Le cronache di questo ultimo triste viaggio hanno una data e un'ora
ben precise. Erano le 14:30 del 7 aprile 1908. Fu proprio in quel nefasto giorno che Giovanni Pascoli fu operato da quel funesto male che aveva allo stomaco. Proprio in quell'anno comparvero per la prima volta i segni della malattia da lui definita "solito incomodo" e che lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni. Il tutto lo si apprende dalle agende annuali saltuariamente scritte dal poeta, ma è dalla penna della sorella Mariù che il quadro dei fatti si rende nitido, il racconto è come un album di fotografie che permette di capire in pieno la relazione affettiva della sorella verso il fratello, in una girondola di emozioni fatta di turbamenti, preoccupazioni e speranze. Infatti è proprio nelle lettere che Mariù scriveva alla cara domestica Attilia Caproni (figlia del celebre Zi Meo)che tutto compare chiaro ed ineluttabile: "Carissima Attilia, non so se glielo abbia detto il suo cuore. Ieri 7 aprile alle ore 14 e mezza, Giovannino è stato operato di quel disturbo che le accennai, e che vide anche il dottor Caproni. Era cosa più grave di quello che non si credeva. L’operazione è stata dolorosissima tanto da far uscire dalla bocca di Giovannino qualche alto gemito disperato. Io non le so dire di me. Ero in un’altra stanza con Gulì e nel sentire la voce di dolorosa di Giovannino ero diventata come una furia. Gulì abbaiava disperatamente. Che brutto e triste momento! Non me lo posso levare dalla mente! Hanno preso parte all’operazione tre bravissimi dottori. Ed ora, or l’uno or l’altro se lo curano con un amore indicibile". Era dunque era il 7 aprile 1908 alle 14:30 quando fu operato a Bologna dal professor Bartolo Nigrisoli e la malattia si mostrò più grave del previsto. Fra questi "bravissimi dottori"menzionati da Mariù c'erano il fior fiore dei medici italiani, il suddetto professor Bartolo Nigrisoli, un luminare nel campo della chirurgia, amico del Pascoli conosciuto ai tempi dell'Università di Bologna, il professor Severino Bianchini, romagnolo, anch'esso amico fin dalla giovinezza e direttore dell'ospedale di Lucca, importante fu anche l'apporto dato da Antonio Ceci, professore alla cattedra di chirurgia dell'Università di Pisa, fondamentali furono anche le cure del suo medico Alfredo Caproni. Nonostante l'operazione e gli esimi dottori, le cose purtroppo non migliorarono, turbe digestive su base epatica insorsero nuovamente dal 1910 e proprio il dottor Bianchini sottolineava questo peggioramento: "Da qualche mese era cominciato un vago malessere, accompagnato a stanchezza, svogliatezza di cibo, senso di inquietudine generale, lento decadere di forze, dimagrimento". Insomma, fra alti e bassi il tempo trascorreva e il male cui affliggeva il Pascoli non presentava più alcun dubbio: neoplasma maligno allo stomaco con metastasi al fegato che già presentava evidenti segni di cirrosi. Questo lo avevano capito bene il buon dottor Caproni e il già menzionato professor Bianchini che nascosero l'evidente gravità a Mariù e allo stesso Giovanni. A peggiorare la situazione ci si mise anche l'ineffabile destino che a volte, anzi direi spesso, si diverte a tracciare strani disegni. Difatti il fedele cagnolino Gulì stava per spegnersi. Era il gennaio 1912 e nel frattempo si stava anche preparando il trasferimento di Giovanni Pascoli a Bologna, in questo modo sarebbe stato agevolmente e maggiormente curato, ma i due fratelli Mariù e Giovanni non ne volevano di sapere di lasciare il povero Gulì morente e si decise così di rinviare qualsiasi viaggio. Tanto è vero che anche il povero cane sembrava avesse avuto il presentimento della
