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Gli animali d'allevamento e il contadino garfagnino, storia di un legame millenario

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"Grandezza e progresso morale di una nazione si possono giudicare dal
modo in cui si tratta gli animali
", così diceva Mahatma Gandhi. Gli animali domestici sono oggi parte integrante delle nostre famiglie. Per molti di noi, sarebbe difficile immaginare la vita senza di loro. Rispettati, coccolati e fin troppo umanizzati. Una volta però si badava meno al sottile e nella cultura contadina l'animale, soprattutto quello d'allevamento, era amato e principalmente rispettato per un semplice motivo, era una delle fonti principali di mantenimento per l'intera famiglia. In quei lontani tempi questi animali venivano infatti chiamati  
"animali da sostentamento" per il semplice motivo che servivano proprio al sostegno della famiglia. Oggi la legge li definisce però in maniera molto più cinica "animali da reddito": "DL 26 marzo 2001, n. 146 , gli animali da reddito sono rappresentati da “qualsiasi animale, inclusi pesci, rettili e anfibi, allevato o custodito per la produzione di derrate alimentari, lana, pelli, pellicce o per altri scopi”. La definizione di questo sarebbe poco importata ai contadini garfagnini di quel tempo, quello che contava era allevare in maniera sana i propri animali, importanti e fondamentali nell'economia rurale della Garfagnana. Guardiamo allora com'era il profondo rapporto fra i garfagnini e i propri animali. Partiamo dal lontano medioevo quando l'animale era si rispettato, ma nel contesto e nella mentalità di mille anni fa. Tutto infatti si concentrava su una "brutta" parola: "antropocentrismo", che è quella teoria che affermava che l'uomo era al centro dell'universo e sotto di lui la natura, sia nella forma animale che vegetale. Grande ispiratore di questa dottrina era l'imperatore del Sacro Romano Impero, Federico II detto "Stupor Mundi" (meraviglia del mondo). Secondo lui sulla Terra esisteva un preciso ordine gerarchico, tutto era sottoposto alla volontà Divina, e a lui, proprio come
Federico II
rappresentante di Dio, tutti gli esseri viventi dovevano dare osservanza ed ubbidienza. Questo valeva anche per gli animali, infatti, non stupiva quando faceva decapitare i suoi amati sparvieri, colpevoli di aver ucciso un'aquila, simbolo del suo Impero. In quest'ottica va quindi visto il rapporto che aveva la gente comune con gli animali e se è vero che tutti gli animali erano sottoposti all'uomo era altrettanto vero che nemmeno gli animali potevano essere considerati tutti sullo stesso piano. Al primo posto c'era infatti il cavallo. I
l cavallo rappresentava il più nobile tra tutti gli animali, perché “attraverso quello i principi, i magnati e i cavalieri potevano essere distinti dai minores”. Non stupisce, perciò, che i trattati relativi alla cura degli animali riguardino principalmente questo vero e proprio status symbol del tempo. Oltre al cavallo, venivano presi in considerazione prevalentemente gli animali il cui lavoro o la cui carne erano considerati necessari all’utile del genere umano: i buoi, indispensabili per il lavoro nei campi, le pecore, fondamentali per la produzione della lana, i rapaci, utilizzati dai nobili e dai sovrani nelle loro attività venatorie, i cani da caccia e da pastore, gli animali da cortile e i maiali. Naturalmente con l'andar dei secoli questa bislacca teoria andò scemando, quello che rimase però inalterato, a parte alcune variazioni, fu la scala gerarchica attribuita agli animali d'allevamento e questo era dovuto dal fatto che questi animali erano una vera e propria rendita familiare
. In Garfagnana tale graduatoria vedeva ai primi posti, buoi, mucche, maiali e pecore che rappresentavano una fonte di reddito irrinunciabile, in quanto, da tutti questi, ogni famiglia traeva dal loro allevamento i prodotti necessari per sopravvivere: il latte per i formaggi e il burro, le uova, la lana per gli indumenti invernali e ovviamente la carne. In (quasi)tutte le famiglie contadine della
Garfagnana esistevano in genere almeno una mucca e un bue, utilizzati per il reperimento di risorse alimentari e per il lavoro nei campi, a cui si affiancavano pecore, capre e maiali le cui carni conservate fornivano l’apporto proteico durante la brutta stagione, non mancavano nemmeno galline e oche. Com’è ovvio, le bestie più tutelate, per le quali valeva la pena di spendere i soldi per il veterinario erano i bovini 
che erano minacciati da diverse patologie più o meno gravi. Tra tutte, risultavano di gran lunga le più pericolose la tubercolosi, la mastite e le intossicazioni alimentari, spesso determinate dall’ingestione di piante velenose o dall’eccessiva ingestione di cibo. Le medicine, per gli animali come per gli uomini, comprendevano essenzialmente elementi vegetali. Venivano impiegate le stesse erbe utilizzate nell’alimentazione umana. Ai questi rimedi, si mescolavano anche pratiche magiche e popolari: per difendere le pecore dai serpenti, che spesso si nascondevano nelle stalle, si consigliava ad esempio di bruciare del legno e dei capelli di donna. Sennò si diceva anche che il sesso dei nascituri, poteva essere influenzato da un corretto e sapiente utilizzo degli elementi della natura: chi desiderava avere pecore di sesso maschile doveva porre il gregge contro vento, mentre i venti da sud erano fondamentali per la generazione delle femmine. C'era anche chi tra i contadini, sempre in questo campo, poteva avere una premonizione guardando la direzione presa dagli animali dopo il coito: se questi si fossero diretti a destra il piccolo sarebbe stato un maschio, se invece gli animali avessero imboccato la direzione sinistra avrebbero certamente generato una femmina. Non solo medicine naturali ed improbabili riti magici, a protezione degli animali i garfagnini rivolgevano le

