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Il treno impazzito...21 luglio 1981,una tragedia sfiorata

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la stazione di Barga Gallicano oggi
Anche la cronaca è storia.Anche i fatti di cronaca ordinaria fanno parte di tutto quel bagaglio storico e di memoria di ognuno di noi.Alcuni fatti sono legati alla nostra memoria in maniera indelebile.Io ad esempio ho sempre nella mia mente (dato che abito in Mologno) il treno impazzito che si andò a schiantare sulla stazione di Barga-Gallicano.Ringraziando Dio in Garfagnana incidenti ferroviari di grande rilevanza non sono mai avvenuti, però questo è quello dove siamo andati più vicini.Sembra la trama di un film hollywoodiano;il treno a cui si rompono i freni che poi intraprende una folle corsa per tutta la valle, ma appunto non era un film, ma la cruda realtà. Era proprio come oggi un 21 luglio del 1981 però, quando sulla stazione di Mologno,appunto Barga-Gallicano, si abbatte a folle velocità un treno gru con due pianali del peso di oltre 200 tonnellate semi distruggendola .Nel raggio di alcuni Km la gente pensò ad una scossa di terremoto.Arrivai anch'io sul posto con la mia bicicletta, ero piccolo, sfuggi dalle grinfie della nonna che giustamente mi voleva tenere con se.Quello che mi si parò davanti era una scena apocalittica,sul gigantesco mostro d'acciaio che era entrato innalzandosi nella sala d'aspetto e nella biglietteria piovevano ancora polvere e calcinacci..Per una serie di fortunate coincidenze quella che poteva essere una tragedia di immani proporzioni si risolse con quattro feriti di cui due gravi che però riusciranno a cavarsela.I fatti: ore 12,20 tre operai addetti alla manutenzione della linea Lucca-Aulla terminat
la stazione di Barga Gallicano ieri
i i lavori presso il ponte della Villetta  decisero di rientrare nella vicina stazione quando improvvisamente un avaria dei freni della locomotiva non gli consentì più ad azionare i comandi.Fu l'inizio di una folle corsa verso la valle con il convoglio che prendeva sempre più velocità.Paralizzati dal terrore i tre operai ,tutti romani, furono presi da diversi stati d'animo.Uno dei tre si gettò dal treno in corsa,quando il treno non era alla sua massima velocità.Con contusioni nel corpo ed un braccio rotto raggiunse la stazione della Villetta dando l'allarme  a tutte le stazioni e lanciando così una pazza corsa contro il tempo.Un treno proveniente da Lucca,carico di passeggeri fu subito bloccato a Fornaci di Barga, il ritardo di pochi minuti aveva evitato una carneficina .Un altro merci in sosta a Barga-Gallicano sullo stesso binario del convoglio impazzito fu isolato da un pronto scambio mentre il treno impazzito procedeva la sua  corsa ad alta velocità attraversando passaggi a livello incustoditi, sfrecciando e seminando terrore tra il personale ed i passeggeri delle stazioni di Pontecosi,Castelnuovo,Fosciandora,Castelvecchio Pascoli, finchè non andò a schiantarsi ad oltre 120 Km orari nella stazione di Barga-Gallicano .Il secondo operaio si buttò dal treno nei pressi di Castelnuovo e si procurò un trauma cranico,l'ultimo dei tre  invece rimase impietrito sul treno per tutta la sua corsa, all'impatto con la stazione venne sbalzato fuori.Verrà ritrovato in gravissime condizioni,ma dopo una lunga degenza riuscì a salvarsi.Il quarto ferito fu il capostazione  che fece sgombrare prontamente la sala d'aspetto  precipitandosi poi sulla leva dello
il treno nella valle
scambio  azionandola per evitare l'impatto con il merci (il bolide era a meno di 50 metri di distanza al momento dello scambio).Anche lui se la cavò con contusioni varie e la frattura di una spalla .Una storia incredibile allucinante che si consumò nel breve spazio di 10-15 minuti.Ricordo ancora le fotografie dell'epoca del treno dentro la stazione,fotografie di cui ho fatto ricerca ma che purtroppo sono andate perse...Peccato...

L'Indiana Jones garfagnino. Pietro Pocai fondatore della città brasiliana di Salto Grande

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La storia non
le cascate di Salto Grande
lo volle, le enciclopedie non lo conoscono,ogni tanto qualcuno in Garfagnana si ricorda di questo personaggio (vedi il periodico "La Pania"),eppure in Brasile ha fondato una città che conta più di mezzo milione di abitanti,ne divenne poi capo politico e sociale,per poi diventarne anche sindaco nel 1911.Oggi a ricordarlo in questa città c'è una  strada: "Rue Pietro Pocai". Ma chi era Pietro Pocai? La storia merita di essere raccontata proprio per la diversità dalle altre.Questa è la cronaca di un Indiana Jones garfagnino, di un avventuriero,,di un esploratore,le sue avventure hanno il fascino della leggenda, 
un racconto questo  che sembra uscito dalla penna di Emilio Salgari.Pietro Pocai nacque a Eglio nel 1853, era il secondo di cinque figli e siccome la vita era grama e povera la famiglia decise di mandarlo in seminario con la speranza di ricavarci un prete.Ma il "latinorum" non era fatto per lui, abbandonò quindi l'idea di diventar prete,lasciò famiglia ed affetti più cari e s'imbarcò clandestino verso il Brasile che  in gran parte era ancora semi sconosciuto.Arrivò a San Paolo,ma ha lui la città non piaceva.Quello era il tempo che in Brasile giungevano da tutti i porti del Sud America avventurieri di ogni tipo che si spingevano fino alla foreste vergini dell'Amazzonia,del Mato Grosso,del Paranà, del Rio Grande do Sud a cercar fortuna e così fece anche Pietro.Partì, e nel partire dimenticò se stesso e la sua vita trascorsa.Non tenne più rapporti con i parenti,non scrisse più a nessuno (i parenti in Italia conosceranno molti anni dopo la data della sua morte).Studiò le varie tribù indigene,imparandone la lingua ,gli usi e la religione.Ormai il vecchio mondo era alle spalle,c'era rimasto solo l'ignoto da esplorare.Attraversò per primo (e sottolineo primo) la vasta zona che si estende da San Pedro do Turvo fino al lontanissimo Rio Paranà. Fra i Munduru (tribù indigena che mummificava le teste dei nemici) ebbe in dono la 
la bella città di Salto Grande
figlia del capo tribù e l'alto onore di coabitare nella solita tenda,ma anche li ad un certo punto si stancò pure della figlia del capo tribù  e dei Munduru e si incamminò verso le impervie foreste del sertao paulista.In più occasioni si trovò a lottare con giaguari e serpenti, raccolse farfalle,pappagalli e... diamanti, fino a che nel 1886 giunse nei pressi di un grandioso fiume.Il posto era circondato da verdissimi campi, la terra era rossa;il fiume era il Paranapanema che serpeggiava sinuosamente nella verde vallata.Qui Pietro volle fermarsi,costruì una capanna e da quel giorno terminò la sua vita nomade.Ma non fu subito vita facile, i Coroados i temibili tagliatori di teste, la tribù che viveva in quelle zone, gli bruciò la capanna, allora Pietro chiamò a se altri emigrati italiani e dopo alcuni mesi sorse un improvvisato numero di abitazioni.I nuovi abitanti formarono un simil esercito che si mosse senza pietà contro gli indigeni, scorse
la diga di Salto Grande
copioso sangue e alla fine i Coroados furono definitivamente allontanati .Una cascata d'acqua meravigliosa rompeva con il suo frastuono il silenzio di quel luogo, in onore a detta cascata la nuova città fu chiamata Salto Grande.In pochi anni le abitazioni crebbero. Gli emigrati italiani giunsero da tutto il Brasile con l'intenzione di aggregarsi alla"tribù del Pocai".Adesso gli italiani erano padroni di un intera regione,incominciarono a coltivare il caffè, canne da zucchero, si costruirono chiese e negozi.Il suo capo incontrastato rimase Pietro Pocai  fino al giorno della sua morte avvenuta l'8 settembre 1913.Oggi questa grande città è ancora lì con il suo mezzo milione di abitanti.Nel centenario della nascita di Pietro  i cittadini eressero una statua in suo perenne ricordo...l'Indiana Jones garfagnino...

San Jacopo come pochi lo hanno raccontato.Il santo,la sua chiesa e la gente di Gallicano

