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Una storia fatta di solidarietà lunga 35 anni. La Fiaccolata di Gallicano dall'ingegner Sandro Strohmenger a oggi

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"Si dovrebbe pensare più a far del bene che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio"
La prima cartoline di promozione
alla Fiaccolata 1980
(foto tratta da Daniele Saisi blog)
così diceva Alessandro Manzoni ne "I promessi sposi" e questa frase mi viene sempre in mente quando vedo fare un gesto di umanità, una cosa gentile per il prossimo e penso poi a quella bella sensazione interna di calore e soddisfazione che si ha quando personalmente facciamo un gesto di solidarietà,in quel caso è la nostra anima che è appagata non il nostro corpo e non mi voglio immaginare il compiacimento e la gioia di chi in quel lontano dicembre del 1980 organizzò e dette il via ufficialmente alla più grossa gara di solidarietà di tutta la Garfagnana:la Fiaccolata di Gallicano arrivata quest'anno alla 35a edizione. Ma andiamo un po' a ritroso nel tempo e raccontiamo un po' di quello che fu. Tutto nacque due anni prima nel 1978 quando le classi IV A e IV B della scuola elementare Sirio Poli di Gallicano insieme alle maestre (n.d.r: bravissime !!!) Alma Saisi e Duse Lemetti si posero una questione non da poco e cercarono, nell'intento di farsi dare una risposta di tirare in ballo tutti i mezzi di informazione locali facendo loro queste imbarazzanti ma giuste domande:
"Siamo i ragazzi di Gallicano delle scuole elementari IV A e IV B: scusate se vi disturbiamo ma abbiamo un problema da risolvere: esiste ancora il bene nel mondo? Per questo vi consultiamo. Perché non pubblicate il bene sul giornale? Noi siamo stufi di male e cerchiamo il bene. Il bene non c'è o non sapete trovarlo?".
La fiaccolata
Era il lontano 1978, erano "gli anni di piombo" tanto per capirsi, era l'anno della strage di Via Fani con il conseguente assassinio di Moro, era l'anno della misteriosa morte di Papa Luciani durato pontefice un solo mese, era sempre il 1978 quando la mafia uccise barbaramente Peppino Impastato,insomma fu un anno di sgomento per tutti figuriamoci per dei bambini di nove anni, fatto sta che le risposte dei cosiddetti media furono molteplici, alcune tranquillizzanti, altre insufficienti, altre ancora evasive, ma ci fu una risposta che lasciò a bocca aperta.La questione era arrivata sul tavolo di un nota firma del "Corriere della Sera" Giulio Nascimbeni (n.d.r: giornalista e scrittore, oltre 50 anni di carriera come capo redattore della terza pagina del quotidiano milanese, fu anche direttore della "Domenica del Corriere") che rispose ai ragazzi in un articolo sempre sul "Corriere della Sera" il  20 dicembre 1978:
".... i ragazzi di Gallicano chiedono di sapere dov'è il bene, un valore per cui non usano la maiuscola ma che la sottintende. Forse il bene è molto vicino, più vicino a loro che a noi, fuori dai grandi titoli, invisibile tra le righe del quaderno su cui hanno scritto la lettera. C'è anche un bene nel volere il bene. Altre risposte ci sembrano vuote come gusci. E di più per quanto ci riguarda non ci sentiamo di aggiungere. E' triste dover ripetere quel che scrisse Montale in anni lontani e più oscuri ("Codesto solo oggi possiamo dirti ciò che non siamo, ciò che non vogliamo"), ma la storia è capace di riprodurre smarrimenti, ansie, desolate solitudini."
Sandro Strohmenger ricevuto
da Giovanni Paolo II
I dubbi dei bambini di Gallicano avevano colto nel segno, avevano scosso le coscienze e una risposta a tali dubbi fu data sopratutto da un missionario laico l'ingegner Sandro Strohmenger, l'uomo che dette un senso definitivo a tutta la manifestazione.L'ingegner Strohmenger (collaboratore dell'O.N.U, candidato poi per il premio Nobel per la Pace) era uno che a 60 anni nel 1973 decise di fare qualcosa di buono per gli altri. I frati cappuccini gli segnalarono la necessità delle loro missioni in Papua Nuova Guinea, da allora costruì ospedali, scuole e chiese e venne a cercare il bene a Gallicano. Così alla ricerca del bene nel dicembre del 1980 si accese la prima fiaccola (n.d.r:ero presente anch'io, bambino di terza elementare) in Piazza Vittorio Emanuele in Gallicano con i seguenti obiettivi:gemellaggio con i bambini di Papua Nuova Guinea e lotta contro i tumori.Gli anni passavano e la fiaccolata cresceva sempre di più di anno in anno.Mi rimarrà sempre impresso nella mente il bell'articolo di Giulio Simonini su "La Nazione" nel dicembre 1982:
"Tra poche ore Gallicano spegnerà tutte le sue luci pubbliche, ma non rimarrà al buio. Il paese brillerà ugualmente rischiarato dalle fiammelle di una interminabile fiaccolata.L'ondata che sta coinvolgendo tutta la valle del Serchio,dall'alta Garfagnana a Lucca ha oltrepassato ogni più rosea aspettativa.E' una gara di solidarietà commuovente spontanea e contagiosa che vede uniti tutti gli strati sociali. [...] L'impegno di partecipazione è commuovente e unanime. Da Lucca a Castelnuovo, da Fornaci a Coreglia, da Barga a Bagni di Lucca..."
Il manifesto della Fiaccolata
di quest'anno:
 6 dicembre 2014
Era veramente uno spettacolo solamente a vedersi,nel buio della notte si poteva ammirare da tutti gli angoli della valle una striscia continua di fiammelle convergere tutte su Gallicano, una gara di solidarietà e partecipazione mai più vista in Garfagnana che portò al termine di quella terza edizione il consiglio comunale a conferire la cittadinanza onoraria di Gallicano al dottor Sandro
Strohmenger, per i suoi alti meriti morali e civili e per la sua testimonianza di solidarietà verso la comunità gallicanese e nel solito anno grazie anche a Gallicano fu costruita una scuola per i bambini della Papua Nuova Guinea. Oggi il "miracolo" continua e il 6 dicembre si ripeterà per la trentacinquesima volta.L'arcivescovo Italo Castellani benedirà le fiaccole portando forse con se un messaggio di Papa Francesco.Dimenticavo la cosa più importante!Dal 1979 fino al 2011(non ho ulteriori dati) le somme donate in beneficenza arrivavano a 514 mila 230 €. Che dire..."IL BENE E' CONTAGIOSO PIU' DEL MALE" così diceva Sandro Strohmenger.

"La Questione Apuana":1946 .Quando la Garfagnana doveva far parte della 21a regione: l'Emilia Lunense

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Panorami garfagnini
 Eppure oggi non ci avremmo nemmeno fatto caso...Mi spiego meglio...A scuola ci hanno sempre insegnato e così è che le regioni in Italia sono venti e che noi garfagnini apparteniamo a quella bellissima regione che è la Toscana.Ma in principio fu sempre così?Guardiamo un po'. Era da poco finita la seconda guerra mondiale e c'era da ricostruire tutto, proprio tutto, non solo cose materiali come case, chiese, scuole ma c'era da rimettere in sesto l'animo degli italiani prostrati da cinque anni di guerra e c'era da rimettere mano anche a tutto quello che riguardava la nuova forma di governo repubblicano subentrato dopo ottantaquattro anni di monarchia.Fu indetta così come tutti sapremo l'Assemblea Costituente (n.d.r: si riunì la prima volta a Montecitorio il 25 giugno 1946) che serviva appunto a scrivere e a riformare tutta la Costituzione.Fra le altre cose arrivò poi il momento di affrontare la questione riguardante le regioni,si cercò di formare e di rivedere regioni (già esistenti) che per affinità storiche,culturali, economiche e politiche fossero diciamo così compatibili e in base a tutto questo fu messa sul tavolo la cosiddetta "Questione Apuana".Uno dei maggiori assertori della "Questione Apuana" fu Giuseppe Micheli senatore parmense
(n.d.r:futuro ministro della Marina con il governo De Gasperi) che attraverso il suo giornale  "La giovane Montagna" propose una regione Emilia- Lunense fatta da quei territori e da un certo numero di province tra la pianura Padana e Mar Tirreno che comprendevano i territori di Cremona,La Spezia,Mantova,Massa Carrara,Parma,Piacenza,Reggio Emilia e...anche la Garfagnana,cioè, esattamente tutto quell'antico territorio degli Apuo-liguri-padani. Era una questione che si rifaceva si diceva così all'espansione romana e alla seconda guerra punica e poi si voleva ricalcare la suddivisione savoiarda che effettivamente vedeva ventun regioni.La stessa Garfagnana in quel periodo infatti faceva parte della provincia di Massa Carrara la quale provincia  fino al 1871 faceva parte dell'Emilia (quindi noi garfagnini prima di essere toscani
eravamo già stati emiliani), insomma la cosa trovò assensi in buona parte della Costituente e così nel luglio del 1946 la Commissione dei 75 propose ben 22 regioni (neanche 21...) fra le quali quelle che tutti sappiamo e in più "la nostra" Emilia Lunense e il Salento (n.d.r:divisa oggi fra le province di Lecce, Brindisi e Taranto) e la mozione in base all'articolo 123 del Progetto di Costituzione fu approvata in modo provvisorio,il tutto fu demandato alla decisione definitiva al Plenum Costituente che si sarebbe tenuto nel dicembre del solito anno. Si arrivò così al dicembre '46, esattamente il 18 dicembre e si voleva mettere la parola fine alla "Questione Apuana" e vedere così se il nostro destino sarebbe stato una volta per tutte toscano o emiliano. Fu così che la Seconda Sottocommissione approvò e confermò la proposta fatta a luglio ribadendo di fatto la formazione di 22 regioni cambiando denominazione alla regione da Emilia Lunense ad Emilia Appenninica con capoluogo di regione Parma...Boom !!!... Tutto d'un tratto eravamo diventati emiliani a dire il vero nostro malgrado, ma come detto la guerra era finita da pochissimo e queste in fin dei conti erano faccende marginali per la gente che doveva pensare a tutt'altro che a temi prettamente burocratici.La partita così sembrava definitivamente chiusa ma con un colpo di scena venne riaperta nel 1947 dall'ormai famosa Commissione dei 75 su proposta di Nilde Iotti che riferiva il parere del segretario del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti il quale chiedeva la sospensione della cosa in attesa di ancora approfonditi studi e venne chiesta la sospensione di ogni decisione in merito.La Commissione si riservò allora di decidere non appena fosse in possesso di ulteriori elementi di giudizio.Dopo una dura crisi di governo (si cominciava subito bene !!!) si arrivò così all'ordine del giorno del 29 ottobre 1947 che riguardava le nuove regioni dove si ritenne al momento di non avere elementi sufficienti per procedere ad un esatta determinazione delle regioni e ci si riservava ulteriori cinque anni per modificare ancora gli assetti regionali.I cinque anni passarono e tutto era andato nel dimenticatoio e sinceramente non era più il caso di fare ulteriori stravolgimenti in un Italia che di cambiamenti ne aveva subiti anche troppi e così una volta per tutte l'articolo 131 della Costituzione sancì definitivamente che le regioni erano 20 e che di conseguenza la nostra Garfagnana sarebbe rimasta toscana. Ed è tutto bene quello che finisce bene direte voi, invece no...Nel 1989 rigurgiti di
Lunezia i territori della "nuova" regione
"irredentismo" tornarono a galla e un giudice Alberto Grassi in una riunione tenutasi con il comitato promotore al Passo del Lagastrello (n.d.r: valico appenninico che separa la Lunigiana dall'Emilia Romagna) di fronte ai giornalisti informò tutti di voler ripristinare quello che non fu 43 anni prima, coniando per la nuova regione il nome di "Lunezia" (dall'unione di "Luni" e "Spezia") una regione che comprenderebbe le province di La Spezia, Massa-Carrara, Parma, Piacenza, Reggio Emilia,Mantova, una parte della provincia di Cremona e di nuovo la Garfagnana.A oggi il tema è ancora caldo per quanto riguarda Lunezia e tutti quelli che sostengono questa lotta (se così si vuole chiamare) tant'è che esiste un sito internet,(http://www.bagnonemia.com/Lunigiana_Lunezia/Regione_Lunezia_doc.ht)una bandiera ufficiale, si tengono manifestazioni che illustrano le bontà eno gastronomiche dei posti interessati, inoltre esiste un Premio Lunezia, riconoscimento che viene assegnato ogni estate a
La bandiera ufficiale di Lunezia
Carrara al valore musicale e letterario delle canzoni, che ha visto premiati negli anni i più grandi cantanti italiani dalla Pausini a Venditti fino ad arrivare a Baglioni, Renga e i Negramaro. 
Voi però fate come volete ma io mi sento orgogliosamente toscano, fiero di appartenere a una regione fra le più ammirate in tutto il mondo.Storia ,arte e natura sono un nostro patrimonio. 

1607 Soraggio.Cronaca di un processo per stregoneria (dai clamorosi risvolti)

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Il sabba delle streghe di Francisco Goya
In Garfagnana, quando il buio avanzava come una tenaglia dai crinali degli Appennini e dai giganteschi contrafforti delle Apuane, c’era chi giurava di vedere interminabili processioni di lumi fiochi salire in silenzio lungo i crinali. Altri parlavano di veri e propri tizzoni ardenti che volavano nella notte a velocità impressionante,qualcuno invece la sera sentiva picchiettare alla porta di casa e la mattina dopo trovava segni neri come impronte di mani infuocate e a questo punto non c'era più dubbio erano proprio loro...ma loro chi?...Le streghe! Andava proprio così erano secoli veramente bui quelli che vi sto per raccontare, dove l'uso della ragione era patrimonio di pochi e l'ignoranza abbondava in ogni dove. Questa è una storia persa nel tempo, rimossa dai ricordi più nascosti che grazie al lavoro del professor Oscar Guidi è stata recuperata. Si tratta di un processo per stregoneria (con risvolti clamorosi direi...) avvenuto nel 1607 condotto dalla Santa Inquisizione di Modena nei confronti di alcune persone di Soraggio vicino Sillano. Siamo all'inizio dell'estate del 1607 e il rettore della Chiesa di San Martino di Soraggio il presbitero Joannes Paninius (così si legge testualmente negli atti) si reca al convento di San Francesco tra Pieve Fosciana e Castelnuovo per incontrare il vicario del Sant'Uffizio per la Garfagnana padre Lorenzo Lunardi per denunciare almeno 60 persone"maleficate" e ritiene la causa di tutto ciò quattro abitanti del luogo da lui individuati come streghe e si tratterebbe di:

Lucrezia moglie di Biagio dalla Villa di Soraggio;
Jacopino di Luca da Brica;
Maria di GiovanAntonio di Brica
Maria già moglie di Francesco Cappa, anche questa di Brica.

