scolastica ricordo un episodio molto spiacevole che mi ha fatto vergognare di fronte ai compagni. Il primo giorno mi recai a scuola con una cartella di tela che mia mamma aveva ricavato, visto che non c’erano soldi, dal fondo di un sacco per il frumento.Arrivata a scuola, l’appoggiai sulla sedia, ma appena la maestra la vide, la prese, la svuotò e la buttò dalla finestra, rimproverandomi e dicendomi che non si poteva venire a scuola con una cartella simile.-
Così era sui banchi del regime...

Le locomotive a vapore in Garfagnana.Una storia lunga 100 anni

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foto tratta dal sito ferrovia lucca aulla.com
Le locomotive dei classici treni ciuf-ciuf di una volta fanno parte del classico immaginario di ogni bambino, come i soldatini o le bambole per le femminucce. Io sono sempre rimasto affascinato da quelle vecchie locomotive a vapore, possenti e forti.Da piccolo mio nonno ogni volta che dalla stazione di Barga- Gallicano passava uno di questi treni per qualche rievocazione storica non mancavamo mai di andarlo a vedere, i miei occhi di bimbo rimanevano impressionati dalla grandezza della locomotiva e da tutto quel fumo sbuffante e anche oggi tutte le volte che capita un treno a vapore faccio le corse per andarlo a osservare con la mia piccola Sofia e che dire poi di quando passiamo da Piazza al Serchio, il nostro stupore si
rinnova e rimaniamo ammirati da quel locomotiva 940.002 che fa bella mostra di se. Allora la mia memoria di appassionato di storia di fronte a tutto questo comincia a pensare e così ha fatto un salto lungo più di cento anni e ha pensato a quante belle e storiche locomotive sono passate per la nostra Lucca- Aulla e quanti treni fino ai giorni nostri. Ma prima di analizzare nel dettaglio le locomotive che hanno "solcato"la nostra valle (e in questo caso vorrei ringraziare la F.L.A-Ferrovia Lucca Aulla- per le informazioni che mi ha dato) partiamo da un discorso più generale.La prima locomotiva ("Blucher") si deve a George Stephenson,inglese, che fin dal 1814 ebbe la brillante idea di azionare un veicolo su ruote mediante la forza del vapore. Nel 1825 il primo rudimentale treno coprì la distanza fra Stockton e Darlington, tra lo stupore di chi, abituato ai  viaggi in diligenza, assisteva alla sbuffante corsa del "mostro di ferro". La prima ferrovia italiana fu invece la "Napoli-Portici", aperta il 3 ottobre 1839, alla presenza di Ferdinando di Borbone re del Regno delle due Sicilie. Il treno inaugurale, che era composto da una locomotiva a vapore di fabbricazione inglese e otto carrozze, percorse i 7 Km del tracciato in poco più di nove minuti, trasportando circa 250 passeggeri tra due ali festanti di folla.La sbuffante "Longridge & Co.", costruita a Newcastle, aveva una potenza di 65 cavalli e poteva raggiungere una velocità di 65 Km all'ora. La ferrovia giunse però in Garfagnana parecchi decenni dopo, i primi progetti della ferrovia Lucca - Aulla risalgono al 1850, quando si pensava di collegare Lucca a Reggio
Il giorno la prima
 ferrovia italiana la Napoli
Portici
Emilia.