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E' una delle più belle feste
Una vecchia foto della chiesa
 di San Jacopo in Gallicano illuminata a festa
di tutta la Garfagnana.Il Palio di San Jacopo è fra i più sentiti e partecipati di tutta la valle,con le dovute proporzioni la partecipazione dei gallicanesi è al pari a quella  dei contradaioli senesi.Borgo Antico,Bufali e Monticello (in rigoroso ordine alfabetico...per l'amor di Dio!!!) negli ultimi anni hanno raggiunto un livello eccelso:carri,costumi ,coreografie degno (senza esagerare) dei migliori spettacoli italiani.Pensare che un piccolo paese (il comune non arriva a  contare  4000 anime) riesca a partorire tutto questo è impensabile.Il lavoro di tutti i gallicanesi è encomiabile, chi non partecipa in prima persona nella sfilata aiuta certamente nelle sartorie,nell'organizzazione,nella costruzione dei carri...praticamente è uno spettacolo che non va descritto, ma visto.Oggi io voglio entrare un po' nelle viscere di questo Palio raccontandolo sinteticamente sotto due aspetti inconsueti e talvolta non tenuti in considerazioni.Il primo; è giusto anche sapere a chi è dedicato questo Palio.Chi era San Jacopo? e cosa ha fatto? San Jacopo (o Giacomo) fu uno dei 12 apostoli di Gesù,nato non si sa quando ma morto in Giudea nel 43 o 44 d.C, conosciuto come Giacomo di Zebedeo detto anche il maggiore per non confonderlo con l'altro apostolo Giacomo di Alfeo detto appunto il minore, si racconta appunto che  prima di incontrare Gesù tanto "santarello"
San Jacopo ritratto da Rubens esposto
 nel museo del Prado a Madrid
non fosse.Di mestiere  faceva il sensale di cavalli. Acquistava i cavalli al mercato promettendo al venditore di saldare il debito con il sopraggiungere del caldo, allorché si fosse tolto il cappotto e quando in pieno luglio il venditore si recava da Jacopo per riscuotere il dovuto, lo trovava ancora incappottato e pronto a dichiarare che «l'estate tardava a venire».Fatto sta comunque che Jacopo divenne fra i più fidati apostoli di Gesù. Dopo la morte di Gesù continuò la sua missione andò in Spagna per diffondere il Vangelo e in seguito ad un ritorno dell'apostolo in Giudea, re Erode Agrippa lo fece decapitare. I suoi discepoli trafugarono il suo corpo e riuscirono a portarlo sulle coste della Galizia in Spagna La tomba divenne meta di grandi pellegrinaggi nel Medioevo, tanto che il luogo prese il nome di Santiago (Santiago de Compostela) Divenne così (oltre a quello di Gallicano) anche il Santo Patrono di tutta Spagna.Secondo aspetto.Raccontiamo un po' della Chiesa maggiore di Gallicano a lui intitolata.La Chiesa di San Jacopo in stile romanico e collocata nella sommità del centro storico.Nata come chiesa castellana fu edificato intorno al 1100.L'edificio sostituì la vecchia chiesa dedicata quella a San Cassiano  che era collocata fuori dal borgo "deserta e così minacciata che non si spera di poter riparare".A causa di ciò fu precocemente abbandonata e con i resti di San Cassiano fu eretto San Jacopo e  sistemate le fortificazioni del castello.Ultima curiosità durante la guerra fra Lucca e gli eredi di Castruccio che coinvolse il castello di Gallicano,la chiesa risultò violata e alla cacciata dei ribelli dovette essere riconsacrata nuovamente.Infine nel 1390 fu consacrata Pieve.
Prima della sfilata: un gruppo
 di piccole api con l'ape regina
(Palio 2014 foto di Ismaele Saisi)

 Ecco qua, ho voluto raccontare il "mio" San Jacopo nella maniera che mi riesce meglio...il resto e il più bello è al meraviglioso spettacolo di questa sera.

La storia dei fratellini Kurt e Liliana, ebrei di Bagni di Lucca trucidati ad Auschwitz.

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Lo strazio che questi giorni corre davanti ai nostri occhi attraverso la T.V ci lascia senza parole.Palestinesi ed israeliani conducono una guerra al massacro, all'annientamento totale e tutto cade nell'infamia più profonda quando a morire sono i bambini.Il bambino è futuro e speranza per un mondo migliore,ma come può essere migliore se si uccide la speranza stessa? Eppure nonostante tutto gli ebrei stessi venivano massacrati settant'anni anni fa durante la seconda guerra mondiale, donne, uomini, vecchi e anche in questo caso bambini. Settant'anni fa,tanto per intendersi, a livello storico- temporale è come dire qualche ora fa, ebbene nonostante conoscano la sofferenza di tale strazio nessuno si fa scrupolo.Lontano da me fare un analisi del confronto ebreo-palestinese per questo ci sono fior fiore di giornalisti e storici, però la mia è una constatazione di fatto innegabile.Ma siccome la storia è memoria e memoria vuol dire non dimenticare ( e possibilmente anche riflettere) voglio raccontare a tutti la storia dei fratellini Urbach,del piccolo Kurt e di Liliana lei nata a Bagni di Lucca il 19 ottobre 1942.La sua famiglia era una di quelle famiglie mandate al confino nella nostra valle per la sola colpa di essere ebrea.In precedenza erano fuggiti dalla propria terra natia (l'Austria) per le persecuzioni razziali.Vivevano a Ponte a Serraglio come internati se così si può dire liberi,lavoravano, vivevano in maniera tranquilla e piuttosto serena anche se con le limitazioni che imponevano le leggi razziali (niente radio, controllo della corrispondenza, nessuna attività politica, minimi rapporti con la popolazione, firma due volte al giorno dai carabinieri).Ma vivevano.Alla fine del 1943 le cose precipitarono.
Una vecchia foto di Ponte a Serraglio
Il 30 novembre, in lucchesia gli ebrei cominciarono ad essere rastrellati, e fu aperto il campo di concentramento provinciale di Villa Cardinali a Bagni di Lucca. Il campo era di transito la destinazione una sola: i campi di sterminio. A gennaio tutta la famiglia Urbach compresa la piccola Liliana e Kurt furono deportati.La prima tappa fu Firenze al centro smistamento regionale (tipo pacchi postali),poi Milano e da li partirono il 30 gennaio con i camion destinazione Auschwitz.Il padre di Liliana e Kurt esortato dalla madre ( "Vedrai alla donne ed ai bambini non faranno niente !") riuscì a fuggire.Purtroppo le rassicurazioni di mamma Alice non furono veritiere.Il 6 febbraio verso le sei del mattino giunsero ad Auschwitz a mezzogiorno erano già stati uccisi nelle camere a gas. Kurt aveva 4 anni,Liliana 15 mesi.

Terra di lupi e di briganti.Quando la Garfagnana era in mano ai banditi...

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un brigante del 1500
Terra di lupi e di briganti così era conosciuta la Garfagnana  nel periodo rinascimentale,mentre nella vicina Firenze  si era nel pieno fulgore delle arti e del pensiero umano la nostra terra era in mano ad un manipolo di briganti della peggior specie .Era un male da estirpare per ripristinare la giustizia,ma anche qui come succede spesso un conto è dirlo e uno è farlo.La storia si ripete appunto e sembra sentir raccontare storie già sentite di strane connivenze fra stato e  mafia e dato che a quel tempo la mafia non esisteva vi erano evidenti complicità fra stato e briganti e a sopraintendere a tutto questo teatrino mandarono un certo Ludovico Ariosto che poverello armato delle migliori intenzioni trovò subito grosse difficoltà, ma trovò anche il rispetto dei briganti stessi.Leggete sembra una storia paragonabile ai giorni nostri.
L'organizzazione estense lasciava a tutte le terre della Garfagnana sotto il suo controllo una larga indipendenza; il ruolo di rappresentante della corona era svolto dai Commissari, successivamente sostituiti dai Governatori. Uno dei primi Commissari/Governatori fu Ludovico Ariosto, che arrivò a Castelnuovo nel 1522 e rimase fino alla metà del 1525; le lettere da lui scritte in questo periodo rivelano che il soggiorno in Garfagnana fu per lui difficile e sofferto. L'Ariosto infatti era soprattutto un poeta e non uomo politico e la carica di Goverantore fu da lui accettata esclusivamente per motivi economici. Il poeta ebbe più volte a rimproverare al Duca Alfonso I la sua indulgenza verso i banditi che, in quel periodo, erano la piaga della Garfagnana. Nonostante l'insofferenza verso la sua mansione, l'Ariosto cercò comunque di dare sempre il meglio di sè: conosceva bene i briganti e sapeva che la loro forza veniva sia dalla paura della gente, sia dalla paralisi del potere;
Ludovico Ariosto
conosceva anche i pastori, i contadini, gli abitanti dei villaggi e , se all'inizio li aveva considerati gente ottusa e cocciuta, ben presto aveva capito che si trattava solo di poveri uomini, dimenticati da tutti e umiliati da troppe vessazioni. L'Ariosto cercò subito di mettere in atto leggi severe contro i banditi e i loro favoreggiatori, ma queste leggi non furono gradite al Duca che le bloccò immediatamente. Di fatto il duca Alfonso aveva ricevuto aiuto proprio dai briganti un anno prima, quando questi avevano difeso per lui la Rocca delle Verrucole contro le forze pontificie di Leone X. Quindi il Duca non aveva nessun interesse ainimicarsi il favore dei briganti. Questi ultimi infatti si facevano sempre più baldanzosi e si vantavano addirittura di essere protetti dal Duca in persona. Lucca e Firenze, da parte loro, potevano solo trarre vantaggio da questa situazione e aspettavano il momento opportuno per rioccupare le terre perse e finite in mano agli Estensi. Ciò è dimostrato dal fatto che quando i briganti riuscivano a fuggire, si nascondevano spesso nei territori di Lucca o Firenze. Tra i briganti della Garfangana, alcuni sono rimasti avvolti da un alone di leggenda e le loro gesta e malefatte hanno dato origine a storie e racconti rimasti a lungo nella memoria della gente, come la storia del Brigante Pacchione: 

“Era un conosciuto capobanda nascosto nei boschi dell'Appennino. Pare proprio che il suo rifugio fosse nei pressi di San Pellegrino,luogo privilegiato per assalire e derubare i viandanti che da Modena scendevano in Garfagnana. Un giorno, mentre l'Ariosto saliva verso il passo, fu assalito e derubato dei suoi averi. All'improvviso uno dei banditi della banda di Pacchione pronunciò il nome dell'Ariosto ed il bandito svelto domandò – Dov'è? Dov'è Messer Ariosto? -Sono io – rispose il poeta. - Compagni, udite! -
La Rocca Ariostesca a Castelnuovo.
La "casa" dell'Ariosto ai tempi garfagnini
disse il bandito con voce risoluta –che non sia torto un capello al grande Ariosto! - Tutta la merce fu restituita ed il Pacchione aggiunse: - Messere, anche i banditi della Garfagnana, che voi sferzate nelle vostre satire, vi apprezzano e vi rispettano – E si inchinò ossequiente e cerimonioso prima di sparire nel folto dei boschi" 

Tempo di funghi,ma attenzione...Cronaca di una strage del 1779. Famiglia di Sassi sterminata da funghi velenosi...

