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Storie di razzismo di garfagnini emigrati.

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"Data la loro abitudine di trasferirsi nel paese che li ospita nei 
Vignetta america del 1901 ci definiva
"la fogna del mondo"
mesi invernali per poi tornare in patria in autunno, gli immigrati si caratterizzavano per una scarsa volontà di integrarsi nella società locale, fatto confermato dai bassi livelli di acquisizione di cittadinanza e di apprendimento della lingua locale".
Questo stralcio di documento non è preso da un rapporto del Ministero dell'Interno sulle orde di migranti che stanno raggiungendo le nostre coste in questi mesi, ma bensì è una relazione del Dipartimento della Sicurezza interna degli Stati Uniti d'America di inizi 1900, argomento trattato: l'emigrazione italiana...
Si, inutile nascondersi dietro ad un dito, una volta i discriminati razziali eravamo noi, o meglio, i nostri nonni e bisnonni che partiti dalla Garfagnana (e dall'Italia in genere) andavano a cercar fortuna in Paesi pronti ad accoglierli... ma questi Paesi, tanto
pronti non erano.

Prima di leggere testimonianze di garfagnini emigrati discriminati, la cui sola colpa era quella di essere italiano è bene che il mio caro lettore attraverso questo antefatto che andrò a narrare si faccia un'idea del contesto in cui si ritrovavano i nostri avi partiti dalla nostra amena (al tempo non troppo...) valle.
Il razzismo e i pregiudizi sugli italiani è bene chiarirlo subito accompagnavano i nostri compatrioti in tutto il globo, in qualsiasi terra in cui mettessero piede, dalle Americhe all'Australia e in tutto quel periodo storico che va dall'800 fino agli anni '70 del secolo passato. Su di loro pesavano un paio di secoli di stereotipi importati da decine di scrittori, letterati ed esimi professori che si erano recati nel nostro Paese in quello che in quel tempo era conosciuto come il "Grand Tours". "Grazie" dunque, anche a scrittori del calibro di Defoe, Shelley e Twain che fummo nell'immaginario 
Il tedesco Goethe definì l'Italia
"un paradiso popolato da diavoli
popolare d'oltralpe e d'oltreoceano subito marchiati a fuoco. Goethe definì l'Italia "un paradiso abitato da diavoli". Questo marchio fece ben presto il giro del mondo, quindi per gli altri eravamo come i vari scrittori ci avevano visto: sporchi, mendicanti e immorali, ma non era niente al confronto di altri tre preconcetti che costituivano il fardello che ogni singolo emigrante doveva sopportare: 
l'italiano era pericoloso socialmente, l'italiano è violento è un uomo dalla rissa e dal coltello facile, un po' come adesso noi vediamo gli immigrati provenienti dall'est Europa, fattostà che i nostri connazionali erano soprannominati nei paesi anglosassoni "dago", una storpiatura della parola "dagger"(coltello, pugnale). 
L'italiano è un terrorista: sovversivi ed anarchici per natura. Tale "bollo" accompagnò gli italiani sopratutto fra fine ottocento ed 
Luigi Luccherini
l'assasino della principessa Sissi
inizio novecento, sottoponendoli di fatto ad ogni tipo di controllo da parte delle autorità (immaginiamo grosso modo quello che succede oggi agli islamici in Italia), d'altronde ne avevano ben ragione, infatti in quel periodo gli anarchici italiani assassinarono: il presidente francese Sadi Carnot (1894), il primo ministro spagnolo Canovas del Castillo (1897), l'imperatrice Elisabetta d'Austria, la famosa principessa Sissi dei vari film, (1898)e il re d'Italia Umberto I (1900). 
Il terzo ed ultimo motivo ci accompagna ancora oggi...gli italiani sono tutti mafiosi...Fu un periodo quello di grande confusione sociale, l'opinione pubblica (specialmente americana) non riusciva più a distinguere tra minoranza criminale e una maggioranza onesta all'interno della comunità italiana. E' altrettanto innegabile che i bastimenti provenienti da Genova, Napoli e Palermo fecero sbarcare in America i Genovese, i Gambino, i Valachi e i Gotti.
Ma non finiva qui, c'era ancora un pregiudizio più grave nei 
Carlo Gambino uno dei più grossi
mafiosi d'America
confronti degli immigrati nostrali. Un motivo prettamente razziale. Esisteva difatti la convinzione che gli italiani non fossero del tutto bianchi, ma che avessero nelle vene quella che i razzisti americani chiamavano "la goccia negra". Quello che era ancora più grave, era che tutto ciò pareva supportato da un'analisi pseudoscientifica; all'esposizione universale di Buffallo nel 1901 (non alla fiera di Gallicano di settembre, per ben capirsi) venne elaborata una carta delle razze in cui venivano illustrate le diverse gradazioni di purezza biologica, insomma in tutto questo farneticare la razza italiana non era compresa fra quelle bianche, ma in un limbo situato fra i bianchi ed i neri. Tutto ciò farà si che i nostri emigrati furono i più maltrattati fra tutti gli immigrati nel suolo americano. 
Ecco, questo era il quadro che le migliaia di emigranti garfagnini si trovavano davanti e molti si troveranno suo malgrado in
spiacevoli storie di razzismo. La più delicata e fra le più clamorose testimonianze che ho raccolto riguarda Maria (nome inventato), partita dalla nostra valle negli anni 20 del 1900. Insieme al resto della famiglia raggiunse il papà che già era partito anni prima. La famiglia si stabilì in Alabama, la vita se vuoi era molto simile a quella della Garfagnana, l'attività che li prevalentemente si svolgeva era l'agricoltura e lo stile di vita campagnolo si addiceva  alla famiglia. Maria, dunque si invaghì di un giovanotto di colore- così ci racconta un suo parente- e dall'innamoramento a qualcosa di più "consistente" il passo fu breve. Peccato che in Alabama vigeva la legge della "miscegenetions", ovverosia il divieto di  mescolanza di razze fra bianchi e neri. Ci fu un processo che ebbe grossa rilevanza mediatica per il tempo, (il nostro testimone conserva ancora ritagli dei giornali americani del tempo), per farla breve l'uomo di colore riuscì a cavarsela poichè la ragazza con cui aveva avuto la relazione proibita era si americana, ma italiana di origine, dunque per il giudice: "non si poteva assolutamente dedurre che lei fosse bianca". Alla fine di tutto la famiglia garfagnina ritornò in Italia e il padre così disse: "meglio patire la fame che perdere la dignità".

