September 19, 2014, 5:55 am
Oggi voglio narrarvi le epiche gesta di Cupavo.Nome ai più sconosciuto oggi e pensare che duemila anni or sono dopo la sua |
Le Alpi Apuane versante garfagnino |
morte (succede sempre così...) raggiunse livelli di notorietà e fama paragonabili solo agli idoli odierni e anche di più dato che molti dei suoi contemporanei giurarono di averlo visto risorgere...Si perchè è bene chiarirsi che gli idoli di allora non erano i cantanti,attori o calciatori, ma al tempo assurgeva alla gloria del popolo chi, in poche parole "stendeva" più nemici.Cupavo era il leader indiscusso della Garfagnana apuana,il più famoso capo apuano che la storia ricordi (così lo definisce Strabone,geografo di epoca romana), conosceva ogni gola e ogni anfratto di quella che sarebbe divenuta la nostra terra.Il suo racconto si fonde fra fatti reali e leggenda.Strabone ci dice che alla morte di suo padre (pure lui capo tribù) conosciuto con il nome di Cigno, suo figlio terzogenito Cupavo prese il suo posto e per onorarne la memoria e il valore era sua consuetudine ornare il suo elmo con piume di cigno. Cupavo era un grande guerriero dotato di una grande personalità ,ma non solo, era riuscito più volte a respingere gli attacchi romani e a saccheggiare perfino qualche accampamento, che dire poi, la sua presenza si |
Un elmo Apuano |
notava ovunque, il suo elmo risplendeva in ogni dove con le sue candide piume.Arrivò poi il giorno della grande decisione, i Liguri Apuani stanchi di essere attaccati presero "il toro per le corna"e decisero di attaccare i romani, attraversarono i monti e raggiunsero il porto di Luni direzione le attuali coste del Lazio. Gli Apuani prima di partire salutarono le famiglie. Cupavo si avvicinò alla sua giovane sposa con il suo cimiero di piume bianche e la salutò, gli costava molto lasciarla ora che aspettava un bambino e per non cedere alla tristezza e dare il buon esempio ai suoi soldati scese dai monti per primo. Sul luogo di battaglia i Liguri Apuani si fecero molto onore specialmente Cupavo che si lanciava indomito contro il nemico operando strategie militari da vero condottiero( ebbe a dire in questo caso Lucio Cornelio Merula console romano"Vale più un gracile Apuano che un Gallo robusto") ad un certo punto però rimase isolato e i romani lo trafissero con le lance, poi gli tagliarono la testa e portarono via il corpo.Grande fu il dolore dei compagni che raccolsero la testa con l'elmo di piume e fecero ritorno fra le loro montagne.Quando l'esercito raggiunse le Apuane si racconta che si formò spontaneamente un gigantesco corteo di persone a scortare ciò che rimaneva dell'eroico capo. La povera moglie ormai giunta al momento del parto vedendo il lungo corteo capì e cadde a terra. Come era abitudine degli Apuani seppellirono Cupavo con la sua armatura e un gallo vivo, che con il suo canto alla mattina successiva alla morte risvegliasse il defunto nell'aldilà. Nella stessa notte si accesero i fuochi sui crinali dei monti circostanti per onorare il guerriero ed illuminargli la via verso |
Una classica tomba a cassetta Apuana |
il cielo. ma quando giunse il mattino e i fuochi si spensero si udì il canto del gallo.In quel momento i presenti videro nel cielo una nube luminosa rischiarata dalla luna, il corpo di Cupavo saliva verso l'alto e nello stesso momento si udì il grido di un bambino che nasceva. Era nato suo figlio.Anche lui divenne in seguito il nuovo condottiero dei Liguri Apuani.
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September 23, 2014, 2:55 am
Si parla sempre di più |
Una antica mappa dove si vede lo stato di Lucca e la Garfagnana estense |
(specialmente poi quando si instaura un nuovo governo) dell'abolizione o meno delle province, tutte le opinioni sono condivisibili a mio avviso, sia di chi pensa che è giusto abolirle poichè favorirebbe uno snellimento burocratico e un minor costo di mantenimento per la comunità, sia chi pensa di conservarle per questioni campanilistiche e di identità culturale.Già l'identità culturale...Noi garfagnini la nostra identità culturale ce la siamo fatta in casa (se così si può dire) perchè nel corso dei secoli siamo stati "sballottati" e tirati per le braccia a destra e a manca.Prima hanno provato a metterci il "cappello" i lucchesi, poi siamo diventati modenesi, dopodiché in epoca napoleonica abbiamo fatto parte del Dipartimento del Panaro, successivamente per un brevissimo periodo (1848-1849) eravamo annessi al Granducato Costituzionale di Toscana per poi diventare (in epoca dei nostri nonni) massesi, per essere definitivamente poi sotto la provincia di Lucca.Quindi la nostra identità ce la siamo creata,con tutti i nostri difetti e i nostri pregi, le guerre di campanile e le nostre beghe interne e nonostante tutto e tutti siamo contenti di essere garfagnini.Oggi però voglio appunto parlare di storia "recente", di come siamo finiti per sessantaquattro anni sotto la provincia di Massa,forse pochi se lo ricordano ma prima di essere "lucchesi" eravamo"massesi". Massa era la provincia di cui facevano parte i nostri nonni ( e anche bisnonni...).La prima volta che la Garfagnana fu accostata a Massa fu nel 1806 quando Napoleone Bonaparte, nuovo padrone d'Italia ci inserì insieme anche a Carrara nel neo principato lucchese dei Baciocchi ( un principato creato ad hoc con decreto imperiale del 30 marzo 1806 dove fu insediata la sorella Elisa Bonaparte con il marito Pasquale Baciocchi, da qui il nome). Dopodichè Massa ritornò lontana dai nostri destini, infatti con la caduta di Napoleone ritornarono i vecchi padroni di casa gli Estensi fino al 1859 (salvo una parentesi di undici mesi sotto il Granducato),ma ormai i venti risorgimentali e le aspirazioni di un Italia unita cominciavano a soffiare forte e nel dicembre 1859 fu creata la provincia di Massa e |
Piazza Aranci Massa |
Carrara da un decreto di Carlo Farini che ridisegnava la futura suddivisione dell'Emilia in attesa e in previsione della sua annessione al Regno di Sardegna (si, perchè è bene capire al tempo eravamo considerati emiliani...non toscani dato che eravamo sotto gli Estensi,quindi Modena) e si pensò bene per questi motivi di includerci in Toscana e nella neo provincia di Massa e così fu. La Garfagnana vi entrò a far parte con 17 comuni (Camporgiano, Careggine, Castelnuovo Garfagnana,Castiglione Garfagnana,Fosciandora, Gallicano, Giuncugnano, Minucciano, Molazzana, Piazza al Serchio, Pieve Fosciana, San Romano, Sillano,Trassilico, Vagli Sotto, Vergemoli,Villa Collemandina) e nel contempo la provincia fu divisa in tre circondari:(n.d.r:il circondario indicava quella città che doveva amministrare altri comuni facenti parti del circondario stesso ) Massa, Pontremoli e Castelnuovo Garfagnana.La provincia contava ben 40 comuni.Per molti questa annessione,fra cui gli stessi amministratori governativi fu considerata un "anomalia burocratico organizzativa", un annessione provvisoria, ma come sapete il provvisorio in Italia diventa definitivo e gli anni passavano,l'Italia era ormai unita ma i garfagnini fin da subito cominciarono ad avvertire dei "mal di pancia" per quella scomoda provincia. Scomoda per una serie di motivi che effettivamente era difficile non condividere.Già la nostra valle dipendeva da Lucca per quanto riguardava il distretto militare, il tribunale, il genio civile e la finanza, poi da un punto di vista geografico eravamo più uniformi verso la piana lucchese dato che dall'altro lato (Massa) eravamo divisi dalle Apuane e quindi rendeva disagevoli le comunicazioni con il capoluogo di provincia, poi lo sbocco naturale per i rifornimenti e il |
Una bella e antica pagina tratta da "Bargarchivio" dove sono evidenziati nel quadrato rosso i comuni garfagnini che facevano parte della provincia di Massa con il relativo sindaco |
commercio era verso Lucca. Si indissero quindi dei simil-referendum interni ai comuni garfagnini per richiedere l'aggregazione alla provincia di Lucca dato che come si leggeva nel documento "...l'unione alla provincia di Lucca rimase sempre nostra tenace aspirazione...".Si arrivò a tirar fuori perfino questioni etniche dicendo che sia i costumi e la lingua erano più affini a Lucca che con Massa che a sua volta era più legata ai liguri. Insomma a forza di referendum, delibere e proteste si arrivò (dopo 64 anni) al giorno fatidico: il 9 novembre 1923 quando con il Regio Decreto n°2490 i 17 comuni della Garfagnana furono annessi alla provincia di Lucca:"Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e volontà della Nazione Re d'Italia In virtù della delegazione di poteri conferita al Governo con la legge 3 dicembre 1922, n. 1601;Uditi il Consiglio dei Ministri; Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per gli affari dell’interno, Presidente del Consiglio dei Ministri;Abbiamo decretato e decretiamo: Art. 1. Il circondario di Castelnuovo di Garfagnana, attualmente appartenente alla provincia di Massa e Carrara, è aggregato alla provincia di Lucca...."
Firmato: Benito Mussolini.