Gli indizi a suo parere per cui ritiene di chiamare questi "esseri"streghe sono inconfutabili poiche circola voce che discendono da persone
Villa Soraggio
ritenute tali e che inoltre siano in grado di compiere malefici e per di più, a riguardo cita numerosi testimoni pronti a confermare quanto affermato e per sgombrare ogni dubbio il prelato sottolinea il fatto che queste quattro persone quando incontrano dei religiosi mostrano timore e "non ardiscono alzare gli occhi". L'Eccellentissimo Vicario del Sant'Uffizio Padre Lunardi si mette subito in moto e il 3 luglio lo troviamo già a Soraggio per ascoltare i testimoni.Anastasia di Francesco, di Villa Soraggio, è vicina di casa di Lucrezia di Biagio, talvolta la notte sente che i suoi figlioli la chiamano ma ella non risponde; così ritiene che in quei frangenti Lucrezia sia via con le streghe, "imaginandomi che all'hora sia in stregaria";per cui gli avrebbe anche domandato dove se ne vada la notte, Lucrezia le avrebbe risposto vagamente di stare fuori a vegliare.Lucia moglie di Francesco, anch'ella di Villa Soraggio, riferisce che una mattina, presso una fonte chiamata "Il Canale", l'imputata Lucrezia le toccò una gamba dicendo: "Oh la bella gamba che tu hai";quasi immediatamente sulla gamba si formò un livido molto esteso, e da allora lei si è sentita la vita tutta "travagliata".Una certa Antonia, moglie di Andrea di Giovanni, di Metello, dice di aver sentito una volta Jacopino, di ritorno dalla messa, pronunciare queste parole: "l'anima mia è spedita".Su Jacopino vengono riferite altre accuse: avrebbe piantato un chiodo nella radice di un gelso vicino a casa di Francesca di Francesco Ramella, di Brica, affatturando così la propria figlia, che mentre toglievano finalmente quel chiodo faceva grandissimi strepiti ed urli bestiali, avrebbe poi insistentemente invitato Angiola figlia di Bartolomeo di Villa Soraggio ad andare con lui in "stregaria," promettendole "...gusti, e piaceri, come di soni, canti, balli, cibi delicati, e coito a gusto mio..." . Insomma le testimonianze abbondavano e detto fatto il solerte Padre Lunardi tre giorni dopo, il 6 luglio trasmette gli atti all'Inquisitore Generale Padre Serafino Borra da Brescia che decide per paura di fughe dei quattro imputati di farli arrestare e di condurli a Modena a disposizione del tribunale della Santa Inquisizione. Gli interrogatori cominciarono il 23 luglio ma clamorosamente durante il processo comparve una lettera consegnata da un tale Giovanni proprio nella mani dell'inquisitore generale fra' Serafino. la lettera getta una chiara luce su tutta la vicenda e così ve la riporto:

Molto Reverendo Padre Inquisitore,Faccio sapere a Vostra Signoria che quelli poveretti da Soraggio sono stati messi al Sant'Offitio per malignità del prete del detto loco di Soraggio.La causa è che i detti che sono impregioni da Vostra Signoria havevano ditto e parlato d'alcune donne che facevano le spiritate et andavano e vanno di continuo a darsi piacere co detto prete alla sua
Una "strega" al rogo
canonica, et per haver scoperto questo detti poveretti sono stati tribolati come Vostra Signoria sa, et questo lo significo a V.S. perchè so che il Sant'Offitio no 
persegue 
alcuno per vendetta, suplicando V.S. a liberare detti carcerati sapendo io che loro so' buoni christiani."                                                                             
 La lettera venne messa agli atti del processo, ma gli interrogatori durarono per mesi, da luglio fino ad ottobre. Tutti negarono decisamente le accuse, nemmeno la tremenda tortura della "corda"(che consiste nel sollevare da terra l'imputato con le braccia legate dietro la schiena e dandogli dei"tratti", cioè svolgere rapidamente la corda attorno alla carrucola, causando tremende distorsioni e dolorose fratture alle articolazioni) piegò i poveri imputati. Naturalmente una delle tre donne, la più anziana, Maria moglie di Francesco Cappa perse la vita e il 18 settembre venne sepolta. Gli altri tre come si crederebbe non verranno condannati al rogo proprio grazie alla lettera contro il parroco di Soraggio che aveva messo seri dubbi nella testa dell'inquisitore "Non videntur probata indicia" (Non vidi prova certa) e credette comunque di condannare i tre disgraziati a pene varie e a una moltitudine di penitenze la più grave delle quali l'esilio forzato per due anni e mezzo dal paese nativo (Soraggio).
La tortura della "corda"

Vorrei concludere facendo una mia modesta analisi nel dire che risulta in maniera assai chiara quale fosse il clima sociale in cui nascevano denunce che potevano portare alla morte degli innocenti, come fu anche in questo caso, nel quale un religioso, probabilmente per coprire uno scandalo che lo vedeva coinvolto, non esitò, con la collaborazione di alcuni abitanti dei luoghi, a fare incarcerare, torturare e condannare anime affidate alla sua cura e pensare che fra il 1450 e il 1650 in questo modo sono stati mandati al rogo decine di migliaia di persone innocenti.
Gli atti del processo sono conservati presso l'Archivio di Stato di Modena; sono stati studiati e pubblicati da Oscar Guidi.

Un patrimonio artistico religioso tutto garfagnino (spesso trascurato): le "Mestaine"

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Mestaine in Garfagnana
Sono esempi di un’arte popolare, che rappresenta un patrimonio storico religioso straordinario, ma poco conosciuto e spesso trascurato.La nostra valle ne è piena,la loro è una presenza silenziosa che sfugge spesso all'occhio distratto del passante e che, proprio per questo motivo occorre tutelare sempre con attenzione. Sono le "mestaine"così comunemente conosciute in Garfagnana con questo nome, in alternativa le possiamo anche chiamare maestà,maestaine,o marginette in ricordo di quando il termine latino “maiestas” era rivolto alla divinità e ai santi, oppure "Madonnine" perchè senza dubbio il maggior numero delle immagini è collegato al culto Madonna.Situate quasi sempre ad un incrocio o perlomeno in prossimità (fateci caso, poi spiegherò il perchè),sui ponti, sulle fontane,sono fatte in marmo,in arenaria o anche in terracotta. Avevano (anzi hanno) funzione votiva per ringraziare da uno scampato pericolo, oppure per proteggere una famiglia,una comunità o anche i raccolti.Oltre ad un motivo religioso anticamente ve ne erano altri più pratici, cioè quello di indicare la strada ai viandanti e anche di delimitare i confini fra una proprietà e l'altra. La loro origine è risale a tempi lontanissimi; anche questo è un culto e una tradizione che abbiamo ereditato dai romani.I primi furono loro ad erigere immagini raffiguranti gli Dei per ingraziarsi la loro protezione, tant'è che regolarmente si svolgevano delle vere e proprie processioni davanti a queste figure,delle cosiddette "rogationes"in latino o come si dice oggi delle rogazioni. Fatto sta che pari pari il cristianesimo ha fatto sua questa usanza ricalcando passo passo quello che fu dell'antica Roma e infatti anche i nostri nonni facevano queste rogazioni davanti alle mestaine in primavera per chiedere grazia a Dio e alla Madonna di un abbondante raccolto. Il gran numero di mestaine nella nostra Garfagnana ci induce a pensare che non siano frutto  di occasionali iniziative ma bensì di un rituale religioso consolidato nei secoli e ciò va inserito nel fermento religioso che coinvolse la valle intorno al 1600-1700 sull'onda della fine del Concilio di Trento (1563) che portò una ventata di "modernità" e di rispolvero in tutto il cattolicesimo in relazione poi a una certa tranquillità
1523:La più antica "mestaina"
 della Garfagnana a Puglianella
politica che vide in quell'epoca un vero "fiorire" di mestaine in ogni dove. Ne abbiamo una che è precedente a tutte le altre che va considerata a buon titolo la più antica di tutta la Garfagnana e si trova in località Sassina a Puglianella nel comune di Camporgiano ed è del 1523. Durante la bella stagione diverse pie donne nelle loro
passeggiate la domenica pomeriggio andavano alle mestaine a recitare rosari e preghiere e così anche i viandanti che ad ogni crocevia dove era posta un immagine sacra o una croce recitavano una preghiera:

Fermati o passeger non ti sia grave
chinare il capo e recitare un'Ave
Maria Santissima di cuore vero
copriteci con il vostro velo
Guidateci per la via sicura del Cielo
Madre del buon consiglio
pregate per il vostro figlio
che ci liberi da ogni periglio
e in morte ci dia buone sorte

Ma perchè di solito queste mestaine sono poste in prossimità di incroci o bivi ? Qui come spesso succede in questi casi si mescola il sacro con la superstizione, infatti era credenza che in queste strade a più vie si potessero generare energie cosmiche tali da richiamare un confluire di streghe e demoni ed ecco anche il perchè la maggior parte delle immagini raffigurate nelle mestaine rappresentano la Madonna che notoriamente schiaccia il serpente 
La Madonna che schiaccia
 la testa al serpente
simbolo del demonio. Oggi molte
mestaine sono state distrutte dal passare degli anni specialmente quelle che si trovavano lungo le mulattiere o i sentieri apuani. Purtroppo alcune di quelle rimanenti le troviamo malmesse, corrose dall'inquinamento,sbiadite dalle intemperie.Un vero e proprio patrimonio artistico e religioso garfagnino tenuto in vita nella maggioranza dei casi dalla cura delle persone del luogo. Non abbiamo timore di difendere la nostra storia, i nostri sentimenti religiosi, la nostra cultura e le nostre tradizioni. 

Il Monte Sumbra e le marmitte dei giganti.Luoghi meravigliosi abitati da personaggi leggendari

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Il Sumbra
Se il Pisanino è il re della Apuane e la Pania la sua regina possiamo considerare a buon titolo il Sumbra il suo principe.Il Monte Sumbra chiamato così a quanto pare perchè la sua mole imponente (specialmente se osservata da Vagli) ha l'aspetto di un animale accovacciato o di una sfinge che siede sulla propria ombra si trova diviso fra due comuni garfagnini:Vagli e Careggine.La sua vetta arriva a 1769 metri d'altezza e lo si può raggiungere facilmente da Capanne di Careggine godendo di panorami unici e severissimi, mentre percorrendo la strada Castelnuovo- Arni nel tratto da Campaccio a Tre Fiumi si può facilmente apprezzare tutto il grandioso versante meridionale.Da questo versante costeggiando i fianchi del monte un sentiero ci porta al bosco del Fatonero, una faggeta incantevole che tradizione vuole che sia abitato dai linchetti (n.d.r:piccoli esseri
Il bosco del Fatonero
(foto di Marco Matteucci)
dispettosi).Ma la cosa che più sorprende l'escursionista e ciò che produssero i giganti
(come leggenda dice) che abitavano queste zone: delle smisurate marmitte .La parete del Sumbra è un esteso squarcio nella montagna, una parete ripida e scoscesa interrotta da profondi canaloni e qui in fondo si aprono le famose Marmitte dei Giganti è come se un gigantesco colpo di vanga avesse rotto il monte per far vedere il cuore del marmo bianco immacolato,candido come lo stesso  cuore dei generosi giganti che abitavano quei profondi canaloni inaccessibili all'uomo.Si racconta che questi incavi nella roccia furono fatti da questi esseri mitici per creare così delle immense "scodelle"che potessero raccogliere l'acqua piovana che sarebbe servita per dissetarli.In verità si tratta di profonde buche cilindriche scavate nel letto dei torrenti dalla lenta azione erosiva dell'acqua e dei sassi trasportati.Possono arrivare fino a sei metri di diametro per un metro e sessanta di profondità...Ma siccome noi siamo anime sognatrici lasciamo da parte la scienza ed entriamo ancor di più nel leggendario e nel fantastico.La generosità di questi giganti è raccontata da una leggenda che narra delle fatiche e della povertà in cui viveva la gente di Garfagnana molto tempo fa.
Un vecchio pastore delle Capanne di Careggine abitava con i suoi piccoli due nipoti in una capanna fuori paese.Questi bambini erano rimasti purtroppo orfani di padre e di madre.La loro era una vita grama, e il povero nonno non aveva neanche più le energie di una volta ed era sempre più difficile provvedere a sfamare se stesso e i piccoli nipoti.Per sbarcare il lunario il povero vecchio accettava umili e faticosi lavori a destra e a manca, andava dal vicino di casa a tagliare legna, correva dal contadino ad accudire gli animali, ma poi quando sopraggiungeva l'inverno le difficoltà
Le Marmitte dei Giganti
(Foto Club Alpino Italiano)
aumentavamo e non aveva niente da mangiare cosicchè chiedeva aiuto ai paesani. Una mattina il nonno e i nipoti salirono sul Sumbra a raccogliere erbe che li crescevano abbondanti,lasciò i nipoti a raccogliere gli "erbi" mentre lui si mise a sedere ai piedi di una roccia, le lacrime cominciarono a solcare il viso del vecchio, la disperazione prese l'uomo che non riusciva a dare da mangiare ai piccoli.Il giorno seguente il vecchio risalì sul monte a cogliere ancora le erbe e quando ebbe terminato ritornò alla solita roccia del giorno prima a riposarsi e con grande meraviglia vide un mucchietto di sale proprio nel posto dove il giorno prima aveva versato le lacrime.In quei tempi il sale era merce preziosa perchè in Garfagnana scarseggiava ovunque ed era necessario per la conservazione dei cibi,possederne anche solo un po' era considerata una vera e propria fortuna. Il pastore se ne riempi le tasche e corse subito in paese a scambiarlo con farina, carne, fagioli e tutto questo andò avanti per molto tempo.Per molte mattine il nonno saliva sulla montagna trovava il mucchietto di sale e lo barattava riuscendo così a mettere da parte una buona scorta di cibo e anche qualche denaro.Un bel giorno tornando sul monte il vecchio non trovò più il sale, ma non se la prese più di tanto, la vita adesso era molto meno dura,il suo sguardo così si voltò involontariamente verso la roccia e vide scolpita sulla sua superficie il volto di tre giganti che sorridevano, volti misteriosi ed amici che lo avevano aiutato
Marmitte dei giganti
(foto club alpino italiano)
lasciando li il sale nella notti passate.Avevano scolpito i loro volti nella pietra perchè gli uomini si ricordassero della loro generosità ed oggi li possiamo vedere ancora là dove il sentiero esce dal bosco e si affaccia sul nudo precipizio del Sumbra.

Posti e luoghi che meritano di essere visitati, un posto questo quasi lunare che toglie il respiro e ha il potere magico di fermare il tempo all'epoca mitica dei giganti.





Il Natale garfagnino degli anni passati nelle memorie di una bambina di allora.Era il lontano 1948...

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Non tutti i Natali erano,sono e saranno uguali. Ogni Natale è figlio della sua epoca, del suo modo di vivere e delle persone che vivono quel momento, forse un giorno lontano i nostri nipoti o bisnipoti ricorderanno i nostri, ma per noi oggi  rimane sempre vivo nei
nostri ricordi e nei nostri cuori i natali che ci raccontavano i nostri nonni, fatti di cose semplici, di solidarietà e unione fra la gente e personalmente se dovessi vivere un Natale di quelli passati mi piacerebbe rivivere uno di questi che vado a raccontare. Questo che vado a narrare è un Natale garfagnino del 1948 riportato nelle memorie di una bambina di allora la Signora Iva di Gallicano:
"Mi ricordo che da piccola quando si avvicinava il Natale mia madre incominciava un po' di tempo prima a preparare qualcosa.Comprava lo zucchero e diceva -Questo lo useremo per il vino bollito- Poi preparava qualche bottiglia di liquore comprando gli estratti, poi la tradizionale bottiglia di rum non mancava mai, quella serviva per fare il ponce.Quelli erano tempi duri,non c'era niente, c'era solo miseria,però per Natale non volevamo farci mancare niente.Arrivava la vigilia ed era tradizione in casa mia fare l'albero proprio quel giorno.L'albero veniva fatto di zinebro (n.d.r:ginepro), mia madre mi aiutava a metteva sul tavolo fichi secchi,castagne secche, noci,qualche arancio e qualche mandarino.Io mi procuravo dei pezzetti di carta  di vari colori o anche di carta argentata per incartare le castagne e le noci che avrebbero fatto da palline,poi qualche fiocco di cotone sembrava neve,la stella veniva fatta di cartone poi la coloravo di giallo con la matita e l'albero era fatto.Era bello il mio albero!A me sembrava così! Veniva messo alla finestra in cucina,la finestra dava sull'aia ,io mi sentivo felice e passavo molto tempo ad ammirarlo.Avrei voluto fare anche il presepe, ma non potevo mancavano i soldi per comprare i personaggi, ma mia madre cercava di rincuorarmi dicendo - Non vedi? Qui dove stiamo noi è come se si vivesse in un Presepe! Osserva e vedrai -. Effettivamente la vita intorno a me si svolgeva proprio come in un presepe, sentite un po'.Io vivevo in Campi di Lato (n.d.r: località del paese di Gallicano) eravamo in sei famiglie,di fronte casa mia c'era la capanna del Lio ,qualche metro più in la quella
del Gino e venivano attraversate da un piccolo ruscello che serviva per abbeverare le mucche e per annaffiare gli orti.Di fianco alla capanna del Lio c'era un bel forno per cuocere il pane,un po' distante la polla dell'acqua buona dove le donne andavano a prenderla con le secchie. Dall' altro lato un lungo viottolo alberato c'era la capannetta del Martinelli dove teneva il gregge e alla fine del viottolo un ponticello di legno sospeso sopra la Turrite che serviva per condurci in Sant'Andrea (n.d.r: altra località di Gallicano).Per la vigilia mi affacciavo alla finestra accanto al mio albero e osservavo le persone indaffarate  che cercavano di sbrigarsi nelle faccende quotidiane per rincasare un po' prima data l'importanza del giorno.Il Lio che andava e veniva dalla stalla per governare le mucche,la mamma del Gino che tornava da mungere con il secchio pieno di latte caldo,la zia Marianna con la secchia in testa che tornava da prendere l'acqua dalle fontane e in lontananza sentivo il tintinnio dei campanelli delle pecore del Martinelli che tornavano all'ovile.Aveva ragione la mamma era come vivere in un presepe a cielo aperto e tutto questo mi riempiva di gioia. E così scendeva la sera, tutti si ritiravano nelle loro case, si accendevano le luci e si incominciava a preparare per la cena.Mia madre apparecchiava la tavola e mio padre metteva un grosso ciocco sul fuoco e diceva - Stasera bisogna scaldare Gesù Bambino- Io e miei fratelli non vedevamo l'ora di mangiare, quella sera la cena era costituita da piatti speciali:polenta e baccalà, cavolo nero e fagioli bianchi.Dopo cena era il momento più bello quando il babbo tirava fuori il torrone e tutti battevamo
le mani per la gioia, dopodichè  si cominciava a chiamare parenti e amici a prendere il ponce, poi cominciavamo anche noi ad andare di casa in casa a fare gli auguri e a brindare con i vicini.Verso le undici di sera cominciavano a suonare le campane, noi non andavamo alla messa di mezzanotte perchè il sentiero del "Brillo"era buio e ghiacciato.Allora verso mezzanotte ci mettevamo tutti intorno al camino a cantar "Tu scendi dalla stelle".A mezzanotte in punto si faceva il brindisi e ricordo che mio padre diceva sempre - E' nato!è nato! Auguri a tutti.Anche per quest'anno ci siamo arrivati- e poi noi più piccoli andavamo a letto mentre i grandi rimanevano a festeggiare .Arrivava il canto del gallo e loro erano ancora lì un po' brilli ma soddisfatti e felici.(Tratto dai racconti del libro "Stasera venite a vejo Terè?")  
Ora quando arriva Natale è tutto diverso, gli alberi scintillano di luci e colori, le vetrine dei negozi sono tutte illuminate ed è una lunga corsa al regalo.Ora Natale vuol dire consumismo se non c'è regalo non è Natale.Gli amici si incontrano si scambiano due auguri in fretta e furia  e diciamo la verità si è perso un po' del significato vero del Natale...
Che dire... i tempi cambiano e da parte mia non rimane che augurare un felice e sereno Natale a tutti!!! 

