La storia non la fanno solo gli uomini, tra i vari protagonisti
delle varie civiltà ci sono anche gli animali. Alcuni ad esempio, come il cavallo Bucefalo di Alessandro Magno o Asturcone il cavallo di Giulio Cesare sono stati compagni inseparabili nelle battaglie di questi importanti condottieri, altri come il cane Argo di Ulisse sono sinonimo di fedeltà assoluta e sempre a proposito di cani mi viene in mente anche il pit-bull Stubby nominato sergente dall'esercito U.S.A durante la I guerra mondiale per aver salvato il suo reggimento dai gas asfissianti e sono sempre cani quelli che hanno fatto la storia aerospaziale mondiale come la piccola bastardina Laika che fu sacrificata nel lancio della navicella russa Sputnik II.Non parliamo poi della lupa capitolina che leggenda volle che allattando Romolo e Remo abbia dato il via a tutta la millenaria storia di Roma antica e questi non sono solo che alcuni esempi.In Garfagnana e nella Valle del Serchio non voliamo così in alto e rimaniamo un po' con i piedi per terra in questo campo, ma anche nella nostra terra c'è un animale a cui dare lustro e notorietà. Fu testimone di poesie fra le più belle di tutto il panorama italiano, questo animale si chiamava Gulì ed era il cane di Giovanni Pascoli e questa che racconterò oggi è la sua storia.
Per una volta quindi lasceremo perdere il protagonista principale di cui già si è tanto scritto e parlato e racconteremo del suo piccolo e fidato amico che il poeta considerava addirittura il suo alter ego a cui confidare le sue imprese e le sue sventure.
Un doveroso preambolo però è dovuto, per capire bene fino in fondo l'amore che il poeta aveva per gli animali. Giovanni Pascoli può essere considerato senza dubbio un antesignano degli animalisti, in un'epoca in cui le bestie avevano un ruolo marginale nei sentimenti della gente, in lui trovavano amore e comprensione che veniva ricambiata con un sentimento disinteressato di chi niente vuole in cambio. Prima di arrivare a Gulì nel 1858 abbiamo il primo cane, il meticcio Joli, compagno di giochi del piccolo Giovannino, ma non troviamo solo cani nella vita del poeta, a Castelvecchio (e non solo)ci fu una costante presenza di uccelletti, la storia di questi piccoli amici comincia con una tortorina, compagna di camera nel liceo di Urbino, proseguiva con un piccione viaggiatore che sembrava provenisse dal Belgio, continuava poi con il passero Ciribibì immortalato in una delicata poesia:"dal canto si consola, se il sol ride alla stanza" e ancora il lucherino, la capinera e l'usignolo, per finire alla tomba di Merlino il merlo dall'ala rotta, sepolto in una nicchia chiusa e sormontata da un epitaffio ormai illeggibile, poco più oltre riposa anche la capretta la cui madre fornì il suo latte alla figlia primogenita della sorella Ida. Tutto però magicamente cambiò quel 4 giugno del 1894 (come racconta l'amico Pier Giuliano Cecchi in suo bell'articolo) quando Gulì fece il suo ingresso in casa Pascoli. Mariù (la sorella del poeta) ricordava con queste parole quegli attimi di felicità:
-...quel caro compagnino che non doveva separarsi più da noi se non con la morte...-
Glielo portò infatti il padre di Antony De Witt (disegnatore delle poesie del Pascoli, vedi Myricae)e sempre Mariù nelle sue memorie così ne parla e lo descrive:
-... per collocarlo bene aveva pensato di farne dono a Giovannino. A dire il vero non poteva trovargli padrone migliore. Il cucciolo, che aveva appena cinque mesi, era un incrocio di due razze assai diverse essendo figlio di una canina levriera e di un bracco...Il pelame aveva raso, lucido e morbido come velluto; nero sul mantello e nella testa, ma bianchissimo nel petto, sul collo, in parte del muso e nei quattro piedi e nella punta della lunga coda. Era un gran bel balzanino, snello, elegante ed aristocratico.Ma quale nome poteva convenirgli?-