malattia che aveva colpito il suo padrone, rimaneva il fatto che anche per lui, come per il suo amato Giovanni erano riservate cure amorevoli. Purtroppo però arrivarono anche i suoi ultimi giorni. Oramai respirava affannosamente, rifiutava ogni cibo, le forze cominciarono a calare di giorno in giorno, quando il 21 gennaio 1912 alle ore 21:45 Gulì morì. Ora, a questo punto, si doveva pensare solo ed esclusivamente alla compromessa salute del poeta. Arrivarono così anche i primi del febbraio 1912 e il Caproni scrisse al professor Bianchini:"In pochissimo tempo era decaduto. Nel silenzio dei fenomeni si era ordita la malattia insidiosa che, sorta nello stomaco, andava diffondendosi al fegato … Una visita brevissima bastò a rendermi conto della situazione tragica …". La notizia e la preoccupazione ben presto si diffuse in tutto il Regno d'Italia, a Castelvecchio giunse una comunicazione a Mariù di Gabriele D'annunzio:"Leggo stamane cose che mi rendono inquieto. Prego telegrafarmi assicurandomi. Dica a Giovanni che gli sono vicino. Lo abbracci per me". Perfino la Regina Madre Margherita di Savoia s'interessò alla sua salute. Ormai, davanti all'evidenza deifatti non rimaneva che organizzare quell'ultimo viaggio tante volte rinviato. Saranno così gli amici più cari a chiedere alle più alte cariche dello Stato un treno speciale che raggiungesse la Valle del Serchio per portare a Bologna il povero malato. Fu il senatore ed ex ministro della Pubblica Istruzione Luigi Rava ad interessarsi personalmente delle cose. Ad ogni modo bisognava ancora decidere la stazione ferroviaria in cui far fermare il treno speciale. La linea ferroviaria Lucca- Aulla era stata inaugurata l'anno precedente, le stazioni erano nuovissime e il comune di Barga, dove Giovanni Pascoli era residente, nella nuova tratta ne aveva ben quattro
(Castelvecchio, Barga- Gallicano, Fornaci di Barga e Ponte all'Ania), nonostante ciò fu scelto come luogo di fermata un umile casello ferroviario. Per i pochi che non sanno cosa sia un casello è necessario evidenziare che questa struttura non è altro che una casa cantoniera ferroviaria, al cui interno abita e lavora un casellante adibito alla manutenzione e al controllo di quel tratto di linea. Comunque sia fu appunto scelto "il casello del Salice", così chiamato perchè nelle sue vicinanze albergava questa maestosa pianta. La casupola si trovava in località Piezza, nel comune di Gallicano a qualche centinaio di metri da quel "Ritrovo del Platano", l'amata osteria in cui il poeta passava parte delle sue giornate. Questa ambigua decisione rimase però a molti assai strana... Perchè non aver scelto una comoda stazione che poteva essere raggiunta facilmente?
Alcuni misero in evidenza il fatto che questa scelta fatta servì per evitare un grande assembramento di folla che avrebbe potuto stancare ed emozionare troppo l'ammalato. Altri ancora portarono avanti motivazioni di risentimento politico da ricercare nelle elezioni parziali per il consiglio comunale di Barga del 1905: "... la stima e quasi la gratitudine dei barghigiani per il Pascoli non diminuiscono: ne sono la prova le elezioni parziali per il consiglio comunale di Barga Il poeta è messo in testa alla lista unica dei tre candidati concordati tra "la crema" e "il popolo" e proposti nella seconda metà di giugno; nel luglio compare nei giornali di Barga la sua accettazione, ripromettendosi egli giovane all'istruzione scolastica del Comune; e il 3 settembre votano 432 barghigiani su 1005, il poeta ottiene