Il più tragico Natale che la Garfagnana ricordi. Il 26 dicembre 1944 iniziò una cruenta battaglia meglio conosciuta come "Tempesta d'inverno"

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La guerra non conosce feste, non ha pietà di niente e nessuno e
Il quadro delle operazioni
della "Battaglia di Natale"
infatti fu così in quella che oggi è comunemente conosciuta come la "Battaglia di Natale".La storia rammenterà sempre quella data del 26 dicembre come il peggior Natale che la Garfagnana ricordi.Fu un massacro di civili e militari quella battaglia che cominciò alla mezzanotte in punto del 26 dicembre 1944 battezzata dalle forze dell'asse con il nome in codice "Wintergewitter" in italiano "Tempesta d'inverno".L'operazione fu l'unica azione offensiva lanciata congiuntamente dai reparti della Wehrmacht e dall'esercito della Repubblica Sociale nel corso della guerra diretta contro le forze americane della 92a Divisione Buffalo.Fu considerata l'ultima disperata azione offensiva.Ma prima però di raccontare gli eventi facciamo velocemente un po' di antefatto per spiegare le cause che portarono a questa famosa battaglia.Le forze alleate comandate dai generali Alexander e Clark avevano intenzione di sfondare la Linea Gotica nei pressi di Bologna per poi entrare velocemente in tutta la Pianura Padana, ma servizi di controspionaggio informarono a quanto pare le forze tedesche, che a loro volta pensarono ad un attacco nella zona occidentale della Linea considerato un settore fino a quei giorni tranquillo e quindi debolmente presidiato dai reparti americani, allo scopo così di allentare la pressione in quel settore di fronte che avrebbe permesso come detto prima alle forze alleate di entrare a Bologna e di "inondare" così tutto il nord Italia.Il piano

incontrò pieno appoggio da parte di Mussolini e del comandante della RSI il maresciallo Graziani, anzi la missione aveva un obiettivo in più lo sfondamento del fronte e la riconquista di Lucca e Livorno.Incominciarono così intorno al 10 dicembre le prime
ricognizioni tedesche per sondare il terreno contro le postazioni nemiche tanto per iniziare ad indebolire il fronte e come zona
d'attacco fu scelta in maniera definitiva la Valle del Serchio e la Garfagnana.Le postazioni della 92a Buffalo,composta per la
 maggioranza da afroamericani  erano giudicate un obiettivo facile per l'inesperienza di quelli che dai loro stessi comandanti erano considerati soldati di seconda scelta in un America di quei tempi razzista e segregazionista.Ormai era tutto deciso l'attacco fu

La 92a Divisione Buffalo in azione

affidato al comando del generale tedesco Otto Fretter Pico e fu posto così al comando della 148a Infanterie-Division (di cui faceva parte anche la Divisione Alpina Monterosa).Per la data dell'attacco fu scelta la notte fra il 25 e il 26 dicembre onde sfruttare la

tregua natalizia."Tempesta d'inverno" aveva così inizio. L'offensiva scattò come detto immediatamente allo scoccare della mezzanotte del 26 dicembre senza fuoco preparatorio per mantenere fino all'ultimo l'effetto sorpresa.La prima a muoversi fu la terza colonna composta da reparti di "gebirgsjager" (truppe da montagna tedesche), l'attacco si sviluppo sul lato orientale del Serchio.I primi scontri furono a Sommocolonia (comune di Barga), iniziò tutto con lo sparo nella notte di un razzo verde e rosso per comunicare l’inizio dell’attacco alle altre due colonne più in basso, proseguì con la distruzione e l’occupazione del paese, terminata in serata con oltre 130 caduti tra tedeschi, americani partigiani e civili. Si racconta di episodi particolarmente violenti in paese, testimoni raccontavano dei primi paesani morti. I fatti di sangue avvennero al mattino presto.Alle 7 i tedeschi irrompono nelle prime case del paese, in via della Bulitoia, e in una abitazione prima del piazzaletto Mario Cassettari di anni 29 viene ucciso sulla porta di casa da un soldato che lo centra con un colpo di fucile.Nella casa accanto un altro soldato spara inutilmente una lunga raffica di mitra attraverso una porta chiusa. I colpi raggiungono il bambino Giuliano Nardini di 4 anni che muore, in braccio alla mamma; altri 7 proiettili feriscono gravemente il fratellino Nardino di anni 11. Un partigiano, Giocondo Gonnella di Tiglio viene sorpreso in una casa in Piazza San Rocco, e ucciso. Verrà gettato dalla finestra.Nel frattempo "Wintergewitter"continuava, il battaglione "Mittenwald"aveva già messo in sicurezza tutto il fianco sinistro occupando Bebbio e dopo aver respinto un flebile attacco americano aprirono un decisivo varco anche verso destra raggiungendo anche la linea compresa tra Barga e Coreglia. L'operazione si stava rivelando un vero successo per le forze dell'asse. La mattina del 27 si mossero anche i reparti italiani della Monterosa che attaccarono le posizioni americane a sud di Castelnuovo,i reparti americani iniziarono una ritirata a rotta di collo verso sud. Entro sera gli italiani presero Gallicano, mentre dall'altro lato i tedeschi entrarono a Fornaci.Ormai il fronte era sfondato per oltre 20 chilometri.La mattina seguente l'avanzata continuava i tedeschi presero Calavorno, gli italiani Bolognana. Ma come si sa gli americani non sono certo i tipi che stanno a guardare e la 5a armata venne in soccorso, elementi della 1a divisione affluirono nella zona dello sfondamento aiutati ancora da ulteriori rinforzi dell'8a Divisione Indiana e dal massiccio supporto fornito dai cacciabombardieri Thunderbolt della 22nd Tactical Air Command che fra il 27 e il 29 dicembre compirono sopra la valle ben quattromila missioni con ben ottocento aerei.Il comandante germanico Fretter Pico per mancanza di rinforzi dette l'ordine di ritornare nelle postazioni di partenza nonostante che il maresciallo Graziani insistesse nell'avanzare.Nei due giorni successivi i soldati tedeschi ed italiani ripresero le loro posizioni di cinque giorni prima come niente fosse successo in barba allo spreco di vite umane. Oltre 2000 furono i  morti complessivi in quei giorni.In pratica l'operazione "Wintergewitter" non ebbe nessun risultato strategico, il terreno conquistato da Fretter Pico non poteva essere tenuto contro la soverchiante forza americana.In compenso gli italo
Gallicano bombardata
tedeschi ottennero un buon successo tattico impossessandosi di armi ed equipaggiamenti e di oltre 250 prigionieri,inoltre spostando le truppe su un settore secondario ritardarono l'offensiva alleata su Bologna.Pesanti critiche furono addossate agli afroamericani della 92a divisione Buffalo per lo sbandamento avuto durante l'offensiva.Le truppe furono spostate in una zona di settore tranquilla e riorganizzata.

Voglio chiudere per ben sintetizzare tutto con un brano del libro "Barga paese come tanti" di Bruno Sereni che ricordava quello che fu dopo quei terribili giorni
"...la camionetta del signor Governatore ( il comandante inglese) corre in su e in giù- … la tragedia di questa povera gente lo interessa dal punto di vista fotografico. Di quando in quando si ferma a prendere una serie di istantanee che un giorno farà vedere ai suoi amici in qualche “club dei Greenwich Village”. Che cosa rappresenta dopotutto questa fuga nel quadro della guerra per il Comando Alleato? La semplice perdita di qualche caposaldo che si riprenderà quando si vuole…"

Eccezionale scoperta sulla Pania di Corfino dopo tremila anni torna a rivivere l'antico gioiello della"Signora delle Rupi"

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La preziosa scoperta fatta dal Gruppo Archeologico Garfagnino.
Ecco il meraviglioso monile di tremila anni fa appartenuto alla "Signora dele Rupi"
E così vogliamo chiudere l'anno con il botto.Direi proprio di si.Storicamente parlando vi sto per raccontare di una scoperta a dir poco eccezionale per tutta la Garfagnana,una di quelle scoperte che farebbe invidia a qualsiasi Indiana Jones in erba ed anche al più famoso degli archeologi.Ne riporta la notizia anche alcuni giorni fa un articolo su"Il Tirreno" di Paola Taddeucci.Il tutto è avvenuto a Cima La Foce alle pendici della Pania di Corfino (comune di Villa Collemandina) sul quel cucuzzolo che tremila anni fa (l'epoca dell'oggetto ritrovato) dominava uno degli itinerari di collegamento fra il fiume Serchio e la Pianura Padana  e dove oggi due volontari del Gruppo Archeologico Garfagnino, Nicola Salotti e Alessandro Bonini hanno rinvenuto un prezioso e bellissimo monile dell'età del bronzo,un ornamento femminile che dopo tremila anni è tornato a vivere, un vero e proprio gioiello di bronzo caratterizzato da uno stupefacente intreccio di catenelle sospese a tre elementi traforati che si concludono in una sequenza di pendagli fatti a forma di punta di lancia e sicuramente questo non era  un capo da tutti i giorni ma bensì un capo da gran signora, per meglio intendersi da signora
Il luogo del ritrovamento:La Pania Di Corfino
d'alto rango che con ogni probabilità indossava sulle spalle o sul petto in momenti rituali.A questo punto una volta trovato il prezioso tesoro i ragazzi del Gruppo Archeologico Garfagnino hanno ben pensato di contattare la Sopraintendenza Archeologica Toscana nella persona di Giulio Ciampoltrini (che ha diretto tra i più importanti scavi di tutta la lucchesia) perchè visionasse scrupolosamente il reperto e confermasse ciò che a loro era sembrato essere una scoperta straordinaria.L'esperto ha dissolto tutti i dubbi, dalla paura che fosse un miserabile scherzo (di questi tempi è bene andare con i piedi di piombo...) a quello dell'effettivo valore della scoperta,tant'è che nella sua analisi dice che di monili simili ne esistono solo tre al mondo, due nel sud della Francia e uno in Piemonte,ma nessuno di questi è sontuoso complesso ed integro come quello garfagnino.Di quell'epoca lontanissima erano già state fatte molte scoperte in Garfagnana, si trattava di oggetti di uso quotidiano (anfore,utensili da cucina... ) e non di tale rilevanza ma questo conferma (qualora ce ne fosse bisogno) della centralità del nostro territorio dal punto di vista archeologico.Già prima del 1000 a.C d'altronde la Garfagnana era un punto nevralgico dei traffici fra i territori dell'alto Tirreno e la Pianura Padana.Agli albori del
Archeologi in azione
primo millennio infatti prosperavano "i signori delle rupi" gruppi sociali di grande levatura sociale insediati sulle vette della Valle del Serchio,lungo le principali vie maestre che collegavano la Toscana e le zone del Po,abilissimi negli scambi che si basavano sullo sfruttamento delle risorse del territorio e quindi ricchi e potenti da permettersi oggetti straordinari come il"nostro" gioiello.A confermare l'importanza della nostra zona su tali ritrovamenti mi piace ricordare di un villaggio del VI-V secolo a.C scoperto in località Murella. Rilevanti tracce dei liguri apuani sono state rinvenute sul Monte Pisone (vicino San Romano

Garfagnana)e sul Colle delle Carbonaie (Castiglione Garfagnana) quest'ultimo rimane uno dei più importanti documenti della cultura ligure a livello nazionale. Ma purtroppo di fronte a tutto ciò rimane un grosso cruccio per tutta la Garfagnana (come poi sottolinea lo stesso archeologo Ciampoltrini).Nonostante i numerosi ritrovamenti nella nostra valle manca un museo con la emme maiuscola dove possono essere riunite le testimonianze rinvenute in vent'anni di scavi e che hanno messo in luce tutta la storia garfagnina che parte dal Mesolitico, all'età del bronzo,i periodi etruschi, dei liguri apuani, dell'età romana, ai "nostri"castelli medioevali,
L'insediamento ligure apuano
 di Colle alla Carbonaie
fino al "recente" periodo estense,per così arrivare poi all'età moderna. Se non altro per non rischiare poi di ritrovare dopo decenni oggetti rari e preziosi come quello di Cima La Foce in qualche polveroso deposito di qualche anonimo museo.Intanto magari sarebbe bello rivedere il prezioso monile in una mostra aperta a tutta la gente della valle il cui titolo come dice Ciampoltrini potrebbe essere "La Signora delle Rupi".Il prezioso cimelio ora si trova nelle mani della Soprintendenza Archeologica Fiorentina che riporterà il metallo allo splendore iniziale e analizzerà ancor più approfonditamente l'oggetto, in attesa che un giorno l'ornamento dell'antica Signora torni a casa sua:in Garfagnana.