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September 26, 2014, 9:15 am
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Una vecchia segnatrice in azione |
Oggi mi voglio addentrare in un campo di cui ho poca conoscenza.La mia poca conoscenza è dovuta dal mio scetticismo,ma l'argomento è talmente interessante e legato a doppio filo con la Garfagnana che vale la pena di essere affrontato,è un tema che svaria fra il sacro e il profano, tra la magia e la religione.La materia è talmente vasta che direi di andare subito al nocciolo della questione e domandarci: chi sono i cosiddettisegnatori della Garfagnana? Per spiegarla brevemente il segnatoreè colui che tramite gesti e formule riesce a guarire da certe malattie. Il segnatoreè bene precisare è culturalmente e tipicamente legato alla Garfagnana, al limite ne possiamo trovare alcuni in Lunigiana.Oscar Guidi (scrittore e storico locale) addirittura negli anni 80 fece un censimento in tutta la Garfagnana degli ultimi segnatori rimasti e ne pubblicò un bellissimo volume nel 1987 con tanto di interviste, ebbene all'epoca di segnatori in tutta la valle erano rimasti in attività 92,di cui 67 donne e 25 uomini, tutti ultrasessantenni, ad oggi non si sa niente né di chi è rimasto né di chi è subentrato. Bene, allora addentriamoci ancora di più nell'argomento. La pratica della segnatura risente notevolmente dell'influenza religiosa (cattolica) e difatti nelle formule di guarigione compaiono sempre Dio, Gesù, la Madonna e i Santi.Le preghiere vengono recitate sia prima che dopo la "segnatura" e la stessa guarigione viene imputata alla Provvidenza Divina.Naturalmente anche fra i segnatori stessi, come in tutti i campi che si rispettano vi è un'altra scuola di pensiero,e dice che tutto non è da ricondursi alla religione,ma bensì anche nel credere veramente e fermamente al potere della |
"il gruppo di Salomone" uno dei segni praticati |
segnatura stessa,quest'altra categoria di segnatori oltre al tracciare segni sul corpo del malato come la croce di chiara ispirazione cristiana,l'altro segno che usano è il "gruppo di Salomone" conosciuto meglio come stella a cinque punte, espressione questa neo pagana.La procedura consiste (questa vale per ambedue le scuole di pensiero) in una prima parte gestuale dove con le mani o con alcuni oggetti particolari si tracciamo segni sulla parte malata, mentre la seconda è verbale e riguarda formule segrete e preghiere tramandate nel tempo da generazione in generazione.Le sedute per vincere la malattie possono essere più di una, non esiste una regola precisa si può arrivare a tre in un giorno come una volta al mese.Le segnature possono essere rivolte sia alle persone, agli animali, ma anche ai terreni infestati da parassiti e quindiimproduttivi.Le malattie più comuni per le quali ci si rivolge a un segnatore sono: "il foco di Sant'Antonio", porri,orzaioli, bruciature addirittura si può guarire anche dalle cosiddette "malattie dell'anima"come le chiamano oggi,come la depressione e la paura (questa specialmente rivolta ai bambini) e sopratutto i segnatori sono specializzati nel togliere il malocchio (solo sull'argomento si potrebbe scrivere un libro...) naturalmente ogni tipo di malattia ha il suo particolare rituale.Ma come si viene in possesso di tali virtù? Abitualmente è bene sottolineare che tutti i segnatori sono persone anziane. L'arte viene tramandata generalmente ai familiari o ai conoscenti nella notte della vigilia di Natale.Fra questi si dice che vi siano persone più predisposte di altre a ricevere tali poteri, come quelle persone dette"settimine" (n.d.r: persone nate al settimo mese) o anche quelle nate nel giorno di Natale. Le formule di solito sono tramandate oralmente, può |
Vecchissimi formulari |
succedere anche che siano scritte, ma successivamente vanno bruciate immediatamente nel fuoco.Impossibile naturalmente conoscere queste formule, il segreto più profondo regna intorno ad esse.Sono formule a dir poco misteriose.Solo una persona seria e di conclamata fede può entrarne in possesso.Rivelare questi segreti ad una cattiva persona porta all'immediata perdita dei poteri.Naturalmente anche qui esiste una scala gerarchica basata sul numero delle formule conosciute.Alcuni di questi segnatori"a cinque stelle" riescono a guarire anche a distanza, basta un indumento o una foto.Tutto questo ha origine nella notte dei tempi,nessuno sa e nessuno ricorda la genesi dei segnatori.Pratiche che sicuramente hanno avuto inizio prima della venuta di Cristo e che si sono fuse poi con il cristianesimo, fatto sta che sono giunte fino ad oggi e ancora la segnatura viene praticata in Garfagnana. Tradizioni belle che raccontano ancor di più la nostra storia...ma è bene e giusto sottolineare due cose;la prima è che queste persone (i segnatori) non sono assolutamente da considerarsi dei ciarlatani o imbroglioni "spillasoldi" come quelli che spesso scova la televisione, anzi spesso sfuggono dalla gente e per ricompensa non chiedono soldi,al limite come nelle migliori tradizioni contadine qualche ortaggio, un bel pane fatto in casa e perchè no anche qualche fungo porcino,altra considerazione da fare è bene specificare che tali pratiche non possono e non devono essere MAI sostituite da un serio e competente giudizio medico.
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September 30, 2014, 2:27 am
Questo è un posto che amo |
L'inaugurazione del Rifugio Rossi il 24 agosto 1924 |
particolarmente perchè mi riporta alla mente ricordi di quando ero bimbetto, quando con il mio babbo mi inerpicavo su per il sentiero che dal Piglionico porta al rifugio Rossi.Il rifugio Rossi è posto nella vallata fra due montagne, la Pania della Croce e la Pania Secca e posso dire senza ombra di dubbio che è uno dei luoghi più belli della nostra Garfagnana.Oltre che per la sua incomparabile bellezza quest'anno vale la pena di ricordarlo anche per il suo compleanno, infatti compie esattamente 90 anni tondi tondi.Mi piace rammentare questo compleanno perchè il Rifugio Rossi per chi ama la montagna è un vero simbolo è stato un riparo per gli alpinisti durante le intemperie ed è stato meta per le scampagnate degli escursionisti (come me), insomma un vero gioiello immerso nella natura e chi non ha avuto l'occasione di visitare questi posti è bene che alla prossima occasione utile lo faccia.Tutto infatti incominciò intorno alla metà dell'800 quando iniziò a mutare anche l'idea di montagna stessa non più vista come luogo in cui fare agricoltura e pastorizia, ma fu anche presa in considerazione l'idea di salire sui monti per conoscenza o per piacere.Questa nuova idea di montagna investì anche le Apuane e così nel giro di pochi decenni nacque il primo rifugio.Era il 1902 ed il C.A.I (club alpino |
Vecchia foto del rifugio Rossi |
italiano) ligure pose la prima pietra di quello che sarebbe diventato (come detto) il primo rifugio apuano e sorse così il rifugio Aronte (in provincia di Massa) situato a breve distanza dal Passo della Focalaccia (che si trova fra la Tambura ed il Monte Cavallo) a 1642 metri d'altezza, il rifugio apuano che si trova alla maggior quota.Purtroppo per noi la nostra zona dipendeva da una sede del C.A.I distante anni luce dai nostri monti ed era quella di Firenze ed eravamo un po' trascurati fino a che nel 1923 la sede del club alpino di Firenze non dette il benestare per costituire una sezione C.A.I anche a Lucca. Fu la scintilla, tant'è che subito l'anno dopo, il 24 agosto 1924 viene inaugurato il rifugio Pania (così chiamato inizialmente).Il primo tetto che ebbe si dice che era un tetto a volta, ma ben presto rovinò e fu ricostruito nella forma |
Il rifugio oggi |
attuale.L'originaria struttura era semplice e spartana e nonostante tutto fu fatto con molti sacrifici, la spesa per la neonata associazione fu importante ma la soddisfazione di dare ricovero e riparo dal brutto tempo agli amanti di questi monti era ancor maggiore. Di li a poco cambiò anche il suo nome da Rifugio Pania si passò all'attuale Rifugio Rossi, in memoria del giovane alpinista lucchese Enrico Rossi morto in un incidente stradale. E pensare che a 90 anni di distanza oggi questo rifugio offre: 22 posti letto in camerata unica (di cui 8 di emergenza),una saletta da pranzo con camino,telefono, piazzola per atterraggio elicotteri,illuminazione elettrica, riscaldamento a stufe, biblioteca,servizi igenici e acqua corrente e pensare che a proposito d'acqua e sulla disponibilità di acqua potabile nel rifugio l'ingegner Masini all'inaugurazione nel 1924 diceva" ...Questa coltre erbosa, dove la neve soggiorna fino alla fine di Maggio, agisce a guisa di spugna, s’impregna di acqua e la restituisce, goccia a goccia, dando luogo a due piccole sorgenti, se pure è il caso di chiamarle così, una delle quali, quella più prossima alla Pania Secca è di piccolissimo bacino, si esaurisce ai primi di Luglio...Ma anche nell’ipotesi che per brevi giorni l’acqua dovesse mancare, il Rifugio sarebbe sempre alimentato dalla neve raccolta nelle caverne, di cui la maggiore e perenne, dista venti minuti di cammino dal Rifugio e trovasi sotto la Pania della Croce..." (notizia tratta da Daniele Saisi blog)
E oggi è ancora lì il nostro rifugio Rossi a 1609 metri d'altezza ad ammirare le nostre belle montagne.
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Una banconota da una lira del 1935 |
Si dice sempre così..."Si stava meglio,quando si stava peggio".Ma una volta (economicamente parlando) eufemismi a parte stavamo male veramente (anche se adesso a quei tempi ci stiamo avvicinando a grandi passi)...Mi spiego meglio.Alcuni mesi fa la mia soffitta in una delle mie rare pulizie ha tirato fuori un prontuario di prezzi di generi alimentari degli anni 30 appartenuto ad una zia della mia mamma (la zia Emma) che aveva una bottega "sul ponte" davanti al palazzo comunale di Gallicano.Era la classica bottega di una volta, vendeva alimentari, ma vendeva anche di tutto un po'.Correvano gli anni '30 come detto,erano anni duri,la maggior parte delle persone si dedicava all'agricoltura, gli altri invece erano operai e operaie a turni estenuanti nelle fabbriche della zona come la Cucirini o la S.M.I e poi le bocche da sfamare erano tante. Una famiglia piccola era composta da cinque persone, certe famiglie dovevano mettere a tavola anche per dieci, dodici familiari. Tutto questo mio ragionamento mi è sobbalzato nella testa quando ho letto proprio questo listino prezzi e ho fatto un raffronto con la vita di oggi facendo dei semplicistici conti per vedere quanto costava la vita in Garfagnana a quel tempo e fare poi un paragone a 75 anni di distanza.Diciamo che, tanto per portare alcuni esempi, riporto i prezzi di quelli che i migliori analisti economici chiamano "beni di prima necessità": il prezzo del pane era di 1 lira e 50 centesimi (i prezzi sono riferiti al Kg), la pasta (rara) 2 lire,il riso 1 lira, lo zucchero era oro... ben 6 lire e 30, il caffè poi era fuori da ogni portata, un prezzo esorbitante tant'è che nel prontuario è |
La vecchia bottega della Zia Emma (foto tratta da "Gallicano in Garfagnana") |
contemplato ma solo su ordinazione. A questo punto mi sono detto un'altra cosa, tanto per fare una comparazione il più reale possibile, ma quant'era la paga giornaliera di un operaio della S.M.I o della Cucirini Cantoni Coats? Scartabellando di qua e di là è venuto fuori che un operaio di media fra le due fabbriche prendeva circa 12 lire (l'operaio donna prendeva la metà circa...).Pensate voi solo per acquistare 1 Kg di pane ci voleva 1 lira e 50 centesimi,mentre per comprare 2 Kg di zucchero serviva un intera giornata di lavoro.Facendo un raffronto spicciolo se mettiamo sul piatto la giornata media lavorativa di oggi che si aggira intorno alle 55 € lo stesso chilo zucchero (che grosso modo viene intorno ad 1 € e 30 cent),adesso se ne possono comprare circa 40 Kg con la stessa giornata lavorativa. La vita sarà stata economicamente più dura, noi forse avremo qualche "soldarello" di più per le tasche (per ora), ma loro avevano una cosa che noi non abbiamo: la voglia di aiutarsi gli uni con gli altri, lo spirito di sacrificio e una vita sicuramente più genuina e sincera...e questi pregi al supermercato non li vendono...
