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Dalla poesia alla realtà. Ecco chi era il piccolo Valentino "pascoliano"

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Li abbiamo sempre letti, li abbiamo scrutati, ascoltati,spesso ci siamo immedesimati nelle loro gesta, nelle loro emozioni e sensazioni

Valentino
e non mancava nemmeno l'occasione di immaginarceli fisicamente: il loro viso, il corpo, gli occhi, tante volte siamo arrivati perfino ad innamorarcene. Sono loro, sono i personaggi letterari. Quei personaggi che fanno parte del mondo dei romanzi, delle poesie o anche di semplici racconti. Gli scrittori e i poeti li hanno plasmati secondo la loro fantasia e creatività, magari creandogli ad hoc tratti somatici inconfondibili e caratteristiche caratteriali particolari. Tante volte però questa fantasia intrinseca dello scrittore ha lasciato spazio alla realtà, o perlomeno la realtà stessa è stata fonte d'ispirazione. Ecco allora che il personaggio di Alice... quella del Paese delle Meraviglie per capirsi, esisteva veramente e aveva un nome ed un cognome, nella realtà si chiamava Alice Liddel, era una bambina di sette anni e viveva ad Oxford vicino Londra, l'unica licenza che si prese Lewis 
Alice Liddel...
la vera Alice
Carrol fu quella di trasformare Alice in una dolce bambina bionda, in verità era castana. Che dire sennò di Sir Arthur Conan Doyle? Il suo Sherlock Holmes fu ispirato da un certo Joseph Bell. Bell era un professore in medicina, Doyle rimase notevolmente impressionato dalle sue capacità deduttive ed investigative, infatti il professore era collaboratore con la polizia come medico forense. Lo stesso Zorro, (che non è un'invenzione cinematografica ma bensì letteraria) è un personaggio realmente esistito. Johnston Mc Culley prese spunto da Joaquin Murrieta, noto come il Robin Hood di Eldorado, salito alle cronache del tempo (1919) come un bandito in cerca di vendetta, dopo che moglie e fratello furono uccisi per la falsa accusa di aver rubato un mulo. Diverso è il discorso se si parla di poesia, il poeta prende spunto per i suoi personaggi quasi sempre da soggetti realmente vissuti e quasi mai trasfigurati nella(sua) fantasia, poichè queste persone sono per loro fonte di tutta una serie di sentimenti ed emozioni, che sono il motore trainante della poesia stessa. Nonostante che tali persone siano realmente vissute la nostra fantasia non ci ha impedito di immaginare il viso di una qualsivoglia musa ispiratrice, e allora, quante volte abbiamo pensato a come poteva essere il volto e il corpo di Silvia di leopardiana memoria?
"Slvia rimenbri ancor quel tempo della tua vita mortale quanta beltà splendea..." , chissà come sarà stata cotanta bellezza... Anche il sommo Dante ha reso per sempre immortale nel nostro immaginario una gentil donzella con un semplice verso: "Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand'ella altrui saluta...". Lei era Beatrice.
Nemmeno nella nostra valle ci siamo fatti mancare dei personaggi del genere. Il personaggio in questione è talmente noto che ormai è quasi centoventi anni che stimola la fantasia e l'immaginazione (e lo studio...) di generazioni e generazioni di scolari italiani. Al solo inizio di quella poesia, l'idea va al viso di quel bambino: "Oh
Valentino vestito di nuovo, come le brocche del biancospino..
.". Quante volte questo componimento sarà rimbalzato nelle nostre teste e quanto volte ci saremo detti... Ma Valentino chi era???... Valentino, tanto per cominciare era il vezzeggiativo del suo vero nome. Il nome Valente su un bimbetto così gracilino ed umile sarebbe stato di troppo peso. Valentino viveva a Castelvecchio con la sua famiglia, composta dal papà Giovanni detto "il Mère", la mamma Chiara e quattro fratelli: il Tonino, la Carolina, l'Amabile e l'Augusto. Valentino era il più piccolo. La famiglia Arrighi, questo era il cognome di Valentino, viveva una dura vita, era difficile tirar su cinque figli per quei genitori, ma il lavoro di mezzadro del Mère nella residenza dei Cardosi- Carrara sul
La famiglia Arrighi
nel cerchietto
rosso Valentino
colle di Caprona permetteva quanto sarebbe bastato per sfamare tutti i componenti della famiglia... ma niente di più però ! Oramai erano anche diversi anni che la famiglia Arrighi lavorava duramente la terra dei Cardosi- Carrara, gli accordi erano chiari, ogni raccolto veniva diviso equamente, con libertà di vendita dei prodotti della terra da parte del Mère, tutto sancito alla vecchia maniera, con una stretta di mano. Il 1895 portò però a Valentino e a tutta la sua famiglia una novità inattesa:-
 “Ho deciso di vendere tutto, Mére: campi e casa. C’è il professor Pascoli che sarebbe disposto a comperare. Tu, intanto, se ha bisogno di qualcosa, dagliela pure: latte, formaggio, uova. Dopo, semmai, ci rifaremo. Hai inteso?”. Così sentenziò il Carrara... Così la proprietà andrà in affitto al professore fino al 1902. Nel 1902 con i soldi ricavati dalla vendita di alcune medaglie d'oro vinte nei concorsi letterari il Pascoli acquistò la casa, portandosi dietro, così come si raccomandò l'ormai vecchio proprietario, i vecchi contadini:"considerati a Castelvecchio gente alla buona, onesta e senza chiacchiere". Da allora Valentino e la sua famiglia diventeranno parte integrante della vita del Pascoli. Il bambinetto, come tutti i suoi coetanei dell'epoca, viveva una vita grama, semplice ma felice, i suoi compiti erano quelli di aiutare il padre in quello che poteva. Ma fu nell'approssimarsi di una Pasqua che il poeta notò quel bimbetto scorrazzare per i suoi campi, il suo osservare dalla finestra dello studio ispirò i versi che renderanno immortale Valentino nella storia della letteratura italiana. Il Gian Mirola (noto giornalista garfagnino) "fotografò" con la sua fenomenale penna quei giorni.
Un giorno, dunque, il Mére disse alla moglie: “Oh Chiara, non ti sembra che quel moccioso abbia bisogno di essere rivestito?” Eh, lo so anch’io, purtroppo!” rispose, un po’ seccata la buona donna. “Qualcosa gli ci vuole, ma…” e continuò a rimestare nel paiolo la
Valentino e
la mamma Chiara Mazzarri
semola da dare alla Bianchina.
“Ma qualcosa gli ci vuole!…” ripeté il Mére tentennando il capo. Ma, lì per lì, non seppe neppure lui come risolverla. Palanche non ne aveva e bisogni in casa ce n’erano tanti da cavare gli occhi. Intanto- continuò la Chiara- non abbiamo una palanca per far cantare un cieco. Fra un mese e mezzo è Pasqua. Ed io come glieli compro una giacchetta ed un paietto di calzoni al Valentino?”. Poi ci ripensò meglio; si sa, il bisogno spinge. Ed ecco che una bella mattina, quando il Mére era già nei campi a legar viti, la Chiara spazientita spacca il salvadanaio, conta gli spiccioli, si aggiusta alla vita il pannello delle feste e, via, se ne va a Barga, dal Carrara che gestiva un negozio di pannine.“Sor padrone, ho bisogno di qualcosa”Sono contento di servirvi, Chiara. Di che cosa avete bisogno?” “Due cencetti per Pasqua. Da spendere poco, vè! Che le palanche, da casa nostra, se ne son ite!” “Ma non vi preoccupate, scegliete pure!”. La Chiara scelse e pagò fino all’ultimo centesimo. Poi andò dalla Filomena, che cuciva per  donne e anche per ragazzi. “Zitta, non lo dire, veh! E’ una sorpresa” e tirò fuori la stoffa acquistata dal Carrara. “Vorrei che tu ci facessi un vestitino al mio Valentino. Due zoccoletti, prima di Pasqua, glieli comprerò. Ho due galline: se non mi coveranno tanto presto…” (Voleva dire: se faranno delle uova, le venderò, ci comprerò gli zoccoli). Invece tutti sappiamo come andò a finire. Le galline chiocciarono e la Chiara non potè più vendere un uovo. Valentino ebbe così il vestito ma non le scarpe...