La Befana garfagnina...storia, tradizioni e leggende di una volta

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Una delle "nostre" Befane più famose
di sempre Mario Pieroni di Barga
 detto il "Tiglio" (foto tratta dal sito
bargainfoto.altervista.org)
Diciamolo chiaramente Babbo Natale  è un personaggio che ci hanno propinato alcune leggende nordiche riadattate poi dai paesi anglosassoni ed ulteriormente edulcorate nientepopodimeno che dalla Coca Cola (tanto per dire in origine Santa Klaus aveva il proprio abito di colore verde e non l'attuale rosso fiammeggiante imposto dal colosso americano delle bevande gassate) e per noi garfagnini il Natale era una festa puramente religiosa e nessun bambino per la Santa Natività si aspettava dei doni perchè a questo compito ci pensava la Befana che tutti i piccoli attendevano con un misto di trepidazione e paura.Trepidazione perchè era una delle poche, se non l'unica occasione per ricevere regali (seppur modesti).Paura perchè se durante l'anno non si erano comportati da buoni e bravi ragazzetti al posto dei regali si sarebbe ricevuto del carbone.La sera del 5 gennaio i bambini andavano a letto non senza aver appeso la calza al caminetto e sopratutto non bisognava dimenticarsi di lasciare un "fascetto" di fieno davanti alla porta di casa per far mangiare il "miccio" (n.d.r:asino) della Befana e anche della legna secca per far scaldare la povera vecchina.Alle cinque del mattino del 6 gennaio le campane cominciavano a suonare a festa e tutti i ragazzi saltavano il letto e correvano a vedere davanti alla porta,non trovando più nè fieno nè fascine perchè l'asinello aveva mangiato e la Befana si era riscaldata, soddisfatti andavano a scrutare la calza del camino. I doni che ricevevano i nostri nonni erano fatti di una befana povera:un'arancia, al massimo due, nocciole,noci, mele,castagne e fichi secchi e ai bambini benestanti poteva capitare di trovare addirittura una fettina di panforte, ma il pezzo forte (come per tutti i bimbi del mondo) erano i giocattoli.Alle bimbe di solito capitavano bamboline di cencio riempite di segatura,mentre ai maschietti regalavano trottole di legno, animaletti intagliati e sempre a quei pargoli di buona famiglia i famosi soldatini di piombo (vera invidia di tutti i
piccoli del paese).Tutti questi giochi non venivano acquistati nei negozi naturalmente, ma di solito erano opera del babbo o del nonno che in gran segreto li costruivano quando il bimbo la notte andava a dormire. Ma cosa c'era di più bello quando poi arrivava l'ora di mangiare i "befanini". Nella Garfagnana storica erano i biscotti che le massaie usavano fare per il periodo natalizio, così chiamati perchè tradizione vuole che vengano preparati il giorno della Befana.I befanini rimangono i biscotti dei nostri nonni. Una fabbricazione rustica fatta da cuore e mani contadine;ogni famiglia aveva la sua ricetta, chi metteva più burro, chi più uova, ma quello che le rendeva (e le rende) unici e simpatici è il suo impasto che veniva tagliato con formine di varie figure:cuori, stelle, animali, omini e così via,il tutto ingentilito con guarnizioni colorate. I più piccoli le trovavano dentro la calza, poi le mamme ne preparavano in gran quantità per tutta la famiglia.Scambiarsi i befanini  era un rito, l'operazione era affidata ai più piccoli che durante il tragitto non resistendo alla loro bontà per metà se li mangiavano e il resto lo consegnavano agli amici e parenti.Venivano anche regalati alle persone che la sera del 5 gennaio passavano di porta in porta ad annunciare la Befana cantando appunto "le befanate". Già "le befanate".Qui affondiamo le nostre radici ancor più in profondità.Si ha la prima notizia documentata dei canti della befana nella nostra zona a Barga nel 1414 quando si parla dell'Epifania precisamente nel "liber maleficiorum" l'attuale codice penale.In un paragrafo si commina un' ammenda di dieci soldi " per ciascuna persona ardisca,la notte della Befana, di andare alla casa di qualsiasi persona di Barga a dire quelle disoneste parole, le quali sono state dette per l'adietro, sotto pena di soldi dieci, a ribadire per ciascuna persona e per ciascuna volta che la vigilia dell'Epifania canterà quelle brutte cose che si usano da lungo tempo". Invece sono canti
I Befanini
bellissimi,legati al mondo contadino, canti tradizionali di questua che si eseguono alla vigilia dell'Epifania a partire dall'imbrunire fino a notte
.In Garfagnana la tradizione è tutt'oggi viva più che mai.I cantori guidati dal suonatore (accompagnato di solito da fisarmonica o chitarra) precede di pochi passi la Befana ( che spesso è un uomo travestito da donna perchè anticamente la donna non poteva nè recitare nè mascherarsi ) e il befanotto (il consorte della befana) che si avvicina alle porte delle case cominciando di fatto il canto.Il canto della Befana è formato da "stanze" di otto versi ciascuna, si compone in tre parti:un saluto, una parte centrale e una di ringraziamento o di offesa se i cantori non ricevono nessuna offerta;trattandosi di un rito che affonda le sue radici nel mondo contadino la maledizione va a colpire gli interessi più prossimi della massaia, come il pollaio. Uno dei testi maggiormente diffusi recita infatti: "E se nulla non ci date pregherem per la galline dalle volpi e le faine che vi sian tutte mangiate". Se poi in casa c’è qualche giovane o meno giovane donna non ancora sposata, l’invettiva si trasferisce su di lei: "E se nulla non ci date via piangendo ce ne andremo la Madonna pregheremo che marito non troviate". Ma chi è in "verità" la Befana? Leggenda vuole che i Tre Re Magi stavano andando a Betlemme per rendere omaggio al bambino Gesù.Giunti in prossimità di una casetta decisero di fermarsi per chiedere indicazioni sulla direzione da prendere.Bussarono alla porta e venne ad aprire una vecchietta. I Re Magi chiesero se sapeva la strada per raggiungere Betlemme perchè là era nato il Salvatore, ma la vecchia non seppe darle nessuna indicazione. I Re Magi chiesero quindi alla vecchietta  di unirsi a loro ma lei rifiutò perchè aveva molto lavoro da sbrigare. Dopo che i tre Re se ne furono andati la donna capì che aveva commesso un errore e decise di unirsi a loro per andare a trovare il Bambino Gesù.Ma nonostante li cercasse non
L'adorazione dei magi
 di Andrea Mantegna
riuscì più a trovarli e allora fermò ogni bambino per dargli un regalo nella speranza che questo fosse Gesù Bambino.E così ogni anno la sera dell'Epifania lei si mette alla ricerca di Gesù e si ferma in ogni casa dove c'è un bambino per lasciare un dono.


E infine come ultimo omaggio alla cara vecchina la voglio ricordare in una strofa di una delle più celebri poesie di Giovanni Pascoli "La Befana":

Viene viene la Befana
vien dai monti a notte fonda.
Com'è stanca!La circonda
neve gelo e tramontana...

(Castelvecchio 1897)

Vecchi fatti di una Garfagnana mai raccontata.Quando omicidi e corruzione la facevano da padrone

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Storie di altri tempi che in un certo qual modo sembrano storie di
Briganti sui monti
oggi,fatte di quelle strane connivenze che ormai tutti conosciamo tra Stato e malavita.Eppure sono passati 500 anni dai fatti che vi andrò ad esporre e come spesso accade una delle prerogative dello studio della storia fa a farsi benedire.La storia fra le sue molteplici funzioni avrebbe anche quella di insegnare ai posteri di non ricommettere gli errori del passato,ma non è sempre così se Ludovico Ariosto in una lettera del 23 novembre 1523 indirizzata al duca di Ferrara riferendosi in questo caso a Battistino Magnano uno fra i più temuti briganti di Garfagnana gli scrive chiaramente e senza mezzi termini:"...credo che ancho quel Battistino Magnano, che appresso a Bernardetto è il maggior assassino che havesse questo paese, si trovi al soldo di Vostra Eccellenza...". Si, perchè Ludovico Ariosto venne in Garfagnana mal volentieri ma con tutti i buoni propositi del mondo come commissario estense mandato li per estirpare il brigantaggio e il malaffare che prosperavano in tutta la valle.Questo che andrò a raccontarvi è uno spaccato di vita impressionante che offre l'opportunità di farci un'immagine di quello che era la quotidianità in Garfagnana nel secondo  decennio del 1500, che non discosta (ma anzi certe volte la supera) da quella che era la Sicilia mafiosa dei Provenzano e dei Riina. Sembra il narrare di storie recenti che abbiamo sentito raccontare in questi anni dai pentiti di mafia. Ma addentriamoci nell'argomento e cominciano con il dire che la nostra bella Garfagnana era una terra all'epoca di banditi e di violenza di ogni sorta, si andava dall'assassinio, al furto e ad angherie varie e il potere centrale (in questo rappresentato dagli Estensi) veniva percepito come una cosa lontana, incapace di imporre una legalità in questo angusto lembo di terra dove vivevano dei personaggi
Ludovico Ariosto
abbastanza influenti che da una parte erano fedeli agli Estensi, ma allo stesso modo tenevano commerci con furfanti di ogni risma.Il povero Ariosto si trovava in una situazione disperata tant'è che diceva ai suoi collaboratori che in Garfagnana non comanda nè il duca,nè i lucchesi,nè i fiorentini ma"bensì i ribaldi che la infestano impunemente". La causa di tale situazione bisogna ricercarla nelle due fazioni politiche (la politica c'è sempre di mezzo...) che prosperavano nella zona:la parte francese, a cui apparteneva lo stesso duca Alfonso I, che era ostile al Papa e favorevole ai francesi, e la parte italiana, favorevole alla politica papale-medicea.A dire il vero bisogna dire che poi ai garfagnini non interessavano tanto le questioni politiche in senso stretto, ma queste servivano a nascondere interessi personali e locali ed erano questi interessi che provocavano l'illegalità che sfociava nella delinquenza comune. Di questi delinquenti e briganti l'Ariosto attraverso le sue indagini compose prontamente una lista come oggi farebbe l'F.B.I per i maggiori ricercati del mondo e questo è l'elenco dei più pericolosi criminali di tutta la Garfagnana, il fior fior dei briganti in parole povere:



-I figli del Peregrin del Sillico,in primo luogo il Moro, poi Giugliano (che abita a Ceserana in casa della moglie, che è sorella della moglie del Moro), Baldone
-Quelli del Costa,provenienti dalla zona di Ponteccio:Battistino Magnano,Bernardello,Bertagnetto,Ginese,Filippo Pachione, Pelegrinetto, il Frate, Pierlenzo, Ulivo e Nicolao Madalena
-Quelli di Sommocolonia nel barghigiano,che erano spesso in combutta coi delinquenti nostrani: Togno di Nanni del Calzolaro, Donatello, Bogietto detto Cornacchia
-Il Margutte di Camporeggiano (Camporgiano)

Non pensiamo a questi briganti come dei delinquenti a se stanti, ma come tutte le associazioni a delinquere che si "rispettano" potevano contare su una fitta rete di protezioni a livello di amministratori locali, come in questo caso di alcuni capi fazione come Bastiano Coiaio di Trassilico e Pierino Magnano di Castelnuovo.Insomma era un groviglio fra politica e delinquenza.Tutto però il nostro buon Ariosto aveva predisposto per l'arresto di questi furfanti,era pronto come si suol dire per far scattar le manette,già un egregio lavoro era stato fatto nell'individuare la"cupola", ma non era così facile se per esempio a Camporgiano nel 1523 (una delle terre più frequentate dai manigoldi) fu individuato dai balestrieri ducali "il Frate"uno fra i più pericolosi briganti in circolazione che stava giocando tranquillamente a carte nella taverna del paese con gente del posto.Al momento della cattura gli stessi clienti della taverna lo fecero fuggire "lo nascosero e lo fero fuggire in un campo di canape" . Naturalmente tutti sapevano dov'era, ma nessuno lo denunciò,anche il notaio di Camporgiano certo Costantino di Castelnuovo sapeva, ma anche lui tacque e poi lo stesso Ariosto
Alfonso I d'Este un duca un po'
di manica larga...

annotò riferendosi sempre al notaio "..il qual poi si escusa che non vole essere amazzato".Fra l'omertà della gente e la paura che regnava sovrana il povero commissario era nello sconforto più totale anche perchè fu tutto più chiaro quando venne evidentemente a galla la protezione del duca per questi fuorilegge,come nel caso del più famoso brigante garfagnino "il Moro del Sillico"(reso celebre dalla bella festa in costume storico che ogni estate nel suo nome si svolge proprio nel paese omonimo) quando finalmente fu catturato.A piena voce gli amici e i compagni del Moro chiedevano la grazia per il loro amico giustificando come meglio potevano le sue azioni delittuose,ma di fronte all'evidenza dei fatti(e a malincuore) il duca non la concesse,ma per salvare il brigante si studiò però un altro escamotage con la complicità delle guardie stesse quando un suo compagno (il figlio di Bastiano Coiaio) lo andò a trovare in carcere e gli lasciò un coltello con il quale scassinò la porta della cella e fuggì senza colpo ferire.Ma perchè questa marmaglia aveva questo forte ascendente sul duca? Questi furfanti in verità e furbescamente svolgevano due "mestieri", il primo (come ben si sa ) era il brigante, il secondo era il soldato.Il "Moro" e la sua cricca erano dei valenti e fedelissimi soldati al servizio di sua Maestà il duca.Dell'esercito ducale faceva parte il "Moro"con i fratelli Giugliano e Baldone, "il Peregrin" e altri ancora che poi in seguito partirono per la campagna di guerra che consentì ad Alfonso I d'Este (dopo la morte di Papa Adriano VI)di riappropriarsi della città di Reggio Emilia, figuriamoci dunque se l'eccellentissimo duca gli avesse fatto uno sgarbo.Altra categoria di personaggi che turbavano la Garfagnana e le buone persone con i loro discutibili comportamenti erano i preti, amici dei briganti che nascondevano nelle chiese e nei campanili e quando il caso e la giustizia voleva che fossero scoperti tali preti non potevano essere condannati dalle autorità civili ma solamente da quelle ecclesiastiche che da loro venivano puniti in maniera molto blanda (come d'altronde succede oggi...).A poco servivano le continue sollecitazioni che l'Ariosto faceva agli stati confinanti (Lucca e Firenze) affinché tutti insieme collaborassero vicendevolmente alla cattura dei delinquenti, ma non c'era niente da fare se il proprio duca dispensava grazie a destra e a manca ai peggiori banditi come Battistino Magnano
La casa natale del Moro al Sillico e la chiesa
graziato per aver mantenuto la difesa della Fortezza delle Verrucole quando Papa Leone X (1520) tolse al duca la provincia della Garfagnana riuscendo appunto a conservare la Fortezza, un punto strategico e perciò come detto Battistino"ottenne grazia benignissima".
Qualche anno dopo capitò la grande occasione quando nella tarda estate del 1523 i banditi più temuti si erano recati a Ferrara e il duca invece di prendere "la bella occasione di purgare il paese di queste male herbe"(come ebbe a dire l'Ariosto in un'altra sua lettera) preferì concludere "una pace universale" assicurando loro ancora una volta grazia di ogni delitto e bando.
Ludovico Ariosto nel giugno del 1525 venne richiamato a Ferrara e lascerà la Garfagnana con un grande sospiro di sollievo tornando a fare in beata pace quello che per oggi tutti lo conosciamo:il poeta...

Cosa ci fa un arsenale navale del 1500 nella nostra valle circondata dai monti?

