Erano i primi giorni di febbraio dell'anno passato,erano trascorsi pochi giorni dalla pubblicazione di un mio articolo sugli ebrei internati a Castelnuovo Garfagnana (leggi:http://paolomarzi.blogspot.it/2015/01/27-.html) ed è mia abitudine la sera dopo cena di mettermi comodamente sul divano a controllare tutte le e mail arrivate durante la giornata e fra le varie pubblicità e altrettante futilità nello scorrere con le dita il mio tablet scorgo un cognome familiare alle mie ricerche: Kienwald...Il dottor Eli Kienwald dopo aver letto il mio pezzo mi contattava da Londra. Eli era un discendente della famiglia ebrea omonima di origine polacca fuggita da Castelnuovo nel momento del rastrellamento, evitando così di finire ad Auschwitz. Non vi immaginate la mia meraviglia e il mio stupore.Il dottor Kienwald innanzitutto si complimentava con me per l'articolo, preciso nella narrazione storica dei fatti e stilisticamente ben fatto,inoltre ricercava ulteriori notizie sul soggiorno forzato della sua famiglia a Castelnuovo (notizie che con piacere gli fornì documentandolo anche con varie foto che furono poi pubblicate sulla rivista ebraica Hamaor)).Nel susseguirsi dei giorni a venire la nostra corrispondenza telematica si infittì e si instaurò anche un certo rapporto di fiducia,tale fiducia mi fu ripagata un bel giorno quando con mia grande soddisfazione e onore mi inviò un pezzo di storia veramente unico e toccante: il memoriale di suo padre Leo Kienwald scritto nel 1996, pochi anni prima della sua scomparsa. Il dottor Kienwald mi fece partecipe di questo suo intimo ricordo del padre,
un diario bellissimo e particolareggiato nonostante fossero passati cinquantatre anni da quei giorni in Garfagnana. Raccontava di momenti tremendi, di giorni scampati alla morte e donati alla vita. Proprio oggi è "Il giorno della memoria", dove si ricorda l'immane tragedia dell'olocausto e questa è la mia testimonianza o meglio la testimonianza di Leonard Kienwald, attraverso un brano del suo diario dove racconta il girovagare suo e della sua famiglia attraverso le nostre montagne,il rapporto avuto con i garfagnini che lo tenevano nascosto e dove narra dei mille escamotage fatti per sfuggire dalle grinfie naziste.Ma prima un po' di antefatto è d'obbligo per inquadrare bene la situazione.
Tutto ebbe inizio quel disgraziato 4 dicembre 1943 quando arrivò l'ordine dall'Oberkommando der Wehrmatch (comando generale tedesco) dove si ordinava a tutti gli ebrei in domicilio coatto a Castelnuovo Garfagnana di presentarsi il mattino seguente presso la caserma dei carabinieri reali,il motivo non era spiegato. Molto probabilmente il giorno dopo tutte le famiglie ebree della zona si sarebbe presentate se non fosse stato per un maresciallo dei carabinieri che il giorno stesso confidò al dottor Meier (medico ebreo) l'imminente trasferimento della comunità ebraica presso il campo di concentramento di Bagni Lucca.Il maresciallo si raccomandò di avvertire tutti e di darsi alla fuga il prima possibile. In questa soffiata pochi vi credettero, fra questi pochi la famiglia Meier e la famiglia Kienwald che cominciò la sua fuga sulle montagne.
Dalle memorie di Leo Kienwald
"Eravamo arrivati a Castelnuovo in confino libero il 4 novembre 1941 da un campo internamento forzato in provincia di Cosenza. Personalmente vi rimasi solo un paio di mesi perchè nel frattempo ricevetti il permesso di recarmi a Padova per terminare gli studi. Ritornai a Castelnuovo dopo l'otto settembre '43 quando i tedeschi entrarono in Padova. A Castelnuovo vivevamo abbastanza tranquilli fino a quel maledetto 5 dicembre 1943.
Il cielo era grigio,quasi un segno della tragedia incombente. Perchè gli altri sono tutti finiti ad Auschwitz.E sono morti. Noi,padre,madre e due ragazzi,camminavamo su una strada sterrata,nella Valle Turrite,nella direzione opposta a quella della caserma dei carabinieri.Il giorno prima era stato impartito un ordine:presentarsi quella mattina alle otto.Un'ora prima ebbi ancora un fuggevole incontro con Elizabeth,tentai di convincerla a seguirmi,non poteva abbandonare la madre. Qualche anno fa la ritrovai nel "Libro della Memoria",ebbi così la conferma del tragico destino suo e degli altri internati a Castelnuovo Garfagnana. Che sarebbe stato il mio,il nostro.
