Tempo di sagre e fra gli abbondanti e succulenti piatti che ci
propone ogni paese della Garfagnana lui c'è sempre, quando prima o quando dopo, lui l'onnipresente biroldo c'è sempre. Spesso lo mangiamo con estremo gusto e sempre lo assaporiamo con noncuranza senza sapere che anche le nostre prelibatezze nostrali hanno una storia. Proprio così, perchè la storia non è fatta solo dalle guerre o dalle conquiste di condottieri famosi e per conoscersi e conoscere meglio le nostre origini non c'è di meglio che studiare le abitudini alimentari dei nostri avi. Da ciò ne viene fuori un mondo che ci spiega molte cose, che vanno dai nostri albori, passano per spiegarci l'economia del luogo e finiscono per dirci addirittura di che malattie soffrivano i nostri antenati. Affrontare un discorso del genere per quanto riguarda il biroldo personalmente la vedo un po' dura, non avrei le competenze generali ne tanto meno conoscenza, ma un certo discorso lo possiamo affrontare con l'insaccato garfagnino per eccellenza. Molti ad onor del vero "storcono" il naso e qualche palato fine non apprezza tale bontà, poichè uno degli ingredienti principali è il sangue del maiale stesso e come ben si sa nella nostra cultura contadina allevare il maiale era però una priorità, più il maiale era grosso e grasso più ci sarebbe stato da mangiare per tutta la famiglia e la regola fondamentale era una:-del maiale non si butta via niente- e da questa filosofia nasce anche il nostro biroldo. Il mio amico ed esperto di tradizioni contadine (e non solo) Ivo Poli racconta dettagliatamente in suo articolo l'antica(e ancora attuale) ricetta per cucinare questo insaccato, ci parla di un lungo procedimento di oltre sei ore di cottura. Il biroldo si cucinava con le parti meno nobili del porco: tutta la testa, la milza, i polmoni, la lingua e
una piccola parte di sangue (due bicchieri circa), il tutto veniva immerso in una caldaia con acqua a sufficienza e salata a dovere, dopo tre ore di bollitura veniva tolto il tutto e messo su un "tavolaccio" e si cominciava così a "scannare" la testa (n.d.r: togliere i pezzi di carne dalla scatola cranica), fatta questa operazione tutta la carne cotta veniva tagliata con un grosso coltello, dopodichè veniva spianata con le mani versandovi al contempo il sangue dell'animale, aggiungendo poi varie spezie: sale, pepe, noce moscata e cannella (naturalmente non sono note le percentuali usate che spesso diventavano un segreto da tramandare da padre in figlio), tutto il composto veniva così ben amalgamato e messo all'interno di una vescica, del budello dello stomaco e della "zia" altro grosso budello e rimesso poi a bollire nella medesima caldaia per altre tre ore, forando di tanto in tanto con una stecca di ferro questi piccoli "sacchi" in modo da far uscire l'aria contenuta al loro interno. A fine cottura i biroldi si toglievano dal pentolone e si lasciavano raffreddare all'aria aperta e messi sotto un peso per far si che potessero perdere il liquido grasso in eccesso. Ma questa ricetta e questo prodotto nostrale non è tipicamente della nostra cultura contadina, la storia del biroldo nasce da molto più lontano e la sua venuta nella nostra valle risale per lo meno a mille anni fa. Questa verosimile ipotesi nasce dall'etimologia del nome "biroldo" fatta da uno studio a dir poco interessante del famoso giornalista italo americano Frank Viviano(n.d.r: candidato otto volte al premio Pulitzer e collaboratore di un giornale locale) dove dice che questo insaccato è di origine germanica o meglio longobarda. Precisamente ci spiega che questo fiero popolo cominciò una lunga migrazione a partire dal II secolo dopo Cristo e si stabilì in Italia nel 568 guidati da re Alboino che piano piano estese il proprio dominio in tutto il territorio italico. Nel 590 i Longobardi comandati dalla regina consorte Teodolinda penetrarono nella Valle del Serchio con l'intento di rendere sicura l'antica Via Clodia (per la sua storia leggi:http://paolomarzi.blogspot.it/2016/03/la-prima--strada.html), fondamentale strada di collegamento fra la Tuscia e la Pianura Padana, in un batter d'occhio presero possesso di tutte le terre che divisero in tre zone distinte e qui si stabilirono in
