Si viveva meglio nella Garfagnana di inizio secolo scorso o nella
Garfagnana del 2022? Era più longevo un contadino garfagnino o un operaio della valle del XXI secolo? Era preferibile abitare negli sperduti borghi di una volta o nei paesi di adesso? In definitiva si viveva meglio in passato? Vale sempre la regola del "bei mi tempi"? Non è facile rispondere a tutte queste domande, anche se, e ne sono convinto, se provassimo a viaggiare nel tempo alla scoperta della vita quotidiana di epoche e paesi diversi avremmo delle belle sorprese. Innanzitutto cominciamo con il dire che per fornire una risposta scientifica, storici e statistici preferiscono affidarsi ad alcuni indici che misurano la qualità della vita. Questi indicatori si basano su alcuni parametri confrontabili, di questi parametri ne esistono a decine, ma i più importanti riguardano la salute, la sanità, le condizioni del lavoro, la sicurezza, la giustizia e l'alfabetizzazione. Il periodo preso in esame per fare il raffronto con i giorni nostri è il XX secolo. Lo scorso secolo fu un epoca che segnò per sempre la storia dell'umanità, sia nel bene che nel male: due guerre mondiali, grandi innovazioni ed invenzioni, vaccini, antibiotici e così via. Guardando più nel particolare la nostra Nazione nel primo censimento del 1901 eravamo quasi 33 milioni di abitanti (oggi quasi 60milioni), questa popolazione di media campava circa 60 anni (oggi 81 l'uomo e 83 la donna) ed era formata dal 50,3% da uomini e dal 49,7% da donne. Questo dato deve far riflettere, poichè in tempi di benessere è statistico che le donne sono sempre più numerose degli uomini (visto che vivono di più) e la probabile causa della suddetta anomalia era dovuta alle cosiddette morti "post partum", infatti queste povere donne spesso morivano di parto e talvolta, la solita fine la faceva il bimbo che portavano in grembo. A conferma di questo è il numero mostruoso dei neonati decessi, circa 46 mila perivano al momento della nascita (o comunque perivano poco dopo), oggi sono "solo" 2084 i bambini che muoiono nei primi cinque anni di vita. A casa nostra (in Garfagnana), il primo dato che anche qui balza agli occhi è riferito al numero degli abitanti e se in Italia (come abbiamo appena letto) eravamo molti di meno, in Garfagnana (sempre in quel tempo) eravamo molti di più: ben 46.916, contro gli attuali quasi trentamila. La dimostrazione palese di questa dato era il numero dei componenti familiari, la media garfagnina fino agli anni '50 era fatta da sei persone (all'interno di essa non c'erano solo i figli, ma i nonni e le zie zitelle), lamedia attuale è invece di 2,3 persone. Di fronte a questi numeri penso che sia chiaro che l'attività principale era l'agricoltura: 8573 maschi e 3912 donne per un totale di 12.485 erano le persone impiegate "in qualità di contadini o coloni", da aggiungere a tutti questi, i piccoli proprietari che lavoravano direttamente il proprio terreno, sommando questo dato si può affermare che gli addetti all'agricoltura erano i due quinti dei residenti. Nell'industria, nei mestieri e nell'artigianato lavoravano 2416 uomini e 501 donne, numeri questi destinati a crescere dato che le cose cambieranno totalmente nel 1916, quando a Fornaci di Barga aprirà la Società Metallurgica Italiana, meglio conosciuta come S.M.I. Che dire allora? Stress e super lavoro sembrano le malattie dell'uomo moderno, ma siamo proprio così sicuri? Fino a qualche decina di anni fa (metà del 1900) una larga fetta di garfagnini era adibita ai pesanti lavori nelle campagne, sulle proprie spalle si sobbarcavano circa 11 ore al giorno di fatica per tutto l'anno, con rari momenti di festività. Nel cosiddetto "fabbricone" lo sforzo non era da meno, vigevano turni massacranti e senza regole. E quando oggi diciamo che andremo in pensione con una misera
Vecchia foto della S.M.I |
Bibliografia
- "Censimento della popolazione del Regno d'Italia" 10 febbraio 1901. Volume V. Direzione Generale di Statistica. Roma
- "15° Censimento generale della popolazione e delle abitazioni 2011" Ufficio stampa ISTAT
- "La Garfagnana" di Augusto Torre. Articolo pubblicato su "La Voce", 26 ottobre-2 novembre 1911