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Isola Santa |
Nonostante la tortuosa strada provinciale che da Castelnuovo si snoda verso le accaldate spiagge versiliesi, i panorami e la bellezza del paesaggio rendono piacevole ed interessante il transito, specialmente quando ad un certo punto immerso nel verde ombroso vedi spuntare uno sparuto gruppo di case con il tetto in ardesia...un vero gioiellino incastonato tra le montagne garfagnine,uno smeraldo posto fra i castagni e il suo verdissimo lago, questa è l'Isola Santa (nel comune di Careggine.).Vale la pena di essere raccontata la storia di questo località per alcune sue particolarità alcune note ed altre forse un po' meno.Per esempio qui come sul lago di Vagli (Fabbriche di Careggine) abbiamo un paese sommerso (o meglio semi- sommerso)...Ma andiamo per gradi e |
il paese |
incominciamo dal 1260 quando si hanno le prime notizie scritte sull' Isola Santa riguardanti una tassa (tanto per cambiare...) pro-crociate di lire 80.Certamente però la sua nascita è più antica.Il borgo poggia sulle rovine di un antico "hospitale" chiamato "l'hospitale di San Jacopo"(convertito nel 1608 a chiesa parrocchiale che porta il medesimo nome) meta di sosta per i viandanti di ogni sorta, qui vi trovavano assistenza poveri e ammalati,era rifugio e ristoro anche per pellegrini ma anche per i contrabbandieri di sale che attraversavano le Apuane passando per la foce di Mosceta e arrivavano in Garfagnana (e viceversa).Un tragitto duro e faticoso e l'Isola Santa rappresentava un punto di passaggio obbligato per tutte queste persone.Di li passavano percorsi anche importanti come la Via Clodia Secunda allora vera e propria spina dorsale della nostra valle con la costa tirrenica.Secondo alcuni storici "l'hospitale" faceva parte di un piccolo paese fortificato con una modesta cinta muraria,un vero e proprio avamposto che serviva appunto da"posto di guardia" data la sua strategica posizione nella stretta valle .Le scarne cronache medievali inoltre ci parlano anche di questa piccola comunità che viveva nel paese in estrema povertà dovuta anche ad un collegamento con i centri abitati più grandi tremendamente disagevole. Per descrivere questo aspetto nel 1615 Costantino Nobili partito da Lucca per un ispezione al ricovero diceva:" Strade tanto cattive sono da Castelnuovo in là, che conviene andar la maggior parte a piedi".
La cosa più interessante e curiosa è che questa condizione di isolamento durò ancora per secoli quando finalmente nel 1880 venne costruita la galleria del Cipollaio che assicurava ben più agevoli collegamenti e sostituì una volta per tutte l'impervio tracciato medievale. Rotto quell'incredibile isolamento finì la pace,il cosiddetto progresso arrivò anche li e nel 1949 venne costruita la diga per lo sfruttamento della Turrite Secca e il piccolo borgo fu in parte sommerso (non interamente come Fabbriche di Careggine) come alcune case, un ponte ed un mulino (anche oggi sotto il lago).Il peggio |
Il lago artificiale |
però doveva ancora arrivare.Il borgo ormai agonizzava,si scoprì che tutto il paese aveva problemi di stabilità.Problemi dovuti alle grandi escursione giornaliere d'acqua imposte dalla società elettrica di allora la Selt Valdarno (futura E.N.E.L).La situazione venne risolta alla fine degli anni 70, ma ormai lo spopolamento era avvenuto e danni irreparabili erano già stati fatti.L'Isola Santa era diventato un paese fantasma, era stato abbandonato. Nel 1975 gli ultimi abitanti rimasti,durante uno svuotamento del bacino artificiale, occuparono il paese in segno di protesta per rivendicare il diritto di case nuove e sicure.La lotta in buona parte ebbe successo, le abitazioni nuove furono costruite altrove e fu il definitivo de profundis per |
l lago dell'isola Santa svuotato si vede il vecchio mulino con il suo ponte |
l'intera comunità. Oggi il tutto rientra in un egregio piano di recupero storico ambientale voluto dal comune di Careggine e la regione.Le casette di pietra dai tetti in ardesia sono quanto resta del nucleo originale.Pittoresca e ben conservato oggi è l'Isola Santa meta di turisti da ogni dove.Un posto ideale per raccogliere funghi,pescare e dedicarsi all'escursionismo. Numerosi sentieri si addentrano nella boscaglia, verso le maestose cime della Alpi Apuane.
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October 10, 2014, 10:02 am
Non sempre tutte le storie di guerra hanno una brutta fine.Certamente guerra non vuol dire felicità e spensieratezza, ma dalla disperazione e dal dolore in certi casi si può anche |
famiglie ebree deportate |
miracolosamente uscire.Questa è la storia della famiglia polacca Kienwald che abitava a Castelnuovo Garfagnana.Come !?Mi chiederete voi, Kienwald non è un cognome tipicamente nostrale...e infatti il problema era proprio quello.Allora facciamo chiarezza. Castelnuovo nel periodo che va dal 1941 al 1943 era diventato paese per famiglie ebree internate.Qui queste famigle facevano la loro vita normale, ormai si erano ambientate in tutto e per tutto.Tutti avevano un lavoro, i bambini giocavano e scherzavano con gli altri piccoli del luogo, tutto in barba alle mostruose leggi razziali del 1938.Ma i tempi erano oscuri e le prospettive preoccupanti e così in questo terribile clima arrivò anche il 1943 e per tali famiglie arrivò l'ordine dal comando tedesco che fossero tutte trasportate a Bagni di Lucca, nel campo di concentramento locale e da li sarebbe seguita la deportazione nei campi di sterminio. A quel punto alcune famiglie tentarono la fuga e fra queste la famiglia Kienwald. La storia di questa famiglia è raccontata nel bellissimo libro "L'orizzonte chiuso-L'internamento ebraico a Castelnuovo Garfagnana"di Silvia Angelini,Oscar Guidi e Paola Lemmi.La famiglia Kienwald era composta da Oscar Kienwald,, dalla moglie Rachele Nadel e dai figli Erwin e Leonard. |
L'Alpe di Sant'Antonio in quel periodo (foto collezione Fioravanti) |
La storia, narrata dallo stesso Leonard uno dei figli e comincia il 5 dicembre 1943. Quella mattina tutti gli ebrei di Castelnuovo avrebbero dovuto trovarsi presso la caserma dei carabinieri per il previsto trasferimento a Bagni di Lucca. Ma la famiglia Kienwald aveva deciso di sottrarsi a quel destino e, a piedi, si era diretta verso la valle della Turrite Secca risalendola. Giunti al Pizzorno attraversarono il torrente e penetrarono nel bosco risalendo verso l’Alpe di Sant’Antonio. Durante la salita si fece buio e i quattro trovarono rifugio in una capanna. Al mattino successivo giunsero all’Alpe di Sant’Antonio dove, presentandosi come sfollati, in qualche modo riuscirono a sistemarsi. Dice Leonard che lui e suo fratello presero a lavorare per i contadini dietro compenso di generi alimentari sufficienti per sopravvivere. I rapporti con la popolazione erano sostanzialmente buoni (molti degli abitanti del luogo ancora li ricordano) e le condizioni di vita accettabili, per cui i Kienwald forse pensavano di poter attendere qui, al sicuro, la fine della guerra. Ma le cose, purtroppo per loro, andarono diversamente. Nella primavera del 1944 i partigiani del Gruppo Valanga si erano insediati proprio in quella zona e verso la fine di agosto avevano ucciso un sottufficiale tedesco che, con una pattuglia, era risalito fin lassù. La reazione tedesca fu immediata e terribile: il 29 agosto attaccarono i partigiani che si erano attestati sul monte Rovaio,(n.d.r: come già raccontato nel post intitolato:"29 agosto 1944.Settant'anni fa la controversa battaglia del Monte Rovaio.Una brutta storia fatta di morte e (presunti) tradimenti") lo risalirono uccidendone una ventina e mettendo in fuga i sopravvissuti. Dopo di che incendiarono tutte le case dei luoghi che avevano ospitato i partigiani. Anche il casolare che ospitava i Kienwald fu incendiato. La situazione era, adesso, più difficile e i Kienwald, dopo essere sopravvissuti in qualche modo fino al novembre, presero in considerazione l’idea di mettersi in salvo passando il fronte. Pare prendessero contatto col maggiore Oldham, comandante della divisione partigiana Lunense.Fatto sta che un mattino, doveva essere il 23 o il 24 di novembre, i quattro membri della famiglia Kienwald salirono alle Rocchette dove |
Vergemoli oggi |
trovarono dei partigiani che li riconobbero come ebrei (uno dei partigiani era di Castelnuovo e li aveva conosciuti in passato) e li fu la fortuna, il destino che certe volte ti annienta mentre altre volte ti bacia.In questo caso fu il bacio,poichè i giorni precedenti alcuni operazioni militari condotte dai partigiani avevano fatto letteralmente breccia nel fronte.Mai breccia fu così provvidenziale, la zona in quel momento era completamente sguarnita di soldati.Quel breve intervallo di tempo fu fatale per i Kienwald che poterono, con l’aiuto dei partigiani, attraversare le linee, e scendere a Vergemoli, che si trova proprio lì sotto e che era già occupato dagli americani...Tutta la famiglia al completo si salvò.Gli americani rifocillarono e fornirono un riparo caldo a tutta la famiglia. Quando la guerra finì la famiglia al gran completo fece ritorno in Polonia dove continuò la sua normale vita consapevole della grande fortuna avuta e il pensiero era rivolte sempre alle famiglie dilaniate nei campi di morte. A Leo Kienwald lo stato italiano nel 1966 conferì la croce al merito di guerra.
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October 22, 2014, 7:45 am
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October 24, 2014, 8:50 am
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Un vecchio metato garfagnino |
Per secoli è stato il nostro pane , per secoli ci siamo sfamati con questo frutto della natura è il frutto d'eccellenza della Garfagnana:la castagna.Si può cucinare in mille maniere, oggi per festeggiare questo frutto ci sono svariate feste e sagre, ma una volta non era così...era il mangiare quotidiano.Era proprio in questo periodo di fine ottobre quando cominciava un rituale vecchio di secoli: l'essiccatura delle castagne nei metati per poi portarle nei mulini a farne farina. Questo è il bellissimo ricordo di quei gesti quotidiani ormai persi, quando il metato voleva anche dire "stare insieme".Il ricordo è di Vincenzo Giannarelli."Dopo la coglitura, che si effettuava verso la fine d'ottobre, c'era una stasi nella routine lavorativa del contadino-montanaro, utilizzata per allestire il metato. Era, questo, un fabbricato composto da due locali sovrapposti, senza pavimento intermedio e divisi soltanto da un graticcio mobile che veniva appoggiato sulla trave centrale fissa. Una volta sistemato, dall'unica finestrella posta sopra la porta d'ingresso vi venivano cautamente |
Farina di neccio |
distese sopra le castagne da seccare. A terreno, nel mezzo della stanza, veniva acceso il fuoco che doveva ardere ininterrottamente giorno e notte. Torno torno, a ridosso delle pareti, venivano installate le panche per accogliere i vicini i quali, per consuetudine, vi si riunivano per trascorrere le serate insieme. Queste riunioni avevano anche lo scopo di sorvegliare il regolare andamento dell'operazione seccatura, dato che le loro castagne erano state messe insieme alle nostre. Si doveva entrare senza toccare la porta che era tenuta semi-aperta, in quanto doveva lasciar passare un flusso d'aria costante per mantenere il fumo unito a tela ad una certa altezza, in modo da non essere costretti a respirarlo o a trovarcelo davanti agli occhi.Era l'epoca dei giornali della sera dove apparivano, diluiti in tante puntate, romanzi d'amore e di morte: «Il padrone delle ferriere», «Le due orfanelle», «I miserabili». Mio padre, uno dei pochi del paese che sapesse leggere correntemente da giovane aveva frequentato le Scuole che, a quei tempi, era come dire oggi l'Università teneva banco. Tutti pendevano dalle sue labbra dalle quali uscivano, di volta in volta, descrizioni poetiche di racconti romantici, epici racconti di duelli quasi sempre mortali per i protagonisti.Si può senz'altro dire che la gente, in quel periodo, non vivesse che per ritrovarsi ad ascoltare un'altra puntata di quelle vicende. Non era raro il caso che sulle panche non ci fosse più posto; allora, noi ragazzi, o ci portavamo da casa le seggioline, oppure dovevamo sederci sulle ginocchia delle mamme o delle nonne e lì aspettare, smaniando, che ci prendesse sonno.Mio padre, intanto, alla luce di una lucernina, recitando più che leggendo, dava vita ai vari personaggi del romanzo. A volte, in presenza di fatti o frasi per me incomprensibili, si interrompeva
all'improvviso e a chi chiedeva il motivo di quella pausa fatta sul più bello invariabilmente rispondeva Durante il pomeriggio, invece, il metato era il ritrovo dei ragazzi, dove le nonne narravano ai nipoti le storie e le leggende delle Apuane. Era lì che la Bèna ci snocciolava una fòla dietro l'altra ed i suoi personaggi, tanto mirabilmente cesellati, s'imprimevano indelebilmente nella nostra memoria, complice il guizzante bagliore delle fiamme. Per quasi un mese questo luogo era, per tutti, un caldo e confortevole rifugio, specie nei giorni in cui pioveva o faceva troppo freddo per giocare o lavorare. L'ultima sera, poi, era di prammatica la smondinata che venivano mangiate appena tolte dal fuoco, con una bella spruzzata sopra di striscino, vino frizzante nostrale di seconda passata Purtroppo, circa venticinque trenta giorni dopo, anche questo piccolo mondo si estingueva: infatti, poiché le castagne erano già secche, il fuoco veniva spento, il graticcio allargato e le secchine, precipitando dall'alto, riempivano... la sala delle riunioni, mettendo fine alle serate. Poi, a poco a poco, mezzo sacco per volta, venivano pestate sul ciocco, per levare loro la pula, e portate al mulino. Non appena il primo bolgio di farina arrivava a casa, veniva ufficialmente inaugurata la nuova stagione con la polenta di neccio e questo |
Un metato di oggi in funzione |
avvenimento quasi un rituale dava l'addio all'autunno e preannunciava l'inizio del gelido inverno. Il nonno Pasqualone, la mattina dopo, chiudeva a chiave il metato nel quale, come per magia, avrebbero continuato ad aleggiare quei personaggi che le voci di mio padre e della nonna Bèna avevano evocati; ma non sarebbero stati soli: assieme a loro, ci sarebbe senz'altro rimasto il ricordo di quelle violente emozioni che l'attento uditorio aveva vissuto, nella semi-oscurità appena rischiarata dalla debole e vacillante fiammella di una lucernina ad olio."