Eravamo in fuga. In assoluto silenzio camminavamo su quella strada e non ci voltavamo,fuggivamo senza saperlo,dall'orrore, incontro all'ignoto,sapevo solo che dovevamo arrivare ad un certo punto dove si doveva attraversare il torrente. Ci arrivammo dopo circa quattro ore di cammino,attraversammo il torrente e cominciammo a salire nel bosco,al calar della notte arrivammo ad una capanna. Pioveva e ci sistemammo su paglia e foglie di castagno,il tetto tratteneva in parte la pioggia,bagnarsi non importava. C'era un solo pensiero salvarsi. Il mattino dopo ci rimettemmo in cammino salendo per la montagna senza precisa meta,raggiungemmo infine alcuni casolari. Era Colle Panestra. Ci presentammo come sfollati da una città bombardata in cerca di un rifugio,non avevamo nè documenti,nè soldi,solo le ultime carte annonarie di Castelnuovo. Trasformai il cognome Kienwald scritto a mano in "Rinaldo",un nome straniero poteva destare sospetti. Fummo infine accolti da una famiglia nei pressi di Fontana Grande a Piritano di Sotto,allora sapevo solo che ci trovavamo sull'Alpe di S.Antonio. Mio padre e mia padre dormivano in una camera messa a loro disposizione,a noi ragazzi diedero una capanna nel bosco dove si raccoglievano le foglie secche di castagno,ricevemmo una lampada ad acetilene e due coperte,scavammo un giaciglio nel cumulo delle foglie e ci avvolgemmo nella coperta. Il vento fischiava attraverso i tronchi della capanna,era dicembre, ma come era caldo quel letto naturale. Ricordo con commozione la bontà di quelle persone,ma non potevamo approfittare a lungo dell'ospitalità. Ci mettemmo quindi in cerca di un casolare abitato e lo trovammo a Pasquigliora non lontano da Colle Panestra. Era il casolare di un pastore, che prima della guerra portava su le pecore dalla Versilia. Il casolare era attrezzato giusto per quattro persone,ma non mancavano materassi,coperte e cuscini.Il custode del
rifugio Rossi, sotto la Pania della Croce abitava a Pirano di Sotto e si offrì di salire al rifugio con noi ragazzi per prelevare quanto occorreva per soggiornare. Fu un escursione memorabile, non avevamo le scarpe adatte. Lassù la neve era ghiacciata e non fui in grado di arrivare al rifugio,i cristalli di neve mi facevano girare la testa. Attesi il ritorno del custode e di mio fratello che portavano il materiale sulle spalle,presi anch'io una parte del carico ed iniziammo la discesa come meglio potevamo ed era inevitabile che scivolassi con il carico e solo per miracolo evitai di precipitare fermandomi all'ultimo secondo con i piedi contro le rocce,i pantaloni sul fondo schiena erano spariti. Potemmo così preparare i letti, ma non mi ricordo se abbiamo rimediato anche le lenzuola. La cucina sotto era grande e c'era un bel caminetto,c'erano paioli,scodelle e quant'altro serviva. Andammo nel bosco a procurare fascine di legna, imparammo a portare i carichi sul collo calzando sulla testa una specie di cuscino,occorreva tanta legna anche per scaldarci. Incominciammo a lavorare per i contadini che in compenso ci regalavano farina di castagne e qualche salsiccetta e addirittura fino all'esaurimento delle carte annonarie potevamo comprare un po' di pane,ma essenzialmente ci nutrivamo di castagne.
L'inverno incominciava ad essere veramente duro quando fuggimmo da Castelnuovo non portammo quasi nulla.Gli effetti personali erano rimasti in un baule lasciato nella casa e non si poteva superare l'inverno senza quegli indumenti, bisognava in qualche modo recuperarli.Un abitante di Castelnuovo con il quale mio padre si mise misteriosamente in contatto andò in quella casa, ruppe i sigilli applicati dai carabinieri,prese il baule,lo caricò su un mulo e ce lo portò su. Mio padre gli regalò parte del contenuto. Vivevamo dunque in quel casolare a circa 1000 metri di altezza,la principale preoccupazione era procurarsi da mangiare e la legna per scaldarsi era compito di noi ragazzi. Mio fratello era minore di
quattro anni e aveva sempre fame,i contadini erano generosi e la farina di castagne non mancava mai,imparammo a fare la polenta nel paiolo, a versarla sul piatto di legno e a tagliarla con la cordicella. Non volevamo essere mendicanti,facevamo i lavori per loro,il più terribile era caricare sul collo il cesto di letame per andare a spanderlo nei campi,la sera bisognava sottoporsi ad un intenso lavaggio. Passarono i mesi,passò l'inverno,non sapevo nulla allora di Auschwitz,avevo però la sensazione di essere scampato insieme ai miei ad un terribile destino. Spesso mi chiedevo dov'era finita Elizabeth.Certo è difficile vivere come animali braccati, in condizioni estreme.Oggi posso dire che era bello. Ero libero,eravamo liberi, in mezzo alla natura. La dignità d'uomo non era persa, ne la propria identità,non sapevo però come sarebbe andata a finire. Si viveva per sopravvivere..."
