Da uno schizzo di Giovanni Pascoli "La cavalla storna" |
"...Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise:
esso t'è qui nelle pupille fise.
esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come...
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come...
...Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome...Sonò alto un nitrito"
disse un nome...Sonò alto un nitrito"
Questi sono gli ultimi versi di una delle poesie più belle e famose della storia della letteratura italiana, questi sono i versi de "La cavalla storna". Giovanni Pascoli scrisse questa lirica nel 1903 in riferimento all'assassinio del padre Ruggero avvenuto il 10 agosto 1867, fu ucciso sul suo carro, sulla strada di ritorno verso casa, quando Giovanni aveva appena dodici anni. Le parole di questo componimento sono piene di angoscia e di strazio. La madre del poeta si rivolge alla cavallina che trainava il calesse quasi fosse un essere umano, cercando di scoprire nei suoi occhi chi avesse ucciso il marito, lo spaventato animale infatti è l'unico testimone dell'assassinio di Ruggero e le parole della madre alla cavalla vengono fuori in un crescendo di tensione emotiva. La rivelazione
finale è scioccante, l'animale al nome presunto dell'assassino pronunciato dalla donna emette un nitrito agghiacciante...
I fatti si svolsero lontani dalla Valle del Serchio, eravamo in terra di Romagna e più precisamente sulla via Emilia, nel tragitto che va da Cesena a San Mauro. Eppure questo tragico evento con ogni probabilità fu quello che spinse il poeta nella nostra valle, alla ricerca di un nuovo e ritrovato nido familiare, che lo porterà proprio a Castelvecchio, tra i nostri monti, lontano da amari ricordi e dai probabili sicari del papà e dove potè mimetizzarsi con la sua amata natura in un luogo tranquillo dove ricostruire con la sorella Mariù e il fido cane Gulì un mondo sgretolato dal traumatico assassinio del padre.
Lasciare per sempre la propria casa e la propria terra per chiunque sarebbe difficile e fu così sicuramente anche per il Pascoli. La motivazione come avete letto fu forte e sofferta, per quello che il tempo considerò uno dei misteri d'Italia, dal momento che il movente e le responsabilità dell' omicidio ancora oggi non sono del tutto chiari.
Per comprendere meglio l'arcano guardiamo prima chi era Ruggero
Pascoli, quello che a oggi è considerato il padre più famoso della letteratura italiana. Ruggero nacque nel 1815 e nel 1855 divenne amministratore del latifondo dei Torlonia, l'uomo era impegnato politicamente, negli anni giovanili la passione politica lo portò a far parte della Repubblica Romana, tanto da diventare Capitano della Guardia Civica nel comune di San Mauro, il fallimento di questa esperienza fece calare su di se alcuni anni di oblio, per poi farlo ricomparire sempre nell'amministrazione comunale di San Mauro, prima come sindaco, poi assessore e poi come consigliere, tutto questo dal 1859 al 1867, anno della sua morte. Nella veste di amministratore delle proprietà dei Principi Torlonia, lo zelo, lo scrupolo e l'onesta contraddistinguevano il suo lavoro.
Quel fatidico 10 agosto 1867 Ruggero si recò sul suo calesse alla
stazione di Cesena, da Roma sarebbe dovuto arrivare l'ingegner Petri, uomo dei Torlonia che avrebbe dovuto rendere ufficiale la sua nomina di amministratore. Il Petri non arrivò mai... tornando a casa senza l'uomo, sul tragitto di ritorno fu ucciso da una sola schioppettata sparata da dietro una siepe, lungo la via Emilia a circa due chilometri da casa. Alcuni abitanti del paese intercettarono la corsa della cavalla storna ormai senza guida con sopra il corpo senza vita di Ruggero. Probabilmente il suo corpo era ancora caldo quando a San Mauro cominciarono a girare le prime voci sul movente e i colpevoli dell'omicidio, anche gli stessi familiari si erano fatti un'idea: "il perchè del delitto stava nella bramosia di succedergli e di diventar ricco, dove a Ruggero Pascoli bastava restar galantuomo", queste sono le parole del Pascoli in una lettera del 1912. La morte del capofamiglia portò con sè la rovina economica di
tutto il nucleo familiare, la mamma Caterina e i suoi figli furono cacciati senza una lira dalle proprietà Torlonia. Da quel momento fu un susseguirsi di disgrazie e morti, negli anni immediatamente successivi si spensero, prima la sorella Margherita, la madre e altri due fratelli, Luigi e Giacomo. Nella testa di Giovanni la morte del padre fu la causa della morte degli altri fratelli: -tutta la famiglia fu spezzata, mia madre morì un anno e poco più dopo, tre fratelli più grandi di me morirono a non molta distanza-.