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funghi porcini
Tempo di funghi per la nostra Garfagnana.Questa balzana estate ha prolungato la nascita di questo prezioso frutto della nostra terra che, insieme alle castagne e al farro sono il fiore all'occhiello della nostra ottima cucina.Sono prodotti  che sono sulle nostre tavole da secoli e secoli e che hanno sfamato intere generazioni di nostri avi sopratutto nei momenti di carestia ,momenti che spesso la Garfagnana ha conosciuto.Ma come sapete i frutti della natura bisogna saperli riconoscere perchè i pericoli sono sempre dietro l'angolo.Quante volte sopratutto in merito ai nostri funghi abbiamo sentito parlare di avvelenamento?Può capitare maggiormente a gente "forestiera" magari poco esperta.Sempre in merito ai rischi di avvelenamento per funghi ci viene in aiuto dal periodico "La Pania" un articolo di Manuele Bellonzi con un documento rinvenuto nell'Archivio comunale di Molazzana, che risale al luglio del 1779. Il cronista di 230 anni fa è Luigi Pieroni, notaio di Sassi dal 1768 al 1817 e Cancelliere della Comunità che, fra le memorie dell'antico Comune, inserisce una"Notizia alli posteri e avviso per li funghi". Racconta il Cancelliere che "un certo Giovanni Ferrari abitava in Sassi con moglie e sette figli; tre maschi e quattro femmine. Sembra che la mattina dell'otto mese suddetto, giorno di giovedì, tutti mangiassero funghi, e per tutto il giovedì fino a mezza notte non sentissero alcun male. Nella mezza notte incominciò a sentirsi male Maria Caterina, moglie del detto Giovanni Ferrari ed in seguito tutti li figli, e marito, nel giorno di domenica (10 luglio) morirono in cinque, cioè la moglie suddetta alle ore italiane 8, in seguito alle dodici morì Antonia figlia, alle 16 morì Apollonia pure figlia, alle ventidue morì Giovanna similmente figlia, alle ore 9 dell'11 suddetto morì Antonio figlio, così che in una sola processione la mattina dell'11 furono portati alla chiesa e moniti delli Santissimi Sacramenti" (…). Scamparono quindi all'avvelenamento solo il marito con due figli maschi e una femmina.
Il cronista settecentesco già nel titolo dello scritto è chiaro nell'intento: darne notizia ai posteri ed avvisare della pericolosità dei funghi. Un proposito giusto e ancora valido oggigiorno, dove ancora si contano a decine le intossicazioni da funghi nelle stagioni di raccolta. 
Conclude il notaio di Sassi, con formula quasi testamentaria (e magari un po' interessata), fra il civile e il religioso, ricordando che "il caso serva, e sia a ciascheduno di regola, e di esempio col riflesso che la morte sta nascosta in qualunque
Una vecchia famiglia
 contadina di una volta...
cosa, e per qualunque cosa si può morire, a tal effetto (bisogna) stare sempre preparati che non sappiamo ne' l'ora ne' il momento"

L'origine dei nomi dei nostri paesi.Cominciamo con Fornovolasco,il primo centro siderurgico della Garfagnana...

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Una vecchia immagine di Fornovolasco
 e il Monte Forato sullo sfondo
La curiosità spinge l'appassionato di storia come me a farsi nuove domande e a stimolare la propria curiosità.Oggi (stimolato appunto da quella curiosità) voglio aprire una specie di nuova rubrica nel mio blog e mi spiego;dato che la nostra Garfagnana è composta da molteplici paesi e  località e ognuna con il suo particolare nome  mi piacerebbe (anche e sopratutto con il vostro aiuto,se avete notizie in merito) di trovare l'esatta etimologia del nome dei nostri posti.Tanti nomi sono legati ad esempio al suo fondatore o anche ad attività lavorative nate in quel luogo, oppure ad antichi fatti accaduti,insomma è un mondo vastissimo che con il vostro aiuto mi piacerebbe approfondire ancor di più e poi pubblicare periodicamente con il nome di chi mi ha fornito la notizia.Bene,voglio adesso cominciare con un nome fra i più bizzarri della Garfagnana: Fornovolasco. Fornovolasco per chi non lo sapesse) si trova nel comune di Fabbriche di Vergemoli sulla strada che conduce alla Grotta del Vento.Il termine Fornovolasco risulta legato alle attività fusorie (per questo Forno) documentate fin dall'epoca medievale, dimostrate da interessanti documenti ritrovati nell'archivio di San Martino a Lucca.Infatti alle pendici della Pania sorgeva un piccolo polo siderurgico che richiamò vista la ricchezza mineraria del sottosuolo una compagnia fatta di bresciani (provenienti questi a quanto pare dalla Val Trompia)  e bergamaschi capitanati appunto da un certo conte Volasco (da qui appunto Volasco) da Brescia, qui vi trovarono le acque correnti della limpida Turrite, ampie aree boschive da quale attingere il combustibile per il funzionamento dei forni,ed inoltre la disponibilità di materie prime estratte dalla miniera locale di "Monticello le Pose" che fecero di Fornovolasco il primo paese siderurgico della Garfagnana (altro che K.M.E di Fornaci...) I nuovi ospiti da parte loro invece insegnarono ai locali nuove tecnologie di fusione e nuovi metodi lavorativi.L'attività era fiorente, si sostiene che nel 1369 si esportassero le lavorazioni perfino a Stazzema e nella parte versiliese delle Apuane.Le attività
Fornovolasco oggi
fusorie durarono addirittura fino ai primi anni dell'800.

Ecco qua allora l'origine del nome Fornovolasco nato dal connubio dei forni fusori già esistenti sul suo territorio e un certo conte Volasco da Brescia che vi creò un piccolo e fiorente centro siderurgico,il primo di tutta la valle.
Mi piacerebbe come detto continuare nella scoperta dei nomi dei nostri paesi, per chi volesse darmi una mano ( e ne sarei grato ) e avesse notizie è pregato di inserirle nella parte del mio blog riservata ai contatti.Grazie e a risentirci a presto sull'argomento...

 

La sanità in Garfagnana negli anni 30: il dottore e le cure di una volta

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Il dottore di una volta
La sanità una volta era una cosa seria...e così anche in Garfagnana. La figura del dottore insieme a quella del prete, del farmacista e del maresciallo dei carabinieri erano figure di tutto riguardo che incutevano rispetto e allo stesso tempo lo davano.Erano personaggi importanti perchè nel mondo contadino  e quindi anche in quello garfagnino erano le persone preposte alla cura dei  valori ancestrali primari, quindi al benessere del corpo (vedi dottori e farmacisti),alla salvezza dell'anima (il prete) e alla difesa dei beni terreni (il maresciallo dei carabinieri).Vorrei questa volta analizzare la figura del dottore per fare un tuffo nella Garfagnana di fine anni 30 del secolo passato e fare un raffronto introspettivo con oggi.Questa testimonianza che andrò a esporre ci riporta a valori e abitudini di un mondo che non ci appartiene più, ma che varrebbe la pena sotto certi aspetti di riscoprire e apprezzare.Qui si racconta come ci si preparava ad una  visita  del medico condotto a un paziente in  una casa di Castiglione Garfagnana. Il racconto è della signora Giulia, che poi darà alcuni rimedi medici naturali di una volta, dato che le medicine erano un lusso:
"Il dottore una volta,come ora per noi, era una persona
Un vecchio rimedio di una volta
di rispetto.Quando si doveva chiamare il dottore per qualche malato in casa eravamo tutti sottosopra, perchè ci dava soggezione e volevamo accoglierlo il meglio possibile,così si mettevano le lenzuola quelle con la trina nel letto dell'ammalato,come pure i cuscini. Si preparava la bacinella e l'acqua nella brocca dove il dottore si lavava le mani, come pure l'asciugamano con il pizzo. A questo punto cominciava l'attesa ,così quando arrivava andavamo alla porta facendogli strada .Il dottore visitava l'ammalato poi, secondo quello che gli riscontrava ci dava la cura,cioè se era una semplice influenza gli ordinava un bel bicchiere di magnesia San Pellegrino e magari uno sciroppo per la tosse che quello c'era, ma se era una malattia seria come la polmonite allora non essendoci a quei tempi ne penicellina ne antibiotici il dottore ordinava che gli facessero degli impiastri di farina gialla cotta nell'acqua salata e mettendola in un canovaccio (ndr: tela di canapa grossa e ruvida per usi da cucina) quanto più caldo si poteva resistere, si doveva metterlo sul petto del malato nel punto in cui doleva: così con il calore avrebbe fatto espettorare i catarri. Finita la visita arrivava il momento di congedarsi dal dottore a cui veniva offerto immancabilmente del rosolio ( che veniva offerto solo negli eventi speciali) fatto dalla mia mamma e di tutto ringraziamento il mio babbo tirava il collo ad uno dei polli più belli per darlo per parcella al dottore . Ricordo inoltre altri rimedi che il medico consigliava in assenza di medicine.Per l'infiammazione agli occhi: si cuoceva la ruta con l'acqua, poi si facevano i fumenti, così pure se uno si pungeva con uno sprocco (ndr. spina) o si feriva lievemente,
Il gambo rosso,le medicine naturali 
si faceva bollire dell'acqua con dentro una manciata di sale  e prima che l'acqua si freddasse ci si immergeva dentro la ferita per disinfettarla. Il finocchio selvatico si bolliva e si beveva, perchè faceva bene alle vie urinarie come pure il gambo rosso. Purtroppo c'era da curarsi come si poteva, finchè serviva, altrimenti...Amen..."