Poi, le galline chiocciarono, e venne
marzo, e tu, magro contadinello,
restasti a mezzo, così con le penne,
ma nudi i piedi, come un uccello

Venne il giorno di Pasqua. Sole meraviglioso, voli, trilli di rondini. Valentino uscì di casa, scese le scale, arrivò sulla piazzetta un po’ impacciato nei movimenti a causa del vestito nuovo.

Oh, Valentino, vestito di nuovo!” si udì esclamare.

Si arrestò di colpo. Voltò gli occhi a destra, a sinistra, in alto.Guardò verso la casa del professore: il poeta affacciato alla finestra sorrideva. Il ragazzo abbassò il capo, diventò rosso rosso. Poi, via, di corsa a rifugiarsi in casa. Il Pascoli invece, rimase a lungo a guardare dalla finestra, muto. Lungo i borri dell’Orso, trale siepi dei biancospini fioriti penduli sull’acqua trasparente, le allodole, le cince, i pettirossi cinguettavano lieti alla primavera. Proprio come il bimbo del Mére e della Chiara, proprio come

Valentino: lui pure saltava, correva, ignaro se al mondo potesse esistere una felicità più grande della sua... anche senza gli zoccoletti. Così nacque una delle poesie più delicate del Pascoli. Tutti questi personaggi, la vita campestre e questa degna miseria non furono solamente trascritte su carta, lo stesso poeta imprigionò la memoria sulla sua nuova macchina fotografica Kodak. La macchina fu un regalo dei fratelli Orvieto per ringraziarlo della sua collaborazione a "Il Marzocco". Il Pascoli rimase talmente affascinato dal suo nuovo marchingegno che iniziò a battere le campagne di Castelvecchio fotografando a destra e a manca, fra questi scatti non mancarono la Chiara e... Valentino vestito di nuovo.Purtroppo finì anche il tempo delle belle poesie e delle stupende 

