Sono giorni tristi, tristissimi per il nostro Paese, i terremoti
hanno sconvolto il centro Italia e le nostre anime. Città famose in tutto il mondo per la loro rinomata cucina, per la loro immensa arte e per i loro prodotti sono sparite da un minuto all'altro e dove prima si potevano ammirare stupendi paesaggi, adesso si possono vedere solo cumuli di macerie. La tragedia più grande rimane però quella relativa alle vittime e alle persone che sono rimaste senza casa. La vicinanza a questi luoghi e a queste gente noi garfagnini la sentiamo ancor di più sulla nostra pelle, poichè come tutti ben sappiamo viviamo in una zona ad alto rischio sismico e nel vedere queste immani disgrazie pensiamo a quello che potrebbe essere, vivendo nella speranza che questo non accada mai, ed è per questo che ad ogni tremore balziamo fuori da casa e puntualmente ad ogni piccolo o grande movimento della terra ci ritornano alla memoria i racconti dei nostri nonni sul quel drammatico terremoto del 7 settembre 1920 che colpì la Garfagnana e non solo. Ho già avuto modo di raccontare e scrivere su questo nefasto terremoto, due anni fa feci un apprezzato articolo e affrontai il tema riportando la pura cronaca e le testimonianze di quei giorni (leggi cliccando qui http://paolomarzi.blogspot.it/-settembre-1920-il-grande-terremoto-i.html). Oggi voglio parlare sempre di quel terremoto, ma voglio approfondire certi aspetti che poche volte sono stati affrontati, in modo da fare così un paragone con quello che succede attualmente e vorrei quindi entrare nelle viscere di quel sisma e vedere come si svilupparono i soccorsi, quali furono gli interventi e gli aiuti dello Stato e scrivere ancora degli altri terremoti che colpirono la nostra valle, tutti ci ricordiamo "di quello del '20", perchè il più vicino ai giorni nostri, ma altri e di grossa intensità e con relativi morti ci furono anche nei secoli passati, in queste righe ne farò un veloce elenco.
7 settembre 1920 ore 7:56, un sisma di magnitudo 6,48, colpì inesorabilmente un area di 160 Km2, in particolare la Garfagnana e la Lunigiana. L'intensità all'epicentro fu calcolata intorno al IX-X grado della scala Mercalli. I morti ufficialmente furono 171 e i feriti 650. Con queste fredde parole si può riassumere brevemente il terremoto di quel maledetto settembre 1920. Andiamo invece dentro a
questo sisma e analizziamo attraverso le relazioni tecniche dell'epoca quello che accadde.
I primi telegrammi dei prefetti alla direzione generale di pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno furono inviati la mattina stessa e sottolineavano la violenza del terremoto, ma ancora non inquadravano bene la situazione generale, al momento non era stata valutata bene la distribuzione degli effetti e la gravità del danno. Solo a tarda mattina da Massa, la provincia più colpita e di cui al tempo faceva parte la Garfagnana, il prefetto De Berardinis segnalò i primi preoccupanti dati. Alle 15:30 anche il prefetto Bodo da Castelnuovo Garfagnana inviava un ennesimo e lapidario telegramma : -Disastro sempre più maggiore. Comuni con case crollate inabitabili, richiesta soccorsi urgenti-. Molti paesi furono rasi al suolo, fra le località più colpite naturalmente Villa Collemandina, Barga e Castelnuovo, gli ingegneri dopo svariati sopralluoghi constatarono che le case erano fatte generalmente con materiali scadenti, dato che erano costruite con grossi sassi di fiume tondeggianti, inoltre anche le malte non erano buone, non considerando poi i numerosi difetti di irrazionalità al momento della costruzione, in poche parole già partivamo con un patrimonio abitativo estremamente fragile, d'altronde l'ultimo grande terremoto fu quello del 1837, ben ottanta anni prima con epicentro nelle Alpi Apuane. La macchina dei soccorsi partì in ritardo, grandi furono le difficoltà organizzative, in buona parte giustificabili con l'interruzione delle comunicazioni telegrafiche e dalle frane che caddero sull'unica strada