La struggente lettera di un emigrante garfagnino nel giorno di Natale ai propri genitori...Emozionante!

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Uno dei meravigliosi paesi
della Garfagnana. Orzaglia
La vita in terra straniera per i nostri emigranti era tutt'altro che semplice. Alle numerose difficoltà lavorative,agli enormi problemi linguistici, al raggiungimento di una dignità sociale, si aggiungeva una profonda nostalgia mista a malinconia per aver lasciato l'amata terra di Garfagnana e i propri cari genitori, figli, mogli, sorelle...Più eloquente in questo senso di questa struggente lettera in dialetto di Michelle Pennacchi (meglio conosciuto come il "Togno della Nena") ai suoi genitori non vi è prova.Leggete ed emozionatevi:
"Cara mamma,carissimo papà,                     vi scrivo per le feste del Natale.Quaggiù non andrebbe tanto male, ciò il lavoro e comincio a guadagnà. En bravi j' assistenti e j ingegneri, che trattin come fussimo fioli e anco fora nun ci sentiam soli e nun pare d'esse in mezzo a j stragneri.La gente en bone e sirei sudisfatto se la notte un sognassi certe cose, che nun so se sian sprocchi o siino rose ma che se durin dovento matto. Io vedo il paese, il Pisanin, il mi' fiume, voialtri,la mi Tina cume mi salutò quella matina quand'e partitti per il mi destin. Sogno Argegna, Curfin, la Capriola,le mi
vecchie lettere
vacche che mangin in del prato, il ciocco che si sconsuma nel metato e tutto è bello come in d'una fola. E 'gni mattina ciò la smania addosso, perche 'sta mostra d'una Garfagnana è cusì bella anco s'ede luntana, che mi sforzo a scurdalla, ma nun posso.Crediate nun so proprio che fa! Vorei durmi tant'ore per sognammi, ma nun vorrei durmi per non svejammi e capì ch'era un sogno e tribbolà. E allora ormai ho deciso vengo via! Appena ciò i quattrini me n'antorno, ch'ede mejo mangia una volta al giorno, ma mangià al tavulin di casa mia. Vo' papà son siguro che mi capirete, che contavite sempre che alla guerra, più che altro pensavite alla tera, a me e alla mamma. Mi perdonerete se un ce la faccio a restà più qui solo e piange come se fossi torno cicco. Tanti auguri, vi abbraccio stricco, stricco
 
Voscio affezionatissimo fiolo"

La strage di Sant'Anna di Stazzema a 70 anni esatti dall'eccidio.In memoria dei "cugini" d'oltre Pania...

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Sant'Anna di Stazzema
Il giorno della strage,
bambini morti a Sant'Anna
e gli stazzemesi  non c'entrano niente con la Garfagnana, è vero, anche se a dire il vero li possiamo serenamente riconoscere come nostri "cugini di montagna", ci dividono solamente le nostre meravigliose Alpi Apuane.Spesso con gli abitanti di Pruno, Sant'Anna, Ponte Stazzemese,Cardoso ci siamo incontrati sulle cime dei nostri monti,un cenno e un saluto bastava per riconoscersi.Non solo ci dividono le Apuane, ma ci ha diviso anche l'amaro destino di una seconda guerra mondiale vissuta sempre con tribolazioni, ma in maniera diversa.Noi garfagnini abbiamo avuto la fortuna che nella nostra valle,grazie a Dio non vi siano mai transitate ne sostate le famigerate S.S, mentre per i nostri "cugini" fu nettamente diverso. Oggi ricorrono esattamente 70 anni dall'eccidio di Sant'Anna, era il 12 agosto 1944.Queste immani sciagure non hanno territorialità e vanno sempre e comunque ricordate e raccontate,pensare poi che tutto questo si compiva a pochi chilometri in linea d'area dalle nostre case... Ricordiamo allora i fatti. Ai primi d'agosto del 1944 Sant'Anna di Stazzzema era stata qualificata dal comando tedesco "zona bianca" ossia una località adatta ad accogliere sfollati, per questo la popolazione in quell'estate aveva superato le mille unità.Inoltre in quei giorni i partigiani avevano abbandonato la zona senza aver compiuto particolari operazioni militari di rilievo contro i tedeschi.
Donne sopravvissute che assistono i morti
Nonostante ciò all'alba del 12 agosto la 16a compagnia S.S Panzergrenadier-Divison Reichsfuhrer su ordine dell'ufficiale Walter Reder ufficiale Waffen SS salirono a Sant'Anna, mentre un altra divisione rimase più in basso a chiudere qualsiasi via d'uscita.Alle 7 il paese era completamente circondato, quando le SS giunsero in paese accompagnati da fascisti collaborazionisti gli uomini si rifugiarono nei boschi per non essere deportati,mentre vecchi, donne e bambini rimasero nelle loro case sicuri che non sarebbe successo niente...non fu così.In poco più di tre ore vennero massacrati 560 civili,la furia dei nazi-fascisti si abbatte improvvisa su tutto e tutti; i corpi vennero trucidati, bruciati, straziati Quel mattino di agosto a Sant’Anna uccisero i nonni, le madri, uccisero i figli e i nipoti. Uccisero i paesani ed uccisero gli sfollati, i tanti saliti, lassù, in cerca di un rifugio dalla guerra. Uccisero Anna, l’ultima nata nel paese di appena 20 giorni, uccisero Evelina, che quel mattino aveva le doglie del parto, uccisero Genny, la giovane madre che, prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario, scagliò il suo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle, uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati nazisti perché
i funerali

risparmiassero la sua gente, uccisero gli otto fratellini Tucci, con la loro mamma. 560 ne uccisero, senza pietà in preda ad una cieca furia omicida. Indifesi, senza responsabilità, senza colpe. E poi il fuoco, a distruggere i corpi, le case, le stalle, gli animali, le masserizie.Non si trattò di rappresaglia. Com'è emerso dalle indagini della procura militare di La Spezia si trattò di un puro atto terroristico, di una azione premeditata studiata nel minimo dettaglio. L'obiettivo insomma era quello di sterminare la popolazione.La strage di Sant’Anna di Stazzema desta ancora oggi un senso di sgomento e di profonda desolazione civile e moraleRappresentò un odioso oltraggio compiuto ai danni della dignità umana. Quel giorno l’uomo decise di negare se stesso...
Alla memoria dei "cugini" montano- versiliesi d'oltre Pania...



Il paese "fantasma" di Col di Favilla.La sua bella (ma brutta) storia

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Persi per i nostri monti e le
Col di Faviila,la chiesa di Sant'Anna
nostre vallate ci sono molti di quelli che sono meglio conosciuti come "paesi fantasma", sono quei paesi che nei lustri e nei secoli scorsi erano paesi pieni di vita, con molti abitanti, magari anche di notevole importanza perchè di li vi passarono rotte commerciali o anche perchè potevano essere luoghi che avevano attività lavorative nel territorio stesso come miniere, cave...Purtroppo poi con l'andare degli anni molti di questi paesi sono stati letteralmente abbandonati.Ormai erano diventati posti quasi irraggiungibili dalle vie di comunicazione moderne, ormai tutte le prerogative essenziali per la sua esistenza la modernità le aveva uccise, ormai le attività lavorative si erano spostate a valle e man mano che i più anziani morivano un pezzo di paese moriva con loro. Il più famoso di tutti questi paesi in Garfagnana è Fabbriche di Careggine,il paese sommerso nel lago di Vagli.Però oggi voglio andare alla scoperta di un altro "paese fantasma" meno famoso ma altrettanto bello, si chiama Col di Favilla. Col di Favilla si trova a 940 s.l.m ai piedi del Monte Corchia ed è sovrastato dal Pizzo delle Saette.Questo piccolo borgo trae il suo nome a quanto pare dal
Case abbandonate a Col di Favilla
fatto che alcuni abitanti abbiano visto sul far della sera innalzarsi verso il cielo le scintille di una carbonaia, infatti le principali attività degli abitanti chiamati colletorini furono la produzione del carbone,la pastorizia,la lavorazione dei metalli presso il canale delle Verghe,l'estrazione del tannino dal castagno destinato alle concerie del pisano.Insomma il paese era più che vivo.Adesso guardiamo le sue origini, l'area di Col di Favilla era anticamente un alpeggio e quindi un insediamento a carattere stagionale, vi giungevano dalle valli della Garfagnana e dall'entroterra versiliese i pastori addirittura fino dai primi anni del 1600.I pastori quindi spinti dal sapore della dolce comodità vi si stabilirono definitivamente intorno al 1880 dapprima costruendo case cosiddette "alla buona" e poi man mano rendendole più ampie e solide utilizzando per i muri la pietra locale e per i tetti l'ardesia.Tutta la vita paesana si svolgeva intorno alla chiesa di Sant'Anna (risalente al 1640) che accoglieva fra le sue braccia nuove genti catturate dal conveniente smercio che si stabili lassù.Questo perchè numerosi erano i sentieri che permettevano di raggiungerlo,sia dalla Garfagnana che dalla Versilia.Gli anni passarono,l'Italia si stava modernizzando e con l'Italia anche se a piccoli passi anche la Garfagnana e il paese si stava progressivamente svuotando. Una bella mano a questo abbandono fu dato precedentemente dalla II guerra mondiale,il borgo subì gravi distruzioni,il paese era segnatola popolazione fu
il campanile di Col di Favilla
dimezzata,gli scambi commerciali estinti,la voglia di reagire e ripartire era scomparsa anche quella, ed inoltre il 1960 portò alla sua definitiva morte, difatti fu costruita una strada alternativa che isolò completamente il luogo da qualunque tipo di traffico commerciale,fu il definitivo de profundis.