proprie preghiere a Sant'Antonio Abate. Tanto è vero che affissa nelle stalle compariva spesso l'immagine del santo. Il 17 gennaio, giorno in cui si festeggia era consuetudine benedire gli animali
 che durante quella giornata venivano abbondantemente rifocillati e sottoposti ad un'accurata pulizia, non venivano impiegati nei trasporti, per il lavoro nei campi, macellati e neppure vegliati durante la notte, in quanto si diceva che acquistassero la parola e chiunque si fosse trovato ad ascoltarli sarebbe andato incontro alla morte... Insomma, a conferma dell'importanza di questi animali sono le nefande gesta che facevano nei loro confronti il "Buffardello" e gli altri esseri sovrannaturali che popolavano la Garfagnana. Sono molte le storie che coinvolgono queste bestie e queste entità dispettose che andavano proprio a colpire ciò che il contadino aveva di più caro. Si racconta infatti di quel contadino che trovava nella sua stalla le code delle mucche e i crini dei cavalli intrecciati e ancor meglio quei poveri marito e moglie che possedevano solo due vacche le quali una ingrassava a vista d'occhio, mentre l'altra deperiva quasi fino alla morte, ebbene si scoprì che il buffardello la notte toglieva il fieno dalla mangiatoia della vacca magra per darlo a quella grassa. Che dire poi di quell'altro spiritello chiamato il "Settescintille" che dava il meglio di sè, proprio sul fare del giorno, o meglio, quando era ancora buio e i pastori si apprestavano a portare i greggi al pascolo, appariva allora quel folletto sotto forma di stella luminosa a sette punte, pronto a spaventare il pastore e le povere pecore. Volteggiava, girava su se stesso per tutto il sentiero che portava al pascolo e poi improvvisamente s'inoltrava nei boschi creando ombre spaventose ed inquietanti, facendo assumere agli alberi forme spaventose. Alla fine dello "spettacolo" con tre balzi scompariva dentro una buca del Monte Tambura. Non disdegnava nemmeno entrare dentro le stalle per
mettere paura alle mucche: entrava e scompariva con un gran botto. Anche la Chiesa, nella cattolica e puritana Garfagnana di un tempo, faceva leva sulla salute e l'integrità degli animali d'allevamento, perchè tutti i buoni cristiani osservassero con diligenza tutti i precetti di Santa Romana Chiesa. A riguardo di ciò la storia che vi narrerò è tratta dal libro
 "Descrizione Istorica della Provincia della Garfagnana" di Sigismondo Bertacchi, i contorni della vicenda assumo il contesto di verità assoluta. Era infatti l'anno di Grazia 1612: "Dell'anno 1612, essendo una donna chiamata Caterina Mazzoni da Dalli, d'età d'anni 40 in circa, maritata in Antonio di Bernardino da Orzaglia, dal quale aveva avuto quattro figliuoli, e tal donna era poco osservante de SS. Precetti di Dio. Ella aveva il peccato della bestemmia e quello di non santificare le feste commandate, e per ordinario usare fare le sue bugate (n.d.r: il bucato) ne' giorni festive, et in essi andarle a lavare alla fonte. Avvenne che fattane una in giorno di Domenica, et andatala a lavare, secondo il suo uso, condusse seco alla fontana un paro de vacche, acciò esse mangiassero, mentre essa lavasse la bugata, e mentre ciò faceva, venne una folgore, overo saetta dal cielo, et ammazzò lei, senza che li vedesse nella sua vita male alcuno, e la spogliò nuda, come se fosse allora escita dal ventre della madre; e quella stessa saetta ammazzò anche una delle vacche. Il marito con il Clero andornò a condurre la donna alla sepoltura, il che fatto, condussero anche la vacca nella Terra. Qui ora nasce la maraviglia. La vacca fu
scorticata et aperto il suo ventre vi trovorno tutti i panni della donna, senza aver patito lesione alcuna".
In conclusione non rimane che dire che 
gli animali e i loro indispensabili prodotti sono fra i principali protagonisti di una volta,  che tracciano il profilo della vita quotidiana del mondo contadino garfagnino, in un’epoca trascorsa ma non del tutto perduta, la cui eco oggi, è giunta sino a noi.


Bibliografia

  • "Racconti e tradizioni popolari delle Alpi Apuane" di Paolo Fantozzi, edito da "Le Lettere", anno 2013
  • Sigismondo Bertacchi, “Descritione istorica della Provincia di Garfagnana” - 1629

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