Doveva essere sicuramente tutto un altro vedere... Prima della comparsa dell'uomo l'aspetto del paesaggio dipendeva esclusivamente dalle forze della natura: terremoti,inondazioni, eruzioni vulcaniche, tornado. Mutamenti bruschi, repentini e immediatamente visibili. Altri cambiamenti avvenivano in maniera graduale, lenta, impercettibile come l'acqua che erode le rocce... Poi venne lui... l'uomo. I primi segni della sua presenza sul pianeta furono i sentieri, essi servivano agli uomini per spostarsi da un luogo ad un altro, a caccia di cibo e per sfuggire più velocemente ai pericoli. Il grande cambiamento epocale ci fu quando questo benedetto (o maledetto che sia...)uomo decise di non essere più nomade, stabilì così che quel determinato luogo avrebbe fatto al caso suo e li si sarebbe fermato. Fu da quel momento che la sua azione sul territorio fu sempre più evidente, iniziò a coltivare i campi e a tagliare gli alberi, modificando sostanzialmente tutto il paesaggio che aveva d'intorno, dando così inizio (diecimila anni or sono) a quella che gli storici chiamano "la prima rivoluzione agricola"(per distinguerla dalla seconda avvenuta nel 1700).Ecco, quel momento fu il cosiddetto punto di ritorno, con il passare dei millenni l'intervento dell'uomo sul pianeta Terra fu poco a poco sempre più invasivo. Anche le nostre Apuane hanno subito la stessa sorte, cambiamenti radicali sono avvenuti nel corso dei secoli, a partire dallo sfruttamento marmifero, per arrivare a quei cambiamenti più discreti, ma che in ogni caso hanno alterato il paesaggio originale. Questi piccoli interventi dell'uomo hanno comunque una storia e un perchè. Chi passeggia fra le nostre montagne quante volte si sarà imbattuto in quella stramba costruzione di pietre fatta a forma di piramide? Bene! Quello è un "ometto", e quante volte ci saremo domandati del perchè le nostre vette sono sormontate da quelle grandi croci? E sempre a proposito di vette, anche quel libro (dove apponiamo la nostra firma o un nostro pensiero) che è posto sulla cima di una montagna non è lì per caso... e quei cippi di pietra con strane iscrizioni che troviamo qua e là per i sentieri cosa saranno? Analizziamo allora questi piccoli ma grandi interventi che l'uomo hafatto sulle Apuane. La presenza delle croci sulle cime delle montagne (e nelle Apuane ce ne sono molte) fu uno degli argomenti più discussi fino a qualche tempo fa, si parlava infatti della possibilità che venissero rimosse, poichè coloro che portavano avanti questa tesi dicevano che "...la montagna non poteva essere usata come un palcoscenico per imporre aggressivamente convinzioni religiose...". E pensare che è una tradizione che parte da molto lontano, si ha documentazione che la prima croce (anzi le prime tre) furono installate nel 1492 sulla sommità del Monte Aiguille in Francia per ordine del re Carlo VIII. Vai a sapere però da quanto tempo queste croci erano presenti sulle montagne, d'altronde la religione esiste da tempo immemore e se per i cattolici una croce sulle sommità delle montagne ha da sempre significato la vicinanza a Dio, anche altre antiche credenze hanno stabilito che le montagne e Dio fossero un tutt'uno. Difatti i Greci sulla cima del Monte Olimpo avevano stabilito la residenza degli Dei e così è uguale per la mitologia indiana: l'Himalaya era la dimora di Shiva, importante figura mistica del luogo e per rimanere sempre in tema anche Dio scelse il monte Sinai per comunicare agli uomini le proprie leggi. Comunque sia il grande boom delle croci ci fu verso i primi anni del secolo scorso, a conferma di questo, la storia narra che la prima croce della Pania della Croce (scusate il gioco di parole) fu eretta il 19 agosto 1900. Nel tempo poi, la sorte e le intemperie fecero si che un fulmine la piegasse. Fu così, che dopo |
Inaugurazione 1956 |
anni dal giorno dall'infausto incidente fu eretta proprio (un altro) 19 agosto ma del 1956 la medesima croce che oggi vediamo svettare nei cieli garfagnini. Queste, naturalmente non erano le prime croci che li furono erette, già dal 1830 si ha notizia della loro presenza (erano però costruite in legno). Sempre ed a proposito di vette, anche lo stesso "libro di vetta" rientra un po' in questa sfera filosofica che coinvolge le croci stesse. Si ritiene infatti che lo scopo di questo libro sia di raccogliere a caldo le impressioni e i pensieri di chi è salito sulla cima, tutto ciò (a detta degli antropologi) rientra in un inconscio rituale e religioso, espressione primordiale che esiste in ogni essere umano di lasciare traccia di sè per i posteri. Il primo messaggio scritto lasciato su una cima di una montagna sarà stato