Nota a margine di questa storia su Col di Favilla  vorrei ricordare una notizia curiosa e una dir poco pessima.Cominciamo da quella curiosa. Nel paese c'è una meridiana particolare posta sulla sommità della chiesa che è considerata la più alta (sul livello del mare) meridiana di tutta la Toscana. La nota pessima invece è che nel 1977 il paese, ormai già abbandonato fu oggetto di devastazioni vandaliche e sacrileghe,fu necessario infatti riconsacrare la chiesa di Sant'Anna nel 1979,si arrivò perfino a pensare che alcuni scheletri fossero stati trafugati dal cimitero locale.Infine Fosco Maraini (poeta e scrittore sepolto poi nel 2004 all'Alpe di Sant'Antonio) scrisse di Col di Favilla nel 1928 in un escursione sulle Alpi Apuane:
"...Scendi e risali, risali e scendi, finalmente scorgemmo, quasi sepolto tra giganteschi castagni, un campanile, poi comparvero dei tetti a lastre di pietra grigia, e delle case.Il villaggio sorgeva in un punto di straordinaria bellezza, sulla cresta pianeggiante d’un
la meridiana di Col di Favilla
monte, a quasi mille metri di quota, proprio dinanzi ai dirupi spettacolari e selvaggi del Pizzo delle Saette. Col di Favilla,era davvero alla fine del mondo...La vita materiale e morale a Col di Favilla ruotava ancora in pieno attorno al dio castagna. Le piante che producevano i frutti preziosi erano secolari, gigantesche, con certi tronchi da abbracciarsi in tre o quattro persone, curatissime, rispettate, amate..."

I vecchi progetti (per fortuna mai realizzati) di una volta...1939: la strada Gallicano- Mare

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Lo schematico progetto della Gallicano Mare
Uno dei grossi problemi che ha avuto ed ha la Garfagnana è la viabilità. Raggiungere la nostra valle non è mai stato facile.Grossi progetti si sono sprecati nei decenni per agevolare le comunicazioni stradali,si è parlato di lunghi viadotti sul Serchio in modo così di non toccare i fianchi delle montagne e quindi evitare frane, si è cercato in ogni maniera che le strade "uscissero" dai paesi con circonvallazioni e raccordi stradali, tutto questo al fine di agevolare i commerci, il raggiungimento dei grandi stabilimenti presenti e sopratutto agevolare e snellire una circolazione che negli anni ha visto una crescita esponenziale...Ma però il progetto più grande, il più ambito e ancora mai realizzato (grazie a Dio) e più volte tentato è stato quello di raggiungere ed avere un collegamento più veloce e diretto possibile con il mare versiliese, raggiungibile in un solo modo attraversando le Apuane.Questa storia forse in pochi la sanno e ci siamo andati a così tanto dal realizzarla, mai così vicini come quella volta. Tutto cominciò nell'estate del 1939 quando Stefano Paoli Puccetti esimio gallicanese (stirpe di notai e sindaci) cominciò a tessere la tela per il grandioso progetto da sempre sognato della strada Gallicano-Mare.Si trattava di un progetto elaborato come tesi di laurea dal giovane ingegner gallicanese Livio Alessandro Poli.La strada doveva partire da Gallicano, arrivare a Fornovolasco,di li inerpicarsi fino al valico di Petrosciana per poi scendere verso il mare e raggiungere quindi Lido
di Camaiore...praticamente doveva passare a due passi dal Monte Forato.Ci fu grande mobilitazione,la valle accolse il progetto con entusiasmo.Barga nella persona del suo podestà Morando Stefani per esempio sperava di attirare turismo (dato che all'epoca molti villeggianti optavano per Bagni di Lucca e le sue terme)Vergemoli sprizzava gioia da tutti i pori, infatti il comune aveva intenzione di riaprire le vecchie miniere di ferro.Questa strada avrebbe dato  sbocchi commerciali, insomma era una buona opportunità per tutti sia turistica e di rilancio della valle,tant'è che tramite i buoni uffici della curia fu contatto perfino anche Galeazzo Ciano nella sua residenza di Ponte a Moriano,gerarca fascista,ministro degli esteri e più che altro genero di Mussolini per presentargli il progetto.Difatti la cosa ebbe il suo effetto e si arrivò a interpellare
Vecchia cartolina,le Alpi Apuane
personalmente il Duce che si diceva pronto a finanziare un'altra italica impresa.Ma poi come detto era il 1939 ed esattamente un anno dopo cominciò la guerra.L''evolversi delle vicende belliche fecero abortire il tutto e fu forse l'unica cosa bella che fece quella maledetta guerra, salvò la nostra valle da un sicuro

obbrobrio...Una strada che magari passava nell'anello del Forato proprio non ce l'avrei vista... 

La lunga estate di guerra del 1944 in Garfagnana nei versi di Silvano Valiensi

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La 92a divisione america Buffalo in azione in Garfagnana

Era un estate come questa, ma nella sostanza molto diversa.Non c'erano sagre paesane, non c'erano i ritrovi nelle piazze di paese per discutere con gli amici...non c'era tempo per divertirsi, bisogna sopravvivere. Era l'estate del 1944 in Garfagnana,era tempo di guerra. Nell'estate del 1944 (29 giugno) cominciarono i primi bombardamenti, che diventarono ininterrotti quando il fronte si attestò un po' a nord di Barga e Gallicano. Vennero colpiti e quasi completamente distrutti i paesi lungo le vie rotabili o nelle loro vicinanze.La gente si rifugiava nelle selve e nelle capanne, vivendo nei "metati".La paura e la morte era padrona della Garfagnana,ma nello stesso tempo cresceva anche la speranza,i tedeschi ormai erano in rotta su tutti fronti,era questione di tempo ormai e sarebbe finito tutto.Terrore,delusione, tristezza, speranza erano queste le sensazioni che si respiravano in quella tremenda estate che segnerà in maniera indelebile la nostra terra e a me piace ricordarla  in questa bellissima poesia  che rende bene l'idea di quello che fu quell'estate. La poesia è di di Silvano Valiensi (pubblicata postuma) partigiano del Gruppo Valanga che partecipò fattivamente alle fasi più cruente della lotta di liberazione dal nazi-fascismo:

Estate '44

Ho negli occhi
l'azzurro
di un estate di fuoco,
che ha spento
l'ultimo affronto della follia
e raccolto
il primo anelito di libertà.

Nelle orecchie,
ho il silenzio
delle notti stellate
il crepitar delle armi,
i singhiozzi repressi
di madri,
che piangono i figli,
divenuti di pietra.

Ho nel naso
odor
di ginestra e di timo,
di spari, di scoppi...
di carne bruciata.

Sulle mani,
il calore
dei sassi arsi al sole,
il sangue
dei compagni caduti...

...Fra le braccia
ho ricordi sfumati,
impalpabili
come nebbia,
speranze deluse
e la morte 
nel cuore.


Gallicano bombardata (foto tratta dal libro Gallicano in Garfagnana di Daniele Saisi)


Le tradizioni (irriverenti) di una volta "La scampanata"...e lo sparatoria del 1833 a Stazzana...

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Un matrimonio di una volta
Tempo fa ero ad un matrimonio e parlando del più e del meno con il mio amico Gino esperto di tradizioni garfagnine è venuta fuori una vecchia usanza specialmente adottata nell'alta Garfagnana riguardante appunto i matrimoni in tarda età fra vedovi.Non conoscendo sinceramente tale usanza mi sono armato di carta e penna e man mamo che Gino raccontava prendevo appunti e adesso eccomi qua ad elaborare con altre notizie rinvenute qua e la  questi appunti insieme a voi pronto a riproporvi questa tradizione meglio conosciuta come...

"La scampanata"

Per far capire bene cos'è questa scampanata voglio iniziare con due versi in dialetto della poesia di Pietro Bonini intitolata appunto "La scampanata"

Nun si sa se sia allegria
o una grande villanata
quando un vedovo pia moje
che j fan la scampanata

perchè batte c'un martello
sulle teje e su lattoni 
altr'effetto nun nisce
che rottura di cojoni

Come si comprende da questi pochi versi, quando un vedovo o una vedova, abbastanza anziani si risposavano un gruppo di scapestrati "musicisti" improvvisava sotto le loro abitazioni un concerto infernale picchiando con forza qualsiasi oggetto di metallo esistente come pentole, tegami, pezzi di latta e ferro l'importante è che riproducesse un suono il più sgradevole possibile.Naturalmente tutto questo gran casino aveva il suo scopo:infastidire gli "sposini" che per far ritornare la situazione alla normalità erano costretti ad invitare  "i musici" ad una solenne "sbicchierata".Se però gli sposi manifestavano rabbia e dissenso allora era la fine,il fracasso e il frastuono sarebbe continuato il giorno dopo e il giorno dopo ancora fin che gli sposi non cedevano agli scampanatori e li invitavano a mangiare fichi secchi, noci e a bere qualche "bicchierottto".Il tutto nasceva naturalmente in modo scherzoso e nonostante le

ricerche non si sa l'esatta origine della tradizione.Sappiamo però che spesso e volentieri gli scherzi finiscono in pianti e anche in questo caso nel 1828 le autorità proibivano in maniera netta e decisa tale usanza perchè come riferisce l'incaricato della polizia locale al governatore della Garfagnana "Tali scampanate sono sconvenienti e fomentative di amarezza e disordini.Per sopprimere si riprovevole costumanza è assolutamente vietato tale scampanata punibile con un mese di carcere, tale pena è da commutarsi sia a chi tale scampanata la esegua,la ordini o anche a chi vi dia solamente assenso...". Ma le tradizioni sono difficili da estirpare è la cosa andava avanti in barba alla legge e anche sinceramente anche la stessa polizia chiudeva un occhio.Anche se la cronaca del 1833 riporta addirittura di uno scontro a fuoco a Stazzana dove si dice che dopo una settimana di scampanate"usando battimento di ferri e il suono di un corno" la sposa, tale Rosa di fu Francesco Lenzi affrontò il capo scampanatore tale Antonio Cecchini avendone la peggio perchè percossa e non contento il Cecchini gli esplose contro  colpi di arma da fuoco (senza conseguenze) e gli scagliò perfino le pietre "alla Rosa e alla di lei sorella Giovanna
La Croce di Stazzana
"
.Venne fuori poi da indagini fatte in seguito che la Rosa e il Cecchini erano in precedenza fidanzati e che tutto questo alterco era nato dalla pura gelosia di entrambi.Il Cecchini non fu punito come si meritava se la cavò pagando tre lire di multa si disse che non lo si poteva imprigionare perchè facente parte dell'amministrazione comunale e quindi condannandolo avrebbe screditato tutto il consiglio...Le scampanate continuarono in tutta la Garfagnana ben dopo l'ultimo conflitto mondiale, ma poi lo sviluppo sociale e culturale cominciato negli anni '50 del '900 ha spazzato ogni traccia di questa irriverente tradizione.

