Centrale SELT Valdarno Gallicano 1938 |
Le chiamano "morti bianche", come fossero dovute alla casualità, alla fatalità, alla sfortuna.
Le chiamano "morti bianche", ma il dolore che fa loro da contorno potrebbe reclamare ben altra sfumatura cromatica.Le chiamano "morti bianche", tanto non meritano che due righe sui quotidiani, si e no una citazione nel telegiornale.
Le chiamano "morti bianche", ma il dolore che fa loro da contorno potrebbe reclamare ben altra sfumatura cromatica.Le chiamano "morti bianche", tanto non meritano che due righe sui quotidiani, si e no una citazione nel telegiornale.
Le chiamano "morti bianche", ma non sono incidenti, dipendono dall'avidità di chi si rifiuta di rispettare le norme sulla sicurezza sul lavoro".
Questo è un brano di uno scritto di Mauro Bazzoni, operaio metalmeccanico di Firenze, da sempre in prima linea per la sicurezza sul lavoro. Leggevo questa bella lettera proprio in questi giorni e fra le tante frasi mi è rimasta nella memoria la parte in cui dice: "Le chiamano "morti bianche", tanto non meritano che due righe sui quotidiani, si e no una citazione nel telegiornale". Niente di più vero, di solito queste notizie passano in secondo piano e ben presto ci si dimentica di coloro che la mattina sono usciti da casa, hanno salutato moglie e figli recandosi al lavoro e di li non hanno fatto più ritorno e i numeri di quelli che non hanno fatto più ritorno a casa nei primi sette mesi del 2016 sono agghiaccianti. Secondo
l'osservatorio di sicurezza sul lavoro Vega Engineering di Mestre sulla base degli elementi forniti dall'I.N.A.I.L i morti sono 562, una media di 80 morti al mese, 20 a settimana...una mostruosità!Non dimentichiamoci allora dei morti sul lavoro che anche la Garfagnana ha avuto e purtroppo ha ancora, le disgrazie che in questo ambito questo lembo di Toscana ha avuto sono molteplici: dai morti di inizio '900 per la realizzazione della ferrovia Lucca- Aulla, alle disgrazie avvenute nei decenni alla S.M.I (società metallurgica italiana) di Fornaci di Barga, alle tremende morti nelle cave di marmo garfagnine, fino ad arrivare alle due più gravi e pesanti (in quanto a perdita di vite umane) che sono accadute entrambe nel territorio comunale di Gallicano. Impossibile quindi dimenticarsi dello scoppio della polveriera S.I.P.E NOBEL, era il febbraio 1953 e nell'esplosione dello stabilimento gallicanese di polvere pirica trovarono la morte dieci persone(per questa storia clicca qui:http://paolomarzi.blogspot.it/esta-del-lavorola-tragedia-che.html). Ma c'è ancora un'altra strage di lavoratori, ormai quasi dimenticata e tornata agli onori della cronaca nel 2002, quando qualcuno nel piccolo paese di Bolognana si ricordò che sulla vecchia
strada che conduceva a Lucca, dietro ad una folta vegetazione c'era ancora un piccolo monumento neoclassico che ricordava l'estremo sacrificio di alcuni uomini, oramai la boscaglia l'aveva nascosto alla vista dei passanti e per di più anche la sua stabilità era quasi compromessa. Ma finalmente dopo 63 anni E.N.E.L (colei che al tempo commissionò l'opera), con la piena collaborazione e disponibilità sia della provincia che del comune decisero di restaurare il monumento e riportare alla memoria collettiva la storia di questi valorosi uomini. Sono passati oggi settantasette anni da quella disgrazia, era il 1939, era il periodo delle grandi opere fasciste e in un articolo sul "Popolo d'Italia" il primo luglio 1926 Mussolini scriveva: "Ho ancora una battaglia da vincere: è la battaglia per la restaurazione economica dell' Italia. Nelle altre battaglie che il regime fascista ha dovuto combattere, la vittoria è già stata conseguita...". La cosiddetta restaurazione economica passò attraverso opere di grande utilità, in tutta Italia presero il via progetti imponenti: costruzione di scuole, di edifici pubblici, di dighe e bonifiche di aree urbane altrimenti inutilizzabili. Parte di queste opere furono intraprese anche in Garfagnana e una di queste era proprio la costruzione di una galleria che era destinata a portare l'acqua dalla centrale di Gallicano all'impianto idroelettrico di Turritecava. Il cantiere dei lavori era appena fuori il paese di Bolognana, precisamente sulla
vecchia strada provinciale Lodovica all'altezza di Rio Forcone, torrente che sfocia nel Serchio. La società elettrica ligure toscana al tempo meglio conosciuta come S.E.L.T Valdarno (n.d.r: la futura E.N.E.L) aveva commissionato i lavori a lotti per tre ditte, la D'Amioli, la Pighini e la Scardovi, era questa un'impresa a più mani dato che il lavoro da fare era piuttosto arduo, c'era d'aprire una galleria attraverso la montagna per quasi dieci chilometri. I lavori procedevano a rilento, a causa proprio delle difficoltà incontrate nel penetrare il monte, la data ultima di consegna dei lavori si stava infatti avvicinando inesorabilmente, la precisione e la disciplina fascista dell'epoca non ammetteva ritardi, perciò bisognava andare svelti e per questo furono organizzati tre turni lavorativi giornalieri. Testimonianze raccolte da Adolfo Moni (n.d.r: docente gallicanese dell'università della terza età)da un vecchio abitante di Bolognana raccontano che già poco prima della tragedia ci si era resi conto della pericolosità dei lavori e già nell'estate di quel maledetto 1939 ci furono due incidenti, uno causato da uno scoppio di glicerina utilizzata per fare le mine che determinò la morte di due persone,l'altro ci fu un po' più a sud verso Turritecava. Ma quello che successe la sera di