Nonostante le mille traversie affrontate l'obiettivo era dunque fare chiarezza su quello che secondo Giovanni avrebbe principiato tutte queste infelicità. Stando alla vox populi il mandante dell'assassinio era Pietro Cacciaguerra, un ricco possidente di un paese vicino: Savignano. La sua mira era quella di succedere nella gestione del latifondo Torlonia, posto che poteva garantirgli lauti guadagni se non fosse stato svolto in maniera limpida. I poliziotti fecero indagini superficiali e perdipiù fatte male, quasi non si volesse far luce sull'assassinio,
per le autorità il delitto era ascrivibile a uno dei tanti fatti di sangue che travagliavano la Romagna post-unitaria, legato alle speculazioni del grano da parte dei proprietari terrieri. Fra le altre ipotesi fu fatta anche quella collegata al contrabbando di sale, forse era stato ucciso da qualche contrabbandiere, perchè impediva a loro di attraversare la tenuta. La più interessante fra tutte queste ipotesi rimane il movente politico (che la famiglia sempre scartò)che voleva punire un uomo che nel passato era un fervente e acceso repubblicano, ma che non esitò a passare nelle fila del neonato governo monarchico. Un traditore insomma...e in Romagna non c'era accusa più infamante che essere un traditore. A quanto pare questa accusa si lega a filo doppio con il Cacciaguerra, che usò come pretesto per alimentare una campagna diffamatoria, basando l'omicidio su moventi ideali e politici. Spieghiamoci meglio; il presunto mandante era pure lui un convinto repubblicano e come lui
da questo partito venivano i due (presunti) killer: Luigi Paglierano (colui che sparò)e Michele della Rocca. Non fu quindi difficile aizzare gli animi dei compaesani contro colui (Ruggero) che in qualità di amministratore di un grande latifondo svolgeva incarichi a dir poco impopolari: l'escomio (n.d.r.: disdetta di affitto notificata ad un colono o a un mezzadro) o denunciare giovani alle autorità in età di leva, per questo motivo questa specie di "affamatore" doveva essere punito. Quello che non sfuggì a nessuno è che poco tempo dopo il crimine il Cacciaguerra prese posto come nuovo amministratore dei Torlonia, la cosa lasciò sbigottiti un po' tutti...ma in fondo questa sbigottimento era solo di facciata... Lo stesso Pascoli alcuni anni dopo in una pesantissima lettera ad un amico fece un quadro completo di quello che era il clima di quegli anni in Romagna: "La polizia seppe, probabilmente, tutto; ma non
volle approfondire. In Romagna c'era allora uno spirito di setta, dall'apparenza politica e dalla sostanza delinquente, volgare, che era tal quale è la mafia, se non peggio. La polizia volle che l'orribile delitto rimanesse impunito. E così è rimasto. Quando giunto a una certa età, volli scoprire qualche cosa io, trovai tutte le tracce disperse, tutte le voci confuse; trovai, è spaventoso dirlo, la polizia nemica, complice postuma. E rischiai la prigione io".
Come detto le indagini furono condotte male e quel poco fatto si andò ad infrangere con la bocca chiusa dei sanmauresi. Nel corso
degli anni furono fatti tre processi farsa che naturalmente portarono al proscioglimento degli imputati. Il presunto mandante in questi tre processi non fu mai chiamato alla sbarra, nemmeno come testimone. Nel 1916 per decreto luogotenianzale gli incartamenti dei processi e delle indagini furono mandati al macero...
Oramai la famiglia Pascoli era isolata da tutto il resto della comunità, il silenzio omertoso dei sanmauresi dell'epoca era doloroso e frustrante. Per quello che rimaneva della vasta famiglia di Giovanni la paura la faceva da padrona, il timore di ritorsioni era tangibile, per il Pascoli fu chiaro che era arrivato il momento di cambiar aria. Il caso fece il resto. Giovanni era alla ricerca di una casa, un buen ritiro lontano da tristi ricordi e il caso di cui sopra detto ci mise lo zampino. Tutto nacque nel periodo in cui il poeta era insegnante a Livorno, due amici, Giulio Giuliani di Filecchio (insegnante ad un liceo di Pisa) e Carlo Conti (amministratore di un collegio di Livorno) gli consigliarono di dare un'occhiata ad una casa che era proprio dalle loro parti e che forse avrebbe fatto il suo caso. Si recò così per la prima volta a Castelvecchio nel mese di
settembre del 1895 a visitare una villa settecentesca di proprietà della famiglia Cardosi-Carrara. Al tempo non era facile raggiungere la nostra valle, la ferrovia si fermava a Lucca e il Pascoli si fece ben cinque ore di carrozza, ma ciò non importava, anzi era proprio quello che cercava. Ad ottobre del medesimo anno Giovanni con la sorella Mariù si trasferì a Castelvecchio, non scelse un giorno a caso, scelse il 15 di ottobre, il giorno della nascita di Virgilio, suo modello di poeta. Pascoli scelse quel giorno come sua seconda nascita, un nuovo inizio.