L'attentato alla Rocca di Castelnuovo: 20 agosto 1944.La cronaca della più spettacolare operazione militare avvenuta in Garfagnana

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Non è un film
La Rocca Ariostesca nel 1935
sulla facciata
campeggia un classico motto fascista
di guerra,non è un romanzo storico, ne tanto meno un ipotetica fantasiosa avventura di quelle che si raccontano al focolare d'inverno dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo,ma è la pura verità...Si tratta di una delle più spettacolari ed eclatanti (anche se nella guerra non c'è niente di spettacolare) operazioni militari fatte nella seconda guerra mondiale in Garfagnana meglio conosciuta come "l'attentato alla Rocca".Sembra la trama di un film data l'evoluzione della vicenda che andrò a raccontare.Si dice addirittura che tale operazione fu presa d'ispirazione nella realtà per quello che accadde esattamente un mese prima (20 luglio 1944), l'attentato fatto ad Hitler dagli oppositori del regime nazista quando nella cosiddetta "Operazione Valchiria"(resa celebre poi da un film con Tom Cruise) nel quartier generale di Rastenberg esplose un ordigno posto sotto un tavolo nella sala riunioni.Una fiammata inghiottì il Fuhrer ma la lui rimasse presso che illeso.Il conseguente fallimento dell'attentato portò all'arresto di più di quattromila persone molte delle quali poi uccise.Ebbene con le dovute proporzioni successe una cosa molto simile anche in Garfagnana o meglio a Castelnuovo Garfagnana.Era esattamente il 20 agosto del 1944 (qualche giorno fa ricorrevano i 70 anni esatti) quando i partigiani del battaglione Casino (un nome singolare ma non casuale...) misero in atto una azione clamorosa: un attentato nella sala del consiglio del Comune di Castelnuovo nella bella rocca ariostesca. Una squadra della brigata nera "Mussolini" era stanziata a Castelnuovo. La comandava Turri Silla, che aveva anche assunto le funzioni di Commissario
"Operazione Valchiria" da qui Hitler
uscì miracolosamente illeso
Prefettizio. Quella mattina il Turri con alcuni collaboratori si trovava nella sala del consiglio del comune quando una forte esplosione sconvolse la sala. Proprio sotto la pedana sulla quale stava il tavolo del podestà era stata collocata una bomba a tempo da due partigiani di Castelnuovo che pare avessero avuto la complicità della nipote del custode, Luciana Bertolini, che aveva fornito la chiave della sala. L'obiettivo era il Turri Silla, personaggio di spicco del fascismo garfagnino.Egli, però, in quel momento non si trovava seduto al tavolo sulla pedana e si salvò. Rimase, però, ferito insieme ad altri tre.Morì, invece, un sergente di nome Battaglini Giovanni detto"Torello". La reazioni dei fascisti non si fece attendere e nei giorni successivi vennero arrestate diverse persone su ordine di Idreno Utimperghe (comandante della Brigata Mussolini di Lucca, deceduto poi in Piazzale Loreto insieme al Duce) che vengono poi tradotte nel carcere di San Giorgio a Lucca per essere fucilate...ma il bello doveva ancora venire.Detto fatto il pomeriggio del 24 agosto i componenti del famigerato battaglione Casino decidono di intervenire. Verso sera Mario Bonacchi comandate della formazione operativa (oggi si direbbe commando...) si traveste da brigata nera e, con un mitra in mano e un falso documento di
La brigata nera "Mussolini"
scarcerazione, entra in carcere e sotto gli occhi dei tedeschi beffardamente e astutamente ne esce con i tre condannati: Giorgio Gori,Gina Gualtierotti e Luciana Bertolini.La cosa naturalmente non fu presa bene da vertici nazi fascisti, la paura di rappresaglie fu tanta e giustificata, ma niente successe,forse si tentava ancora di evitare che lo scontro diventasse troppo feroce e si voleva garantire un certo rispetto della legalità. Che dire allora?...Pensare che bello se ci facessero un film.... 



Com'era la Garfagnana di duemila anni fa? Così descrive gli uomini e l'ambiente Diodoro Siculo storico greco...

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La selvaggia Garfagnana
Ma com'era la nostra Garfagnana millenni fa? Ve la immaginate la nostra verde terra? Sconfinata, niente strade, macchine, case, chiese...e le nostre montagne? Vette quasi inviolate,selvagge, piene di animali di ogni specie.A me piacerebbe fare un salto indietro nel tempo e vedere come sarebbe stato nelle varie epoche.Una mano in questo senso ce la possono dare però le antiche memorie scritte e per descrivere la Garfagnana di duemila anni fa sono riuscito a trovare notizie sull'opera monumentale  di Diodoro Siculo storico greco che visse tra l'80 e il 20 a.C che scrisse appunto quest'opera chiamata "Biblioteca Historica"fatta di quaranta libri restanti però a noi solamente cinque. Bene, quindi facendo dei voli con l'immaginazione possiamo tornare a quando le nostre terre erano abitate dagli antichi "garfagnini" gli Apuani.Pensate che erano divisi in ben trenta tribù (proprio in tribù come gli indiani d'America) tutti facevano "ceppo" dai Liguri che poi (ad esempio) si dividevano in Tigulli (sulla riviera di Levante) o anche in Friniati (quelli insediati fra Modena e Reggio) fino ad arrivare agli Apuani "nostri discendenti" abitanti nel bacino del Magra e nelle Apuane settentrionali.Nella loro descrizione caratteriale possiamo ritrovare curiosamente alcuni aspetti che si possono benissimo accostare al garfagnino d'oggi infatti Tito Livio (storico romano) le descrive come dal carattere ostinato, burbero e battagliero, armati di spade con foderi i cui motivi riconducevano al mondo celtico e in più erano anche forniti di una strana arma, (considerata la loro arma per eccellenza) una specie di roncola ricurva (così viene descritta) che da studi fatti viene ricondotta a quello che oggi si chiama "pennato"che viene usato in tutta la Garfagnana per fare legna.Ma tornando al nocciolo sentite allora come descrive uomini, donne e ambiente in una Garfagnana di duemila anni fa Diodoro Siculo.Chiudendo gli occhi e con un po' di fantasia sembra di esserci dentro:
 "Costoro abitano una terra sassosa e del tutto sterile e trascorrono un’esistenza faticosa ed infelice per gli sforzi e le vessazioni sostenute nel lavoro. E dal momento che la terra è coperta di alberi, alcuni di costoro per l’intera giornata abbattono gli alberi, forniti di scuri affilate e pesanti, altri, avendo avuto l’incarico di lavorare la terra, non fanno altro che
Guerriero Apuano III A.c
estrarre pietre… A causa del continuo lavoro fisico e della scarsezza di cibo, si mantengono nel corpo forti e vigorosi. In queste fatiche hanno le donne come aiuto, abituate a lavorare nel medesimo modo degli uomini. Vivendo di conseguenza sulle montagne coperte di neve ed essendo soliti affrontare dislivelli incredibili sono forti e muscolosi nei corpi… Trascorrono la notte nei campi, raramente in qualche semplice podere o capanna, più spesso in cavità della roccia o in caverne naturali… Generalmente le donne di questi luoghi sono forti come gli uomini e questi come le belve… Essi sono coraggiosi e nobili non solo in guerra, ma anche in quelle condizioni della vita non scevre di pericolo” Diodoro Siculo IV, 20,1,2.
 

Per concludere, come si può vedere ci accomunano ancora dopo duemila anni parecchie cose con i nostri antenati...Si vede che buon sangue non mente...

Il porto millenario più rinomato di tutta la Garfagnana....si avete capito bene...il porto...