tracciato sicuramente con un carboncino o con un graffito su una pietra. Ecco allora che in tempi molto più recenti con l'avvento della carta, apparì anche il primo foglietto scribacchiato, su questo foglietto si scrivevano le proprie generalità e la data d'ascensione, ma non solo, spesso in questi foglietti venivano trovati oltre che pensieri anche delle preghiere e ringraziamenti a Dio per essere arrivati sani e salvi sulla cima. Questi piccoli scritti venivano però lasciati sulle vette e posti sotto un sasso, con la speranza che fossero letti da qualche altro escursionista. Probabilmente l'idea di un libro di vetta nacque dall'episodio che coinvolse George Winkler,che a soli 17 anni salì sulla Torre Vajolet, era il 17 settembre 1887. Tutto questo venne rammentato ai posteri da un foglietto recuperato sotto un sasso, quando il povero ragazzo era già morto. Il giovane alpinista morì in montagna l'anno successivo e il suo corpo fu rinvenuto in un ghiacciaio 69 anni dopo (era il 1956). Proprio in memoria di quel tragico fatto, si decise di raccogliere pensieri e firme sulle varie imprese alpinistiche riferite al monte scalato, così quello che era un foglietto svolazzante ben presto si trasformò nel libro di vetta che oggi tutti conosciamo, inoltre per conservare e proteggere al meglio questi libri si pensò di realizzare un contenitore metallico dove al suo interno erano depositate matite e penne. Per arrivare a queste sospirate vette una buona mano la danno anche gli ometti... Quante volte per le Apuane (e naturalmente non solo qui) c'è capitato d'imbatterci almeno una volta in delle piccole montagnole di sassi? Sono loro gli "ometti di pietra", vere sentinelle dei sentieri di montagna. La loro funzione è quella di indicare la strada giusta nei passaggi dove perdersi rischierebbe di essere fin troppo semplice. Queste costruzioni di pietra a secco a forma di piramide è il più antico segno esistente sulle nostre montagne. La loro origine si perde nella notte dei tempi, già le popolazioni nomadi del neolitico usavano queste segnalazioni per segnare la strada di caccia, della guerra o del commercio. Quest'opera nelle montagne assume anche un valore pratico e simbolico altissimo, è il segno tangibile della cura di qualcuno nei confronti degli altri, si ha la certezza che altre persone sono passate da lì e che si sono prese il tempo per svolgere un servizio a favore di tutti. Infatti gli ometti non sono una prerogativa esclusivamente italiana, le possiamo trovare in tutto il mondo: in Francia si chiamano bonhomme, in Mongolia ovoo, in Antartide inukshuk. Talvolta ci possiamo imbattere anche in altre pietre, queste però sono fissate saldamente al terreno e hanno tutt'altra funzione da quella degli ometti. Queste pietre si possono chiamare confinari, termini o cippi di confine. Nella nostra valle ce ne sono tantissime e servivano appunto per segnare il confine di uno Stato. La Valle del Serchio come sappiamo è stata il crocevia di tre stati: il Granducato di Toscana, il Ducato di Modena e la Repubblica di Lucca, vi potete immaginare l'intersecarsi di confini che esisteva sulle montagne (di cippi ne esistono ancora di ben conservati a San Pellegrino in Alpe, Bagni di Lucca, tratti della Via Vandelli, Colle delle Baldorie nei pressi del Monte Croce e si potrebbe continuare ancora...). D'altra parte di questi cippi l'Italia è invasa "grazie" proprio alla diffusione degli "staterelli" di memoria pre- unitaria. L'input decisivo al proliferare di queste pietre sui nostri monti fu dovuto però alla politica riformatrice legata al controllo del territorio voluta dal governo del Granducato nel XVIII secolo, che portò di fatto ad una ricognizione generale di tutti i confini dello Stato, stabilendo così in maniera netta e precisa i confini stessi. La cosiddetta "terminatione" fu stabilita in collaborazione con gli altri stati confinanti. Cosicchè, insieme agli ingegneri di Modena e Lucca si stabilirono nuovamente i confini, che dapprima vennero descritti abbondantemente su carte e mappe, dopodichè furono fattivamente identificati sul terreno per mezzo di questi confinari, che potevano essere cilindrici o squadrati, realizzati in pietra e saldamente fissati al terreno. Quindi quando per i sentieri apuani trovate questi "pietroni" con incise le lettere GDT (Granducato di Toscana) o D.M (Ducato di Modena)o anche altre strane ed ambigue sigle con impresso F.III.D/1750 (Francesco III duca di Modena 1750), non gridiamo subito al mistero e non scomodiamo nemmeno l'occulto. Esse non sono altro che il segno del nostro passato.
Fotografia (Pania della Croce)
La fotografia di copertina è di Daniele Saisi