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In questa mappa del XVI secolo si nota chiaramente nel cerchio rosso dov'era situato l'arsenale navale 
Percorrendo la strada regionale 445 della Garfagnana in direzione Ponte di Campia e passato il paese di Mologno ci imbattiamo in una località dal nome curioso per essere nella nostra zona.Ci siamo passati davanti decine e decine di volte eppure quando ci troviamo di fronte a quel cartello stradale che indica la località "Arsenale" (comune di Barga) ci viene in mente la solita domanda:ma che ci faceva un arsenale nel bel mezzo della valle? Nel caso nostro non si riferisce al luogo dove si costruivano o si rifornivano armi,ma a ben altro di ancor più singolare per noi, infatti per questa circostanza si attiene al posto dove si costruivano e si riparavano navi e tutto quello che ne concerneva.Si avete capito bene, in quella località risiedeva un arsenale navale!Strano, sbalorditivo... Forse il mare in qualche maniera e in qualche secolo passato aveva raggiunto le nostre sponde? Niente di tutto questo, ma se si vuole la storia ha ancora di più dell'incredibile,direi che ha il sapore epico dell'impresa. Ma andiamo a raccontare gli eventi.Gli arsenali navali del Granducato di Toscana avevano bisogno di grandi quantità di tronchi lunghi e dritti per ricavarne alberi ma sopratutto remi da impiegarsi nella costruzione di galere. Figuriamoci siamo fra il
Galere del Granducato di Toscana,
 quei remi probabilmente
venivano dai nostri monti
1500 e il 1600 e la Marina del Granducato era in piena espansione.Le sue galere erano impegnate in tutto il Mediterraneo, nella difesa di Malta dagli Ottomani fino alla partecipazione con ben 12 navi nella battaglia di Lepanto, combattuta sempre tra le flotte musulmane e quelle cristiane della Lega Santa, cui faceva parte il Granducato sotto le insegne pontificie.Pensiamo inoltre, tanto per rendersi conto del fabbisogno di legname che doveva avere una singola galera, se ad esempio "La Fiorenza" contava un equipaggio di 1055 schiavi imbarcati, per non parlare poi della "San Cosimo" che nel 1611 fra le sue forze aveva ben 1400 schiavi imbarcati e allora dove approvvigionarsi di tutto questo legname se non sui nostri monti? Fu creata ad hoc la cosiddetta "Via dei Remi" (ancora oggi esistente) che partiva addirittura da Cutigliano (in provincia di Pistoia) e dall'Abetone (allora chiamato Boscolungo). Rimaneva però un grosso problema: come trasportare questi tronchi di abeti e faggi fino a Pisa sede vera e propria dell'arsenale navale mediceo? Teniamo presente che all'epoca le strade erano tutt'al più delle mulattiere disagevoli, il sistema più "semplice" sarebbe stato far fluttuare i tronchi fino al mare.La Lima che era il fiume più vicino a queste luoghi non aveva però una portata per tale scopo e poi problema dei problemi questo percorso entrava nei possedimenti lucchesi,stato con cui non correvano buoni rapporti. Studia che ti ristudia agli ingegneri fiorentini non rimaneva che una soluzione, l'unica alternativa possibile era rappresentata dal fiume Serchio,  bisognava sfruttare le sue acque per tentare l'impresa.Quale miglior occasione allora se non sfruttare l'enclave granducale di Barga? Era proprio giusto giusto quella striscia di terra che serviva.Una zona che andava dal fondovalle del Serchio fino ai crinali
Ecco la Via dei Remi oggi
appenninici. Fu siglato un accordo con gli Estensi (il Ducato di Modena) che concesse il permesso di tracciare una strada di alta montagna che correva parallela al crinale modenese e che permetteva di congiungere l'alto Sestaione (territorio toscano) con Barga aggirando così i domini lucchesi. I tronchi venivano trascinati dai buoi fino al Lago Nero risalendo la Valle del Sestaione; da qui partiva la Via dei Remi salendo fino al Passo della Vecchia, attraversando poi il Passo di Annibale bisognava discendere la Foce a Giovo aggirando così il Monte Rondinaio per continuare verso Renaio,di li a Barga,per poi finalmente arrivare in quella che oggi è la località chiamata Arsenale. Qui, questi tronchi venivano conservati in un apposito capannone (che si trovava esattamente alla 
confluenza fra il fiume Serchio e La Corsonna) lungo 22 metri e largo 9 e da qui in primavera quando il fiume raggiungeva la sua portata massima i tronchi venivano calati in acqua, raccolti in zatteroni chiamati "magliate" e condotti di li al mare.Evidentemente i lucchesi dovevano tollerare il passaggio di questi convogli fluviali o perlomeno non avevano modo di opporsi, in quanto appena lasciati i territori all'epoca fiorentini il fiume si addentrava nello stato lucchese arrivando a sfiorare la stessa città di Lucca.Raggiunto il mare a Pisa qui era un gioco da ragazzi arrivare all'arsenale centrale. Successivamente la Via dei Remi fu modificata girando verso il Lago Santo, da qui si guadagnavano le pendici garfagnine degli appennini per il Valico della Boccaia fino a raggiungere il Colle della Bruciata ed iniziare la discesa verso Barga.Gli anni passavano e con gli anni anche le navi si modernizzavano ed è presumibile che la definitiva affermazione del veliero sulla galera e con il rapido declino di quest'ultima (conclusosi con la sua definitiva scomparsa alla fine del 1700) abbia ridotto notevolmente la richiesta di tronchi in quanto non era più necessario fare centinaia di lunghi remi (caratteristica principale di questo tipo d'imbarcazione).Nel 1741 l'intero Arsenale dei Remi ormai quasi in disuso fu ceduto alla comunità di Barga che però doveva metterlo a 
L'arsenale mediceo di Pisa
 dove giungevano i legnami
disposizione dell'autorità governativa ogni qualvolta la Marina Militare Toscana ne avesse avuto bisogno.Con il 1819 un decreto granducale del 23 agosto autorizzava la vendita ai privati.Oggi di questo arsenale non rimane niente,rimane la Via dei Remi luogo di incantevoli passeggiate e di splendidi panorami.

Trent'anni fa: 23 gennaio 1985, l'allarme terremoto (che non ci fu) che sconvolse l'intera valle.

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I giornali nazionali di allora 
Sono quei ricordi che rimangono indelebili per tutta la vita specialmente quando le vivi con gli occhi e lo spirito di quel ragazzetto che a quel tempo ero.Era il 23 gennaio 1985, precisamente 30 anni fa e alle 11:10 della mattina la terra tremò.Noi garfagnini purtroppo ci siamo "abituati";scosse forti ne abbiamo e ne avevamo sentite,ma quella di quel mattino fu paragonabile solamente a quella di due anni fa.Quel gennaio del 1985 fu un mese particolare, la neve era caduta abbondante come non accadeva da anni.Per la gioia di noi bambini erano state chiuse per più giorni le scuole e già prima di quel fatidico 23 gennaio c'era già stata qualche scossetta. Dopo tanta neve ci fu un improvvisa ondata di "caldo" anomalo, ma non fu certo quello a spaventarci.Il terrore vero arrivò all'ora di cena quando verso la fine del TG1 venne passata al conduttore una cosiddetta velina.Le prime parole di questo comunicato mi sono rimaste sempre impresse nella mente:
"Mi viene passata questa notizia che leggo con voi la prima volta..."
In pochi attimi venne comunicato a tutta la popolazione della Garfagnana e della Media Valle del Serchio (nella lista letta dei comuni interessati rimase celebre la pronuncia errata di Fosciandora) che dal Ministero della Protezione Civile, (guidato al tempo da Giuseppe Zamberletti) arrivava notizia che nella prossime 48 ore ci sarebbe stato un terremoto molto forte e che quello della mattinata stessa era il segno premonitore come detto di un altro devastante sisma.A diramare l'allerta al ministero dopo un summit di tre ore  con i membri della Commissione Grandi Rischi furono Enzo Boschi e Franc
il ministro della protezione
 civile del 1985 Zamberletti 
o Barberi dell'Istituto Nazionale di Geofisica  che definirono "molto probabile" il rischio di una forte scossa che avrebbe avuto come epicentro Barga.Il tutto senza molti altri dettagli e tanto meno nessuna indicazione sul da farsi.Il panico fu totale.Nel giro di poche ore tutta la popolazione si riversò nelle strade sotto una pioggia battente. I telefoni di casa (i cellulari erano ancora un miraggio...) andarono subito in tilt, si crearono numerosi incolonnamenti di auto verso Lucca e la Versilia.I pochi distributori che avevano il self service andarono subito esauriti.Sembravano scene tratte da un film apocalittico americano, ma tutto era vero.I comuni, le forze dell'ordine e i volontari iniziarono ad organizzarsi come potevano mentre da Pisa e da Livorno lunghe colonne di mezzi militari dei paracadutisti della Folgore si dirigevano in Garfagnana.Come se non bastasse la pioggia si intensificò.I vecchi sostenevano che con la pioggia il terremoto non viene,vecchia saggezza popolare, poco scientifica,ma in quell'occasione grazie a Dio vera.Per tanti che erano fuggiti con le macchine altrettanti erano rimasti nella valle.La maggior parte della gente trascorse quei brutti momenti in auto parcheggiate in spazi aperti, altri si rifugiarono da parenti e amici che avevano case basse e nuove di recente normativa anti sismica.Alle principali stazioni ferroviarie di Barga-Gallicano, Castelnuovo Garfagnana e Piazza al Serchio giunsero treni speciali che accolsero gli sfollati.L'esercitò installò in diversi punti della vallata cucine

da campo per offrire centinaia di pasti caldi.Gli ospedali di Barga e Castelnuovo vennero evacuati e nei centri maggiori della valle furono allestiti ospedali "volanti".Il comportamento dei garfagnini fu esemplare, non ci furono fenomeni di isteria particolare, purtroppo però morì una donna nella fuga di massa, il cuore non resse lo spavento,ma dopo i primi momenti di confusione iniziale, nonostante ancora vi fosse enorme paura le ore trascorsero in una apparente tranquillità.Come spesso accade in questi casi si diffusero le voci più incontrollate e catastrofiche, si diceva che le Apuane si sarebbero aperte in due dalla forte scossa e che alle porte della valle c'erano centinaia di bare pronte per arrivare in treno a Castelnuovo.Le ore passavano,cessò anche di piovere e finalmente passati i due giorni ci fu il fatidico "Tornate a casa",la tanto attesa scossa non si fece vedere.Il ministero della Protezione Civile confermò che "dal punto di vista scientifico non vi sono elementi che si oppongono al ritorno della normalità".I garfagnini rientrarono a casa a testa bassa, ma in fondo non infastiditi da quello che era successo perchè sentivano di aver "fregato"il terremoto.L'operazione venne elogiata da Palazzo Chigi che sottolineò la risposta splendida della popolazione.Ad oggi rimane sempre più la convinzione che quella di allora non fu che (come poi molti ebbero a confermare) la prima esercitazione antisismica organizzata in Europa. L'allora ministro Zamberletti commentò "La gente deve abituarsi alla parola "rischio terremoto".Fatto sta che poi in seguito il ministro fu indagato dalla magistratura di procurato allarme.Questa invece è storia recente e il tutto si è ripetuto in maniera quasi uguale come in un film già visto nel gennaio 2013,stavolta a diffondere l'allarme non è stata
I tempi cambiano...l'ultimo allarme
 del 2013 dato via twitter
una velina letta da un giornalista  R.A.I ma i social network come twitter e facebook che fecero ricadere nella paura più totale per l'ennesima volta tutta la valle.Ma anche stavolta la storia finì in un happy end..

La triste storia di un vero gioiello garfagnino: L'Isola Santa...

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Isola Santa
Nonostante la tortuosa strada provinciale che da Castelnuovo si snoda verso le accaldate spiagge versiliesi, i panorami e la bellezza del paesaggio rendono piacevole ed interessante il transito, specialmente quando ad un certo punto immerso nel verde ombroso vedi spuntare uno sparuto gruppo di case con il tetto in ardesia...un vero gioiellino incastonato tra le montagne garfagnine,uno smeraldo posto fra i castagni e il suo verdissimo lago, questa è l'Isola Santa (nel comune di Careggine.).Vale la pena di essere raccontata la storia di questo località per alcune sue particolarità alcune note ed altre forse un po' meno.Per esempio qui come sul lago di Vagli (Fabbriche di Careggine) abbiamo un paese sommerso (o meglio semi- sommerso)...Ma andiamo per gradi e
il paese
incominciamo dal 1260 quando si hanno le prime notizie scritte sull' Isola Santa riguardanti una tassa 
(tanto per cambiare...) pro-crociate di lire 80.Certamente però la sua nascita è più antica.Il borgo poggia sulle rovine di un antico "hospitale" chiamato  "l'hospitale di San Jacopo"(convertito nel 1608 a chiesa parrocchiale che porta il medesimo nome) meta di sosta per i viandanti di ogni sorta, qui vi  trovavano assistenza poveri e ammalati,era rifugio e ristoro anche per pellegrini ma anche per i contrabbandieri di sale che attraversavano le Apuane passando per la foce di Mosceta e arrivavano in Garfagnana (e viceversa).Un tragitto duro e faticoso e l'Isola Santa rappresentava un punto di passaggio obbligato per tutte queste persone.Di li passavano percorsi anche  
importanti come la Via Clodia Secunda  allora vera e propria spina dorsale della nostra valle con la costa tirrenica.Secondo alcuni storici "l'hospitale"  faceva parte di un piccolo paese fortificato con una modesta cinta muraria,un vero e proprio avamposto che serviva appunto da"posto di guardia" data la sua strategica posizione nella stretta valle .Le scarne cronache medievali inoltre ci parlano anche di questa piccola comunità che viveva nel paese in estrema povertà dovuta anche ad un collegamento con i centri abitati più grandi tremendamente disagevole. Per descrivere questo aspetto nel 1615 Costantino Nobili partito da Lucca per un ispezione al ricovero diceva:
" Strade tanto cattive sono da Castelnuovo in là, che conviene andar la maggior parte a piedi".
La cosa più interessante e curiosa è che questa condizione di isolamento durò ancora per secoli quando finalmente nel 1880 venne costruita la galleria del Cipollaio che assicurava ben più agevoli collegamenti e sostituì una volta per tutte l'impervio tracciato medievale. Rotto quell'incredibile isolamento finì la pace,il cosiddetto progresso arrivò anche li e nel 1949 venne costruita la diga per lo sfruttamento della Turrite Secca e il piccolo borgo fu in parte sommerso (non interamente come Fabbriche di Careggine) come alcune case, un ponte ed un mulino (anche oggi sotto il lago).Il peggio
Il lago artificiale
però doveva ancora arrivare.Il borgo ormai agonizzava,si scoprì che tutto il paese aveva problemi di stabilità.Problemi dovuti alle grandi escursione giornaliere d'acqua imposte dalla società elettrica di allora la Selt Valdarno (futura E.N.E.L).La situazione venne risolta alla fine degli anni 70, ma ormai lo spopolamento era avvenuto e danni irreparabili erano già stati fatti.L'Isola Santa era diventato un paese fantasma, era stato abbandonato. Nel 1975 gli ultimi abitanti rimasti,durante uno svuotamento del bacino artificiale, occuparono il paese in segno di protesta per rivendicare il diritto di case nuove e sicure.La lotta in buona parte ebbe successo, le abitazioni nuove furono costruite altrove e fu il definitivo de profundis per
l lago dell'isola Santa svuotato si
vede il vecchio mulino con il suo ponte
l'intera comunità. Oggi il tutto rientra in un egregio  piano di recupero storico ambientale voluto dal comune di Careggine e la regione.Le casette di pietra dai tetti in ardesia sono quanto resta del nucleo originale.Pittoresca e ben conservato oggi è l'Isola Santa meta di turisti da ogni dove.Un posto ideale per raccogliere

funghi,pescare e dedicarsi all'escursionismo. Numerosi sentieri si addentrano nella boscaglia, verso le maestose cime della Alpi Apuane.


27 gennaio "Giorno della memoria".Gli ebrei di Garfagnana: la loro vita,la loro tragedia.

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La famiglia ebrea Karpeles a Castelnuovo
Il 27 gennaio "Giorno della Memoria"è un giorno per chi non è di religione ebraica che pare lontano,lo viviamo certamente con rispetto, però allo stesso modo lo sentiamo distante, specialmente in Garfagnana perchè pochi ricordano di ebrei dalle nostre parti e pochi sanno di storie raccapriccianti e rocambolesche, simili a quelle che vediamo nei film dedicati alla Shoa; eppure casi simili esistevano anche da noi...eccome.Oggi vi voglio raccontare una parte di tutto questo.Vi voglio raccontare la quotidianità, di come vivevano i circa 70 ebrei mandati al confino forzato a Castelnuovo.Questa è la storia degli "ebrei di Garfagnana".
Nella seconda metà del 1941 alcune famiglie ebree arrivarono a Castelnuovo Garfagnana in confino coatto,mandate li dai vertici del Reich tedesco, cacciati dalle loro case e distribuiti nei paesi alleati in quella che veniva chiamata in tedesco "Vertrieb" ovvero "la ripartizione".Con il tempo gli ebrei che raggiunsero il paese garfagnino crebbero di numero, arrivarono perlopiù ebrei originari dell'Europa Centrale (Austria,Ungheria e Polonia in maggior parte),ma fra di loro c'era pure un solo italiano(un livornese).Si trattava di persone mandate a Castelnuovo come in altri comuni sparsi nella penisola in regime di internamento libero.Dapprima vennero alloggiati in albergo(il Globo e il Vittoria in Piazza Umberto e in vicolo del Serchio l'Aquila d'oro) e poi in luoghi predisposti dal comune.Gli ebrei dovettero affrontare in primo luogo i problemi di approvvigionamento di mezzi di sussistenza, era un periodo difficile per tutta la popolazione ma soprattutto per queste persone che si trovarono catapultate in un posto
Reticolati ad Auschwitz
sconosciuto,senza un lavoro e con forti restrizioni alle quali si dovevano attenere rigidamente. Non è facile ricostruire un quadro preciso delle restrizioni previste per gli internati, ma sappiamo che le leggi sulla purezza della razza imponevano certe regole,come quello di non avere contatti con gli italiani, non potevano allontanarsi se non ottenendo un permesso dalle autorità (permesso che talvolta fu concesso per motivi di studio o di cure), sappiamo inoltre che tutta la loro corrispondenza, in entrata e in uscita, doveva passare anche quella sotto il controllo delle autorità.Il tempo passava e nonostante tutto cominciarono a migliorare anche le condizioni di vita di questa povera gente.Presero ad alloggiare presso case di privati, che affittavano loro una o due stanze, alcune famiglie abitavano presso i locali della Fortezza di Mont'Alfonso, altre famiglie sparse per Torrite, Via Marconi,Via delle Fontane,Via Farini,Via Fabrizi e ancora in altre vie.Arrivarono perfino a creare luoghi di ritrovo come la piccola sinagoga situata alla "Barchetta", ovvero in Via Fabrizi al numero 3 e accanto a questa crearono pure una scuola.Insomma la vita scorreva tranquilla, se così si può dire.I
 castelnuovesi si daranno da fare per aiutarli (anche se ci fu qualche episodio di intolleranza) e anche la stessa amministrazione comunale cercò in qualche maniera di essere comprensiva e nonostante le restrizioni e i divieti si formarono amicizie e relazioni e di nascosto (malgrado fosse assolutamente divieto per loro lavorare) qualche ebreo trovò impiego come fotografo,barbiere,sarto,meccanico, disegnatore, ingegnere.Come non ricordare questi nomi ai più sconosciuti come Arturo, impiegato nello studio fotografico Bertani di Via Garibaldi,o delle signore Berndt,Margareth ed Elizabeth benvolute in tutta Castelnuovo e sopratutto come dimenticarsi di Israel Meier, un medico pediatra,fu la persona che riuscì a
L'ingresso di Auschwitz
diventare l'animatore dell'intera comunità e che svolse il suo lavoro con visite e consulenze per i giovani figli della Garfagnana.La moglie Paulina  abitava nella Fortezza di Mont'Alfonso e curò insieme a suo marito decine di bambini.Passarono così esattamente 28 mesi dal loro arrivo a Castelnuovo quando giunse quel tragico 4 dicembre 1943.L'ordine dell'OberKommando der Wehrmatch (Il comando supremo delle forze armate tedesco) parlava chiaro:tutti gli ebrei residenti in Castelnuovo il mattino seguente si dovevano riunire presso la caserma dei carabinieri reali per essere trasferiti nel campo di concentramento di Bagni di Lucca, nello stabile già esistente dell'ex albergo "Le Terme"(ex residenza del Granduca e oggi in totale degrado, fuori e dentro puntellato,senza nemmeno una targa a ricordo).Qui non era un internamento libero, ma un vero e proprio campo di detenzione.Il regime carcerario era molto duro,i detenuti ricevevano un pezzo di pane,una coperta e un fascio di paglia e a ogni famiglia era stata assegnata una sola camera indipendentemente dal numero dei componenti.L'avvisaglia di ciò fu data dal tenente dei carabinieri Ferri di Castelnuovo che confidò al dotto Meier (a cui aveva curato il figlio)l'imminente data del trasferiemnto nella cittadina termale,invitandolo ad avvisare le altre famiglie e organizzare la fuga dal paese.La maggior parte degli ebrei tergiversò e scattò inesorabile l'arresto.Alla famiglia Schnapp si presentarono i tedeschi e c'è la testimonianza della figlia del proprietario dell'ex filanda di Antisciana dove la famiglia alloggiava: 