maniera permanente portando con se i loro usi, costumi e anche le loro tradizioni culinarie, difatti la loro alimentazione era basata molto sul maiale, molte ricette della cucina tradizionale del nord Europa e sopratutto tedesca includono effettivamente budino di sangue di maiale e salsicce molto simili al nostro biroldo. In questo senso Viviano ci dice che questa stessa parola e di origine puramente nordica, spiegandoci che la costruzione linguistica "bl" (radice da cui nascerebbe la parola "biroldo") è molto rara in latino ed è molto comune nelle lingue germaniche ed è per questo motivo che quando i Longobardi hanno introdotto in Garfagnana questa ricetta la potrebbero aver chiamata in riferimento al suo ingrediente principale: il sangue, possiamo così notare l'origine di questa parola in tutte le lingue parlate nel nord Europa: dal vecchio inglese blod (con una o sola), dal proto germanico (n.d.r:lingua considerata come antenata di tutte le lingue germaniche)blodam, dall'olandese medio bloet, dal tedesco blut, ma la parola che secondo Viviano taglierebbe la testa al toro è sempre la proto germanica bhloto che probabilmente significa gonfiarsi, in riferimento proprio alle salsicce di sangue che non si gonfiano durante la cottura, da qui poi la distorsione linguistica (in questo caso toscana e ancor più giustamente garfagnina)della sillaba "bhlo" a "birol", un po' analogo -dice sempre Viviano- alla parola "blonden" in italiano "biondo", in riferimento sempre a quel popolo nordico che più di mille anni fa attraverso le Alpi. Ma come sapete bene l'Italia e la Garfagnana sopratutto è terra di campanili e c'è più di un paese nella nostra valle che si vuol prendere la primogenitura di cotanto prodotto e sempre il nostro buon Ivo Poli sostiene che la paternità del biroldo appartiene a Gallicano, tutto sarebbe provato da documenti ineccepibili -come egli sostiene- a certificare appunto questi carteggi sono le date, più antiche di
queste non esistono che parlano proprio di biroldo. Questo è esattamente il testo della delibera di consiglio della comunità di Gallicano del 1769 che -sempre secondo Ivo Poli- sgombrerebbe da ogni dubbio:
"Si fa noto che a ciascheduna persona, qualmente in esecuzione della Special Grazia accordata dall'Eccellentissimo consiglio a questa Comunità, si darà principio martedì prossimo al nostro mercato nella piazza fuori da questo Castello, e così continuerà in avvenire ogni settimana, e in caso che il detto giorno venisse impedito da festa si anticiperà il lunedì. Vi sarà poi una volta l'anno la Fiera alla quale si darà principio il 24 agosto e durerà tutto il restante di detto mese, per il qual tempo sarà lecito ad ognuno di vendere liberamente pane,vino e cibi cotti come sarebbe il biroldo"
Di acqua ne è passata sotto i ponti da quei tempi lontani ed oggi questo salume, da piatto povero è diventato una prelibatezza ricercata anche fuori delle sue zone d'origine, tanto da essere inserito nei presidi "slow food", ovvero quell'associazione
internazionale impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce e in armonia con ambiente ed ecosistemi. Insomma anche il biroldo appartiene orgogliosamente alla nostra terra.
Il biroldo |
Ci si prepara per cucinare il maiale |
soldato longobardo |
L'impasto per il biroldo |
"Si fa noto che a ciascheduna persona, qualmente in esecuzione della Special Grazia accordata dall'Eccellentissimo consiglio a questa Comunità, si darà principio martedì prossimo al nostro mercato nella piazza fuori da questo Castello, e così continuerà in avvenire ogni settimana, e in caso che il detto giorno venisse impedito da festa si anticiperà il lunedì. Vi sarà poi una volta l'anno la Fiera alla quale si darà principio il 24 agosto e durerà tutto il restante di detto mese, per il qual tempo sarà lecito ad ognuno di vendere liberamente pane,vino e cibi cotti come sarebbe il biroldo"
Di acqua ne è passata sotto i ponti da quei tempi lontani ed oggi questo salume, da piatto povero è diventato una prelibatezza ricercata anche fuori delle sue zone d'origine, tanto da essere inserito nei presidi "slow food", ovvero quell'associazione
internazionale impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce e in armonia con ambiente ed ecosistemi. Insomma anche il biroldo appartiene orgogliosamente alla nostra terra.