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La Garfagnana e il suo porto...Come direte voi il suo porto !? Si avete capito bene, il suo porto.Non mi mi sono bevuto il
Il traghetto a Ponte all'Ania
cervello,certamente la Garfagnana non è famosa per le spiagge e per arrivare al mare ci vuole almeno un oretta, e allora cosa si vuole intendere? Ebbene,spieghiamoci.E' dall' anno mille che si hanno le prime notizie di traghetti (
non immaginiamoci naturalmente i traghetti della Moby Lines per andare in Sardegna o all'Elba, ma delle semplici barche o chiatte di legno) atti all'attraversamento del Serchio (la cui rotta lineare era tenuta  da due corde legate a dei pali posti sulle due sponde)  e sono stati addirittura in uso fino  al secolo scorso (1920 circa) e servivano appunto per far attraversare da una sponda all'altra persone,cose ed animali.I ponti sul Serchio erano ancora una lontanissima chimera, non esisteva il ponte di Gallicano, ne quello di Campia, ne a Castelnuovo e così via e poi tanto per farci un idea non pensiamo alla portata d'acqua attuale del fiume, ma pensiamo ad una portata ben maggiore,l'acqua toccava le due rive tranquillamente e la sua profondità era superiore a quella di adesso,naturalmente a monte non c'erano le dighe e quindi il Serchio era un unico ininterrotto fiume. Lungo le sue rive  quindi c'erano questi "porti" o degli imbarcadero tanto per intendersi in piena regola,con il suo molo per far scendere e salire le persone e le cose sulle imbarcazioni.Fra i più conosciuti c'erano quello di Ponte all'Ania e di Borgo a Mozzano, ma il più rinomato e strategicamente importante era quello di Gallicano, e dove si trovava secondo voi? Non si poteva trovare in altro posto se non in quella località che oggi è conosciuta come"La Barca" (come detto nei post in precedenza i nomi non nascono mai a caso).Il suo servizio di traghetto ha una storia millenaria, era in funzione infatti già dal Medioevo e questo porto acquistò importanza con il passar dei secoli perchè si trovò ad essere il porto di collegamento per  tre stati.Era di fatto sulla congiunzione dello stato di Lucca (Gallicano) Modena (Castelnuovo) e Firenze (Barga) sull'altra sponda.Frequente era lo scambio di merci, tanto da formarvisi un grosso giro di affari.Per i commercianti dei tre stati era il porto di eccellenza. Ho tratto dal sito Bargarchivio questo particolare di questa bellissima mappa (in fotografia qui sotto) del XV secolo (una mappa da consultare con curiosità,possiamo vedere il torrente Corsonna che si butta nel Serchio, o l'antica fabbrica di remi in località Arsenale)che evidenzia (cerchiato in rosso) il traghetto in questione situato in località "La Barca" dove appunto faceva sede la cosiddetta "Barca di stato di Lucca", il servizio chiaramente non era 

gratuito, in quel tempo il ricavato andava allo stato (tanto per cambiare), con il tempo il servizio passò poi ai privati.Il personaggio principale di questo servizio era sicuramente il traghettatore e per chiudere questo è quello che si raccontava di lui...Uno degli ultimi traghettatori garfagnini

Com'è oggi la località "La Barca"
"Il traghettatore aveva con se un vecchio cane e nella sua baracca in riva al Serchio aveva un piccolo orto con malandate verdure.L'estate la baracca si riempiva d'insetti per colpa del fiume, ma il traghettatore non si poteva allontanare, era agosto arrivavano i forestieri...Andava e veniva da sponda a sponda,le sue braccia mi parean dure come il legno dei suoi remi...Nell'attesa dei clienti il traghettatore pescava e fumava e poi fumava e pescava."

29 agosto 1944.Settant'anni fa la controversa battaglia del Monte Rovaio.Una brutta storia fatta di morte e (presunti) tradimenti

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Il Monte Rovaio
 al centro della foto
Questi erano i giorni della battaglia del Monte Rovaio (nel comune di Molozzana, ai piedi della Pania).Ricorrevano i settant'anni esatti alcuni giorni fa, il 29 agosto per precisione.Questa battaglia della II guerra mondiale è fra le più famose della Garfagnana insieme a quella di Sommocolonia e anche altre; devo dire però la sincera verità, scrivo malvolentieri  questo articolo, con una certa riluttanza perchè questa battaglia anche se non è in assoluto la più famosa e sicuramente in assoluto la più controversa.Più versioni sono state dette e scritte su questa battaglia, personalmente ho anche conosciuto chi ha partecipato a questo scontro fra partigiani locali del Gruppo Valanga e l'esercito tedesco e provare a farsi raccontare di questo fatto era come farsi raccontare del diavolo in persona,l'interessato da me surclassato di domande cambiava umore e si trincerava dietro il mutismo più assoluto.Tutto nasceva infatti da alcune testimonianze incrociate sull'andamento della battaglia, si parlava di alcuni "volponi" (così detti all'epoca) facenti parte del Gruppo Valanga che essendo rimasti ai piedi del Monte Rovaio non salirono sulla sua cresta meglio detta "Il colle del Gesù" a combattere con i compagni,ma anzi trovarono il modo di allontanarsi e sfuggire al combattimento,l'altro motivo parla di alcune discordanti opinioni proprio nelle ore precedenti la battaglia sempre all'interno della formazione partigiana,il quesito era appunto se era il caso di sottrarsi o meno allo scontro con la soverchiante potenza tedesca (e in caso di battaglia andare incontro alla morte quasi certa) o far rischiare in caso di ritirata la pelle alla popolazione (la ritorsione contro i civili sarebbe avvenuta sicuramente).Quindi, capirete come
Partigiani in azione
fare a scrivere di questa battaglia? Il pensiero che mi attanaglia è: avrò detto le cose giuste? Avrò offeso la sensibilità di qualcuno? Ma poi ho pensato fra me e me  che è sempre meglio raccontare che nascondere  e allora però concedetemi un escamotage e in un certo qual modo faccio come Ponzio Pilato (me ne lavo le mani e piedi) e mi affido fedelmente alla bella ricostruzione che fa di quel 29 agosto 1944 l'Istituto Storico della Resistenza della provincia di Lucca (fonte più autorevole e appropriata di questa...):

"Sono le 23 del 27 agosto 1944,di sentinella,,è Tarzan, nome di battaglia di Gualtiero Montanari, partigiano emiliano del gruppo Valanga.Tarzan sente rumore di passi lungo un sentiero che da Col di Favilla porta all’Alpe di Sant’Antonio: intima l’altolà e chiede la parola d’ordine. Gli viene risposto in un italiano stentato.Tarzan capisce di avere di fronte una pattuglia nemica in avanscoperta e spara con il suo Sten,al buio. Un ufficiale tedesco, Rolf Bachmann, viene ucciso, gli altri fuggono.I partigiani sanno da giorni di essere stati localizzati dai tedeschi.Dopo l’episodio della sera precedente, i partigiani del gruppo Valanga non sanno bene cosa fare. Tra l’altro, il comandante Leandro Puccetti e il suo vice Mario De Maria non sono al campo. Abbandonare la posizione? Rimanere lì e organizzarsi in vista della sicura reazione nemica? Cresce anche la preoccupazione che i tedeschi, in caso di loro fuga, possano prendersela con la popolazione civile. Nel tardo pomeriggio rientrano Puccetti e De Maria. La decisione è presa: si rimane lì. Gli abitanti dei dintorni no, loro fuggono
Artiglieria tedesca nell'agosto'44 in Garfagnana
nascondendosi in paesi vicini o in grotte.La sera la tensione è palpabile, l’attacco tedesco potrebbe scattare da un momento all’altro.Sono le 3 del 29 agosto 1944.I partigiani del Valanga hanno approntato le loro postazioni difensive sul monte Rovaio.I tedeschi giungono da nord, dalla valle della Turrite Secca, e da sud, da Piglionico. Con loro anche italiani della Guardia Nazionale Repubblicana. Il loro numero è imprecisato: alcune centinaia di soldati, probabilmente, ma c’è chi dice addirittura duemila.Alle 3.30 inizia la battaglia.
Poco prima dell’alba i partigiani sono tutti in postazione sulla cresta del Rovaio (n.d,r: Colle del Gesù). Ma sono in difficoltà. Alle 9 i tedeschi iniziano a risalire sul Rovaio e ad avanzare verso il centro della cresta.I partigiani non hanno scelta: alle 10 Puccetti ordina “il si salvi chi può” e di sganciarsi per gruppi verso il bosco sottostante, cercando di sfondare l’accerchiamento buttandosi in un canalone con un salto. Ma, così facendo, si espongono al fuoco nemico. E tanti vengono colpiti, alcuni in maniera mortale.Non è ancora finita: chi non è riuscito a mettersi in salvo si nasconde nella boscaglia, mentre i tedeschi continuano ancora per ore a sparare, spesso a casaccio.Quanti uomini muoiono nel corso della battaglia? Non conosciamo il numero di perdite tedesche. Probabilmente nessuna. Conosciamo però il nome delle vittime partigiane e il numero, diciannove in tutto,(circa un terzo del gruppo)ricordati oggi nella chiesina del Piglionico.”
La chiesina del Piglionico che
commemora i caduti del Monte Rovaio

Fu questo l'episodio più sanguinoso e il combattimento più impegnativo sostenuto dai partigiani in Garfagnana. E il gruppo "Valanga"visse un momento di grande sbandamento.A fatica il già vice-comandante del gruppo Mario De Maria, riuscì a riunire a Vergemoli alcuni superstiti. Comunque il gruppo continuò ad esistere e ad operare.Una menzione particolare e un post interamente dedicato (che farò nei prossimi giorni) merita Leandro Puccetti comandante del Gruppo Valanga deceduto il 3 settembre '44 a soli 22 anni a causa delle ferite riportate in questa battaglia.Uno degli ultimi “idealisti”.

7 settembre 1920: il grande terremoto. I ricordi di chi visse quei terribili giorni...