"Furono prelevati con la forza all'alba,era ancora buio.C'era un camion nell'aia ad aspettarli.Ricordo bene le urla della signora Hinde:-Ci portano via,ci portano ad ammazzare.Tenetemi mia figlia,lei non deve morire-".
Ci fu poi la tragedia del signor Renzo Sirio Bueno,riuscito a ricongiungersi con la famiglia dopo il confino di due anni a Castelnuovo (fra l'altro era l'unico italiano) che si consegnò spontaneamente ai carabinieri di Marlia convinto che l'avrebbero rilasciato perchè sposato con una cattolica...ma così non fu e venne mandato ad Auschwitz,dove sopravvisse fino alla liberazione del campo, ma fu ucciso dai tedeschi mentre tentava di fuggire in una marcia di trasferimento.Altra sorte toccò ai Meier e ai Kienwald che riuscirono a scappare in una rocambolesca fuga e consegnarsi in salvo agli americani(per il caso leggi:http://paolomarzi.blogspot.it/kienwald 1944).Per tutti gli altri prigionieri di Bagni di Lucca  arrivò l'ora X.Il 23 gennaio gli ebrei di 
Il famoso binario 21 della
stazione Centrale di Milano
Castelnuovo partirono per Firenze, poi di li a Milano dove rimasero alcuni giorni nel carcere di San Vittore.Il 30 gennaio al famoso binario 21 della stazione lombarda furono caricati sul convoglio numero 6, destinazione Auschwitz.Sette di loro appena arrivati furono immediatamente condotti alle camere a gas:Miriam di 7 anni,Jechiel di 8,Anna di 11,Mosè di 5, Jacob di 13,Manfredo di 10 e Abramo di 8, tutti bimbi che avevano giocato insieme ad altri bimbi del paese, per le strade di Castelnuovo.A ricordare il momento in cui partirono da Bagni di Lucca ci fu una bimba di quel tempo, che nascosta li vide passare:

"Ho un solo ricordo, triste e vivissimo.Era freddo,erano poco vestiti,ma non è che non ce li avevano,glieli avevano presi i soldati,avevano i bimbi per mano.Nevicava."
Degli "ebrei di Garfagnana" si salvarono solo in due...

27 gennaio 2015 "Giornata della Memoria" Nel 70°anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz (1945-2015)




Un castello scomparso per sempre:Verucchia simbolo di libertà

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Castiglione Garfagnana (foto di Alessia Cecconi)
Siamo una terra di antichi manieri,di fortezze mastodontiche, di borghi fortificati bellissimi, eppure nella nostra Garfagnana molti di questi castelli le guerre e le diatribe li hanno completamente distrutti,rasi al suolo.Specialmente nel medioevo, al tempo della lotte fra comuni non si aveva pietà di chicchessia, persona o cosa che fosse e quello che veniva sconfitto veniva distrutto.Così è accaduto anche al castello di Verucchia, questo castello ai più sconosciuto e  solo grazie ad alcuni documenti del 1227, conosciamo oggi della sua esistenza.Voglio prendere a simbolo questo castello come esempio di libertà e di tenacia, perchè era un Davide fra tanti Golia, volle mantenere sempre la sua autonomia nonostante tutto e tutti fino alla capitolazione estrema ed è giusto a mio avviso dargli memoria.Questa è la sua storia.
Poco distante dai paesetti di Isola e Valbona si trovano su un colle,celati nel prato, i ruderi di un antico castello misterioso nella sua storia e nella sua leggenda.In quel luogo sorgeva un intero borgo con la chiesa e un castello possente,di li passava un'antica via romana lungo il fiume Esarulo, che attraverso il Passo delle Forbici metteva in comunicazione l'Emilia con la Valle del Serchio.La sua popolazione era formata da gente di temperamento,gente orgogliosa che non si voleva sottomettere a niente e nessuno nemmeno al potente comune di Castiglione Garfagnana che male sopportava che un piccolo borgo rurale gli tenesse testa.Verucchia esisteva già avanti il mille, nata proprio a difesa di questa antica via romana, divenne poi feudo e giurisdizione del Vescovato e Canonici di San Martino di Lucca.Da documenti del XIII secolo troviamo Verucchia come comune libero e con un suo governo ben strutturato e democratico.La sua unica sottomissione era al Vescovo di Lucca, al quale passava una tassa (quelle di mezzo ci sono sempre...) sia il comune stesso,che la chiesa castellana di San Cristoforo, gestita da tal Cappellano Bernardo che racconta nei sui scritti che i consigli comunali nei mesi invernali si riunivano
Il ponte medievale in
 loc Mulino sul fiume Esarulo
nella chiesa, mentre d'estate nel piazzale antistante all'ombra di un pioppo secolare.Ma adesso veniamo ai fatti seri e diciamo (come detto) che Castiglione,che era fedele al Papa, non digeriva questo comunello, che a sua volta era devoto al Vescovo (quindi una guelfa e l'altra ghibellina) e attraverso battaglie spesso dure e cruente non riusciva mai ad espugnare la fortezza ed annettere questo piccolo paesello fra i suoi domini.Non riuscendovi attraverso la forza, Castiglione provò con la diplomazia, rivolgendosi direttamente alla Santa Sede,la quale mandò un suo emissario di nome Cencio (che pose la sua dimora a Barga),ma anche qui non ci fu niente da fare,fallì anche la diplomazia che culminò alle estreme conseguenze della scomunica dell'intero borgo e non contento Cencio (in barba alla carità cristiana) senza tanti scrupoli inviò uomini armati di Castiglione nel territorio di Verucchia depredando il bestiame e facendo ostaggi.La guerra,le imboscate e i soprusi durarono per ben trent'anni, quando Verucchia ormai stremata si arrese.Le sue terre verranno incorporate da Castiglione, ma il piccolo borgo riuscì attraverso degli accordi a mantenere le prerogative di comunità autonoma,le fu tolta la scomunica,conservò il consiglio comunale presieduto da tre consoli (che avevano il compito di comunicare le decisioni dell'assemblea al comune di Castiglione)e  mantenne la sua fedeltà al Vescovo,l'unica sostanziale differenza  è che le sue terre appartenevano in tutto e per tutto a Castiglione.Ma la storia non finisce qui,il più bello doveva ancora arrivare.Così giungiamo al 1355 quando alla morte del condottiero lucchese Castruccio Castracani (1328) la stessa città di Lucca cadde nel caos totale trovandosi senza il suo più valoroso difensore, ed essendo così di fatto alla mercè del più forte conquistatore.In seguito a questi fatti Castiglione (e di conseguenza Verucchia) cadde in mani pisane.Dopo aspre battaglie, i figli di Castruccio, Arrigo e Valleriano, all'arrivo delle soverchianti milizie pisane abbandonarono le mura di Castiglione rifugiandosi (purtroppo) nei castelli di Capraia e Verucchia e qui a Verucchia i lucchesi vennero inseguiti dai pisani,dopo un lunghissimo assedio Lucca si arrese senza condizioni,ma quelli a pagare il conto più salato furono gli abitanti del posto che
Una battaglia medievale
pagarono con la morte e la quasi totale distruzione dell'intero paese e dell'intero castello e pensare la leggenda racconta che la sera prima della distruzione, una strega del posto aggirandosi per le vie del castello di Verucchia andava vagando e ululando e con un ferro batteva alle catene dei focolari  dicendo:

"Lo dico a te catena,perchè lo sappia Maddalena che stanotte a mezzanotte,la fortezza di Verucchia sarà distrutta".
Il Crocefisso
ligneo salvato a Verucchia
oggi a Castiglione
nella chiesa di San Michele
Molti abitanti impauriti e spaventati presero i suoi averi pronti a fuggire,la paura aumentò quando in lontananza si intravidero le fiaccole degli armigeri pisani, fu il fuggi fuggi, la gente nascondeva le cose più preziose nei pozzi e fra questi anche  il preziosissimo crocifisso ligneo della chiesetta di San Cristoforo (che oggi si trova ancora intatto nella chiesa di San Michele a Castiglione) a cui erano devoti,a questo punto però una volta messe in sicurezza i preziosi c'era da salvare la pelle... e come riuscire a farla franca? Furono  ferrati i cavalli al contrario in tal modo da confondere e ingannare il nemico.Nella fuga riuscirono a rifugiarsi nei casolari vicini, da uno di questi si dice che sia nata Isola,oggi tranquillo paese garfagnino immerso nella natura incontaminata.Tornando alla storia vera e propria la definitiva distruzione del Castello di Verucchia ci fu nel 1371 quando Lucca ebbe riconquistato gran parte della Garfagnana e demolì quelle torri che ormai erano già in decadenza.Con la definitiva demolizione scomparì per sempre quel piccolo comune di contadini,gran parte della sua gente si disperse nella valle.Un popolo fiero che per alcuni secoli aveva saputo tenere testa al più forte e temuto Castiglione.

San Pellegrino in Alpe: la storia del suo santo (e del paese) conteso fra due regioni.

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Il Santuario di San pellegrino in Alpe
(foto di Edda Venturelli)
Qual'è quel posto unico in Garfagnana che è diviso fra due regioni,due province e due comuni? Un posto bellissimo,dai panorami mozzafiato,luogo di passeggiate nella natura incontaminata, un territorio che profuma di storia e santità.Siamo a San Pellegrino in Alpe a 1525 metri d'altezza,l'abitato più alto di tutta la valle.Pensiamo bene che la linea di confine fra regione e regione (quindi comune e anche provincia) taglia longitudinalmente in parti uguali il Santuario, dove all'interno sono custoditi i resti mortali dei santi Pellegrino e Bianco,la loro testa e il busto si trovano in Emilia e le gambe in Toscana;che dire poi della vecchia Osteria del Duca d'Este?(ora albergo l'Appennino-da Pacetto) Posta al tempo come guardia di confine tra i ducati di Modena e Lucca (divisa tra il comune di Castiglione Garfagnana e il comune di Frassinoro).Nonostante queste curiosità San Pellegrino (il santo che ha dato il nome al paese) è uno di quei santi che è avvolto maggiormente da un alone di mistero e verità.Pellegrino era figlio del re Romanus di Scozia e della regina Plantula,comandavano su una di quelle tante tribù che abitavano la Scozia verso il 500 d.C e ancora quindicenne a Pellegrino morì il padre e spettava quindi a lui la corona, ma il ragazzino, asceta per natura, la rifiutò insieme a tutte le
L'antica Osteria del Duca d'Este
ricchezze.Abbandonò la patria ed iniziò un lungo pellegrinaggio verso la Palestina per visitare il Santo Sepolcro.Passò poi lunghi anni nel deserto, finì dal sultano per cercare di convertirlo al cristianesimo,non pago fece ritorno in Italia,a Roma per vedere la tomba di San Pietro, di li risalendo la penisola giunse fino all'abbazia di Frassinoro,li un angelo gli disse:

- Andrai nella selva tenebrosa e fa ivi la via sicura perchè coloro che passano di là vengono uccisi dai demoni-. Si parlava di quelle selve che sono a cavallo fra l'Emilia e la Toscana,che danno un panorama meraviglioso su tutto il creato di Nostro Signore,un posto ideale dove meditare e pregare.Qui insieme a Bianco, che era un brigante convertito dallo stesso Pellegrino, si dettero all'eremitaggio,vi abitarono per dodici lunghi anni lottando con il demonio e ospitando tutti quei viandanti che transitavano per quell'impervio territorio che collegava la Pianura Padana con il resto d'Italia, anticipando di fatto l'hospitale che verrà costruito proprio nel medioevo come stazione di aiuto e cura dei viaggiatori.Pellegrino viveva in una grotta nella povertà più assoluta,mangiava una sola volta nella giornata erbe e radici e beveva la rugiada del cielo e ogni giorno che Dio metteva in terra veniva continuamente tentato dal diavolo in persona.Una volta il demonio irritato dalle resistenze del Santo lo schiaffeggiò facendolo ruotare tre volte su stesso.Ancora oggi in quella stessa località si recavano e si recano i fedeli in in percorso penitenziale, portando un sasso, depositandolo li, dopo aver compiuto tre giri del luogo.La grandezza del sasso è stabilita in funzione della gravità del peccato da perdonare.Pertanto quel sito viene chiamato "Giro del Diavolo", dove ancora oggi si trovano migliaia di sassi nei secoli portati dai fedeli. Comunque sia Pellegrino arrivò a compiere
Il "Giro del Diavolo" e le
migliaia di sassi portati dai fedeli
(foto di Aldo Innocenti)

esattamente la bellezza di 97 anni,9 mesi e 23 giorni quando morì nel 643 d.C.Poco prima di morire, sentendo ormai prossima la fine, si rifugiò in un tronco vuoto di un vecchio faggio (oggi nel solito punto di questo faggio,davanti al Santuario vi è una croce di legno in ricordo)  e incise sulla corteccia le vicende della sua vita.Anni dopo la sua morte due coniugi modenesi Adelgarda Ferniai e Pietro Modico, avvertiti in sogno da un angelo ritrovarono le spoglie intatte dell'eremita e informarono subito Geminiano vescovo di Modena,Geminiano informò della morte del futuro santo anche l'arcivescovo di Ravenna che giunse con altri 27 prelati,udita la notizia l'alto clero di Pisa accorse immediatamente e così anche le popolazioni limitrofe per disputarsi il corpo del povero santo conteso dalle due regioni.Fu deciso per risolvere la diatriba di affidare tale scelta al volere di Dio e così il corpo del santo fu caricato su un carro trainato da due indomiti torelli e dove essi si fossero fermati li sarebbe sorto il Santuario.Le bestie si fermarono esattamente in quella che al tempo si chiamava Thermae Salonis (l'attuale paese di San Pellegrino in Alpe)sul confine fra il comune di Castiglione (Lucca) e Frassinoro (Modena)..."Fiat voluntuas tua" (Sia fatta la Tua volontà).
Le mummie di San Pellegrino e San Bianco
(foto Giro-Vagando)

Così fu che intorno al X secolo nacque il piccolo borgo intorno al "hospitale sancti Peregrinide alpibus"nato per offrire riparo e assistenza a tutti quei pellegrini che scendevano dal nord per andare verso Roma.Il primo documento scritto che attesta la presenza del santuario risale al 1100,ma si è concordi a dire che la sua nascita sia sicuramente precedente.Nel giro di poco tempo l'hospitale si ritrovò ad essere uno dei più riforniti di beni materiali a causa di donazioni varie.Non mancarono Papi e imperatori fra i suoi benefattori:Enrico VI nel 1187, Federico II nel 1239 e Papa Alessandro VI nel 1255, per farla breve il santuario visse tre secoli di autentico splendore, sia spirituale ma sopratutto economico.Solamente un epidemia di peste minerà la sua solidità,diminuirono sensibilmente le entrate,l'ospedale e la chiesa per far fronte alle spese di mantenimento furono costretti più di una volta a vendere i beni in suo possesso,ma lentamente il
Particolare della mano
(foto Giro-Vagando)
santuario riprese vita e i pellegrini non lo consideravano più come un luogo di transito ma come un punto d'arrivo.La chiesa ospitava (ospita) le mummie di San Pellegrino e di San Bianco, l'uno vicino all'altro,come fratelli, messi insieme nel tempietto marmoreo commissionato da Lionello de'Nobili nel 1461 a Matteo Civitali e qui giungevano migliaia di fedeli a venerare i due uomini.Il flusso dei devoti non si interruppe neanche nel 1859, quando il grande traffico di mezzi e persone fu spostato su una nuova strada che passava tre chilometri sopra, attraverso il Passo delle Radici.Oggi, ogni 2 agosto,la ricorrenza del santo, i rappresentanti delle due comunità di Castiglione e Frassinoro si ritrovano
La croce che ogni
 anno viene cambiata
insieme per rendere omaggio ai due santi e sostituire come tradizione vuole ogni anno la croce di faggio che sovrasta l'intera valle, così come farebbero gli amici di vecchia data.