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October 28, 2014, 5:22 am
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Bergiola oggi |
La cosa è davvero inquietante. Di storie in Garfagnana se ne raccontano a bizzeffe, storie fantastiche di essere soprannaturali, streghe, folletti, fantasmi, ma essere arrivati perfino a sottoscrivere un documento ufficiale per giurare sulla presenza di mostri giganteschi è la prima volta che la sento...Tutto questo che sto per raccontare nasce nell'alta Garfagnana ai confini con la Lunigiana.Questo paese si chiama o meglio si chiamava Bergiola ed è nel comune di Minucciano e solamente da pochi decenni circola la leggenda (di solito le leggende hanno secoli) del serpente di Bergiola.Prima di addentrarci in tale leggenda (che per molti è la pura verità) prendiamo in considerazione la storia del piccolo borgo che ci aiuterà a comprendere come poi il mito abbia potuto nascere ed essere tramandato ai giorni nostri.Bergiola è situata a 550 metri sul livello del mare, lungo una via di transumanza usata fin dai tempi antichi.Notizie sul castello locale appaiono già nel 1308 nello statuto di Lucca quando si racconta che il paesello doveva portare un cero per la festa di Santa Croce;appartenuto poi ai marchesi Malaspina tornò poi ad essere sottomesso a Lucca.La sua storia si è sviluppata attraverso i secoli senza particolari problemi fino a quel tragico 7 settembre 1920 quando un devastante terremoto colpì l'intera Garfagnana e significò per Bergiola una dolorosa fine.Il paese venne completamente devastato dal terremoto e senza se e senza ma fu immediatamente |
Una veduta di Bergiola |
abbandonato.Da quel giorno il paese divenne sinonimo di paese fantasma, di luogo oscuro.Dato l'abbandono era sempre più difficile raggiungerlo.La vegetazione si era fatta fitta e in questo clima di mistero e paura cominciarono a circolare le voci con sempre maggior insistenza che a Bergiola in certi periodi dell'anno ci si poteva imbattere in un mostruoso serpente nero chiamato dai pochi sfortunati che giurano di averlo visto con il nome (che non lascia presagire niente di buono) di "Devasto".Distrugge infatti tutto quello che trova nel suo cammino e quando si muove fra i ruderi di Bergiola il rumore terrificante del suo passaggio si sente anche nei paesi vicini.Il suo aspetto non è per niente rassicurante ,le sue dimensioni sono notevoli, due tre metri di lunghezza per circa quindici centimetri di diametro,la sua testa non somiglia per niente a quella di un comune serpente ma bensì a quella di un furetto .Il luogo dove si dice che abbia dimora e la vecchia cisterna dell'acqua .Ma è la notte che "Devasto" da il "meglio di se" perchè non si fermerebbe solo a Bergiola, ma la notte proseguirebbe il suo cammino per Pieve San Lorenzo recandosi al cimitero e trascorre le ore buie nutrendosi dei corpi dei defunti.Notizia ancor più strabiliante è che testimoni dicono che il serpente è maschio ma che riesce a riprodursi in maniera autonoma, fecondandosi cioè da solo.Alcuni si dice che per lo spavento siano ricorsi alle cure dell'ospedale,altri giurano che mai più metteranno piede a Bergiola Tutto incredibile direte voi e anch'io sono d'accordo, solo storie, solo fantasie che andranno a rimpinguare le memorie di tante altre leggende |
la cisterna d'acqua dove si nasconderebbe il serpente |
garfagnine...ma non è così,i testimoni che ritengono con sicurezza di essersi imbattuti in tale mostro non ci stanno a questi discorsi e pertanto hanno sottoscritto un documento notarile dove affermano che le loro dichiarazioni sono assolutamente vere. E pensare poi che l'ultima apparizione risale solo a pochissimi anni fa...
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October 31, 2014, 7:47 am
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Un ritratto di Lucida Mansi |
Si avvicina halloween e non mi posso esimere nel dedicare un post a questa festa esclusivamente consumistica e per noi italiani senza alcun significato e tradizione.Ma mi adeguo e mi allineo solo per il piacere e l'amore della storia e desidero quindi raccontarvi del personaggio principale della tanto rinomata e suggestiva festa di halloween di Borgo a Mozzano:Lucida Mansi, quando poi alla fine della festa si raggiunge il suo apice nel momento in cui la nobildonna viene fatta cadere dall'arcata maggiore del Ponte del Diavolo fino a sprofondare nel fiume.Per la cronaca è bene precisare subito che Lucida Mansi non c'entra niente nè con Borgo a Mozzano,nè con la Garfagnana e nemmeno con la Mediavalle del Serchio in generale, ma a me sembra giusto tributarle un "omaggio" perchè ormai è entrata nell'immaginifico di tutta la nostra valle ed è stata simbolicamente adottata grazie a questa festa e poi perchè la sua storia è ben curiosa e a dir poco misteriosa.Lucida Mansi è un personaggio prettamente lucchese.Si narra che Lucida Samminiati nacque nei primi anni del 1600 ed è considerata tutt'oggi fra le donne più misteriose che la nostra provincia ricordi.La realtà dice che Lucida si sposò molto giovane con Vincenzo Diversi, il quale venne assassinato nei primi anni di matrimonio per una lite relativa ai confini di un terreno. Rimasta vedova molto giovane, si risposò con l'anziano e ricco Gaspare Mansi che le diede il cognome col quale viene ricordata nel folklore. La famiglia Mansi era molto ricca e conosciuta in gran parte dell'Europa grazie al commercio delle sete già prima del secolo XVI. Il matrimonio destò scalpore per l'elevata differenza d'età tra i due coniugi e per la bellezza di Lucida rispetto a quella del nuovo sposo. Lucida sviluppò così un forte desiderio di evasione, tanto da divenire dissoluta nei costumi e perdere ogni dignità.Dopo pochi anni di matrimonio anche Gaspare Mansi morì non si sa come lasciando "l'inconsolabile"Lucida da sola.Ma Lucida ,donna dall'animo oscuro non pianse neppure un giorno per il suo sposo e ben presto si lasciò "consolare" dai molti amanti che si successero nel suo letto.Essa non rinunciava a lusso |
Villa Mansi dove abita la nobildonna |
sfrenato, banchetti e feste. Divenne anche talmente vanitosa da ricoprire di specchi un'intera stanza di Villa Mansi a Segromigno per potersi ammirare in ogni occasione.Lucida il destino volle che morisse poi di peste il 12 febbraio del 1649 e le sue spoglie riposano nella chiesa dei Cappuccini a Lucca, nella cripta dedicata alla sua famiglia....Questo è quello che dice la storia,adesso entriamo nella leggenda , nel vox populi per intendersi per il quale la sua fama dura ancora oggi dopo 400 anni e ci dice appunto che Lucida come ormai assodato era una donna molto attraente,libertina e crudele tanto che arrivò ad uccidere il marito per contornarsi liberamente di schiere di amanti. Pare inoltre che uccidesse gli amanti che le facevano visita, facendoli cadere, dopo le prestazioni amorose, in botole irte di lame affilatissime.Una |
la torre delle ore a Lucca |
mattina però le sembrò di scorgere sul suo viso una ruga: Lucida, disperata si lamentò tanto che apparse di fronte a lei un magnifico ragazzo.Dietro le fattezze del ragazzo si nascondeva però il Diavolo che gli promise la bellezza a patto che fra 40 anni sarebbe tornato a prendere la sua anima gli anni passavano fagocitando lusso e ricchezza e continuando a uccidere i suoi amanti. Quarant'anni dopo la notte del 14 agosto 1623, il diavolo ricomparve per prendersi ciò che gli spettava. Lucida, ricordatasi della scadenza, tentò di ingannarlo: si arrampicò sulle ripide scale della Torre delle ore con la speranza di allontanare la sua fine inevitabile. Lucida |
il laghetto dove si sarebbe immersa la carrozza del diavolo con Lucida |
saliva la Torre, affannata correva a fermare la campana, che stava per batter l'ora della sua morte. A mezzanotte in punto il Diavolo avrebbe preso la sua anima. Ma il tentativo di bloccare la campana fallì, Lucida non fece in tempo a fermare le lancette dell'orologio e così il Diavolo la caricò su una carrozza infuocata e la portò via con sé attraversando le Mura di Lucca per andarsi a inabissare nel piccolo lago dove oggi sorge il giardino Orto botanico di Lucca (n.d.r: è giusto specificare che tale laghetto e stato realizzato 200 anni dopo la morte della nobildonna...).Ancora oggi leggenda vuole chi immerge il capo nello specchio d'acqua pare possa vedere il volto addormentato di Lucida.