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Solo la seconda guerra mondiale fu peggiore della  disgrazia che
Villa Collemandina 1920
colpì la Garfagnana il 7 settembre 1920.Alle ore 7:56 di una nefasta mattina una violentissima scossa di terremoto colpì la nostra terra.Il fato alcuni giorni or sono, proprio quello stesso giorno ci ha voluto ricordare l'anniversario nella stessa maniera di novantaquattro anni fa, un terremoto di modeste proporzioni a riportato alla memoria le storie dei nostri nonni di quel maledetto 7 settembre.Il terremoto del 1920 si ripercosse in tutto il centro nord fino a Milano, i sismografi dell'epoca segnalarono una scossa sismica di magnitudo 6.48, l'intensità all'epicentro (Villa Collemandina) fu del IX-X grado della scala Mercalli (per rendersi conto bene questo sisma fu ben superiore di quelli avvenuti pochi anni fa sia a L'Aquila che in Emilia).Ma quello che importa non sono i dati tecnici,quello che importava veramente era la tragedia umana che si era abbattuta
Castiglione Garfagnana prima e dopo
sulle teste dei garfagnini.I dati ufficiali parlavano di 171 morti e 650 feriti e migliaia di persone senza casa.La scossa avvenne in un momento della giornata nel quale le persone erano impegnate nel lavoro dei campi, era infatti abitudine dei contadini di alzarsi all'alba mentre nella case rimasero donne e bambini che furono le principali vittime.Il tutto però incominciò il giorno prima, il 6 settembre, alle 16:25 una scossa del sesto grado Mercalli e una alle 22:30 del quarto grado Mercalli preparavano il viatico al grande terremoto della mattina seguente.Molte persone si salvarono perchè  decisero di dormire all'addiaccio. Ma come ben sapete la storia la fanno i testimoni e allora leggiamo questo vecchio racconto di una signora di Castiglione Garfagnana che visse quei giorni:

Qualche giorno prima del 7 settembre 1920, c’erano state delle piccole scosse di terremoto e anche il 6 ve ne era stata un’altra un poco più forte che aveva fatto cadere i camini sui tetti. Mio nonno dopo quest’ultima scossa, disse a mia nonna: “Bimba, prepara le coperte per stanotte perché in casa non ci dormiamo. Quest’aria non mi convince e dormiremo fra i filari delle viti “. La nonna tentò di convincere il marito: dormire fuori, con i bimbi piccoli….e se qualcuno li avesse visti? Che vergogna! Li avrebbero presi per matti. Ma il nonno non si fece convincere e si prepararono per la nottata “al chiar di luna”. Stesero le coperte tra i filari e la notte trascorse tranquilla. Alle prime luci dell’alba, svelti svelti smontarono la loro “tendopoli” temendo di essere visti dai paesani che si recavano nei campi. Nonno e nonna e tutti e tre i figli si avviarono con le bestie nei campi e alla selva ma all’improvviso le mucche
Baracche terremotati a Fosciandora
cominciarono a muggire e scalciare, i castagni a muoversi il nonno gridava: “Buttatevi in terra!Buttatevi in terra !”. Il terreno si apriva e si richiudeva sotto i loro piedi e li faceva cadere a terra. Fu terribile e spaventoso. Finita la scossa, che sembrava interminabile, guardarono verso Villa Collemandina ma videro solo un gran polverone. Il paese non esisteva più. Nessuno della famiglia rimase ferito perché erano tutti fuori ma la casa era distrutta. Trovarono riparo, con tutti i superstiti del paese, in un capannotto che serviva da rimessa per le foglie delle bestie. Piovve per molti giorni, incessantemente.Venne anche allestito un ospedale da campo e arrivò persino la regina Margherita ma il dono più atteso arrivò dalla Francia. La zia Giorgina era “a balia” in Francia in casa di signori e, saputa la notizia tramite il giornale (cosa straordinaria visto che stiamo parlando del 1920), inviò a Pianacci un pacco. C’erano indumenti per il ripararsi dal freddo e una bella maglia bianca di lana con le trecce fatta ai ferri per mia mamma. Una vera novità perché all’epoca nessuno aveva mai visto un maglione, tanto meno sapeva lavorare con i ferri da maglia. Esistevano solo vestiti e corpetti di stoffa"

Ci possiamo immaginare il dopo terremoto...La ricostruzione fu lentissima, praticamente la Garfagnana era tagliata fuori da qualsiasi via di comunicazione importante e quindi difficilissima da raggiungere, gli aiuti tardarono ad arrivare.La fatica della ricostruzione pesò come un macigno sugli abitanti rientrati da poco tempo dai fronti della I guerra mondiale.L'esasperazione di disoccupati e senzatetto si scontrò con le preoccupazioni di un governo impensierito più che altro dalle forti tensioni sociali dell'epoca segnati da scioperi ed occupazione delle
I primi soccorsi in partenza
 dalla stazione di Castelnuovo
fabbriche...Come si può vedere gli anni e i secoli passano ma le brutte "abitudini" dei governanti rimangono... 

Ricomincia la scuola.Ma com'era la scuola alla fine degli anni 30 in Garfagnana? Usi e abitudini ormai persi nell'oblio del tempo...

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Proprio ieri è cominciato un nuovo anno scolastico,quante emozioni i miei primi giorni di scuola,le solite emozioni che rivedo negli
Vecchia scolaresca verso la metà degli anni 40
la terza da destra è la mia mamma
occhi della mia bimba che fa la terza elementare ( a me piace chiamarle ancora elementari ...non primarie) e le solite emozioni che sicuramente vedevano i nostri genitori in noi.Le sensazioni e i sentimenti erano i medesimi ma la scuola è cambiata...altro che se è cambiata! La società si è evoluta (forse...), le esigenze sono aumentate, insomma i tempi sono mutati e allora per fare un raffronto con oggi scopriamo com'era la scuola alla fine degli anni '30 del '900 in Garfagnana (nello specifico a Gallicano) nei ricordi di quella che allora era una bambina:Maria Valentini nata nel lontano 1925.

"Si, i bambini da sei a dodici anni, andavano alle scuole elementari, mentre alcuni dei più piccini erano accolti dalle suore.L'edificio delle elementari era bello ampio moderno, con tante aule ed un imponente Aula Magna dove ci si raccoglieva per le grandi occasioni.Ogni aula aveva tre file di banchi biposto,occupati tutti da ragazzetti mal vestiti, ma tutti con il loro grembiuletto.Nero o bianco le femmine, a discrezione delle maestre,mentre i maschietti unicamente di color nero.Tutti gli scolari portavano sul grembiule delle striscioline bianche o azzurre, indicanti a seconda del numero la classe di appartenenza.Nei primi banchi sedevano gli scolari più bravi e puliti, e via via sempre tutti gli altri in ordine decrescente di...merito, fino all'ultimo banco dove sedevano gli "zucconi".La maestra sedeva su una cattedra, posta sulla pedana con due o tre scalini e da lassù dominava la situazione e teneva tutti sotto controllo con l'immancabile bacchetta tanto lunga da arrivare fino al Polo Nord della grande carta geografica appesa alla parete.L'orario scolastico era diviso fra le tre ore del mattino e le due del
Testi di scuola di epoca fascista
pomeriggio,con tempo ridotto alle sole ore della mattinata del sabato.Ogni classe era composta da 36- 40 alunni divisi per sesso.Il programma era ben nutrito e seguiva fasi progressive.In prima si scriveva con il lapis pagine intere di aste, quadratini e cerchietti, lettere corsive ripetute fino ad acquisire una perfetta destrezza con le tre righe.La lettura era sillabica e ripetitiva. Il passaggio dal lapis alla penna era sempre traumatico perchè ci si macchiava le mani con l'inchiostro,si spuntavano i pennini,si sbavava la scrittura se non si adoperava bene la carta assorbente.C'era poi il problema delle macchie sui quaderni e il calamaio aveva sempre un equilibrio precario sul banchino.I quaderni erano divisi in "bella" e "brutta", mentre i secondi si riportavano a casa i primi erano ben custoditi nell'armadietto della maestra.Il quaderno con la foderina blu di carta oleata era quello del dettato, mentre quello dei temi era di carta rossa e tutti portavano la scritta "Galanti Aladino,Merceria Cartoleria Gallicano".Tutti i giorni si faceva il dettato, il tema e il problema mentre nel pomeriggio il disegno,la lettura e si ricopiava in bella scrittura dieci dodici volte una frase. Il corredo scolastico era composta in una cartella di fibra o in un sacchetto di tela con dentro i quaderni, i libri, l'astuccio con i pennini, il lapis ed il nettapenne (n.d.r:
 pezzetto di panno sovrapposto e cucito insieme dove si asciugava il pennino bagnato d'inchiostro) confezionato dalla mamma.In inverno ci portavamo a scuola anche un
I quaderni dell'epoca...
pezzetto di legno per attizzare la stufa, mentre la maestra teneva sotto la cattedra lo scaldino tiepido.Quando era troppo freddo ci faceva alzare in piedi e ritmare un tempo con le mani e con i piedi per riattivare la circolazione. A volte andavamo in Aula Magna ad ascoltare la "Radio per le scuole" che trasmetteva fiabe, quiz di storia o geografia e letture di romanzi come i "Promessi Sposi" o "Cuore". I momenti più importanti erano sicuramente l'esame di terza elementare dove si sgobbava veramente alle prese con l'italiano, la matematica, la storia e così via.Non parliamo poi dell'esame di ammissione alle scuole superiori da sostenersi a Castelnuovo, Barga o a Lucca dove veniva fatta una severa scelta destinata a pochi fortunati.Per tutti gli altri la fatica scolastica terminava con l'esame di quinta elementare vero e proprio esame di maturità perchè poi si apriva il mondo del lavoro.Per le ragazzine il grembiule della scuola era spesso sostituito  dalla grembiule di lavoro della Cantoni (n.d.r: Cucirini Cantoni Coats:fabbrica di filati)dove a quattordici anni entravano come operaie  a turni di otto ore a cottimi sfibranti.Questo era il mondo della scuola, nel quale tutti
la carta geografica dell' Abissinia
si aspirava  a fregiarsi della fascia di capoclasse almeno una volta, dove si mettevano sulla carta geografica dell'Abissinia le bandierine che segnavano l'avanzata della conquista durante la guerra in A.O.I (n.d.r: acronimo di Africa orientale italiana,
denominazione ufficiale dell'impero coloniale italiano,proclamato da Benito Mussolini)" Il brano di Maria è tratto dal libro "Stasera venite a vejo Tere"
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