I Liguri Apuani e la loro micidiale arma:il pennato.La storia di questo "sacro" strumento

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Disegno di Apuano
con il pennato in mano
Tutti i santi giorni che Nostro Signore mette in terra usiamo strumenti ed utensili;per le nostre mani saranno passati migliaia di volte e spesso ignoriamo la loro origine e pensare che abbiamo uno strumento,un attrezzo che è tipicamente garfagnino e la sua genesi si perde nella notte dei tempi, si mescola fra i riti ancestrali e le furibonde guerre di quei tempi, figurarsi con questi nobili natali oggi viene usato dai boscaioli e dai giardinieri per tagliare i rami,le fronde,per appuntire i pali, per togliere la corteccia e così via...Questo attrezzo è il "pennato".Oggi siamo sulle tracce delle rocce sacre dei Liguri-Apuani:le"Rocce dei pennati".
Nelle nostre Alpi Apuane sono stati individuati numerosi siti che presentano incisioni rupestri di varia tipologia.Ma fra queste, una spicca su tutte per abbondanza sugli altri ed è "il pennato"(i romani poi lo ribattezzeranno la falx arboraria), il tipico strumento che tutti conosciamo che è caratterizzato da una breve impugnatura, una lama larga e lunga 30-40 centimetri e con la punta ricurva in avanti, la cui forma è rimasta inalterata per ben oltre tremila anni.Conosceremo così tutti questi posti dove trovare queste ultra millenarie incisioni su pietra, presenti sui nostri monti, per soddisfare la sete di storia,di natura e di curiosità dell'escursionista che un giorno volesse conoscere (e rispettare) questi luoghi.Cominciamo con il dire che le popolazioni apuane avevano un forte senso del sacro e di tutto quello che era legato alla natura: dal culto della roccia,delle sorgenti e delle vette.Il Dio delle vette era Pen/Pan (probabile radice da cui le Apuane hanno preso il nome), il Dio dei boschi era il Dio Silvano (da cui la
Borra Canala uno dei siti
 delle incisioni dei pennati
genesi della parola selva) rappresentato con un pennato in mano, utensile di lavoro e arma micidiale, simbolo degli Apuani.Si, perchè proprio il pennato è legato a doppio filo con la religione e la società apuana e infatti per meglio chiarire i ricercatori si sono posti queste domande:cosa ci volevano dire i nostri antenati con questi segni? Quale messaggio ci volevano lasciare? Le risposte non sono facili da dare ma alcune ipotesi interessanti e veritiere sono venute fuori.Il fatto che queste incisioni si trovino in altura, su rocce panoramiche dominanti, spesso in linea con il moto solare e le vette dei monti farebbe pensare a luoghi adibiti a una funzione religiosa, l'atto di incidere il pennato si può considerare come un ex voto, un dare un qualcosa a Dio Silvano per ricevere poi una grazia, come una caccia abbondante,la vittoria in una battaglia e altro ancora.Da non sottovalutare l'ipotesi che queste incisioni avessero delimitato il sito dove si svolgevano delle riunioni,come ad esempio "i conciliabula" (adunanze nelle quali si discuteva di guerra e di amministrazione).Altra affascinante teoria è che si potesse considerare queste zone come posti dove si facevano riti di iniziazione per i ragazzi ,un passaggio fra l'età adolescenziale e quella adulta, quindi a membro a tutti gli effetti della tribù, si certificava così attraverso l'incisione su roccia la consegna di un pennato vero considerato uno status symbol della società apuana;al ragazzo così gli si apriva un mondo tutto nuovo al fianco di questo suo inseparabile strumento, un mondo fatto di caccia,guerra, religione e lavoro,un utensile indispensabile per l'uomo di
Incisioni di pennati sulle Apuane
montagna,uno strumento che diventerà fondamentale nelle battaglie contro Roma.Sappiamo infatti da Tito Livio (storico romano), nella famosa battaglia di Marcione(nel comune di Castiglione Garfagnana) fra Romani ed Apuani (vinta clamorosamente da quest'ultimi)afferma che questa indomita popolazione utilizzò un'arma letale sconosciuta a Roma fino a quel tempo
):quest'arma era il pennato(per il caso vedi:http://paolomarzi.blogspot.meglio-dei-300-spartani-l) .Ultima considerazione da fare è che il pennato è stato ritrovato sui monumenti funebri degli Apuani, inciso insieme alle iniziali del nome del defunto, ritrovate queste nei pressi del Monte Rovaio (vicino all'Alpe di Sant'Antonio) e a Campocatino.Adesso guardiamo però dove si trovano queste incisioni rupestri,dove l'escursionista curioso le può scovare durante le belle passeggiate sulle Alpi Apuane.I siti di maggior rilievo sono cinque;alcuni le troviamo sul versante versiliese ed altri su quello garfagnino.
Il primo si trova sul Monte Gabberi il luogo è meglio conosciuto come il "Ripiano dei Pennati" e si trova a 950 metri d'altezza.Si tratta di un piccolo pianoro molto compatto dove sono incisi
Incisioni di pennati e croci sul Gabberi
FOTO DI STEFANO PUCCI 
quindici pennati (ed altri simboli),i segni sono disposti a semicerchio e questa disposizione secondo gli esperti avvalora l'ipotesi che fosse un luogo dove si svolgevano delle assemblee.Il disegno appare molto consunto da apparire appena percettibile alla luce solare.

Il secondo è sulla Cresta dell'Anguillara,sulla roccia si vede un pennato lungo 40 cm a grandezza naturale, niente affatto stilizzato, vicino ad esso troviamo altri due graffiti più piccoli:un coltello con la punta ricurva e un altro segno indecifrabile (forse un fungo).Risalendo ancora si apre la grandiosa Sella dell'Anguillara, qui si trova la maggioranza dei graffiti, ci sono ben 25 pennati oltre a simboli sessuali femminili e impronte di mani.
Pennati sulla Cresta dell'Anguillara

Arriviamo poi alla Roccia del Sole uno dei siti di arte rupestre fra i più spettacolari, che si trova poco sotto al sentiero che sale al Rifugio Rossi, anche qui abbiamo una grande piastra calcarea (la roccia del sole)dove sono incisi una cinquantina di segni, fra pennati,orme di piedi,di mani,cerchi e rosoni a sei petali.Lo spettacolo è offerto dalla luce radente del sole al tramonto che mette in risalto il tutto e subito da l'idea all'osservatore di essere al cospetto di una roccia dedicata a qualche divinità solare.
Eccoci poi al Masso delle Girandole in località Puntato ed ecco affiorare una roccia di pochi metri quadrati con  una ventina di pennati sovrapposti (scoperti nel 2004)formano  una specie di svastica.
Roccia del Sole:una mano,un pennato e un orma
Infine arriviamo sull'Altipiano della Vetricia delimitato dalla Borra Canala e dai prati dell'Omo Morto,quest'area è un vero paradiso per speleologi che vi hanno esplorato i profondi pozzi verticali,ma non solo, anche per gli stessi archeologi che qui hanno trovato nel 2005 due rocce graffite con lame pennate e una scena di caccia, eccezionale graffito, unico nel suo genere in tutta la Toscana.Altre incisioni sono difficilmente raggiungibili dai "comuni mortali" poichè sono messe in fondo agli strapiombi della Borra Canala.
Dite la verità nessuno pensava che dietro ad un insignificante attrezzo da boscaioli ci fosse così tanta storia ,così tanti significati e pensare che noi lo usiamo solamente per tagliare i rami...Comunque sia anche questa è una storia e una tradizione di un popolo fiero e stupefacente:gli Apuani,la nostra gente. 

Campocatino,un lungo viaggio nella storia che parte dalle ere glaciali e finisce con... David Bowie.

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Campocatina,sullo sfondo il monte Roccandagia e la chiesina dedicata a San Viano
Risalendo la Garfagnana in direzione di Vagli di Sopra dopo due chilometri dall'abitato, seguendo le indicazioni, ci imbattiamo in uno di quei posti che mette in pace con il mondo; il luogo è situato nello splendido scenario delle Alpi Apuane,collocato e chiuso a nord dalle vette del Pisanino e a sud dal Sumbra, questa meraviglia è Campocatino sovrastato dalla maestosità del Roccandagia.L'estate quel prato è un esplosione di fiori e di profumi,quel prato lo dovrebbero segnare sulle ricette mediche i dottori come terapia contro lo stress della vita quotidiana, si, perchè Campocatino è un'oasi incantata che confina con il cielo e la terra.Campocatino però non è solamente una località dove vivere in armonia con la natura e l'ambiente,Campocatino e i suoi "caselli" (le antiche abitazioni dei pastori,caratteristica particolare del posto) hanno una storia che affonda le sue radici nelle usanze e nei mestieri che sono legati con un filo diretto con tutta la Garfagnana.Stavolta per raccontare questa storia partiamo da lontano,da molto lontano, da circa 126mila anni fa, nel tardo pleistocene (mamma mia che
Panorama sui
 "caselli di Campocatno"
parolona!),quando al posto dei famosi "caselli" c'era un vero e proprio ghiacciaio,che con il passare degli anni,anzi dei millenni,cominciò a ritirarsi modellando così come dicono i geologi, un anfiteatro morenico, ma siccome noi geologi non siamo e per far si che tutti si capisca è meglio dire che lasciò questi depositi e sedimentazioni che abbandona un bacino glaciale quando si ritrae, formando di conseguenza una grande conca,anzi... un catino e da questa particolarità la località prende il nome.Fra l'altro gli esperti mi dicono che questo è il più significativo e meglio conservato esempio di glaciazione delle Alpi Apuane. Facciamo adesso però un bel salto temporale e arriviamo al 1600 quando già era luogo dedicato alla pastorizia, qui si portavano i greggi a pascolare venuti dalle lunghe transumanze,il percorso di queste migrazioni che a quei tempi avveniva due volte l'anno coinvolgeva tutta la penisola italica tramite la dorsale appenninica e così pure numerose famiglie garfagnine partecipavano al trasferimento dei greggi con estenuanti marce a piedi verso i monti d'estate e in pianura d'inverno.La
I "caselli" di Campocatino oggi
transumanza estiva iniziava i primi di giugno con intere greggi che attraversavano tutta la valle del Serchio provenienti dalle terre di tutta la Toscana dove avevano svernato e così magicamente anche Campocatino si popolava di uomini pecore e cani.Nelle carte del 1700 Campocatino viene indicato con l'espressione "capanne fatte dai vaglini". Ma di che capanne si tratta? Sembra infatti che già in
quel periodo "le capanne" risultino essere i"caselli" con tanto di muri portanti e finestre.I "caselli" di Campocatino sono tutti collocati nella parte più soleggiata dell'immensa conca, non sono di grandi dimensioni, si adattano armoniosamente ai dislivelli del terreno.Il piano inferiore di queste costruzioni era dedicato agli attrezzi e agli animali che con il calore emanato dal loro corpo scaldavano i pastori che vivevano al piano superiore.Gli ingressi ai due piani erano indipendenti,mentre lo spazio intorno veniva utilizzato come orto (piccoli appezzamenti di terra dette "porchette"), magari anche con qualche albero da frutto. Già al tempo i vecchi vaglini avevano saputo creare un villaggio senza turbare gli equilibri naturali,sfruttando al meglio le risorse che offriva il posto.I"caselli" sono costruiti con pietra marmorea locale e le stesse piastre dei tetti provenivano da una località vicina.Il 1761 portò ad un saggio provvedimento:si decise di salvaguardare il luogo e l'economia della zona e così nei capitoli della comunità di Vagli al posto è riservato il trattamento
Luoghi d'incanto
(foto tratte dal blog "Giro-Vagando")
di"Alpe",territorio cioè destinato a esclusivo uso di:"coltivazioni di campi,ai prati e ai poggi e a pascolare gli armenti, da curare due volte l'anno". In parole povere a Campocatino si poteva fare solo quelle attività, non vi si poteva, costruire case, mettere attività commerciali o altro che non fosse inerente all'agricoltura e alla pastorizia.Arriviamo poi al secondo conflitto mondiale,al 1944 e anche a Campocatino arrivò la guerra;nell'autunno di quel disgraziato anno i tedeschi dettero fuoco a tutti i"caselli" perchè ritenuti rifugio dei partigiani e con questi fatti cominciò il declino di Campocatino.Le condizioni socio-economiche del dopoguerra dei pastori vaglini e non, subirono un forte cambiamento,in quanto aveva preso letteralmente vigore l'estrazione del marmo dalle Alpi Apuane,un faticoso ma redditizio lavoro quello dei cavatori per gli ormai ex pastori che giungevano a casa massacrati da ore di cava e non si curavano più nè di Campocatino,nè dei suoi
"I Caselli" (foto tratte
dal blog "Giro-Vagando")
"caselli".Solamente negli anni 60,con il boom economico e una nuova concezione del vivere, Campocatino risorse non più come luogo dedito alla pastorizia e all'agricoltura (ormai queste attività erano state soppiantate dalle industrie sorte in Valle del Serchio) ma come luogo di vacanza e di riposo, si restaurarono tutti quei "caselli" andati in malora in modo che i proprietari (gli eredi dei vecchi pastori) potessero godere di questo bellissimo posto,fu anche costruita finalmente una piccola chiesina,una cappella dedicata San Viano (per la sua bella e particolare storia leggi:http://paolomarzi.blogspot.it/leremo-di-san-viano la-sua-leggenda-) costruita dagli abitanti di Vagli di Sopra,tutto sotto l'occhio vigile delle autorità del Parco delle Apuane (nato nel 1985) attento alle regole paesaggistiche.Nel 1998 Campocatino balzò alla ribalta nazionale perchè scelto come location per fare le riprese del film "Il mio West" con attori del calibro di Leonardo Pieraccioni,Harvey Keitel, David Bowie e la prosperosa
La locandina del film 
Alessia Marcuzzi,sotto la regia di Giovanni Veronesi.Fu addirittura costruito per intero un villaggio del vecchio west con tanto di saloon,banca e ufficio dello sceriffo,vennero impiegate anche  molte comparse del luogo,un evento anche questo che contribui a far conoscere questo angolo d'Italia.Per concludere, questi 8 ettari di meraviglia dal 1990 sono diventati "Oasi Lipu", nel bosco si può osservare una moltitudine di uccelli:picchi,capinere,cinciallegre,ma l'emozione più grossa la riserva lei, la regina delle montagne:l'aquila reale che ogni tanto scende anche dalle cime più alte per godersi questo angolo di Paradiso.