che portava nella valle, peggio ancora era per tutti quei paesi garfagnini sparsi per la montagna. I primi ad arrivare furono i giornalisti de "La Nazione" e ciò che comparì davanti ai loro occhi è ben descritto in questo stralcio di articolo che inviarono alla redazione di Firenze: "A mano a mano che ci inoltriamo nella regione colpita, tutto conferma, purtroppo la fondatezza delle prime notizie. I paesi che si sono successivamente attraversati con la nostra macchina, mostrano sempre più gravi gli effetti della formidabile scossa, che ha scrollato tutto il sistema montuoso che corona le Valli del Serchio e dei suoi affluenti. E'una triste teoria di rovine che mette sgomento nell'animo, un inseguirsi di scene di dolore e disperazione che ci procura una pena infinita
per l'impossibilità di portare soccorso e un aiuto che possa lenire in parte il danno irreparabile dell'immensa rovina". Finalmente la situazione si sbloccò, dopo una prima sottovalutazione delle conseguenze dell'evento ci si cominciò a rendere conto della grande disgrazia. Le prime squadre di soccorso ad arrivare furono i marinai della nave Cavour provenienti da La Spezia, subito si prodigarono allo sgombero delle macerie, al recupero dei cadaveri e al salvataggio dei superstiti. Già la sera del 7 settembre sempre da La Spezia fu inviato un treno speciale per ricoverare gli sfollati e il giorno seguente arrivarono altri due treni con a bordo, tende, viveri, medici e medicinali, attrezzatura da sgombero e ingegneri per la valutazione del danno e per gli interventi di ripristino. La stazione ferroviaria di Aulla era diventato il centro di smistamento di tutto il materiale, umano e non. Al tempo, è giusto sottolinearlo non esisteva il Dipartimento di Protezione Civile e veniva nominato dal governo nel momento di necessità colui che doveva coordinare i soccorsi e tale compito in questo caso fu dato al sotto segretario ai Lavori Pubblici onorevole Bertini che assunse sul posto l'alta direzione e il coordinamento dei servizi, mentre al Ministero dell'Interno e alla direzione generale della sanità pubblica erano di pertinenza i servizi sanitari, la parte che riguardava i generi alimentari e il vestiario spettava sempre al ministero dei Lavori Pubblici. Il gran cuore degli italiani anche in questo caso si dimostrò tale, le forze armate come consuetudine svolsero un grande lavoro per fronteggiare l'emergenza, ma non solo, squadre di volontari arrivarono da La Spezia, Massa, Carrara e ancora giunsero squadre di pubblica assistenza, insieme ad un migliaio di soldati di fanteria, zappatori del genio di Firenze, Piacenza, Bologna, Reggio Emilia che operarono alternandosi fino al dicembre 1920. Un ruolo importantissimo lo svolsero i pompieri venuti da tutte le regioni limitrofe, rimarrà nel cuore di tutti il contingente inviato dal comune di Rimini che intervenne senza mai fermarsi, abbattendo gli edifici pericolosi per la pubblica
incolumità e puntellando i muri e le case che potevano forse essere recuperate, aiutarono la popolazione nel compito del recupero degli effetti personali e si inerpicarono nei luoghi più nascosti e impervi della valle per portare soccorso, caricandosi gli attrezzi in spalla o a dorso di mulo. Ma purtroppo nell'avversità non ci furono solo note liete, tutt'altro. Nei giorni seguenti al terremoto si avviò il dibattito parlamentare in quel di Roma per emanare provvedimenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma. Venne chiesta dall'assemblea presieduta dal primo ministro Giovanni Giolitti di adottare l'applicazione delle leggi fatte in occasione dei terremoti di Messina del 1908 e della Marsica del 1915, arrivando di conseguenza all'emanazione del Regio decreto legge, 23 settembre 1920 n° 1315 "Provvedimenti per i danneggiamenti dal terremoto 6-7-settembre 1920", in base a questa delibera lo stato si impegnava a provvedere interamente ai lavori per la tutela della pubblica incolumità (demolizioni, puntellamenti, sgomberi