quel 24 novembre fu veramente spaventoso. Il terreno già di per se poco stabile in condizioni di tempo buono, subì un vero e proprio peggioramento con l'arrivo della stagione delle piogge, tutta quest'acqua formò nella terra una specie di "sacca" che causò lo smottamento nella galleria, un'operaio garfagnino rimase fin da subito sotto il fango, mentre altri sette rimasero imprigionati all'interno della galleria, era una squadra dell'impresa di costruzioni Scardovi di Bologna che era sotto la direzione di Alfredo Lepri di San Benedetto Val di Sambro (cittadina dell'Appennino bolognese)anche lui rimasto bloccato all'interno del
traforo. Furono sei lunghi giorni di agonia nei vani tentativi di liberare le persone dalla morsa del buio, del fango e dei sassi. Ogni secondo, ogni minuto e ogni ora erano preziosi per salvarli da una delle peggiori morti: l'asfissia. In quei giorni alcuni lamentarono che non fu fatto abbastanza per salvare i malcapitati e in molti si domandarono del perchè non furono usate quelle piccole gallerie "di servizio" che erano più a sud del paese utilizzate
per movimentare uomini e materiale e ancora, perchè non fu accettato l'appoggio della vicina metallurgica? La S.M.I si rese disponibile ad aiutare con dei tubi, che avrebbero portato aria all'interno della galleria ma in questo caso il testimone di Adolfo Moni chiude di netto la vicenda con lapidarie parole:- non vollero...non vollero far nulla!-. Le casse da morto arrivarono quando all'interno quei disgraziati erano ancora agonizzanti e dopo sei lunghi interminabili giorni finalmente i corpi furono estratti dal maledetto tunnel, tutti morti e a quanto pare alcuni non avevano ancora il rigor mortis...Finì così per sempre la vita terrena di quelli che oramai erano considerati dagli abitanti del posto dei paesani "aggiunti", infatti alcuni di questi avevano stretto amicizia con i lavoratori che per tutta la settimana mangiavano e dormivano in paese e nelle vicinanze. Fu per il piccolo borgo garfagnino e per la valle un vero e proprio dramma.
Nel 1942, a tre anni di distanza dai fatti e nei pressi del luogo della sciagura fu eretto dalla società elettrica un tempietto neoclassico in ricordo di quei morti. Si pensò come era usanza al tempo di scrivere su marmo una pomposa e retorica dedica funeraria:
-NELL'ARDUA OPERA DI ASSERVIRE IL FLUSSO DELLE ACQUE ALLA MAGGIORE POTENZA D'ITALIA, PER ATROCE INSIDIA DELLA NATURA, SACRIFICAVANO LA VIGOROSA GIOVINEZZA.
In memoria di:
Bibliografia:
Statistiche morti sul lavoro regione per regione anno 2015 |
Bolognana (foto Giro-Vagando) |
Centrale di Turritecava, cerchiato in rosso l'uscita della galleria di Bolognana |
Sul luogo della tragedia il restaurato monumento neoclassico del 1942 |
traforo. Furono sei lunghi giorni di agonia nei vani tentativi di liberare le persone dalla morsa del buio, del fango e dei sassi. Ogni secondo, ogni minuto e ogni ora erano preziosi per salvarli da una delle peggiori morti: l'asfissia. In quei giorni alcuni lamentarono che non fu fatto abbastanza per salvare i malcapitati e in molti si domandarono del perchè non furono usate quelle piccole gallerie "di servizio" che erano più a sud del paese utilizzate
Particolare del monumento |
Nel 1942, a tre anni di distanza dai fatti e nei pressi del luogo della sciagura fu eretto dalla società elettrica un tempietto neoclassico in ricordo di quei morti. Si pensò come era usanza al tempo di scrivere su marmo una pomposa e retorica dedica funeraria:
-NELL'ARDUA OPERA DI ASSERVIRE IL FLUSSO DELLE ACQUE ALLA MAGGIORE POTENZA D'ITALIA, PER ATROCE INSIDIA DELLA NATURA, SACRIFICAVANO LA VIGOROSA GIOVINEZZA.
In memoria di:
- Bertei Desiderio di Piazza al Serchio
- Bertozzi Guglielmo di Sassi
- Giuliani Amelio di Camporgiano
- Cassettari Giovanni di Piazza al Serchio
- Grassi Giovanni di San Romano Garfagnana
- Lepri Alfredo di San Benedetto Val di Sambro (Bologna)
- Mucci Renato di Bologna
- Muccini Guerrino da Camporgiano
- Rocchiccioli Amerigo di Castelnuovo Garfagnana
- Borgia Antonio di Minucciano
Questa è la fine di questa storia, ma a questa storia nel tempo ce ne sono state purtroppo aggiunte altre, fatte di altrettanti racconti, altrettanti nomi e altrettante facce...
Bibliografia:
- "Morti Bianche" di Mauro Bazzoni
- "INCIDENTE DRAMMATICO SUL LAVORO IN GALLERIA DEL 24 NOVEMBRE 1939 a sera" di Adolfo Moni da "L'Aringo-il giornale di Gallicano" n°5 marzo 2016