C'è anche chi fu testimone di un fatto storico - razziale nei 
New Orleans la folla inferocita davanti
al carcere
confronti degli italiani. Alberico da Villa Collemandina emigrò negli Stati Uniti con una delle prime e forti ondate migratorie. Arrivò a New York e poi non si sa come raggiunge New Orleans- così racconta un bis- bis nipote-. Proprio in quel periodo a New Orleans fu ucciso il capo della polizia e a quanto pare oltre all'assassino (che era un italiano) furono arrestati altri 250 italiani. Il nostro Alberico che era presente in città in quel periodo si chiuse nella sua stanza d'albergo senza uscire, nè per lavorare, nè per mangiare, era cominciata di fatto una caccia all'italiano. La cronaca poi racconta che 11 di questi italiani furono assolti dal giudice, ma una folla fatta da migliaia di persone prese d'assalto il carcere dove erano ancora custoditi e dopo averli presi in consegna le uccise brutalmente, per molto tempo fu il più grave linciaggio della storia degli Stati Uniti. Alberico riuscì in qualche maniera a fuggire dalla città e raggiungere nuovamente New York, dove poi si stabilì definitivamente.
C'è ancora poi chi ricorda le paghe lavorative, Gianni veniva da
Ellis Island...prima di entrare italiani
negli Stati Uniti
 Castelnuovo e narra delle liste per le opportunità di lavoro sancite dallo stato (sottolineo lo stato) che erano divise per etnia "Bianchi 1,75$, neri 1,50$ e italiani 1,35$". Gli italiani prendevano meno dei neri, perchè si diceva che i neri erano arrivati prima- così racconta Gianni-, inoltre specialmente quando andavo a lavorare negli stati del sud degli Stati Uniti, spesso (dove sapevano chi ero) ero costretto a bere alle solite fontanelle dove bevevano gli uomini di colore.
Ma tutto questo non ci capitò solo nelle lontane Americhe, ma anche nella civile Europa (Germania, Belgio Svizzera) e non nel 1800, ma appena quaranta, cinquant'anni fa. Qui è difficile raccogliere testimonianze, che sicuramente ci sono e sono testimonianze dirette
di chi ha vissuto in prima persona queste brutte esperienze, forse la vergogna di quello che fu attanaglia ancora questi emigranti.

Eppure non fummo solo quello, nonostante le discriminazioni, gli stereotipi e i maltrattamenti, le nostre mani e il nostro lavoro ha fatto grande l'America e L'Europa e se dovessimo svegliarci una mattina e scoprire che tutti sono della stessa razza, credo e colore,- disse un giorno George David Aiken- troveremmo qualche altra causa di pregiudizio entro mezzogiorno...

Bibliografia:

  • MASSIMILIANO SANVITALE Quando essere Italiani era una colpa: razzismo, oltraggi e violenza contro i nostri immigrati nel mondo
  • Testimonianze orali

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