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La tana di Castelvenere. Quando la storia è dentro una grotta...

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Laggiù in fondo alla valle scorre il torrente Turritecava, le auto
la grotta di Castelvenere
sembrano piccoli puntini variopinti che si muovono lungo quella striscia bianca che lo costeggia, sopra la testa le pareti che sembrano di marmo salgono a strapiombo fin su la vetta del Monte Gragno, un senso di vertigine ci prende anche se siamo in un ampio piazzale di pietra su cui scorre un piccolo ruscello. Ci ipnotizza e ci affascina quel senso di vuoto sotto i piedi, quelle milioni di tonnellate di pietra sopra la nostra testa e quel vuoto di fronte, rotto in lontananza dall'altra sponda della Valle di Turritecava. Siamo a 650 metri sul livello del mare all'imboccatura della Tana di Castelvenere, un grande imbuto profondo circa 50 metri. In fondo al quale si diramano due gallerie delle quali, quella di sinistra è stata esplorata per 1700 metri. Da questi cunicoli che si
Gli strapiombi del Monte Gragno
restringono e si allargano sgorga continuamente tanta acqua che nell'ampio imbuto d'ingresso si forma un piccolo ruscello e poi giù lungo i fianchi del monte crea un susseguirsi di cascate. Questa è la grotta di Castelvenere, nota anche come buca di Casteltendine, buca di Notrecanipe e buca della Penna di Cardoso, riveste molteplici interessi archeologici, speleologi, storici e naturalistici. Nell'ormai lontano 1975 vi furono rinvenuti dei bronzetti femminili e ermafroditi risalenti a 2500 anni fa, senza dubbio questa grotta (è bene dirlo) si può considerare sicuramente la più importante della valle da un punto di vista archeologico avendo fornito anche parecchi reperti dell'età del bronzo, etruschi e romani. Ma la scoperta più grande rimangono però questi "idoletti" di bronzo, da questi oggetti si presume che la grotta sia stata un tempio della
i bronzetti di Castelvenere
fecondità dove si recavano le donne afflitte da infecondità per implorare gli dei di liberarle dalla sterilità, si ipotizza che ha scopo votivo (un po' come si fa oggi con i santi) questi piccoli manufatti fossero poi depositati dentro l'antro. La datazione di questi oggetti la possiamo collocare a 500 anni prima della nascita di Cristo, si tratta quindi come detto di figure umane molto

schematiche alte fra i 4 e i 5 centimetri, caratterizzate da tratti sessuali marcati ed hanno una terminazione a punta, probabilmente fatti in questo modo perchè si potessero conficcare nel terreno. Sono presenti pochi esemplari (circa 30) con caratteristiche diverse, c'è anche addirittura un bronzetto a forma di cane. Gli archeologi inoltre ci dicono che sono di produzione etrusca e
I bronzetti con
il cane
risalgono al tempo in cui gli etruschi penetrarono nelle nostre terre costruendo piccoli villaggi, nella media e nell'alta valle del Serchio, importante asse di collegamento con le altre aree etrusche a nord dell'appennino. Ma la vita della grotta non finì sicuramente a quel tempo ma continuò oltre, ce lo dicono altri ritrovamenti di epoca romana, tra i quali un piccolo pugnale e non solo,  anche le monete ritrovate ci dicono di una lunga frequentazione di questo luogo, dall'età augustea (43 a.C) fino al III secolo dopo Cristo. Particolarmente abbondanti sono stati i ritrovamenti di ceramiche del I e del II secolo d.C in prevalenza vasellame fine, utilizzato forse per le libagioni (n.d.r: la libagione nelle religioni antiche era un offerta alle divinità di sostanze liquide, tipo: vino,latte ecc..., versate sugli altari o per terra). Intanto passano i secoli e dopo gli etruschi e i romani arriviamo ai longobardi e un piccolo gruppo di materiali fra cui frammenti di terra sigillata africana e di calici di vetro attesta che la grotta è stata
Ritrovamenti nella grotta
utilizzata fino a quell'epoca, forse per un'ultima ripresa delle pratiche del culto pagano o più semplicemente come rifugio nei difficili anni delle guerre gotiche o dell'invasione longobarda a conferma di questo è il muraglione eretto poco sotto l'ingresso, sebbene di datazione incerta pare comunque un'opera di difesa che chiudeva di fatto l'unica via d'accesso alla tana. Con il passar dei secoli la grotta ha perso il suo bel significato originale ed è diventata rifugio per briganti, luogo di regolamento di conti e quanto pare anche di omicidi. Ci viene tramandato oralmente di quella brutta storia che vide la morte di un commerciante di pentole di rame per mano delle guardie ducali, erroneamente fu scambiato per un brigante locale, ci raccontano che questo posto è stato anche luogo di faide comunali per il possesso dei prati per pascolare gli animali sul monte
anche monete romane
Gragno, ma la storia più bella rimane senz'altro la leggenda delle figlie di Venere. Da questa leggenda prende il nome la grotta, andiamo a vedere allora il perchè di questa particolare denominazione. La parola castello etimologicamente parlando ha svariati significati,la parola deriva dal latino medievale castellum che è un diminutivo del classico castrum che ha due significati, uno al singolare castrum e cioè forte e uno al plurale castra che significa accampamento, in questo luogo della montagna garfagnina si dice che vi si accampasse Venere, da qui Castelvenere cioè l'accampamento di Venere. Qui Venere dea dell'amore, della bellezza e sopratutto della fertilità aveva trovato dimora alle sue figlie che spesso veniva a trovare. A queste figlie la dea romana voleva un gran bene sopratutto perchè erano le figlie che nessuno conosceva. Tutti infatti conoscevano i suoi ben più famosi figli
Per arrivare alla grotta
maschi come Enea o il più conosciuto Cupido, ma a queste ragazze volle dare un compito comunque importante per farle sentire anche loro considerate, quello di fare un censimento nella nostra valle di tutte le donne che non potevano avere bambini per invitarle poi in questa grotta per essere fecondate da Venere in persona per così poi popolare una valle che per millenni era stata inaccessibile e sterile sotto tutti i punti di vista. Così grazie a Venere le donne che non potevano avere figli riuscirono a partorire e con la loro prole poterono coltivare e rendere fertile la terra di questa valle, considerata misera e povera fino all'arrivo delle figlie di Venere. Questa leggenda si dice proprio che faccia parte del culto della dea stessa che gli antichi avevano presso questa grotta, quindi anche questa storia sarebbe vecchia di ben 2000 anni.

La nostra valle non finisce mai di stupirci, delle volte siamo a due passi da tesori e da luoghi dal valore e dalle bellezza inestimabile e che spesso nessuno conosce, questa è una buona occasione per visitare quella che è un vero e proprio tesoro della nostra valle.
Vorrei chiudere con una nota polemica se mi consentite. Tutti questi tesori sopra citati sono visitabili presso il Museo Nazionale di
L'interno della grotta
Villa Guinigi a Lucca, così come potrete visitare tante altre cose e scoperte della nostra Garfagnana in giro per la provincia e per la regione. Ma quando ci decideremo di far tornare tutto a casa e di fare noi garfagnini un museo che accolga tutte le nostre bellezze sparse per l'Italia? Un sogno questo e come tale rimarrà...

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