ben 428 voti... Ma, nuovo motivo di doloroso dispetto, il giorno dopo viene annullata l'elezione, perchè il Pascoli era, come si diceva, "forestiero", cioè non iscritto nelle liste del Comune. "Ci rimasi male", e ci fu chi, nei giornali locali volle sentirci "una rappresaglia" della massoneria, sia per il suo orientamento nazionalista, sia per il recente discorso su la Messa d'oro. Ma egli non fece che lievi proteste...". In sostanza il Pascoli risultava ineleggibile nonostante la cittadinanza onoraria di Barga e rimase in silenzio fino al giorno dopo le elezioni amministrative del 1907, quando rinunciò proprio a quella cittadinanza onoraria avuta nel 1897. Era il 30 luglio 1907 e il poeta scriveva questa dura lettera al Sindaco barghigiano: "Due anni sono, quasi tutti i voti, quest'anno nessuno ... E perciò sebbene creda di non meritare questo spregio e quindi non me ne curi, non si turbi la S.V Ill.ma se anche per mia parte respingo e rinunzio quella cittadinanza d'onore...; gli elettori hanno tacitamente ma chiaramente detto che nessun onore Barga riceve da me e che nessun onore merito da lei. Sia. Resto contribuente". Per quattro anni, in una sorta di (auto) esilio, non entrò più nella cittadina. Vi tornerà nel 1911 per fare un vero e proprio comizio in occasione dell'annullamento delle elezioni provinciali a Barga e Coreglia. In sostanza si può dire che qualcuno vide la decisione della partenza dal casello del Salice come un'idea di non dare lustro ed onore di quell'ultimo viaggio (che oramai anche lui sapeva di fare) a quel comune che lo aveva politicamente respinto. Ad ogni modo arrivò anche il fatidico giorno: "E’ definitivamente stabilito che il treno speciale a disposizione dell’Illustre Professore giungerà domani alle ore 11,52e ne ripartirà per Lucca alle 11,57, dove giungerà alle ore 13 precise. Facciamo i voti migliori, perche’ le speranze nostre e di tutto il Paese, di una rapida guarigione siano esauditi”. Il telegramma arrivò il 16 febbraio del 1912 ad Alfredo Caselli, un caro amico del professore, a mandarlo fu un funzionario delle Regie Ferrovie. Gli abitanti di Piezza e del Ponte di Campia si misero subito a lavoro per rendere all'amico Giovanni la strada per il casello praticabile e comoda, difatti nel corso di quella notte fu colmato un ripido dislivello proprio per consentire il passaggio del poeta. Il giorno della partenza e di quell'ultimo viaggio arrivò, in quel 17 febbraio 1912. Il paziente lasciò in tutta fretta la Garfagnana, la Valle del Serchio e la sua amata Castelvecchio: "Poi salì sul treno con Maria e i due medici appena dentro nel saloncino per malati ebbe un lampo quasi gioioso, di quella sua gioia che sembrava infantile nel vedere quella vettura quasi camera da letto. A Lucca salì a salutare e a portare i soliti piccoli doni il Caselli; il viaggio fu compiuto senza disagio; verso le 18 si arrivò a Bologna (erano alla stazione alcune delle autorità bolognesi, lo Zanichelli, studenti) e poi la casa in via dell’Osservanza”. Il poeta morì a 57 anni, poco dopo, il 6 aprile del 1912. Ad onorare l’ultimo viaggio del poeta lagente di Gallicano ci pensò subito. E infatti nel settembre del 1912 un comitato pubblico depose una lapide in Piezza, ad opera dello scultore lucchese Francesco Petroni che nelle parole di Italo Pierotti così dice: “Qui Giovanni Pascoli, il 17 febbraio del 1912, giorno tristissimo per se e per la patria, piangendo dette l’ultimo lampo dei suoi occhi, l'ultimo sogno del suo cuore alla valle dei buoni e degli umili, che dopo averla amata, immortalò. Il popolo di Gallicano”.