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November 4, 2014, 2:25 am
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November 7, 2014, 2:57 am
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Sorgente Lago Prà di Lama (foto Route 324) |
Altro che Terme di Montecatini!!!Le acque termali le abbiamo anche in Garfagnana! Le abbiamo a due passi da casa, ma la differenza sta in una cosa, le nostre acque direi che sono un po' troppo "vivaci" e quindi difficili da sfruttare ma i benefici sono comunque conclamati e queste acque termali si trovano a Prà di Lama a due passi dal centro abitato di Pieve Fosciana, per la strada che porta al Sillico. Appena arrivati a prima vista ci appare subito un piccolo laghetto ameno dove nuotano tranquille e pacifiche oche ed anatre,le sue acque però ci dicono che si tratta di un lago di origine termale (per accorgersene basta toccare l'acqua che esce dal tubo che alimenta lo specchio d'acqua), il lago non è solo alimentato da questa sorgente ma da diverse, alcune delle quali addirittura subacquee. Ma in realtà c'è dell'altro...Il colpo d'occhio quindi ci dice che è tutto normale, ma non è proprio così...L'origine del lago di Prà di Lama è recentissima.Nel 1826 al posto del lago c'era un bel prato verde dove al centro vi era una copiosa sorgente termale, ci fu costruita una capanna,una casupola dove gli avventori facevano bagni ed abluzioni già a scopo terapeutico.Nel giro di pochi mesi la situazione mutò clamorosamente,la capanna venne inghiottita dal terreno ed il suolo sprofondò lasciando il posto ad uno specchio d'acqua non troppo grande.Ma non finì qui.Due anni dopo nel 1828 il 15 agosto un forte boato fece sussultare gli abitanti di Pieve |
Le oche in Prà di Lama(foto Aldo Innocenti) |
Fosciana e delle zone limitrofe,alla base di una collina si sollevò una gran quantità d'acqua fangosa,malsana e fetida, a quanto pare questi miasmi si liberarono nell'aria provocando una grave epidemia che arrivò a colpire i due terzi della popolazione locale facendo così aumentare fortemente il tasso di mortalità. In quell'occasione il lago si ampliò e arrivò a misurare quaranta metri di circonferenza e undici di profondità.La cosa ormai aveva preso i contorni del dramma e la situazione si faceva davvero preoccupante,erano finiti i tempi dei bagni salutari,la situazione andava affrontata.Nel 1842 il lago da come era "miracolosamente" comparso improvvisamente scompari quasi del tutto per poi nell'anno successivo (1843)un nuovo movimento del terreno provocò la nascita di altre dieci sorgenti che ingrandirono nuovamente il lago e il Serchio fu colorato del suo fango per 25 Km e così come successe quindici anni prima nella zona crebbero a dismisura le malattie e le morti misteriose. Gli anni passavano la cosa si normalizzò ed un secolo dopo alla fine della II seconda guerra mondiale il lago si era ridotto a poco più che a uno stagno.Gli abitanti contavano per sempre di chiudere i conti con il "maledetto" lago e contavano di "bonificarlo" riempiendolo di macerie e rifiuti.Ma non è così che si ferma Madre Natura.La Natura non si lascia domare tanto facilmente, nuove "eruzioni" ricrearono il lago, sempre più grande.Negli anni a venire la cosa si calmò nuovamente.Furono così create strutture di accoglienza per sfruttare i benefici dell'acqua, furono costruite vasche prima di pietra e poi di granito, spogliatoi, insomma tutto il necessario per delle vere e proprie terme.Gli affari andavano benone,le strutture erano sempre |
Lago termale di Prà di Lama (foto di Aldo Innocenti) |
occupate sopratutto nei fine settimana.Tutto bello fino agli inizi degli anni '70 del '900 quando un giorno il lago si risvegliò ingoiando piante alte più di 10 metri,la distruzione continuò il lago si "mangiò" anche buona parte degli edifici adibiti a bagno termale (oggi non vi è traccia alcuna di essi).Arriviamo poi ai giorni nostri e questa è cronaca recente.Nel marzo 1996 il lago ha subito ancora un repentino abbassamento di due metri, mentre l'anno scorso sono apparsi dei cosiddetti "vulcanelli" riconducibili forse all'attività sismica che colpì tutta la Garfagnana,tant'è che l'I.N.G.V(Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) venne a fare sopralluoghi e a monitorare la situazione.Nel frattempo illustri studiosi hanno accertato ancora una volta le ottime qualità terapeutiche delle acque sulfureo - radioattive della sorgente di Prà di Lama(vi rimando a questi link per saperne di più sulle proprietà teraupetiche: http://www.benessere.com/terme/acqua/a_solfuree.htm oppure:http://www.benessere.com/terme/acqua/a_radioattive.htm) .Quello che c'è di bello però è che almeno da quasi 150 anni non si sente più parlare di epidemie e di morti misteriose...Almeno quello!!!
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November 11, 2014, 6:48 am
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la via Vandelli |
Le strade in Garfagnana sono state sempre un problema è inutile nasconderci dietro ad un dito, la natura ci ha stretto fra due catene montuose le Alpi Apuane e gli Appennini e gli ingegneri si sono dovuti sempre arrangiare per darci una circolazione stradale decente, solo negli ultimi decenni ad esempio possiamo raggiungere Lucca in maniera agevole, se poi vogliamo andare al mare d'estate per goderci qualche giornata di sole ci accorgiamo quanto ancora sono impervie le strade per giungere alle assolate spiagge versiliesi. I problemi quindi ancora tutt'oggi ci sono e continuano...figuriamoci una volta.Un caso emblematico è rappresentato da questa vecchia strada di cui vi racconterò oggi. Abbiamo sentito parlare spesso della Via Vandelli e parlando di essa riusciremo a capire che all'epoca costruire una strada era un impresa a dir poco titanica.Il tutto ebbe inizio con un matrimonio d'interesse nel lontano 1741 fra il figlio del duca di Modena Ercole d'Este e l'erede del ducato di Massa Maria Teresa Cybo-Malaspina, si perchè è bene precisare che il Ducato di Modena (che allora governava la Garfagnana) aspirava come nelle migliori tradizioni dei regni a uno sbocco sul mare per migliorare i mercati e sopratutto (in questo caso) per la creazione di un porto militare (poi mai fatto a causa dei bassi fondali) e quale occasione migliore di far sposare il proprio rampollo con la figlia di un duca, principe o chicchessia che avesse almeno un lembo di terra che si affacciasse sul mare? Tale sorte come detto toccò al Ducato di Massa.A matrimonio fatto le aspirazioni del duca di Modena Francesco III si concretizzarono e pote dare inizio (per dire il vero l'opera fu iniziata nel 1739 a promessa di matrimonio avvenuta...) ad una strada che congiungesse Modena con Massa che attraversava l'Appennino tosco-emiliano giungeva in |
il percorso della Vandelli |
territorio garfagnino toccando San Pellegrino in Alpe, Castiglione Garfagnana,Pieve Fosciana quindi dopo aver attraversato il fiume Serchio risalire la Valle dell'Edron fino a Vagli di Sotto,la località Arnetola e il duro passo della Tambura per poi di li scendere verso Resceto, poi Massa.Facile a dirsi ma a farsi fu a dir poco ardua, basterebbe dirlo se fosse ancora in vita all'abate (era anche un religioso) Domenico Vandelli, l'ingegnere matematico che progettò e ideò questa strada a cui fu concesso l'onore di intitolarsela con il suo nome... o per meglio dire cognome.Da un punto di vista puramente tecnico fu un opera considerata all'epoca all'avanguardia.Al Vandelli tanto per rendergli la vita più "facile" gli vennero posti anche dei vincoli costruttivi imperativi. Oltre ai costi contenuti, unitamente ai tempi brevi per la costruzione, la strada doveva richiedere una manutenzione minima, poter permettere il passaggio di mezzi pesanti che trasportavano il marmo di estrazione locale e concepita in modo di durare nel tempo. Le pendenze dovevano essere tali da permettere il loro superamento. Un ulteriore vincolo era rappresentato dalla necessità che il tracciato non attraversasse mai lo Stato Pontificio, né la Repubblica di Lucca, né il Granducato di Toscana.Tutti questi fattori determinarono un costo rilevante per la sua realizzazione tant'è che fu presentata al popolo come strada carrozzabile e commerciale per farla pagare in parte alle comunità locali (passano i secoli ma le brutte abitudini rimangono...) Per completare l'opera, lungo la strada vennero costruite stazioni di manutenzione e stazioni di sosta per il cambio e l'abbeveraggio dei cavalli, ostelli, piazzole per lo scarico ed il carico delle merci e posti di guardia.La strada inoltre aveva numerose diramazioni che servivano per collegarsi a piccole località, fabbriche, cave di pietra,di marmo e miniere di ferro.Il tratto più duro da fare fu manco a dirlo quello del passo del Monte Tambura.Insomma fra alti e bassi la strada fu terminata nel 1751 dopo dodici anni circa di duri lavori e 360 Km di percorrenza complessiva .La strada una volta fatta presentò subito due grandi problemi nel tratto garfagnino.Il primo era dovuto ai rigidi inverni nostrali;la neve rendeva impossibile il passaggio di qualunque mezzo, il secondo era il pericolo che correvano coloro che la percorrevano;i briganti garfagnini divennero una minaccia per tutti, soldati, viandanti e mercanti.Il problema era tanto grave che il duca mise la pena di morte per tali manigoldi e ancora oggi sono visibili i fori dei pali dove venivano giustiziati.Fu comunque utilizzata pienamente per quasi 50 anni, poi cominciò a perdere d'importanza, nuovi assetti commerciali spostarono gli interessi altrove.Il duca provò a concedere detassazioni e agevolazioni a chiunque avesse aperto un'attività lungo la via, provò in questa maniera a dare un nuovo impulso, ma niente.Con l'annessione poi al Regno d'Italia la strada perse definitivamente d'importanza e sopratutto il prezioso sostegno economico per la sua manutenzione.Eccoci arrivati ai giorni nostri e questa strada ha subito un imponente lavoro di restauro dal comune di Massa e dal Parco delle Apuane.Oggi la strada è ancora "viva" numerose persone attraverso il percorso C.A.I n°35 vi praticano il trekking, la mountain bike,gite a cavallo ed escursioni in genere.L'importanza storica non è andata quindi persa per questi posti dai panorami così mirabili.
