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Cronaca di un'assedio in terra di Garfagnana. Correva l'anno 1613...

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E' anche grazie a  Miguel De Cervantes, Ludovico Ariosto e Chretien de Troyes che fin da bambini ci siamo innamorati di quei valorosi cavalieri medievali e delle loro epiche imprese. Sono questi autori fra i principali alfieri del "romanzo cavalleresco". Guerre e imprese militari sono sempre presenti in questo tipo di letteratura, dove il protagonista diventa il cavaliere senza macchia e senza peccato. Ma una cosa è leggere un romanzo e un'altra cosa ancora è leggere le reali cronache di quei lontani tempi. Per dirla tutta, talvolta, anche i libri di storia che studiavamo a scuola c'hanno stimolato questa curiosità, ma poi questo desiderio di sapere veniva ucciso da date, luoghi e nomi a dir poco noiosi e pesanti, non permettendoci mai di entrare nel cuore di quello che potevano essere le vicende e gli aneddoti che si celavano dietro a un'assedio o a una battaglia, non dandoci fra altro l'essenza, la percezione e il sentimento che passava per "il cor umano". Leggere oggi di queste battaglie accadute secoli fa è come leggere su un giornale un fatto di cronaca successo il giorno prima, con la differenza che questi antichi scritti hanno il potere di catapultarci in un mondo fiabesco, completamente diverso dal nostro, un mondo quasi irreale, ma che nella realtà dei tempi remoti era veramente fatto da epici cavalieri, sanguinosi combattimenti e da valorosi personaggi, cose queste che avevamo solamente visto

nei cinema o letto nei racconti d'avventura. Ecco allora, nella drammaticità di quei fatti quello che accadde in terra di Garfagnana, molto, ma molto tempo fa. Correva l'anno 1613 e quello che andremo  fedelmente a raccontare dai resoconti dell'epoca ci riporta  a quella che fu l'ultima guerra e una delle ultimissime battaglie fra il Ducato di Modena e la Repubblica di Lucca.

Antefatto 

La pace in Garfagnana regnava già da molto tempo, il re di Spagna era riuscito fra mille difficoltà a "mettere la briglia" sia ai lucchesi che hai modenesi, ma nonostante ciò ai lucchesi stessi non andava proprio giù il fatto che il ducato estense avesse in suo possesso una larga porzione della valle e difatti era secoli che la città della pantera rivendicava in questi luoghi svariati domini. Infatti ogni scusa era buona per rinfocolare smanie di guerra e minacce di occupazione di terre sotto il controllo di Modena. Destino volle, che di li a poco l'occasione capitò propizia. Come infatti avviene spesso ad accendere la miccia per il "casus belli" fu un'insulsa questione di confine: quattro stolte pecore "modenesi" che erano al pascolo avevano impunemente "invaso" i territori lucchesi in quel di Motrone. Questo bastò (e sottolineerei, avanzò...) per riattizzare quei fuochi che da anni erano sopiti sotto la cenere. Rimane il fatto che un branco di pecore ebbe la forza di smuovere migliaia di soldati e di dare il via a sanguinose e violente lotte.