Proprio in quei giorni il Pascoli aveva ricevuto in dono un vassoio di dolciumi spedito da alcuni ex alunni con sopra stampigliato il curioso nome del pasticcere, tale Emanuele Gulì da Palermo e proprio nel mentre che pensa e ti ripensa tutti riflettevano sul nome da dare al nuovo amico a quattro zampe l'occhio del poeta cadde proprio su quel vassoio:
- Ecco trovato il nome! Gulì!-
E subito le sorelle Mariù e Ida cominciarono a chiamarlo con quel nome. Da quel momento fu parte integrante della famiglia, era considerato la punta del triangolo familiare, praticamente quella bestiola divenne come un figlio. Molti schizzi e disegni fatti a penna dal Pascoli rimangono ancora oggi, dove viene ritratto Gulì che passeggia con il padrone, Gulì sul divano e altri ancora e a quanto sembra il piccolo cane era "laureato", su alcune cartoline conservate a Castelvecchio si ritrova la firma "dottor" Gulì, addirittura sapeva pure leggere e scrivere (anche se con qualche erroruccio) tanto è vero che il 26 giugno 1901 il Pascoli invia una scherzosa lettera all'amico Caselli di Lucca dove si
immedesima nel cagnolino e nel suo presunto parlare:
-Spero presto rivederdi a manciare una piccola bistecca con losso e il ventilatore.Zio e mamma ti saltano e tabbracciano sono tuo Gulì Pascoli, dei piscottini menè toccati poini. Ne manciano molti zio e mamma e altri secatori.-
Visse felicemente con lo "zio" e la "mamma" per ben 18 lunghi anni e proprio sul finire del 1911 oscuri presagi si affacciavano all'orizzonte. In una lettera il Pascoli così chiudeva:- Non sto bene!-, già il tremendo male si manifestava nel fisico del poeta e il fidato Gulì sembrava saperlo, cominciò anche lui a perdere le forze e il vigore che sempre lo avevano contraddistinto e nel gennaio del 1912 il Pascoli ancora annota:
- Gulì, il caro Gulì, Dottor Gulì, quello che non era un cane ma Gulì stava morendo-
Purtroppo a distrarre Giovanni dalle cure mediche e quindi a ritardare anche la sua partenza per Bologna dove sarebbe andato per cercare di guarire dalla malattia, c'era una più immediata preoccupazione il povero Gulì stava peggiorando
Augusto Vicinelli nel suo libro del 1961 "Lungo la vita di Giovanni Pascoli" così scriveva:
-Ho ascoltato molto dopo,nella sala da pranzo di Castelvecchio, su quel divano dove il vecchio morì, Maria parlare ancora commossa di lui e ripetere un profondo motto di Giovanni:"Se un cane potesse conoscere Dio come lo amerebbe" e ricordare quella fine e il seppellimento,compiuto lei assente per non farla soffrire troppo,nell'orto dove già erano Merlino e la caprina-
Gulì spirò la sera del 21 gennaio 1912 alle ore 21 e 45. Volle "egoisticamente"morire due mesi circa prima del suo amato padrone per non soffrire troppo del suo distacco.Fu questo così l'ultimo sacrificio di un grande amore del cane verso il suo padrone. Il dispiacere fu tanto per Giovanni e Mariù, fu tale da non ammettere neppure agli amici e ai conoscenti il triste evento,in quella chiusa sensibilità domestica furono inventate mille bugie perchè non si sapesse in giro che Gulì era morto. Fu seppellito nel giardino di Casa Pascoli"tra odorosi laurii, cullato dal dolce canto degli sgriccioli e delle capinere".Lo stesso poeta disegnò la stele funeraria di quello che come lui disse:"non era un cane ma... era Gulì".
Gulì |
Per una volta quindi lasceremo perdere il protagonista principale di cui già si è tanto scritto e parlato e racconteremo del suo piccolo e fidato amico che il poeta considerava addirittura il suo alter ego a cui confidare le sue imprese e le sue sventure.