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November 14, 2014, 6:23 am
Il dialetto è la nostra anima, è il nostro modo di esprimerci |
La torre di Babele simbolo del dialetto garfagnino |
è un segno che ci contraddistingue ma la Garfagnana (più di cento paesi raggruppati in 16 comuni su una superficie di 54.928 ettari) non ha un vernacolo unico, definito e quegli aspetti fonici e morfologici che fanno regola fissa in altri dialetti come ad esempio a Pisa (se sei di Pisa o della provincia niente cambia nel vernacolo)e in altri, qui in Garfagnana cambiano non sono mai fissi, ma si accentuano o si attenuano e cambiano di luogo in luogo (fra il vernacolo gallicanese e quello di Gorfigliano c'è quanto dal giorno alla notte), insomma addentrarsi nel nostro dialetto è un groviglio di supposizioni, di teorie e di deduzioni da far invidia alla biblica Torre di Babele. Mica che siano mancati gli studiosi, ah no! Mezza Europa si è interessata al modo di parlare dei garfagnini. Ne hanno scritto l'illustre professor Rolhs dell'università di Monaco, il professor Hubert dell'università di Zurigo,la bavarese Erika Bonin che addirittura nel 1952 pubblicò un saggio sul dialetto di Gorfigliano, lo svizzero Fauch tanto per gradire ha snocciolato così come se niente fosse trecento pagine sul dialetto di Vagli. In Italia la lista si allunga, il professor Bolelli dell'università di Pisa, il Bottiglioni di quella di Bologna, Ambrosi, Pieri insomma tutti con il "prof" davanti e con quali risultati ? Così dicono loro "positivi". Accidenti! Tanto positivi che io tutt'oggi povero |
Alta Garfagnana Lago di Vagli |
diavolo di un garfagnino non so a chi devo la grazia delle mie espressioni. Da quel poco (pochissimo) che ci è dato sapere il dialetto garfagnino secondo il prof Bertoni ha una matrice comune nei dialetti emiliani, il Giannarelli ci dice ha infiltrazioni lunigianesi, a mio modesto avviso l'esimio linguista Giannini è quello che ci si avvicina di più. Considera la Garfagnana un mosaico di dialetti e la divide in tre aree linguistiche ciascuna con un proprio carattere fonologico: alta Garfagnana, da Vagli in su;media Garfagnana, con centro in Castelnuovo; bassa Garfagnana per i paesi che confluiscono su Gallicano Il dialetto garfagnino fa parte del gruppo garfagnino-versiliese, un dialetto di transizione tra il lucchese e il massese-lunigianese,con forti richiami emiliano-liguri (mamma mia che confusione!!!) questo soprattutto nei paesi non situati in valle ma sui crinali: l'alto garfagnino, è infatti per molti aspetti ancora più simile al massese-lunigianese con influenze emiliane nei comuni addossati al confine di tale regione. Le influenze di questo dialetto si fanno meno evidenti man mano che si ridiscende il Serchio e ci avvicina verso Castelnuovo e Gallicano, allora qui abbiamo anche delle influenze del dialetto lucchese ed è presente anche un fenomeno detto "toscanizzazione"è una tendenza moderna che riguarda sopratutto tutta la bassa valle,dovuta questa al fenomeno del pendolarismo,verso quelle zone dove il dialetto |
Bassa Garfagnana,Gallicano |
toscano D.O.C la fa da padrone.Andiamo però a vedere alcuni casi in cui una caratteristica accomuna tutta la Garfagnana, tipico del dialetto garfagnino è la sonorizzazione della "c" che suona quasi come una 'g'.Altra regola comune è l'amputazione,chiamiamola così, per meglio capirci dei verbi all'infinito: mangiare-"mangià"; bere-"be" dormire -"dormì" , non c'è "re" che tenga, tutti tagliati via "Ballà, cantà,pià,sedè,vedè,piacè".Nel perfetto i verbi in ere terminano in "etti"io lessi "io leggetti" io vidi "io vedetti" e quelli in ire in "itti" io sentii "io sentitti"e così via...Tale pronuncia ci accomuna con i versiliesi e massesi probabilmente per il comune ceppo apuano, in quanto in antico le nostre terre non erano abitate dagli etruschi (come le altre zone toscane) ma dai liguri apuani.Oggi il dialetto sembra quasi anacronistico, merce di contrabbando.Non si parla più, ci si vergogna,lo si considera come qualcosa di inferiore impresentabile.Eppure fu per molti secoli l'unico mezzo d'espressione.Ci si sentiva liberi da ogni inceppo della cultura, la fantasia non veniva ostacolata perchè era il modo di esprimersi più spontaneo, più diretto ed efficace...
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November 18, 2014, 6:41 am
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La Fortezza di Mont'Alfonso (foto di Daniele Saisi) |
Di solito quando siamo in un posto non pensiamo mai a quello che quel luogo è stato in passato. Siamo abituati a vivere il momento e non è nostra abitudine guardarci indietro. Questa brutta consuetudine ci porta a dimenticare il valore dei luoghi, ci porta a non avere una memoria storica e a prendere tutto con superficialità. Questo effetto l'ho riscontrato in particolare su uno dei nostri monumenti garfagnini per eccellenza, un vero e proprio gioiello recuperato in tutto l'antico splendore e sto parlando appunto della Fortezza di Mont'Alfonso a Castelnuovo Garfagnana. Oggi questo luogo è adibito a feste di tutti i generi,sfilate di moda, cene a tema e anche eventi culturali,tutto interessante, gioioso e simpatico, ci mancherebbe altro e non mi prendete per un intransigente (è anche così che si riscoprono e si valorizzano le cose), ma non è una bugia quando dico che molti dei suoi abituali avventori non sanno niente della storia di questa fortezza e mi piacerebbe renderli consapevoli dell'importanza e del valore di questo posto e senza alcuna presunzione vorrei raccontarvi la sua storia. |
L'interno della fortezza (foto Route 324) |
Era l'epoca in cui Castelnuovo aveva per "padrone" gli Estensi e siccome i rapporti con il vicinato lucchese non erano così idilliaci si sentiva sempre di più minacciata e viveva nella paura di essere messa a ferro e fuoco dai nemici. Eravamo intorno al 1570 e la posizione geografica della cittadina non avrebbe permesso una lunga resistenza e la scarsa capienza del castello non permetteva di ospitare per lungo tempo la popolazione e così dopo molte insistenze,richieste e sopratutto dietro un contributo di ben 30.000 scudi da parte dei castelnuovesi stessi il duca concesse il permesso di edificare una fortilizio. Ma quale posto scegliere? La scelta cadde su un colle prospiciente Castelnuovo, sopra di esso però vi era però un piccolo borgo chiamato Monti, il piccolo paesello annoverava già una chiesa intitolata a San Michele e San Pantaleone (già citata in documenti d'archivio del 1045) e alcune case, ma la decisione era ormai presa, il piccolo borgo sarebbe stato inglobato all'interno delle mura della nuova fortificazione, la posizione era perfetta non si poteva rinunciare.Dal colle si dominava tutta la valle e la via che lungo il Serchio portava ai valichi appenninici. I lavori cominciarono nel 1579 e il progetto venne affidato a Marco Antonio Pasi (tanto per capirsi questo architetto estense era considerato all'epoca come un Renzo Piano oggi...) e terminarono nel 1585. A cotanta inaugurazione partecipò in persona il Duca Alfonso II d''Este e per tutto dire tale fortezza che dai castelnuovesi era stato deciso di chiamarla "San Pantaleone a Monte" (in omaggio all'antica chiesa li situata e in connubio con il nome del piccolo borgo preesistente) il duca impose che fosse intitolata a se stesso e nacque così quella che ancora oggi è chiamata "la Fortezza di Mont'Alfonso".Comunque sia era un opera di tutto rispetto,più di un chilometro di mura (1150 metri), sette baluardi collocati in modo asimmetrico per adeguarsi alle caratteristiche del terreno, otto posti di guardia. Al suo interno erano collocati gli edifici destinati alle truppe e agli ufficiali (oggi ne rimangono solo sette), una grande cisterna |
La Pianta della Fortezza |
per la raccolta dell'acqua piovana,una rimessa per i viveri, una casamatta sotterranea, carceri e nel 1617 venne costruita una fonderia da cannoni.Si racconta inoltre fra leggenda e verità che ci dovrebbe essere un cunicolo che la collega con Castelnuovo.Gli anni passavano e nel 1805 con le conquiste napoleoniche la fortezza cambiò padrone con la creazione del Ducato di Lucca e Piombino che sancì di fatto la riannessione della Garfagnana a Lucca. Questi lucchesi però non sapevano che farsene di questa fortezza visto gli enormi costi di manutenzione e decisero così di venderla al miglior offerente e così fu, ma la parentesi durò poco. Napoleone fu sconfitto a Waterloo ed esiliato a Sant'Elena e tutto tornò come prima e così anche a Castelnuovo ritornarono sulla scena i vecchi "proprietari" della fortezza, gli Estensi che se la ripresero senza se e senza ma.Ormai però spiravano venti di pace e tranquillità su tutta Europa e così anche a Castelnuovo e dopo gli sconvolgimenti napoleonici e l'avvento di una certa stabilità politica sulla fortezza si allentò anche il controllo militare. Era il 1830 testimonianze riportano che ormai la maggior parte degli edifici era pericolante e gran parte del terreno interno alle mura era stato trasformato in campi coltivati e luogo dove far pascolare le pecore. Allora venne così destinata ad ospitare solamente la IV Compagnia dei Reali Cacciatori |
Vecchia foto della Fortezza quando ormai era diventato luogo dedito anche all'agricoltura e all'allevamento (Collezione Fioravanti) |
ripristinando soltanto due edifici.Arrivò anche Il nuovo secolo e segnò ancora una volta il passaggio di Mont'Alfonso in mano ai privati.La famiglia scozzese Bechelli(di chiara origine italiana)la acquistò e ne fece la propria residenza estiva, trasformando di fatto le prigioni in una graziosa villa liberty. Ma purtroppo le mille vicissitudini per la fortezza non terminarono qui. Già il mantenere il tutto era difficile ma poi il famoso terremoto del 1920 dette un importante accelerazione al processo di degrado.Arrivò anche la seconda guerra mondiale e la fortezza fu disgraziatamente sede di domicilio coatto per numerose famiglie ebree mandate al confino a Castelnuovo in attesa dei formi crematori di Auschwitz (solo in tre si salvarono); ma il colpo di grazia alla fortificazione fu dato dai bombardamenti del 1944-45 che non la risparmiarono causando danni su danni. Ormai i proprietari della famiglia Bechelli cedettero,loro non ce l'avrebbero fatta a sostenere i costi di un restauro totale e |
la villetta in stile liberty dei Bechelli |
mandare alla malora una tale opera sarebbe stato un delitto e così il primo novembre 1980 fu rogato l'atto di compravendita fra gli eredi della famiglia e la provincia di Lucca. I periti incaricati a redigere una relazione parlarono di un luogo che ormai versava in pessime condizioni,alcuni edifici erano completamente diroccati, insomma un vero disastro. Oggi come detto la fortezza è di proprietà della Provincia di Lucca che ha promosso fra l'altro un programma di indagini archeologiche e restauro, inoltre se così si può dire è un prolungamento di Castelnuovo stessa, oggi è un luogo di promozione turistica e culturale...insomma la Fortezza è tornata a vivere.