La vicenda

Era il 22 di maggio 1613 quando i lucchesi entrarono nei territori modenesi e precisamente nel borgo di Vallico, luogo di provenienza delle ignare pecore. Lì, misero a ferro e fuoco tutta la campagna, questi nefasti soldati arrivarono perfino a scortecciare i castagni affinchè seccassero e a tagliare tutti gli alberi da frutto. Il probo conte modenese Tiberio Ricci insieme agli abitanti del paese convinse gli assalitori a rinunciare a ulteriori e violente "imprese". Nello stesso tempo a Modena visto il pericolo che correva la provincia garfagnina stavano celermente riunendo le guarnigioni, pronte ad entrare nella valle a protezione delle loro terre: "Il duca spedì colà con grosso nerbo di gente il Marchese Ippolito Bentivoglio suo generale. Poco tempo dopo gli tenner dietro il Principe Alfonso primogenito del Duca e susseguentemente Luigi suo fratello per assistere a quella guerra. Condusse quelli seco fra le altre milizie altre quattro compagnie di cavalleria, composta la maggior parte di gente nobile, e gente che al foco d'altre più riguardevoli guerre avea data prova del suo valore. Sfilarono poi a quella volta migliaia di fanterie lombarde con artiglierie e gran salmerie di vettovaglie" . Dal canto suo anche il generale lucchese Lucchesini (così destino volle che si chiamasse...)fece altrettanto, riunì un gran numero di soldati a Gallicano e un'altra parte di essi (ben ottocento) fu destinato a rafforzare la già lucchese Castiglione. Fra una schermaglia e l'altra arrivò così il 22 luglio e i lucchesi decisero di sferrare un perentorio e forse decisivo attacco a Monte Perpoli, luogo di fondamentale importanza strategica. Da q
Monte Perpoli
uella sommità, infatti si apriva la strada per Castelnuovo e per il cuore della Garfagnana. Di questa eventuale conquista il primo paese a farne le spese fu Cascio. Il fato volle che quel borgo si trovasse proprio sulla medesima strada che portava all'agognata meta: "Giunto a Cascio, distrutta e senza alcun presidio, fu dagli abitanti, presi di sorpresa e col timore di essere uccisi, a persuasione del curato loro, che era anche lucchese, incontrato in processione con la Croce, il clero vilmente cedette la terra". Senza ormai più nessun ostacolo davanti, la strada per la conquista della collina di Monte Perpoli si spalancava alle orde lucchesi e Castelnuovo, capitale estense in Garfagnana, tremava dalla paura. Gli scontri continuarono violentissimi per giorni e giorni, perdere Castelnuovo avrebbe significato una sconfitta politica e militare senza uguali, perciò bisognava difendere con ogni mezzo e con ogni soldato il potenziale attacco alla cittadina. Con grande sorpresa a un certo punto della battaglia, Dio volle per gli Estensi, che i lucchesi forse soddisfatti delle vendette avute decisero di rinunciare nell'impresa, ritirandosi in men che non si dica nei loro forti, ma un fatto a dir poco curioso e casuale dette il "la" al contrattacco modenese:"Nel medesimo tempo della ritirata, una torricella, piena di polvere d'archibugio, inserita nel muro della fortezza di Gallicano (n.d.r: paese già sotto Lucca), prese fuoco esplodendo con grande rumore. Tutti furono convinti che Gallicano fosse stato tradito e preso. Da 
Mappa di Gallicano
con torri e mura

tutti fu creduto che tal fuoco fosse opera di una donna di Molazzana, maritata in Gallicano, che fu quella che avvisò li medesimi modenesi all'assalto di Gallicano con dirgli che non c'era chi lo difendesse, come in effetti era vero perchè infatti il primo assalto, lo sostennero i vecchi, i preti e le donne e se non fosse stato per le donne di Gallicano, le quali di tanto in tanto portavano qualche cosa da bere, risultando di grande aiuto rinfrancando gli assediati e caricandoli i loro moschetti".
Per ben capirsi, quattrocento "valorosi" soldati lucchesi messi a difesa del paese di Gallicano, al sentir lo scoppio casuale di una torre e credendo di conseguenza di essere attaccati, si dettero a precipitosa fuga, abbandonando così i gallicanesi al loro amaro destino. Detto fatto, di fronte a ciò il principe Alfonso d'Este, grazie anche anche alla soffiata della suddetta "signora" di Molazzana ottenne grande speranza di conquistare Gallicano, la presa del paese sarebbe stata decisiva per le sorti della guerra. In quel castello c'erano tutti gli armamenti lucchesi, nonchè tutte le provviste che avrebbero consentito il proseguimento di quella maledetta guerra. Ma come abbiamo letto l'intrepido popolo di Gallicano riuscì a resistere, intanto i lucchesi rinvennero e i modenesi furono costretti a ritirarsi dall'assedio in attesa anch'essi di rinforzi. Gli Estensi comunque sia non demorsero e una volta giunti a destinazione i suddetti rinforzi, nella stessa notte conquistarono il Monte Termina, posto proprio sopra Gallicano: "Nell'ardore della battaglia essendo sopraggiunta la notte riuscì ai soldati estensi d'impadronirsi d'un forte soprastante quel castello, dal quale con tiri di moschetto e più di cannoni cominciarono nel dì seguente a infestar cotanto la guarnigione di Gallicano, che non potevano nè guardar le mura, nè passar per le strade essendo troppo scoperti. Allora i lucchesi per riparar a questo disordine, con celerità mirabile piantarono in sito più
eminente un altro forte, chiamato Lo Zingaro, perchè fabbricato dal colonnello del borgo, che portava quello cognome, e soprannome, Soldato di molto valore
". Ecco che, come vuole la regola del romanzo cavalleresco, comparire nella nostra storia l'ardito cavaliere di turno: messer Giovanni Vitali da Pavia, colonnello nel borgo di Gallicano, da tutti semplicemente conosciuto come lo Zingaro... C'era poco da fare, se si voleva salvare Gallicano il forte dello "Zingaro"(posto in un'altura ancora superiore al forte del Monte Termina), avrebbe dovuto resistere fino all'estremo sacrificio di tutti i suoi uomini e questo lo sapevano bene anche i modenesi. Pertanto, al sorgere del nuovo giorno gli Estensi radunate tutte le forze investirono quel forte con tremendo assalto: "Durò il conflitto per quattro ore con grande ardore, e sprezzo della vita da ambedue le parti. Entrarono anche molti dentro arrampicandosi per l'erto monte fin sui bastioni, e si venne alle spade, ma furono ributtati e costretti finalmente gli assalitori a ritirarsi. Vi perirono molti de' lucchesi, ma molti più de' modenesi, perchè esposti alle grandine delle moschetterie, e tra i non pochi feriti vi fu Alberto Balugoli con due altri Nobili di Modena". 
Lo stesso Zingaro, seppur colonello, non rimase a guardare e si buttò impavido ed indomito a capofitto nei sanguinosi scontri: "Ci fu uno dei modenesi, che per
mostrare maggiore coraggio degli altri, azzardò di saltare sul bastione e metter la mano sopra un moschetto, per poi fuggire, ma Zingaro, afferrandolo per il collo, con il suo pugnale gli tagliò la gola".
Dall'altra parte stessa fortuna non ebbe l'altrettanto ardimentoso capitano estense Nicolò Ponticelli: "...e fra questi perirono il Capitano Nicolò Ponticelli da Castelnuovo colpito al collo da un tiro di moschetto". Viste le gravi perdite il morale dei modenesi era ormai sotto i tacchi, c'era da ricompattare le file e riorganizzare l'esercito, quello che però era ormai chiaro nelle teste degli estensi che ogni piano e ogni progetto di conquistare Gallicano era definitivamente fallito. Quello che invece non si era perso era il desiderio di fargliela pagare cara ai lucchesi e le mire modenesi si spostarono clamorosamente sull'obbiettivo più grosso: sull'enclave lucchese di Castiglione Garfagnana: "Pertanto veggendosi troppo difficile l'acquisto di Gallicano, di li a pochi giorni il Principe Luigi e il Bentivoglio determinarono di portarli all'assedio della forte Terra, e Rocca di Castiglione". Prima di
Castiglione

