"Cavalieri, il sacro dono della libertà è vostro e ne avete pieno diritto. Ma la dimora che sogniamo non è in qualche terra lontana, è in noi e nelle nostre gesta, in questo giorno. Se deve essere questo il nostro destino ebbene sia, ma che la storia non dimentichi, che come uomini liberi noi stessi lo abbiamo scelto". Re Artù docet...
Beh! Che dire, forse uomini liberi saranno stati i Cavalieri della Tavola Rotonda, perchè la società feudale del tempo, in barba a qualsiasi poema epico, era ben strutturata e alla libertà, alla povera gente concedeva ben poco. Per ben capire la società di quel tempo pensiamo ad una bella piramide, al vertice il re, al centro i feudatari e alla base i servi della gleba (i disgraziati...). La classe dei feudatari (quella che a noi oggi interessa) possedeva la terra ed esercitava il comando politico e militare, sostituendosi così alle funzioni dello Stato in tutto e per tutto. Il signorotto infatti amministrava la giustizia per tutti gli abitanti del villaggio, regolava le rendite dei raccolti, imponeva tasse e pedaggi sulle strade e per non farsi mancare niente obbligava il villaggio a servirsi dei suoi mulini, dei suoi forni e delle sue taverne. Il "munifico" feudatario, onde mantenere tutti questi privilegi doveva giurare fedeltà assoluta al suo re (o imperatore o Papa che sia...), infrangere questo vincolo significava cadere nel reato di "fellonia", che era la colpa più grande che si poteva commettere. Insomma, per mantenere sotto controllo tutto questo il micragnoso signorotto locale aveva bisogno di un segno distintivo per capire e sopratutto far capire agli altri "quello che è mio e quello che è tuo", ecco allora la nascita dello stemma. Lo stemma (detto anche "arma") ad onor del vero ha la sua genesi dall'esigenza di distinguere in maniera netta l'amico dal nemico in una eventuale battaglia. La sua maggior diffusione si ebbe sopratutto negli epici tornei cavallereschi e in epoca di Crociate. Il suo uso nel tempo, non servì solamente nel riconoscere una singola persona, ma si distinse nell'identificare un'intera casata, una famiglia, trasformandosi poi in una vera espressione grafica del cognome, tant'è, rifacendosi alla suddetta regola del tempo "questo è mio", tali stemmi li possiamo trovare ancora oggi su case, palazzi, chiese, cappelle, tombe, mobili, gioielli e chi più ne ha più ne metta.
Il mondo degli stemmi d'altronde è un mondo complicato ed intricatissimo e tanto per dare un'infarinatura sull'argomento oggi affrontato, possiamo fare un veloce distinguo. Gli stemmi si dividono oggi come allora in due principali categorie: gli stemmi gentilizi, che sono quelli delle famiglie insignite di nobiltà titolata (re, principe duca, conte, Signore, Nobile e così via) e gli stemmi di cittadinanza (che in Garfagnana sono molti più di quello che si pensi), che sono posseduti da oltre cent'anni da famiglie che pur non essendo di nobili origini si sono distinte per censo, ceto o cariche ricoperte.
Dopo questo velocissimo excursus non ci rimane allora che intraprendere un viaggio negli stemmi delle famiglie feudatarie più rappresentative di tutta la Garfagnana. Erano loro che comandavano, erano loro che facevano il brutto e cattivo tempo nella valle e tutto sotto l'egida dei loro stemmi(gentilizi). Non erano stemmi creati a caso, ognuno aveva il loro significato: colori, animali, alberi, castelli, croci, ogni simbolo e ogni disegno aveva un perchè.
La famiglia dei conti Castracane degli Antelminelli aveva a capo il famoso condottiero Castruccio Castracani duca di Lucca, ebbe possedimenti nella Media Valle del Serchio: Bagni Lucca, Ghivizzano e Castelnuovo Garfagnana, dove nel 1300 ampliò notevolmente quella che oggi è la Rocca Ariostesca. Il suo stemma è un levriero rampante, cane che simboleggia la caccia e quindi l'animo costante di seguire l'impresa, i colori invece sono l'azzurro del cielo, colore che rappresenta la gloria e l'argento a simboleggiare la purezza, l'innocenza e la giustizia.
Huscit, Teudimundo e Fraolmo, sono solo alcuni discendenti della casata dei Nobili di Corvaia, famiglia di origine longobarda che governò anche su Gallicano. Difatti prima del galletto rampante gallicanese, ai tempi di questa famiglia, lo stemma imperante in zona era un castello di rosso torricellato, fondato su un monte a tre cime. Il castello era emblema di un'antica nobiltà, nonchè simbolo di un'arcaica podestà feudale, il monte poteva avere invece un doppio significato, poteva indicare proprietà montane o più filosoficamente parlando era simbolo di grandezza, sapienza e nobiltà.