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November 21, 2014, 4:21 am
Le Alpi Apuane sono patrimonio di tutti, non hanno territorialità,sono un bene comune e noi siamo fortunati perchè le "viviamo" tutti i giorni. Apriamo la finestra di casa ed eccole lì davanti a noi maestose ed imponenti;sia d'estate che d'inverno sono luogo per le nostre passeggiate ed escursioni,inoltre gustiamo i frutti che ci dona, come funghi, castagne,mirtilli e quant'altro, godiamo della sua aria cristallina,insomma sono un tesoro che va difeso, ognuno a suo modo.Io nel mio piccolo lo faccio diffondendo le sue belle leggende e le sue storie e vi narro oggi di come le difendeva Aronte un gigante posto a guardia dei nostri monti pronto a sfidare chicchessia nemico.Ma prima facciamo un po' di antefatto e |
Vecchia foto rifugio Aronte |
raccontiamo giusto, giusto due cose (interessanti) così per approfondire di più l'argomento. La storia (non la leggenda) ci dice che Aronte è veramente vissuto e che la sua figura è legata a doppio filo con le Alpi Apuane,era nato a Luni (oggi in provincia di La Spezia) ed era un potente indovino, forse il più potente dell'epoca, era di origine etrusca e viveva al tempo della Roma di Cesare (50 a.C circa),la sua vita si svolgeva in ascesi e meditazione in una grotta delle Alpi Apuane detta dei "Fantiscritti"nel versante carrarino. Un bel giorno l'aruspice (mago) etrusco fu richiamato dai suoi monti dai potenti di Roma per raggiungere la "città eterna" per spiegare alcuni misteriosi eventi che si erano manifestati e ai quali veniva attribuita particolare importanza, infatti guardando le viscere di un toro sacrificato presagì le sciagure che si sarebbero abbattute su Roma come la guerra civile fra Pompeo e Giulio Cesare con la vittoria di quest'ultimo. Dopo questi eventi tutti a Roma lo adoravano. Aronte era considerato colui che: "qui sapientem genuit testimonium centuriae et constituens ad historiam uniuscuiusque hominis"ovvero "un uomo saggio che testimoniava nei secoli il nascere e tramontare di ogni vicenda umana",ma lui nonostante fosse ricoperto di tutti gli onori volle ritornare sulle sue Alpi Apuane e lasciare la gloria agli altri.La sua fama raggiunse più di mille anni dopo anche il sommo poeta Dante Alighieri che lo citò nella Divina Commedia nel XX canto dell'inferno e lo immaginava in una spelonca tra i bianchi marmi sopra Carrara da dove poteva guardare il mare e le stelle:
"Aronta è quei ch’al ventre li s’atterga,che ne’ monti di Luni, dove roncalo Carrarese, che di sotto alberga,ebbe tra bianchi marmi la speloncaper sua dimora; onde a guardar le stelleE’l mar non gli era la veduta tronca."
La sua figura divenne così leggendaria nei secoli,l'amore di questo indovino per le sue montagne salì a simbolo di esse tant'è che si racconta (e qui si entra nella leggenda) che Aronte era un gigante che aveva il compito datogli dagli Dei di difendere le Alpi Apuane dagli attacchi dei nemici che provenivano dal mare. Quando i primi cavatori salirono sui monti per estrarre il marmo e ferire la montagna Aronte scese a valle per impedire agli uomini di rovinare questi meravigliosi monti. Il destino volle che una volta sceso Aronte incontrasse una giovane fanciulla e se ne innamorasse ma lei lo respinse,la disperazione e il dolore attanagliarono Aronte che per il dolore una volta risalito sulle vette delle Apuane morì. Fu così che da quel giorno che i monti delle Apuane vollero dimostrare la loro ingratitudine e inimicizia alla gente che abitava sulle coste girandogli "le spalle"e voltarono di fatto verso il mare le loro pareti più scoscese e inaccessibili. |
Il rifugio Aronte oggi |
La figura di Aronte era così entrata nel cuore degli amanti di queste montagne che fu così che nei pressi del Passo Focolaccia (ai piedi del Monte Cavallo) il 18 maggio 1902 fu inaugurato il Rifugio Aronte,il rifugio più carico di storia in assoluto essendo il primo costruito sulle Alpi Apuane e fra l'altro detiene un altro record perchè posto a 1642 metri d'altezza quindi il bivacco più alto dell'intera catena. Dalla Garfagnana lo si può raggiungere lungo la strada marmifera che sale da Gorfigliano, in auto fino alla galleria del Passo della Tombaccia e di li poi a piedi fino al valico della Focolaccia, tempo di percorrenza circa due ore. Una gita da fare con serenità tanto c'è Aronte che ci protegge...
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November 25, 2014, 3:15 am
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FARRO(foto tratte da farrodellagarfagnana.it) |
Accanto alle nostre ricchezze artistiche e paesaggistiche a mio avviso bisogna togliersi tanto di cappello alla nostra cucina.La cucina garfagnina è di origine contadina, fatta di antichi sapori, di semplicità,di genuinità fatta di piatti sostanziosi perchè così lo richiedeva la dura vita dei campi. Ma vogliamo mettere "i mangiari" che ci faceva la nonna? Io mi ricordo quella polenta di granturco con i funghi porcini in umido, per non parlare poi della mia gioia quando ammiravo quel pentolone con gli ossi di maiale a bollire e sull'altro fuoco la polenta di neccio a cuocere. Tutti piatti dati dai frutti della nostra terra, non da qualche serra nel sud della Spagna o da qualsiasi altra parte del mondo. I nostri funghi,le nostre castagne... e pensare che oltre a questi abbiamo un altro frutto di nobili e antichissima genesi che è simbolo del duro lavoro dei campi, anzi direi di più è antico come il lavoro stesso. Questo frutto è il farro, capostipite di tutti i frumenti oggi conosciuti.La sua coltivazione risale a 7000 anni prima della venuta di Cristo, alimento base degli Assiri,degli Egizi, dei popoli del Medio Oriente e dell'Africa del nord.Secondo recenti studi la sua origine dovrebbe essere in Palestina e guardiamo però un po' la strada che ha fatto prima di giungere in Garfagnana. Gira che ti rigira in Italia a quanto pare lo portarono i Greci, in quattro e quattr'otto i romani lo fecero suo e diffusero distese di coltivazioni, tanto da divenire il loro piatto forte. Il"puls" o il "farratum" era un piatto tradizionale,anche qui veniva preparato in vari modi.Un piatto tipico era la "mola salsa" una focaccia usata anche nei riti religiosi, o ancora "il libum" una specie di torta.Era anche simbolo di buon augurio, segno di abbondanza e fertilità e perciò donato agli sposi, inoltre era anche molto fortificante,il medico Galeno (n.d.r: antico medico greco) riferisce che agli eserciti era stato sostituito l'orzo con il farro perchè più energetico e nutriente e per capire meglio ancora la sua importanza è bene dire che insieme al sale era dato come paga ai centurioni stessi.In quell'epoca Roma lo esportò in tutti i luoghi di conquista a partire dalle regioni del nord Europa fino alle estreme province italiche. Ma fra tutte queste province c'era un posto più degli altri dove questo cereale veniva più rigoglioso e abbondante, era la Garfagnana.Da quei lontani tempi il connubio Garfagnana farro è diventato indissolubile, il legame è diventato saldo proprio perchè è l'unico posto in Italia dove viene prodotto ininterrottamente da duemila anni,sopratutto perchè il farro si |
Campi di farro in Garfagnana (foto tratte da farrodellagarfagnana.it) |
adatta stupendamente al nostro clima e trova ideale coltivazione in zone comprese fra i 300 metri fino a 1000. Arrivò poi il momento di crisi anche per il farro, con l'avvento di nuove varietà di frumento nudo (cioè privo di protezione esterna) il nostro cereale venne definitivamente soppiantato e confinato in alcune aree specifiche tanto da venir chiamato "il grano dei poveri".Nella nostra valle come detto si è sempre coltivato, in una pubblicazione dal titolo "La Garfagnana 1883-1983 Aspetti economici, Agricoli, Urbanistici e Socio-culturali" si riporta un'indagine della produzione agricola fatta nel 1883 nel circondario di Castelnuovo Garfagnana.In questa indagine alla voce "farro" si legge:" Lo coltivano assai, sebbene in pochi comuni, nei luoghi alquanto montuosi ma non troppo elevati. Dopo averlo raccolto nell'agosto lo brillano e ne fanno torte e minestra. Gli alpigiani del comune di S.Romano, Vagli ed altri luoghi ne vendono una certa quantità agli abitanti dei paesi vicini ed ai mercanti: costa circa 36-40 centesimi al chilogrammo"
Curiosità fra le curiosità mi piace sottolineare il fatto che il farro agli inizi del secolo scorso e nell'800 non veniva consumato dai garfagnini, anzi per meglio dire veniva consumato qualche volta, giusto giusto per variare dai soliti piatti a base di castagne e grano turco;ma a tutto questo c'era un perchè,lo si preferiva vendere sul mercato lucchese per guadagnare qualche soldo in più e soddisfare le esigenze della famiglia, anche perchè il farro aveva un prezzo più alto degli altri cereali coltivati. Fra alti e bassi siamo arrivati ai giorni nostri. La grande ripresa e un nuovo "boom" del farro nella nostra valle ci fu agli inizi negli anni 80 quando in un decennio circa si passò da coltivare poche migliaia di metri quadrati a qualche decina di ettari. Arrivò poi il fatidico anno del 1996 quando il |
Il marchio IGP del "Farro della Garfagnana" |
farro della Garfagnana ottenne dall'Unione Europea il riconoscimento di indicazione geografica protetta, il famoso I.G.P, divenendo di fatto il nostro prodotto principe. Oggi esistono circa 100 piccole aziende consorziate con il marchio "Farro della Garfagnana" che producono farro su una superficie di 200 ettari circa.Il consorzio attualmente lavora il 60% dei 2500 quintali di farro prodotto curandone direttamente la vendita.A dimostrazione della buona qualità del prodotto bisogna doverosamente aggiungere che nella fase di semina è assolutamente vietato l'uso di concimi chimici,fitofarmaci e diserbanti.Che aggiungere, dopo tutto questo mi sarebbe venuta voglia di un minestra di farro fumante magari con un filo di olio "bono" sopra...