abbandonare la zona, i modenesi a ricordo di quello che i lucchesi fecero a Vallico mesi prima, decisero di lasciare anch'essi il medesimo "regalo", cosicchè tutti i castagni furono miseramente scorticati, in questo modo il prossimo autunno non avrebbero dato i loro preziosi frutti.

I giorni della gloria 

Furono due gli eroi di questa guerra a salire sugli altari della gloria: il generale Iacopo Lucchesini, che grazie a questo conflitto fu nominato Magistrato dell'Anzianato e il leggendario Zingaro, il vero e assoluto protagonista di tutta questa vicenda: "Consiglio generale del 7 novembre 1613. Dal consiglio generale fu decreto: che visto il valore dimostrato dal colonnello Giovanni Vitali da Pavia, detto lo Zingaro nell'ultima guerra di Garfagnana, contro il duca di Modena, si intenda costituita dote alle due sue figlie nate, di scudi duegento per ciascuna, da pagarseli dall'Uffizio delle entrate quando si mariteranno o si monacheranno, e a esso per aiuto di costà, si intenda fatto di donazione di scudi cento da pagarseli come sopra". 

Epilogo

La guerra come scritto continuò con altrettanti violenti scontri in altri lidi garfagnini, finchè un  bel giorno qualcuno si rinvenne che era arrivato il momento di chiudere questa inutile guerra e allora come due bambini capricciosi Modena e Lucca furono presi per le orecchie dalle potentissime autorità milanesi e spagnole che così decretarono: "Che i sudditi del Signor Duca di Modena continuino la possessione di tutti i loro beni che furono loro aggiudicati per il lodo del Signor Conte Fuentes, cioè quelli che possedevano prima della guerra. Che i lucchesi lascino i luoghi i posti occupati sul territorio estense, demoliscano tutti i loro forti fabbricati in questa occasione. Che il Duca Cesare anch'egli faccia demolire i posti che tiene in territorio lucchese"... Come si suole dire: tanto rumore per nulla... Dopo tutto lo spargimento di sangue, le lotte e i morti innocenti, ognuno dei contendenti si riprese le solite terre che aveva prima della guerra. Ringraziando Dio, però, per oltre tre secoli in Garfagnana non si parlò e non si fece più guerra. Tutto ricominciò un giorno di primavera inoltrata. Era il 10 giugno 1940, e qualcuno gridò: "Vincere e vinceremo"...


Bibliografia

  • Biblioteca Statale di Lucca: Manoscritto 754, 856
  • Archivio di Stato di Lucca Offizio Sopra le Differenze dei Confini n°454
  • "Ricerche Istoriche sulla Provincia della Garfagnana" di Domenico Pacchi, anno 1785


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