Bibliografia
"Mia madre alzò nel silenzio un dito/disse un nome, sonò alto un nitrito" |
I fatti si svolsero lontani dalla Valle del Serchio, eravamo in terra di Romagna e più precisamente sulla via Emilia, nel tragitto che va da Cesena a San Mauro. Eppure questo tragico evento con ogni probabilità fu quello che spinse il poeta nella nostra valle, alla ricerca di un nuovo e ritrovato nido familiare, che lo porterà proprio a Castelvecchio, tra i nostri monti, lontano da amari ricordi e dai probabili sicari del papà e dove potè mimetizzarsi con la sua amata natura in un luogo tranquillo dove ricostruire con la sorella Mariù e il fido cane Gulì un mondo sgretolato dal traumatico assassinio del padre.
Lasciare per sempre la propria casa e la propria terra per chiunque sarebbe difficile e fu così sicuramente anche per il Pascoli. La motivazione come avete letto fu forte e sofferta, per quello che il tempo considerò uno dei misteri d'Italia, dal momento che il movente e le responsabilità dell' omicidio ancora oggi non sono del tutto chiari.
Per comprendere meglio l'arcano guardiamo prima chi era Ruggero
Ruggero Pascoli |
Quel fatidico 10 agosto 1867 Ruggero si recò sul suo calesse alla
stazione di Cesena, da Roma sarebbe dovuto arrivare l'ingegner Petri, uomo dei Torlonia che avrebbe dovuto rendere ufficiale la sua nomina di amministratore. Il Petri non arrivò mai... tornando a casa senza l'uomo, sul tragitto di ritorno fu ucciso da una sola schioppettata sparata da dietro una siepe, lungo la via Emilia a circa due chilometri da casa. Alcuni abitanti del paese intercettarono la corsa della cavalla storna ormai senza guida con sopra il corpo senza vita di Ruggero. Probabilmente il suo corpo era ancora caldo quando a San Mauro cominciarono a girare le prime voci sul movente e i colpevoli dell'omicidio, anche gli stessi familiari si erano fatti un'idea: "il perchè del delitto stava nella bramosia di succedergli e di diventar ricco, dove a Ruggero Pascoli bastava restar galantuomo", queste sono le parole del Pascoli in una lettera del 1912. La morte del capofamiglia portò con sè la rovina economica di
Ruggero e tre figli. Giacomo,Luigi e Giovanni |
Nonostante le mille traversie affrontate l'obiettivo era dunque fare chiarezza su quello che secondo Giovanni avrebbe principiato tutte queste infelicità. Stando alla vox populi il mandante dell'assassinio era Pietro Cacciaguerra, un ricco possidente di un paese vicino: Savignano. La sua mira era quella di succedere nella gestione del latifondo Torlonia, posto che poteva garantirgli lauti guadagni se non fosse stato svolto in maniera limpida. I poliziotti fecero indagini superficiali e perdipiù fatte male, quasi non si volesse far luce sull'assassinio,
San Mauro Pascoli |
La tenuta Torlonia |
Oggi nel Luogo esatto dell'assassinio di Ruggero Pascoli |
Come detto le indagini furono condotte male e quel poco fatto si andò ad infrangere con la bocca chiusa dei sanmauresi. Nel corso
La bozza originale de "La cavalla storna" a Castelvecchio |
Oramai la famiglia Pascoli era isolata da tutto il resto della comunità, il silenzio omertoso dei sanmauresi dell'epoca era doloroso e frustrante. Per quello che rimaneva della vasta famiglia di Giovanni la paura la faceva da padrona, il timore di ritorsioni era tangibile, per il Pascoli fu chiaro che era arrivato il momento di cambiar aria. Il caso fece il resto. Giovanni era alla ricerca di una casa, un buen ritiro lontano da tristi ricordi e il caso di cui sopra detto ci mise lo zampino. Tutto nacque nel periodo in cui il poeta era insegnante a Livorno, due amici, Giulio Giuliani di Filecchio (insegnante ad un liceo di Pisa) e Carlo Conti (amministratore di un collegio di Livorno) gli consigliarono di dare un'occhiata ad una casa che era proprio dalle loro parti e che forse avrebbe fatto il suo caso. Si recò così per la prima volta a Castelvecchio nel mese di
Castelvecchio. Casa Pascoli |
Bibliografia
- "La cavalla storna" Giovanni Pascoli (Canti di Castelvecchio) Zanichelli 1907
- "Il delitto Pascoli, fra storia e poesia" di Alice Cencetti . Aprile 1912