Due fratellini di Valentino

fotografie e i fatti (purtroppo) presero la direzione verso i più biechi sentimenti umani. Le vicende che seguiranno, segneranno in modo indelebile la vita di Valentino. "Ora quella gente, prima amica e servizievole nella previsione di un licenziamento con conseguente sfratto, si era messa a far tutti i dispetti e tutte le minacce". I rapporti fra la famiglia di Valentino e Giovanni Pascoli con il tempo si erano deteriorati, una serie di incomprensioni avevano  portato a paventare il licenziamento del Mère, non solo, tutto ciò avrebbe causato anche la cacciata dalla "chiusa", infatti Valentino e la sua famiglia abitavano all'interno della villa stessa del poeta. Lo strappo definitivo ad ogni buon rapporto lo dette comunque l'episodio di una bicicletta danneggiata. Difatti le cronache raccontano che il Pascoli ricevette in casa l'amico Alfredo Caselli e come si conviene alla buone maniere del tempo era buon uso offrire sigari durante una piacevole conversazione fra amici, ma i sigari in casa erano terminati... Fattostà che il poeta mandò di corsa il Tonino (fratello di Valentino) a comprare i sigari all'osteria in Campia: -Prendi la mia bicicletta nuova Tonino, non perdere tempo. Vai!- esclamò il poeta. Giunto ad una curva il malcapitato Tonino per evitare un ostacolo cadde rovinosamente a terra, il bimbetto "si sgusciò" le ginocchia e la bicicletta si rovinò su un pedale. Questo bastò al Pascoli per alimentare ancor di più i suoi sospetti su eventuali dispetti ed angherie da parte famiglia Arrighi. Per placare ogni irriguardoso sospetto non fu nemmeno sufficiente che la Chiara si offrisse di riparare a sue spese la bicicletta, il Pascoli rifiutò. Insomma, con la rottura della bicicletta, avvenne la definitiva rottura del rapporto con il Mère. Arrivò così il 1903 e la famiglia di Valentino fu sfrattata in maniera irremovibile. Naturalmente gli strali di questa vicenda non terminarono con il licenziamento, il Pascoli lamentava ancora parole grosse nei confronti del Mère, d'altronde aveva dovuto sborsargli una bella sommetta per "liquidarlo" (si parla di 240 e più lire), in più le frecciatine del poeta continuarono, definendo la famiglia  Arrighi, la famiglia "Chiari", riferendosi appunto a colei che tirava le fila della gestione familiare. La questione, come è logico che fosse stato in un piccolo paese, si ripercosse anche sui paesani, che senza se e senza ma parteggiavano per il contadino. A riguardo il Pascoli ricordava così (in una lettera al Caselli) il momento della partenza dal Colle di Caprona del Mère: "Oggi una grand
Momenti di vita contadina
 a Castelvecchio

e dimostrazione con bandiere e evviva altissime è passata sotto le mie finestre accompagnando il Mère. È una dimostrazione contro di me. Sento le grida feroci che accompagnano il ladro, il birbante tagliatore d’alberi e di viti, il mascalzone, che da più di un anno avvelena l’esistenza del poeta di Castelvecchio"
. Immaginiamoci noi, in tutta questa diatriba, cosa avrà pensato Valentino? Prima musa ispiratrice ed adesso figlio dell'acerrimo nemico del poeta stesso. Purtroppo come capita in questi casi (ed in altri ancora) i bambini sono testimoni passivi delle "opere" degli adulti, dovendo poi subire inermi e senza colpa le conseguenze di ciò. Così infatti capitò a Valentino. Il Mère, ormai anziano, difficilmente avrebbe trovato un nuovo lavoro come mezzadro e così fu. La miseria quindi divenne ancora più miseria e la disperazione ancor di più disperazione. La Chiara (anche lei anziana) e i figli dovettero rimboccarsi ancor di più le maniche quando poi nel 1907 Giovanni Arrighi alias Mère morì... La situazione quindi si complicò terribilmente, le prospettive di
Valentino Arrighi a 19 anni

lavoro e sviluppo nella valle per dei ragazzi come Valentino erano pari a zero, e per lui questa non era vita. N
on rimaneva allora che un'unica soluzione, emigrare, andar in cerca di fortuna per "le lontane Meriche", destino comune a migliaia di garfagnini in quel tempo. Valentino partì e si stabilì a Cincinnati (Ohio), a quanto pare divenne un fine decoratore, non diventò però nè un magnate influente e nemmanco un ricco signore. Con il sacrificio e il duro lavoro si creò però una posizione dignitosa, quanto bastava perchè in casa sua un paio di scarpe non mancassero mai...


Bibliografia

  • "Pascoli e i Mere" BARGANEWS .com 22 febbraio 2012
  • "Lungo la vita di Giovanni Pascoli" memorie curate ed integrate da Augusto Vicinelli di Maria Pascoli , edizioni Mondadori 1961
  • Le foto riguardanti Valentino e la sua famiglia sono tratte dall'archivio Pascoli http://www.pascoli.archivi.beniculturali.it/index.php?id=106


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