La tomba del merlo Merlino nel giardino di casa Pascoli |
-...quel caro compagnino che non doveva separarsi più da noi se non con la morte...-
Il Pascoli che gioca con Gulì |
Glielo portò infatti il padre di Antony De Witt (disegnatore delle poesie del Pascoli, vedi Myricae)e sempre Mariù nelle sue memorie così ne parla e lo descrive:
-... per collocarlo bene aveva pensato di farne dono a Giovannino. A dire il vero non poteva trovargli padrone migliore. Il cucciolo, che aveva appena cinque mesi, era un incrocio di due razze assai diverse essendo figlio di una canina levriera e di un bracco...Il pelame aveva raso, lucido e morbido come velluto; nero sul mantello e nella testa, ma bianchissimo nel petto, sul collo, in parte del muso e nei quattro piedi e nella punta della lunga coda. Era un gran bel balzanino, snello, elegante ed aristocratico.Ma quale nome poteva convenirgli?-
Proprio in quei giorni il Pascoli aveva ricevuto in dono un vassoio di dolciumi spedito da alcuni ex alunni con sopra stampigliato il curioso nome del pasticcere, tale Emanuele Gulì da Palermo e proprio nel mentre che pensa e ti ripensa tutti riflettevano sul nome da dare al nuovo amico a quattro zampe l'occhio del poeta cadde proprio su quel vassoio:
- Ecco trovato il nome! Gulì!-
E subito le sorelle Mariù e Ida cominciarono a chiamarlo con quel nome. Da quel momento fu parte integrante della famiglia, era considerato la punta del triangolo familiare, praticamente quella bestiola divenne come un figlio. Molti schizzi e disegni fatti a penna dal Pascoli rimangono ancora oggi, dove viene ritratto Gulì che passeggia con il padrone, Gulì sul divano e altri ancora e a quanto sembra il piccolo cane era "laureato", su alcune cartoline conservate a Castelvecchio si ritrova la firma "dottor" Gulì, addirittura sapeva pure leggere e scrivere (anche se con qualche erroruccio) tanto è vero che il 26 giugno 1901 il Pascoli invia una scherzosa lettera all'amico Caselli di Lucca dove si
Un disegno del Pascoli che ritrae Gulì e se stesso |
-Spero presto rivederdi a manciare una piccola bistecca con losso e il ventilatore.Zio e mamma ti saltano e tabbracciano sono tuo Gulì Pascoli, dei piscottini menè toccati poini. Ne manciano molti zio e mamma e altri secatori.-
Visse felicemente con lo "zio" e la "mamma" per ben 18 lunghi anni e proprio sul finire del 1911 oscuri presagi si affacciavano all'orizzonte. In una lettera il Pascoli così chiudeva:- Non sto bene!-, già il tremendo male si manifestava nel fisico del poeta e il fidato Gulì sembrava saperlo, cominciò anche lui a perdere le forze e il vigore che sempre lo avevano contraddistinto e nel gennaio del 1912 il Pascoli ancora annota:
- Gulì, il caro Gulì, Dottor Gulì, quello che non era un cane ma Gulì stava morendo-
Purtroppo a distrarre Giovanni dalle cure mediche e quindi a ritardare anche la sua partenza per Bologna dove sarebbe andato per cercare di guarire dalla malattia, c'era una più immediata preoccupazione il povero Gulì stava peggiorando
Augusto Vicinelli nel suo libro del 1961 "Lungo la vita di Giovanni Pascoli" così scriveva:
-Ho ascoltato molto dopo,nella sala da pranzo di Castelvecchio, su quel divano dove il vecchio morì, Maria parlare ancora commossa di lui e ripetere un profondo motto di Giovanni:"Se un cane potesse conoscere Dio come lo amerebbe" e ricordare quella fine e il seppellimento,compiuto lei assente per non farla soffrire troppo,nell'orto dove già erano Merlino e la caprina-
La tomba di Gulì |