di aree pubbliche), come pure alla realizzazione di ricoveri provvisori per le persone senza tetto e si prendeva l'onere di applicare le agevolazioni governative per la riparazione degli edifici pubblici (sussidi del 50% e mutui di favore) e privati (mutui di favore e contributi diretti e riparazione gratuita per i soli non abbienti, però nel limite massimo di 5000 lire). Ed è qui, a questo punto che nasce l'ennesimo papocchio all'italiana. La ricostruzione di tutto ciò fu affidata su delega dello stato all'U.E.N (Unione Edilizia Nazionale) nata all'indomani del catastrofico sisma messinese, quest'ente nacque appunto come consorzio di proprietari danneggiati e aveva lo scopo sostituendosi ai privati di facilitare sia la costruzione, sia la riparazione della casa danneggiata, basando la sua attività su due tipi di contratto: il primo riguardava il singolo cittadino e prevedeva la cessione incondizionata dei diritti del proprietario a fronte della ricostruzione, trasformando di fatto il proprietario stesso in un affittuario perpetuo, la seconda riguardava gli edifici pubblici, dove anche qui avrebbe acquisito diritti di non poco conto. Anche in Garfagnana fu dunque
messo in pratica il "solito servizietto", la ricostruzione riguardò 214 case, ma fu proprio durante la ricostruzione di queste case che finalmente scoppiò lo scandalo che travolse l'U.E.N, che portò il governo a decidere la sua liquidazione in breve tempo, furono scoperte fra le altre cose speculazioni legate all'acquisto di fabbricati distrutti, appartenuti a chi non aveva le possibilità economiche per poterli rimettere in sesto. Nel frattempo e in attesa di queste riedificazioni i garfagnini furono alloggiati in baracche di legno, in totale ne furono costruite 669 per complessivi 1920 vani, per un importo complessivo di oltre sette milioni di lire, tale costo comprendeva anche la manutenzione per due anni e la dotazione di cucinette in muratura o di stufe-cucina. Dai privati poi ne furono allestite altre 121, mentre per uso adibito a edificio pubblico ne furono costruite 50, delle quali 34 dalle amministrazioni locali e 16 dai comitati di beneficenza. Alla fine della storia nonostante un decreto legge che fissava termini e provvedimenti in favore dei danneggiati, la maggior parte della gente rimase per molto tempo in attesa dei contributi da parte dello stato, solo chi aveva disponibilità economica (pochi)potè affrontare in proprio (in attesa dei soldi del governo) la ricostruzione delle proprie case. La situazione cominciò a tornare alla normalità tre
anni dopo il tremendo sisma del 7 settembre, grazie sopratutto a due ennesimi decreti legge con cui venivano affrontati con risolutezza i problemi dei terremotati garfagnini, fra i più significativi e importanti fu l'introduzione della legge n° 2089 del 23 ottobre 1924 che finalmente introduceva nuove norme e regole per le costruzioni nelle aree classificate sismiche.
Per arrivare a questa legge ci vollero distruttivi terremoti in tutta Italia, che colpirono più volte nei secoli passati anche la nostra valle . Guardiamo allora un elenco dei maggiori "terremoti garfagnini":
Garfagnana devastata, il giorno dopo (collezione Paolo Marzi) |
7 settembre 1920 ore 7:56, un sisma di magnitudo 6,48, colpì inesorabilmente un area di 160 Km2, in particolare la Garfagnana e la Lunigiana. L'intensità all'epicentro fu calcolata intorno al IX-X grado della scala Mercalli. I morti ufficialmente furono 171 e i feriti 650. Con queste fredde parole si può riassumere brevemente il terremoto di quel maledetto settembre 1920. Andiamo invece dentro a
(collezione Paolo Marzi) |