Nel 1894 il treno a vapore collegava solamente Lucca a Ponte a Moriano (9 Km di tragitto),poi  nel 1900 vennero date in costruzione ed in gestione alla ditta Saverio Parisi le due tratte Bagni di Lucca - Castelnuovo Garfagnana e Aulla - Monzone e così undici anni dopo,finalmente nel 1911, un convoglio inaugurò il tratto fino a Castelnuovo Garfagnana. Ma per arrivare ad Aulla mancavano ancora 43 Km e molti anni di lavoro. L'intera tratta venne ultimata dopo altri 45 anni, ma comunque già le prime locomotive viaggiavano senza soste e di  conseguenza servivano nuove macchine capaci di affrontare i nuovi ed impegnativi tracciati Le locomotive in gestione alla RM (Rete Mediterranea) nel 1905 furono unificate insieme a tutte le altre Reti nella neo nata FS (Ferrovie dello Stato), con decreto di Vittorio Emanuele III del 22 febbraio 1912..La prima locomotiva che passò in Garfagnana per inaugurare il 25 luglio 1911 la tratta Lucca- Castelnuovo Garfagnana fu una Locomotiva Gr.290 alimentata a carbone,si dimostrarono subito delle macchine robuste ed affidabili per la Garfagnana nonostante che il
la locomotiva Gr 290 il giorno che arrivò a
Castelnuovo la prima volta
foto tratta dal sito ferrovia lucca aulla.com
peso sfiorasse le 44 tonnellate e la velocità non superasse i 60 Km orari,g
ià erano in circolazione dal 1889  e ne furono prodotte dall'Ansaldo 338 pezzi. Addirittura specificatamente per la linea Lucca Aulla furono costruite due locomotive che dovevano servire ad uso esclusivo per la Valle del Serchio, infatti questa locomotiva a vapore Gr 815 fu battezzata con il nome "Garfagnana"costruita nel 1910 in Germania a Berlino dalla ditta Borsig,il suo peso era di 36,6 tonnellate e la sua velocità di 45 Km orari. Due anni dopo sempre dalla solita ditta e per la solita
la locomotiva detta "Garfagnana"
foto tratta dal sito ferrovia lucca aulla.com
tratta fu costruita
"L'Aulella" una Gr 828 (il nome da Aulla capolinea della tratta),questa locomotiva era più pesante (41 tonnellate) e nonostante più veloce (50 Km/h). Un'altra locomotiva è tristemente famosa per la Garfagnana è la Gr 625detta "La Signorina", la più veloce di tutte, faceva gli 80 Km/h e proprio per questo motivo fu la prescelta per trasportare gli ebrei internati a Bagni di Lucca nel dicembre '43 alla stazione di Milano per poi cambiare treno,destinazione Auschwitz (per questa storia leggi:http://paolomarzi.blogspot.it/2015/01/27-gennaio-giorno-della-memoriagli.html). Fra le più longeve in assoluto fra queste storiche
la locomotiva Gr 625 che portò gli ebrei
di Castelnuovo a Milano
foto tratta dal sito ferrovia lucca aulla.com
locomotive ci fu la 940 che prestò servizio sulla linea dal 1922 fino agli anni '70. Questa era una classica locomotiva da montagna, costruita in 53 esemplari dalle officine meccaniche di Milano e di Reggio Emilia,fu progettata per le traversate appenniniche dell'Italia centrale, strade ferrate queste ripide, tortuose e non meno impegnative dei valichi alpini e si decise di impiegarla anche per la linea ferroviaria garfagnina.Fu la regina incontrastata del servizio a vapore sulla Lucca- Aulla effettuava sia servizio passeggeri che merci e fu anche l'ultima vaporiera ad andare in pensione su questa tratta, eravamo negli anni '70 e per rendere omaggio a questa nostra instancabile compagna di vita fu deciso dal comune di Piazza al Serchio di farne un monumento e piuttosto che rottamarla fu stabilito di metterla in mostra
la 940.002 locomotiva
monumentata A Piazza Al Serchio
all'ingresso del paese.Le locomotive che passarono per la nostra valle furono ben 11 di diverso tipo,ed ognuna con la sua storia, poi si passò alle littorine e ai treni che oggi conosciamo, anzi approfitterei di queste righe per dare il benvenuto ad un nuovo treno che da pochi mesi viaggia per la Garfagnana si chiama
Swing, tecnicamente è un ATR 220 progettato nel 2008, può viaggiare fino a 130 Km/h è dotato di monitor e apparati audio per la miglior comunicazione con i passeggeri, accessoriato di 6 telecamere interne e 4 esterne per garantire una video sorveglianza a 360°, inoltre il
il nuovo "swing"
treno è fornito di aria condizionata.Beh! Che dire... nonostante tutto i tempi cambiano.
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