Harvey Keitel,,Leonardo Pieraccioni e David Bowie sul set di Campocatino

La strage dimenticata.Questa è la storia della "mattanza"dei civili fascisti in Garfagnana

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Manifesti di propaganda
della Repubblica Sociale
Questo articolo è fra quelli che mi ha dato più da pensare.Il dubbio che mi attanagliava era se scriverlo o invece lasciar perdere.L'argomento è a dir poco delicato, per decenni ed anche tutt'oggi è stato ed è motivo di discussioni,di liti fra le più feroci,ma poi pensandoci bene ho deciso comunque di narrarlo. Perchè nascondere quello che poi è veramente successo? Perchè celarsi dietro ad un dito e fare finta che queste cose in Garfagnana non sono esistite? Prima di raccontare i fatti e dirvi l'argomento mi preme dire che dietro a questo pezzo non ci vuol essere nessun revisionismo storico,ne tanto meno simpatie politiche di nessun colore,né di una parte,né di un'altra.Questo pezzo è fatto perchè la storia va raccontata nei fatti che sono veramente accaduti;storia vorrebbe dire anche verità e conoscenza perchè ognuno poi si faccia un opinione libera e serena senza pressioni esterne.Quello che vado a raccontare parla  di quello che successe ai quei fascisti di Garfagnana (a guerra in corso ma ormai ineluttabilmente persa) che non avevano mai partecipato ad alcuna azione di guerra o rappresaglia, ma che solamente avevano aderito al partito o ne facevano parte amministrativamente, insomma  non avevano nè colpa nè peccato se non quello di essere dalla parte sbagliata.
Correva l'ottobre del 1944,quel mese fu ricco di eventi poco felici per la Garfagnana.Ai primi del mese il fronte si stabilizzerà nel bel mezzo della Valle del Serchio,tagliandola in due e buona parte dei suoi paesi verranno a trovarsi sulla linea del fuoco.Alla fine del mese poi arriveranno anche gli Alpini della Divisione Monterosa e i marò della Divisione San Marco a dar man forte ad una situazione ormai compromessa per le forze dell'asse.Infatti, nonostante tutto che la fase bellica fosse stagnante sul fronte garfagnino era ormai chiaro che di li a poco gli eserciti anglo americani avrebbero sfondato il fronte dilagando in tutta la Pianura Padana dando così la spallata definitiva alla liberazione d'Italia.Ma prima che
Americani a Borgo a Mozzano
succedesse ciò c'era da regolare qualche conticino e c'era da farlo abbastanza in fretta prima che la 5a armata americana una volta liberata tutta la Garfagnana prendesse la situazione in mano e sciogliesse di fatto tutte le formazioni partigiane con la conseguente consegna della armi e quello che successe in quel periodo fu un vero e proprio orrore ci furono una serie di esecuzioni sommarie nell'alta Garfagnana di civili fascisti,disarmati e indifesi, talvolta prelevati direttamente dalle loro case e uccisi a sangue freddo con un colpo alla nuca.Fu una serie di ammazzamenti, di vendette trasversali che forse con la guerra non c'entravano nulla o forse il tanto rancore sopito accecava gli occhi  di questi partigiani assetati di sangue.Si, perchè gli esecutori di ciò erano quei partigiani che erano agli ordini del maggiore inglese Anthony Jhon Oldhman che era a comando della divisione partigiana Lunense che ordinò freddamente una strage sistematica di questa povera gente.Ma che ci faceva un ufficiale inglese al comando di una divisione partigiana? Oldhman era un maggiore inglese di 32 anni catturato in guerra e prigioniero in Italia.L'8 settembre era fuggito dal campo di concentramento e si era dato alla macchia,riuscì presto a formare una banda partigiana, la  "Brigata Garibaldi Lunense"che operava in Garfagnana e nella Lunigiana occidentale.La Lunense non fu una brigata comunista,la parola Garibaldi non deve trarci in inganno, il maggiore era un'ammiratore dell"Eroe dei due Mondi" e decise di chiamarla così.Oldham era un coraggioso,ma non badava tanto per il sottile, in più di un caso si rivelò uno spietato e come detto fu lui a decidere la mattanza dei civili fascisti, sottolineo la parola civili perchè nessuno di
Il comandante della Divisione Lunense
il maggiore inglese Jhon Oldham
questi morti era un soldato o un combattente della Repubblica Sociale e infatti per questo la loro coscienza era tranquilla, non avevano ritenuto di nascondersi pensando di non aver nulla da temere.Questo fu loro fatale. A proposito di questo caso si impone un osservazione importante.Tutte queste uccisioni sono avvenute nei comuni dell'Alta Garfagnana, da Castelnuovo Garfagnana in sù, proprio in quelle zone dove operava la Lunense.Nei comuni al di sotto di questa immaginaria linea non ci fu alcuna uccisione di fascisti.La cosa si può spiegare principalmente per due motivi:quella era una zona costantemente presidiata dalle truppe tedesche, ma ancor di più sta nel fatto che in questa zona operavano i partigiani del "Gruppo Valanga" che avevano un'altro modo di vedere le cose, pensavano che non fosse il caso di spargere ulteriore sangue italiano e così non ci fu nessun fascista civile ucciso né prima né dopo il passaggio del fronte, furono certamente operati arresti (come il segretario del fascio a Gallicano) e detenzioni ma niente più nonostante che anche al Valanga fosse giunto nelle loro mani un elenco di fascisti da uccidere, ma il comandante Di Maria oppose il suo rifiuto dicendo che nella sua zona lui sapeva cosa fare e pensare che in quanto a rancore ed odio questo gruppo forse era quello che lo aveva più alto, alcuni mesi prima infatti furono uccisi 20 dei suoi combattenti nella battaglia del Monte Rovaio (per questa battaglia leggi:http://paolomarzi.blogspot.it/2014/09/29-agosto-1944)
 compreso anche  Leandro Puccetti comandante fino a quel momento.Ma torniamo allo specifico e veniamo a parlare della "mattanza" dei fascisti.Questi fascisti uccisi erano segretari dei piccoli fasci repubblicani locali,chi lavorava invece come ingegnere nella TODT (l'impresa di costruzioni che operò al servizio della Germania nella costruzione di ponti,strade e opere difensive), chi semplici persone che lavoravano in posta o erano insegnanti o falegnami, chi dottori, chi reduci della prima guerra mondiale.Fra i primi morti ci fu il segretario del fascio di Minucciano Settimo Pellegrinetti di 45 anni impiegato comunale che fu prelevato da casa e ucciso con un colpo alla nuca nei boschi di Ugliancaldo, il suo cane lo aveva seguito fu ucciso anche lui.Poi stessa sorte toccò al segretario di Camporgiano Marino Bartolomasi 42 anni
Partigiani in azione in Garfagnana
handicappato,uomo mite e inoffensivo,lo presero a Roccalberti e lo liquidarono con il solito colpo alla nuca.Poi Primo Davini segretario di Metra,già stato fermato poi rilasciato perchè ritenuto senza colpe,convocato  di nuovo si ripresentò confidando nella propria innocenza,stavolta non lo lasciarono andare, lo condussero in un vallone presso Regnano,lo uccisero.Che dire poi dell'ingegner Nutini Giovan Battista di Camporgiano 50 anni, lavorava per l'organizzazione TODT, fu prelevato condotto sul Monte Tondo e qui ucciso, verranno ritrovati i resti mutilati.Ecco la triste storia del medico condotto di Careggine Fedele Bianchi (capitano medico in congedo) di 41 anni,una squadra di partigiani lo andò a cercare perchè c'era un ferito da curare.Il dottor Bianchi prese la borsa senza sospettare niente, in realtà fu tratto in inganno il ferito non c'era,il medico venne arrestato e portato alla Foce di 
Careggine, qui chiuso dentro ad un porcile insieme ad altri prigionieri, fu ammazzato alcuni giorni dopo.Continuiamo con Vincenti Ferdinando 29 anni,maestro,di Canigiano,pare che i partigiani gli avessero estorto già parecchio denaro, cosicchè quando fu richiamato vi si recò pensando che gli sarebbero stati chiesti altri soldi,stavolta no, fu ucciso.Infine questa è la brutta fine di Santarini Silvio di Camporgiano impiegato di posta di 61 anni portato via da casa alla presenza dei quattro figli e della moglie terrorizzati,la casa fu depredata e lui ucciso.
Truppe di Alpini della Disvione Monterosa

L'elenco potrebbe ancora continuare e con quelli che verranno uccisi durante  e dopo la guerra il numero salirà a 52 morti ammazzati.Come si vede non furono uccise donne (anzi ne verrà uccisa una a conflitto terminato),ma anche a queste fu riservato un trattamento di "tutto riguardo".Alle donne fasciste o presunte tali perchè fidanzate o sorelle di militari della R.S.I furono"tosate",tagliati i capelli a zero e portate in giro alla "pubblica gogna".Per chi volesse eventualmente approfondire l'argomento tutto questo (insieme ad altri fatti successi in altre zone d'Italia) è raccontato dal famoso giornalista e scrittore Giampaolo Pansa nel suo libro "I vinti non dimenticano". 
Così questo è il tributo pagato da una sciagurata guerra civile che portò ad un ennesimo bagno di sangue in tutta la Garfagnana. D'altronde sarà retorica, ma non c'è niente di più vero,i morti non hanno colore, ma lasciano nel dolore  e nella disperazione mogli,figli, sorelle,padri e madri e non fanno altro che fomentare odio, in un mondo dove l'odio è già tanto.

Un lontano 1910:Quando dalla Versilia per raggiungere le Alpi Apuane si usava la mongolfiera.Questa è la storia dell'epica impresa del "Pallone Frenato."

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1910 La Pubblicità dell'epoca
del Pallone frenato
Non è una storia prettamente garfagnina ma è una storia che merita di essere raccontata.Siamo nel comune di Stazzema in Versilia, anche se, questo luogo da Gallicano è raggiungibile in appena 40 minuti circa.Questo posto fa parte delle nostre magnifiche Alpi Apuane e siamo appunto sull'Alto Matanna, luogo incantevole per le escursioni verso il Monte Croce,il Procinto,il Monte Forato e altre mete ancora e per chi come me è un po' più pigro può approfittare dei suoi verdi prati per pic nic e scampagnate in famiglia.Ad accoglierci appena lasciata l'auto nel parcheggio, fra i maestosi larici c'è l'albergo (rifugio) Alto Matanna, un posto dove dormire e mangiare per poi avventurarsi sui magnifici monti circostanti.Questo albergo però nasconde una storia tutta vera, di altri tempi, anch'essa stupefacente e meravigliosa, una storia che sembra uscita da un libro fantascientifico di Jules Verne o perchè no,da un romanzo di avventure di Mark Twain.Tutto ebbe inizio alla fine del 900 quando un ambizioso fabbro di Palagnana di nome Alemanno Barsi decise di sposarsi.Questa moglie era una donnina minuta, non troppo alta e forse neanche tanto bella, ma in compenso possedeva come dote un barile di marenghi d'oro e questo era quanto bastava per le ambizioni del fabbro.Alemanno con quella dote potè dare sfogo alle sue aspirazioni.Fu così che nel 1890 inaugurò al Basso Matanna (Palagnana) un nuovo albergo (oggi dismesso).Eravamo in quel periodo in cui si cominciava a parlare di villeggiature, di vacanze  e i signorotti dell'epoca approfittavano di questo modo nuovo di concepire la vita  e quindi i clienti a questo nuovo albergo non mancavano e nonostante l'altitudine (750 m) era dotato di tutti i confort più moderni (per l'epoca),si poteva telefonare
L'albergo Basso Matanna (Palagnana)
oggi e ieri
direttamente a Viareggio e i quotidiani arrivavano puntuali tutti i giorni.Gli anni passavano e ad Alemanno nacque un figlio, Daniele, che una volta grandicello intraprese il mestiere di rappresentante di utensili da lavoro.Nel suo viaggiare Daniele conobbe una bella signorina di nome Rosetta di Montecarlo di Lucca, anche lei con una dote molto consistente (tale padre, tale figlio...)e si sposò.Rosetta fu confinata subito a dirigere l'albergo del Basso Matanna, dove con grande eleganza lo arredò nel classico stile inglese come era di moda in quegli anni nella vicina Bagni di Lucca (n.d.r:Bagni di Lucca intorno al 1850 fu meta turistica ambita per le sue terme da inglesi ed americani,tanti decisero di rimanerci a vivere,tant'è che nella cittadina esiste un cimitero inglese e una chiesa anglicana).Nel frattempo il buon Alemanno costruì un altro albergo stavolta all'Alto Matanna (quello ancora oggi esistente e attivo), un posto favoloso,una posizione incantevole, attorniato dalle Alpi Apuane a 1037 metri d'altitudine, dalla sommità dei suoi monti si può
Oggi l'albergo "Alto Matanna"
ammirare l'arcipelago toscano, insomma la famiglia Barsi lassù voleva creare una "Svizzera in Toscana".Il problema rimaneva l'accessibilità e in più bisognava in qualche maniera attirare i clienti più ricchi e aristocratici,quei clienti però frequentavano le spiagge di Viareggio, e Matanna era raggiungibile a piedi o a dorso di mulo. Come risolvere allora il grave problema? Ci pensò il figlio Daniele, fu una trovata sensazionale, di sicuro impatto, si pensò di portare questi nuovi villeggianti dal mare ai monti utilizzando un pallone aerostatico frenato, una mongolfiera che scorreva su cavi di acciaio che doveva partire dalla Grotta dell'Onda (che si trova a 710 metri d'altezza sul versante meridionale del Monte Matanna, sul lato versiliese).Questi cavi guida erano del diametro di 27 mm,la capacità di trasporto sarebbe stata di 6 persone più il comandante, il diametro del pallone era di 14 metri,l'altezza dell'aerostato in volo superava i 20 metri. I lavori così partirono,nell'area della Grotta dell'Onda fu costruito l'hangar di legno, il quale poggiava su una base in muratura, mentre da cento e passa operai fu elevato un cavo metallico portante di 800 metri.Il volo di collaudo fu
Il biglietto di trasporto 
fino alla stazione del 
pallone costava 200 lire
effettuato con successo il 21 agosto 1910.Tutto quindi era previsto in ogni dettaglio, gli ospiti sarebbero stati prelevati dalla stazione di Viareggio,di li condotti in automobile fino a Candalla (località di montagna versiliese), poi con la portantina o a dorso di mulo condotti fino alla Grotta dell'Onda dove si sarebbero 
imbarcati sul pallone, dopo un oretta circa,una volta giunti alla stazione di arrivo un'altra portantina in 5 minuti portava i turisti in albergo "Alto Matanna",ricco anche questo di ogni comodità.Finalmente arrivò così anche il giorno dell'inaugurazione, il 28 agosto 1910 alla presenza di tutte le autorità e della stampa.Agli ordini del comandante Frassinetti si ebbe il primo viaggio ufficiale del "pallone frenato" ribattezzato "Rosetta" (come la moglie del suo ideatore Daniele Barsi), fu un vero tripudio, la cosa funzionava e fu accolta da grande entusiasmo, tutti volevano 
Foce al Pallone ,di qui si partiva con
l'aerostato per l'Alto Matanna
(foto di Maxviator)
salire sulla mongolfiera, tutti volevano sostare all'albergo"Alto Matanna".Ospiti a dir poco illustri volarono con questo pallone,le teste coronate di tutta Europa ambivano a questo viaggio, infatti il Re del Belgio Alberto I con famiglia al seguito vi viaggiò, per non

parlare poi dell'Infanta di Spagna Maria Teresa di Borbone sorella del re Alfonso XIII e poi scienziati,professori,nobili, poeti...Come si sa però in tutte le belle storie esiste sempre un MA.Su questa storia aleggiava un brutto presentimento, si, perchè è bene dire che nella zona di costruzione dell'hangar e della posa dei cavi era presente una "mestaina", una Madonnina molto antica che gli operai distrussero per realizzare il progetto.La gente di Casoli (frazione di Camaiore a ridosso delle Alpi Apuane)  avvertì gli ingegneri e i proprietari che era stato profanato un luogo sacro e che in qualche modo prima o poi il buon Dio se ne sarebbe ricordato...Arrivò così l'inverno del 1911 quando una notte di febbraio una spaventosa tempesta si abbatté violentemente sulla zona.Dagli abitanti di Casoli fu udito un grande schianto dalle parti della Grotta dell'Onda dove c'era l'hangar che custodiva la mongolfiera nella stagione invernale.Il mattino
Due degli illustri ospiti del Pallone Frenato:
il Re del Belgio Alberto I
 e l'Infanta di Spagna Maria Teresa di Borbone
seguente gli abitanti del paesello si vollero rendere conto del terribile schianto avvenuto e salirono fin lassù.Quello che videro fu apocalittico, l'hangar era completamente distrutto, come stritolato e la stessa misera fine toccò al pallone anch'esso ridotto a brandelli.Volenti o nolenti, credenti o meno la profezia degli abitanti di Casoli si avverò,le forze divine si erano vendicate della profanazione del luogo sacro sentenziando così la fine dell'epica impresa dei Barsi.

Sono passati esattamente 105 anni da quei giorni e ancora oggi è visibile per chi percorre quei sentieri la struttura di cemento e le pietre su cui poggiava l'hangar.
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