ben precise. Erano le 14:30 del 7 aprile 1908. Fu proprio in quel nefasto giorno che Giovanni Pascoli fu operato da quel funesto male che aveva allo stomaco. Proprio in quell'anno comparvero per la prima volta i segni della malattia da lui definita "solito incomodo" e che lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni. Il tutto lo si apprende dalle agende annuali saltuariamente scritte dal poeta, ma è dalla penna della sorella Mariù che il quadro dei fatti si rende nitido, il racconto è come un album di fotografie che permette di capire in pieno la relazione affettiva della sorella verso il fratello, in una girondola di emozioni fatta di turbamenti, preoccupazioni e speranze. Infatti è proprio nelle lettere che Mariù scriveva alla cara domestica Attilia Caproni (figlia del celebre Zi Meo)che tutto compare chiaro ed ineluttabile: "Carissima Attilia, non so se glielo abbia detto il suo cuore. Ieri 7 aprile alle ore 14 e mezza, Giovannino è stato operato di quel disturbo che le accennai, e che vide anche il dottor Caproni. Era cosa più grave di quello che non si credeva. L’operazione è stata dolorosissima tanto da far uscire dalla bocca di Giovannino qualche alto gemito disperato. Io non le so dire di me. Ero in un’altra stanza con Gulì e nel sentire la voce di dolorosa di Giovannino ero diventata come una furia. Gulì abbaiava disperatamente. Che brutto e triste momento! Non me lo posso levare dalla mente! Hanno preso parte all’operazione tre bravissimi dottori. Ed ora, or l’uno or l’altro se lo curano con un amore indicibile". Era dunque era il 7 aprile 1908 alle 14:30 quando fu operato a Bologna dal professor Bartolo Nigrisoli e la malattia si mostrò più grave del previsto. Fra questi "bravissimi dottori"menzionati da Mariù c'erano il fior fiore dei medici italiani, il suddetto professor Bartolo Nigrisoli, un luminare nel campo della chirurgia, amico del Pascoli conosciuto ai tempi dell'Università di Bologna, il professor Severino Bianchini, romagnolo, anch'esso amico fin dalla giovinezza e direttore dell'ospedale di Lucca, importante fu anche l'apporto dato da Antonio Ceci, professore alla cattedra di chirurgia dell'Università di Pisa, fondamentali furono anche le cure del suo medico Alfredo Caproni. Nonostante l'operazione e gli esimi dottori, le cose purtroppo non migliorarono, turbe digestive su base epatica insorsero nuovamente dal 1910 e proprio il dottor Bianchini sottolineava questo peggioramento: "Da qualche mese era cominciato un vago malessere, accompagnato a stanchezza, svogliatezza di cibo, senso di inquietudine generale, lento decadere di forze, dimagrimento". Insomma, fra alti e bassi il tempo trascorreva e il male cui affliggeva il Pascoli non presentava più alcun dubbio: neoplasma maligno allo stomaco con metastasi al fegato che già presentava evidenti segni di cirrosi. Questo lo avevano capito bene il buon dottor Caproni e il già menzionato professor Bianchini che nascosero l'evidente gravità a Mariù e allo stesso Giovanni. A peggiorare la situazione ci si mise anche l'ineffabile destino che a volte, anzi direi spesso, si diverte a tracciare strani disegni. Difatti il fedele cagnolino Gulì stava per spegnersi. Era il gennaio 1912 e nel frattempo si stava anche preparando il trasferimento di Giovanni Pascoli a Bologna, in questo modo sarebbe stato agevolmente e maggiormente curato, ma i due fratelli Mariù e Giovanni non ne volevano di sapere di lasciare il povero Gulì morente e si decise così di rinviare qualsiasi viaggio. Tanto è vero che anche il povero cane sembrava avesse avuto il presentimento della
Gulì |
la nuova stazione di Castelvecchio |
Il casello del Salice oggi |
Fonti e bibliografia
- "Lungo la vita di Giovanni Pascoli" Maria Pascoli, Arnoldo Mondadori editore, 1961, memorie curate ed integrate da Augusto Vicinelli
- "Giovanni Pascoli Tutto il racconto di una vita tormentata di un grande poeta" di Gian Luigi Ruggio, Simonelli editore, anno 1998
- "Il cipresso e la vite" di Lorenzo Viani, Vallecchi editore 1943
- "Giovanni Pascoli il nostro poeta. Intervista a Umberto Sereni" Barganews archives https://www.barganews.com/2012/08/20/giovanni-pascoli-il-nostro-poeta-intervista-a-umberto-sereni/
- "Poesia di Luigi Sorrentino- il primo blog della Rai dedicato alla poesia"- Pascoli l'ultimo viaggio del poeta- pubblicato 17 febbraio 2012
- "Giovanni Pascoli e la malattia. Tra biografia e scienza medica" della Professoressa Patrizia Fughelli Dipartimento Scienze mediche e chirurgiche Università di Bologna (https://centri.unibo.it/centro-camporesi/it/dna-di-nulla-accademia/patrizia-fughelli-giovanni-pascoli-malattia-biografia-scienza-medica-1#:~:text=La%20malattia%20fu%20da%20lui,ma%20che%20tutto%20andr%C3%A0%20bene.)