I primi telegrammi dei prefetti alla direzione generale di pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno furono inviati la mattina stessa e sottolineavano la violenza del terremoto, ma ancora non inquadravano bene la situazione generale, al momento non era stata valutata bene la distribuzione degli effetti e la gravità del danno. Solo a tarda mattina da Massa, la provincia più colpita e di cui al tempo faceva parte la Garfagnana, il prefetto De Berardinis segnalò i primi preoccupanti dati. Alle 15:30 anche il prefetto Bodo da Castelnuovo Garfagnana inviava un ennesimo e lapidario telegramma : -Disastro sempre più maggiore. Comuni con case crollate inabitabili, richiesta soccorsi urgenti-. Molti paesi furono rasi al suolo, fra le località più colpite naturalmente Villa Collemandina, Barga e Castelnuovo, gli ingegneri dopo svariati sopralluoghi constatarono che le case erano fatte generalmente con materiali scadenti, dato che erano costruite con grossi sassi di fiume tondeggianti, inoltre anche le malte non erano buone, non considerando poi i numerosi difetti di irrazionalità al momento della costruzione, in poche parole già partivamo con un patrimonio abitativo estremamente fragile, d'altronde l'ultimo grande terremoto fu quello del 1837, ben ottanta anni prima con epicentro nelle Alpi Apuane. La macchina dei soccorsi partì in ritardo, grandi furono le difficoltà organizzative, in buona parte giustificabili con l'interruzione delle comunicazioni telegrafiche e dalle frane che caddero sull'unica strada che portava nella valle, peggio ancora era per tutti quei paesi garfagnini sparsi per la montagna. I primi ad arrivare furono i giornalisti de "La Nazione" e ciò che comparì davanti ai loro occhi è ben descritto in questo stralcio di articolo che inviarono alla redazione di Firenze: "A mano a mano che ci inoltriamo nella regione colpita, tutto conferma, purtroppo la fondatezza delle prime notizie. I paesi che si sono successivamente attraversati con la nostra macchina, mostrano sempre più gravi gli effetti della formidabile scossa, che ha scrollato tutto il sistema montuoso che corona le Valli del Serchio e dei suoi affluenti. E'una triste teoria di rovine che mette sgomento nell'animo, un inseguirsi di scene di dolore e disperazione che ci procura una pena infinita
(collezione Paolo Marzi) |
I pompieri del comune di Rimini |
I primi soccorsi in arrivo alla stazione di Castelnuovo (foto collezione Silvio Fioravanti) |
Baracche terremotati a Fosciandora |
Per arrivare a questa legge ci vollero distruttivi terremoti in tutta Italia, che colpirono più volte nei secoli passati anche la nostra valle . Guardiamo allora un elenco dei maggiori "terremoti garfagnini":
- 7 maggio 1481 Lunigiana e Garfagnana VIII, magnitudo 5,4. La scossa danneggiò particolarmente l'alta Lunigiana provocando numerosi morti.La scossa fu sentita anche a Lucca
- 6 marzo 1740 VIII, magnitudo 5,7 Garfagnana. Il terremoto colpì sopratutto la Garfagnana, ma l'area dei danni si estese anche alla Versilia e all'Appennino modenese. Fra i centri più colpiti Barga e i suoi dintorni, ci furono tre morti, crollarono diverse case e molte furono danneggiate
- 23 luglio 1746 VII, magnitudo 5,3. Le località maggiormente colpite furono Barga e Castelnuovo Garfagnana. La sequenza dei
terremoti cominciò il 9 luglio e durò fino a ottobre. La popolazione per mesi si trasferì in campagna e costruì baraccheL'ingresso al duomo di Barga
puntellato
(foto bargainfoto.altervista.org) - 21 gennaio 1767 Fivizzano VII,magnitudo 5,4. I danni più gravi le subì Fivizzano, dove ci furono gravi lesioni alle abitazioni e il crollo di molti comignoli, oltre ai danni alle chiese e agli edifici pubblici. Era tempo di carnevale i festeggiamenti vennero sospesi per far posto a riti devozionali
- 11 aprile 1837 Alpi Apuane IX-X, magnitudo 5,6. Il terremoto colpi il versante nord orientale delle Alpi Apuane, al confine fra Garfagnana e Lunigiana. La scossa causò gravi danni nei territori di Fivizzano e Minucciano, dove si contarono pure delle vittime. Fra i paesi più danneggiati Ugliancaldo dove crollarono quasi tutti gli edifici e dove si contarono cinque morti e diciotto feriti.
Bibliografia
- Il terremoto della Garfagnana del sette settembre 1920 a cura della Protezione Civile