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November 28, 2014, 6:52 am
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Un brigate del 700 |
Certo non ci faremo meraviglia nel dire che anche nei secoli scorsi esistevano casi di omicidio efferati. Gli assassinii non sono figli dei nostri tempi, i vari omicidi tipo il caso di Garlasco, di Novi Ligure, di Cogne (tanto per ricordare i più eclatanti) che ci hanno lasciato a bocca aperta niente sono a quello che succedeva nel passato, a dire il vero al confronto oggi sembra di vivere a Disneyland o nel Paese dei Balocchi.Non riuscirete a crederci ma oggi (da questo punto di vista) viviamo in una delle società più sicure della storia.Da alcuni dati alla mano sul finire dell'800 (solamente poco più di cento anni fa) c'erano 29 omicidi volontari ogni centomila abitanti (un'enormità!!!), oggi con lo stesso metodo di paragone abbiamo solamente lo 0,9.Grazie a Dio nessuno di questi tempi uccide più per un metro di terra, per adulterio (qui ho dei dubbi...), per furto di bestiame. Nel 2012, abbiamo avuto un record positivo: "solamente" 526 omicidi denunciati, il miglior risultato degli ultimi 150 anni di storia d'Italia,meglio di Francia, Gran Bretagna, Belgio e Danimarca. Tutto questo popò di numeri per dire appunto che gli omicidi nel passato si commettevano pure in zone remote come la nostra Garfagnana (anche assai direi) e vi fu un caso verso la conclusione del 1700 che andò a finire su tutte le cronache locali e sulle bocche di tutti nonostante gli scarsi mezzi di comunicazione.Fu un caso di plurimo omicidio che fece scalpore come oggi avrebbe fatto scalpore qualche altro "degno" delitto da meritare gli onori di "Porta a porta". Prima di raccontare i fatti tengo a precisare che ometterò volutamente nomi, cognomi e tutto quello che possa far riconoscere in maniera chiara i personaggi e rimarrò il più possibile vago sui dettagli di questa brutta vicenda, poichè potrebbe essere sempre possibile che qualcuno vi riconosca nella storia i suoi avi e quindi mi pare giusto non urtare la sensibilità di chicchessia nonostante che siano passati ormai più di 200 anni.Prima di iniziare a narrare voglio fare inoltre un'altra piccola premessa;mi sono imbattuto in questa storia quando settimane addietro facevo delle ricerche riguardanti la famosa via Vandelli e sono rimasto sorpreso dai documenti di questa vicenda tanto precisi e minuziosi in ogni suo aspetto che mi vien da pensare che alcuni particolari (di cui non parlerò) siano poco veritieri, spesso, e questo succede anche oggi, le notizie portate di voce in voce assumono contorni maggiori di quello che in realtà sarebbero e ciò non vorrei che fosse successo per questo caso.Ma andiamo a questo punto a |
Un tratto della Via Vandelli |
raccontare gli eventi.Siamo negli ultimissimi anni del 1700 e una giovane coppia (a quanto pare novelli sposi) saliva lungo la via Vandelli provenendo da Massa portando con se delle gerle di sale da portare in Garfagnana per scambiarle con farina di castagne, allo stesso tempo un altra coppia più anziana anche questi marito e moglie era partita dalla Garfagnana e faceva il percorso inverso e voleva raggiungere la costa, anch'essi per vendere si dice testualmente "logori cenci".L'amaro destino volle che i quattro si incontrassero lungo il percorso e che come dice la buona creanza si salutassero per poi fermarsi insieme per sgranchirsi le ossa dai pesanti fardelli approfittando così di rinfrancarsi dalla lunga camminata e mettersi poi a fare due chiacchiere tranquillamente, parlando del più e del meno. Nell'intrattenersi la donna garfagnina notò le due gerle di sale (n.d.r: al tempo il sale era chiamato l'oro bianco, tanto prezioso perchè indispensabile all'organismo dell'uomo e poi serviva per conservare carne, pesce e quant'altro, praticamente sostituiva l'odierno frigorifero) e posò gli occhi ingordi su di esse. Con sguardo complice e forse con premeditazione i due garfagnini decisero di impossessarsi del bottino e in men che non si dica saltarono addosso ai due sventurati massesi accoltellandoli senza pietà, sgozzandoli di fatto come due capretti e depredandoli dei loro averi e di un bagaglio in possesso della povera donna uccisa. Decisero così di tornare sui loro passi e far ritorno a casa. Una volta a casa, nascosto il sale, la donna aprì il bagaglio rubato e vide fra gli altri effetti personali un sandalo di un bel rosso brillante (colore poco usato in quel tempo dalla gente comune ) provò a cercare l'altro ma purtroppo per lei non lo trovò, ma rimase tanto ammirata che decise di mandare il marito dall'unico calzolaio del paese per farne fare un altro simile,così da avere poi la
coppia.Ma come ben sapete la vanità e il vezzo sono donna (oggi anche uomo a dire il vero...) e ciò fu fatale...Intanto in tutta la Garfagnana e verso le coste si era sparsa la voce del feroce |
Panorami garfagnini |
assassinio, sul luogo accorse la gendarmeria estense e subito notò che tale misfatto non poteva essere opera dei briganti che a decine e decine infestavano quella strada perchè il loro "modus operandi" (come si direbbe oggi) era diverso.Di solito si "accontentavano" di rubare la merce e anche i soldi lasciando nella maggior parte dei casi vivi i malcapitati, la loro arma da difesa poi era lo schioppo in caso di complicazioni non avrebbero esitato comunque a sparare, il coltello quindi molto raramente veniva usato da loro.Il caso fu affidato al più abile commissario prefettizio del ducato tale Barbieri.Il duca di Modena voleva risolvere il caso, la via Vandelli era diventata un luogo oramai insicuro e a dir poco pericoloso, ciò poteva compromettere seriamente i commerci su questa strada. La cosa quindi stava assumendo i contorni di un vero e proprio caso di Stato. Ma la polizia come si dice nei migliori romanzi gialli brancolava nel buio. Unico indizio sul luogo dell'omicidio fu trovato un ennesimo sandalo rosso vicino ai due cadaveri...Il caso volle non si sa come che questo sandalo finì nelle mani di uno degli uomini che lavorava da accompagnatore per la gendarmeria sulla Vandelli, proprio per investigare su questo caso.L'uomo abitava in un paese vicino, lo stesso degli assassini e decise di fare cosa gradita regalando questo sandalo alla figlia, una "bambinetta" dodicenne.Giustamente la bambina non sapendo che farci con un solo sandalo pregò il babbo di andare dal calzolaio per farne un'altro somigliante, la primavera stava per iniziare e la piccola non vedeva l'ora di far sfoggio di questi sandali rossi.Quando il padre portò poi il secondo sandalo al calzolaio del paese,questi si insospetti subito e mostrò all'uomo l'altro identico sandalo portato dall'anziana coppia qualche giorno prima, così parlando riuscì a comprendere tutto l'arcano e informò immediatamente la gendarmeria denunciando così marito e moglie che gli avevano portato la prima calzatura.I due furono ritenuti |
Ercole III d'Este |
colpevoli e il Duca di Modena Ercole III d'Este comminò di persona per loro la pena di morte, dovevano perire tramite il taglio della testa e così fu.A monito di tutti,viandanti, briganti e semplici passanti le teste mozzate dei colpevoli furono messe in due gabbiotte distinte ed esposte sulla Via Vandelli.Con il tempo la gente dell'allora piccolo borgo garfagnino volle dimenticare la vicenda e quanto accaduto ai loro compaesani e cercò di buttare la storia in leggenda, ma ciò non fu leggenda ma solo la cruda realtà.
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December 2, 2014, 5:11 am
E nel 2016 saranno 100 candeline...Per tutti è meglio conosciuta, (specialmente nei decenni passati) come "il fabbricone".Negli anni ha cambiato più volte nome, L.M.I, K.M.E, Europa Metalli,ma per |
Vecchia foto ingresso degli operai alla SMI di Fornaci (foto Bargarchivio) |
tutti rimane e rimarrà sempre la S.M.I (il suo nome originale) con il suo storico stabilimento di Fornaci di Barga che oggi come allora per la Garfagnana e la nostra valle ha voluto dire una parola sola: "PANE".Lo stabilimento di Fornaci è un bene unico, racconta fra le altre cose la storia del Paese, i cambiamenti sociali,le guerre,i mutamenti industriali partendo addirittura dal Risorgimento.La storia della S.M.I di Fornaci parte dalla lontana Sicilia quando nei pressi di Palermo un "giovinetto" comincia a lavorare nella piccola officina del padre, un officina per la produzione di attrezzi agricoli ed impianti per mulini, questo "giovinetto" si chiamava Luigi e nacque a Palermo il 2 marzo 1814 ma quello che importa di più non era il suo nome ma bensì il suo cognome, il cognome era Orlando, colui che sarebbe diventato il capostipite della famiglia,quella famiglia che per quasi un secolo ha retto le sorti della S.M.I e non solo. Gli anni passavano e Luigi oltre al suo acume imprenditoriale sviluppò uno spirito patriottico, egli era un fervente anti borbonico. Con i suoi fratelli Salvatore,Giuseppe e Paolo prese parte ai moti insurrezionali del 1848 contro i Borboni finiti purtroppo male da vedere così costretta una buona parte della famiglia all'esilio decidendo di fatto di partire per Genova al tempo considerata una solida realtà operosa nel campo della meccanica. Gli Orlando si erano ambientati bene in Liguria tant'è che vendettero tutti i loro beni in Sicilia e aprirono nel 1850 sempre a Genova una fabbrica di ferri da stiro e di letti di ottone siciliani, due anni dopo si ingrandirono ancora, i loro operai |
Le case operaie a Fornaci costruite per i lavoratori (foto Bargarchivio) |
quadruplicarono da 30 a 120 e crebbe così anche la visibilità non solo imprenditoriale ma anche politica.Arrivò poi la svolta che ingraziò la famiglia nei favori del Conte Camillo Benso di Cavour (futuro primo presidente del consiglio dell'Italia unita) quando decisero di finanziare personalmente la Spedizione dei Mille buttandosi così anche nella produzione di armamenti, alcuni cannoni furono donati a Garibaldi (che in vecchiaia restituirà il favore donando 100.000 mila lire ai cantieri Orlando in crisi).Nel 1866 gli Orlando "volavano", ad Italia unita (o quasi) si presentò la possibilità di intraprendere un’attività cantieristica su vasta scala quando il governo dovette decidere a chi concedere in affitto il Regio cantiere militare marittimo di San Rocco a Livorno,superata la concorrenza francese l’assegnazione a Luigi apparve ovvia (lì costruirà la prima corazzata militare italiana la "Lepanto"), insomma fu una vera e e propria escalation.Si lanceranno da pionieri nell'industria elettrica con la STET Valdarno e nella telefonia con la TETI.La grande occasione arriverà all'inizio del nuovo secolo nel 1901 quando Luigi Orlando (non più il capo famiglia morto nel 1896 ma il figlio omonimo) fu nominato liquidatore della Società Metallurgica Italiana meglio conosciuta come S.M.I (un'azienda fondata nel 1886 a Roma la cui proprietà era in prevalenza francese)sorprendendo tutti con un abile intuizione, invece di cederla la compra per se per poi riconvertirla in industria di produzione di semilavorati e prodotti finiti per l'industria militare e quando l'Italia si tuffa nella Grande Guerra, coglie |
Mussolini in visita alla SMI di Fornaci con Luigi Orlando |
l'occasione,ed ecco così che entra in scena Fornaci. In undici mesi sorge la fabbrica di Fornaci, che viene inaugurata nell'estate 1916 in una zona scelta con acume strategico: in quei tempi le fabbriche di munizioni andavano nascoste da occhi indiscreti, lontane dalla coste, protette dalle montagne e sopratutto dovevano essere ricche d'acqua,il ritratto perfetto della nostra valle. La nascita della fabbrica stravolge il tessuto economico della Garfagnana, fino ad allora solo agricolo.Decine e decine di contadini lasciavano i loro campi,i mugnai i loro mulini,i pastori i loro greggi,la montagna si spopolò per un salario più sicuro,le persone da contadini si trasformarono in operai. Altri lavoratori affluiscono dal nord d'Italia per portare l'occupazione dello stabilimento ad alcune migliaia. La produzione di S.M.I si sestuplica: da 6.000 a 36.000 tonnellate annue. Dopo la guerra la fabbrica allarga la gamma della produzione ai settori civili, ma mantiene forte la fabbricazione di munizionamento,dai piccoli calibri ai proiettili per cannoni.Tra le due guerre il presidio si trasforma in "paese-fabbrica". Nascono la scuola, il teatro, l'albergo, le strutture sanitarie, la stazione ferroviaria, i negozi e le abitazioni per ottomila dipendenti. E quando, nel 1933, Luigi Orlando muore, suo figlio Salvatore eredita un gruppo solido ma di cui deve gestire il difficile dopoguerra, la definitiva riconversione alla quasi totale produzione civile,poi ancora il rilancio. Dalla fine degli anni Sessanta sarà poi suo figlio, nuovamente un Luigi, a guidare l'espansione internazionale fino a guadagnarsi l' appellativo di solo ed unico "re del rame".Ed eccoci ad oggi...Tutti sappiamo com'è la situazione dello stabilimento di Fornaci.Piange il cuore vederla così...In quei 514.000 metri |
La SMI di Fornaci nel 1924 (foto Bargarchivio) |
quadrati è racchiuso veramente un grande pezzo della storia della Garfagnana,ci sono racchiuse storie di uomini e donne fatte di gioe,dolori e sopratutto c'è racchiusa la speranza di un intera valle nel desiderio che questa maledetta crisi non ci porti via un altro pezzo della nostra vita.Auguri S.M.I per i tuoi prossimi 100 anni.
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