Con poco sforzo di fantasia abbiamo anche tutta una serie di famiglie feudatarie "garfagnine" che prendono il nome proprio dal loro fondatore, una di queste è la famiglia dei Gherardinghi, casata (addirittura) di stirpe reale. Pare che le origini siano da far risalire ad Ariperto, nono re dei Longobardi, da cui sarebbe poi disceso Gherardo, vero capostipite della famiglia in questione. Già prima dell'anno mille i Gherardinghi esercitavano una solida egemonia su tutta la Garfagnana: San Romano, Sillicagnana, Naggio, Petrognano, Vibbiana, Pontecosi, il Sillico, Bargecchia e perfino in territori più lontani come Sommocolonia e il Gragno. La loro opera delle opere rimase però la costruzione de "La Vericla Gerardenga", meglio conosciuta oggi come la Fortezza delle Verrucule. A cotanta famiglia non poteva mancare uno stemma dalle figure importanti, infatti qui è protagonista una testa di drago coronata, su fondo azzurro. Il favoloso animale rappresenta la fedeltà, la vigilanza e sopratutto il valore militare, la corona sopra la sua testa ribadisce il grado di nobiltà della stirpe.
Rodilando III non poteva che essere il patriarca dei Rolandinghi. La fortuna di questa casata si ebbe quando nel lontanissimo 935 Corrado, figlio di Rodilando fu eletto vescovo di Lucca... Vi potete immaginare quali furono i nepostici vantaggi... I possedimenti della famiglia si allargarono in buona parte della Valle del Serchio e in Garfagnana: Vergemoli, Barga, Mologno, Coreglia, Gallicano, Ghivizzano, Bolognana e Cardoso. Il loro dominio veniva esercitato dalla "Domus Rolandinghorum de Loppia" situata nei pressi della Pieve omonima. Di fronte a tutta questa autorevolezza non poteva essere che l'aquila a padroneggiare sull'arme della casata: potenza, vittoria e fedeltà all'impero il suo senso.
"Discendenti da Suffredus", individuati nella persona di Sigifredo di Cunimondo, loro sono i Suffredinghi. Una serie di matrimoni combinati con le maggiori casate di tutto il circondario le portarono ad essere una famiglia potente e ricca. Le proprietà comprendevano la Rocca di Mozzano, Anchiano, La Cune, Chifenti Fornoli, Corsagna fino ad arrivare ai possedimenti garfagnini di Gorfigliano e Careggine. Anche qui l'aquila imperiale fa mostra di sè sullo stemma.
Come abbiamo letto ci sono casate che prendono il nome dal loro fondatore, altre ancora, nel loro stemma richiamano il nome della propria famiglia, è il caso della stirpe dei Porcaresi che esercitava il suo dominio in buona parte dell'attuale provincia di Lucca. Infatti la loro nobile origine era nella piana di Lucca, erano comunque titolari di un notevole patrimonio terriero: oltre che a Lucca e in Versilia, la famiglia aveva un feudo anche in Garfagnana e Trassilico era la sua "capitale". Tale feudo comprendeva anche Cascio, Verni e tutte le zone limitrofe. Il nome di questa dinastia è abbastanza eloquente nel descrivere lo stemma di lor signori: troncato di rosso e d'argento, a due cinghiali affrontati. Se al tempo i nemici di questa famiglia vedevano il nostrano animale su scudi e vessilli c'era da che preoccuparsi: caccia e coraggio, unito alla ferocia è il suo significato.
Che dire infine dei Malaspina... Qui le particolarità da analizzare nello stemma sono due: lo spino rappresentato nell'arme riporta proprio al nome della casata stessa. La seconda particolarità è da ricercare nelle numerose divisioni fra i discendenti di cotanta famiglia. La casata si divise in due feudi: il feudo dello Spino Secco e il feudo dello Spino Fiorito (quello che aveva proprietà anche in Garfagnana), di qui anche gli stemmi diventarono due, in uno sarà rappresentato uno spino secco, in un altro uno spino fiorito. Che significato dare a questo stemma allora? Non è facile trattare l'arme del casato Malaspina, ma se vogliamo dargli un senso possiamo dire che una pianta selvatica nel proprio stemma è simbolo d'indipendenza.
Il viaggio nei nobili stemmi garfagnini finisce qui. A me non rimane che chiedere venia agli intenditori e ai professionisti di tale materia per la mia superficialità nell'aver affrontato l'argomento. Non mi rimane che la speranza di aver stimolato l'interesse e la curiosità in qualcuno dei miei lettori, in modo che si appassioni ad una disciplina avvincente e stimolante come l'araldica.
Bibliografia
- "Blasonario della Garfagnana", Francesco Boni de Nobili, Banca dell'identità e della Memoria, anno 2007
- "La simbologia araldica" www.portalearaldica.it