Il memoriale continua ancora, arriveranno giorni bui e veramente difficili, ma fra mille peripezie e altrettante brutte avventure la storia avrà il suo lieto fine.A me comunque piaceva fra le altre parti del diario questo brano in modo particolare perchè denota la bontà d'animo del garfagnino, pronto ad aiutare chi ha bisogno, infatti una serie di personaggi rimarranno indimenticabili per la famiglia Kienwald: dal maresciallo dei carabinieri che fa la soffiata, ai contadini pronti a dividere il cibo con quelli che erano degli sconosciuti, per arrivare al custode del rifugio Rossi che rischia la vita insieme a loro per rimediare alcune coperte.
I Kienwald non fecero ritorno in Polonia,come ebbi a dire, ma proprio grazie alle notizie avute di prima mano dal dottor Eli, oggi posso finalmente chiarire la situazione.
Una volta riusciti a consegnarsi agli alleati, la famiglia alloggiò in un campo di sopravvissuti a Lucca,poi a fine conflitto furono trasferiti a Roma. A quel punto l'intera famiglia pensò di andare in Israele e a questo scopo furono condotti in un campo di attesa(hachshara),dove molti ebrei aspettavano il loro turno per essere accettati nel nuovo Paese. Qui Leo incontrò quella che sarebbe diventata sua moglie (la signora Celeste De Segni) e si sposarono nel 1946, decidendo di fatto di rimanere a Roma, luogo di nascita del dottor Eli Kienwald e di sua sorella Tamara.
Nel 1966 Leonard Kienwald fu insignito dallo Stato Italiano della Croce al merito di guerra, ma il suo pensiero era sempre rivolto agli ebrei di Castelnuovo,tutti morti nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.
Castelnuovo Garfagnana fine anni 30 (foto archivio Fioravanti) |
Tutto ebbe inizio quel disgraziato 4 dicembre 1943 quando arrivò l'ordine dall'Oberkommando der Wehrmatch (comando generale tedesco) dove si ordinava a tutti gli ebrei in domicilio coatto a Castelnuovo Garfagnana di presentarsi il mattino seguente presso la caserma dei carabinieri reali,il motivo non era spiegato. Molto probabilmente il giorno dopo tutte le famiglie ebree della zona si sarebbe presentate se non fosse stato per un maresciallo dei carabinieri che il giorno stesso confidò al dottor Meier (medico ebreo) l'imminente trasferimento della comunità ebraica presso il campo di concentramento di Bagni Lucca.Il maresciallo si raccomandò di avvertire tutti e di darsi alla fuga il prima possibile. In questa soffiata pochi vi credettero, fra questi pochi la famiglia Meier e la famiglia Kienwald che cominciò la sua fuga sulle montagne.
Dalle memorie di Leo Kienwald
"Eravamo arrivati a Castelnuovo in confino libero il 4 novembre 1941 da un campo internamento forzato in provincia di Cosenza. Personalmente vi rimasi solo un paio di mesi perchè nel frattempo ricevetti il permesso di recarmi a Padova per terminare gli studi. Ritornai a Castelnuovo dopo l'otto settembre '43 quando i tedeschi entrarono in Padova. A Castelnuovo vivevamo abbastanza tranquilli fino a quel maledetto 5 dicembre 1943.
Il girovagare in Italia da un campo d'internamento all'altro della fam Kienwald |
Eravamo in fuga. In assoluto silenzio camminavamo su quella strada e non ci voltavamo,fuggivamo senza saperlo,dall'orrore, incontro all'ignoto,sapevo solo che dovevamo arrivare ad un certo punto dove si doveva attraversare il torrente. Ci arrivammo dopo circa quattro ore di cammino,attraversammo il torrente e cominciammo a salire nel bosco,al calar della notte arrivammo ad una capanna. Pioveva e ci sistemammo su paglia e foglie di castagno,il tetto tratteneva in parte la pioggia,bagnarsi non importava. C'era un solo pensiero salvarsi. Il mattino dopo ci rimettemmo in cammino salendo per la montagna senza precisa meta,raggiungemmo infine alcuni casolari. Era Colle Panestra. Ci presentammo come sfollati da una città bombardata in cerca di un rifugio,non avevamo nè documenti,nè soldi,solo le ultime carte annonarie di Castelnuovo. Trasformai il cognome Kienwald scritto a mano in "Rinaldo",un nome straniero poteva destare sospetti. Fummo infine accolti da una famiglia nei pressi di Fontana Grande a Piritano di Sotto,allora sapevo solo che ci trovavamo sull'Alpe di S.Antonio. Mio padre e mia padre dormivano in una camera messa a loro disposizione,a noi ragazzi diedero una capanna nel bosco dove si raccoglievano le foglie secche di castagno,ricevemmo una lampada ad acetilene e due coperte,scavammo un giaciglio nel cumulo delle foglie e ci avvolgemmo nella coperta. Il vento fischiava attraverso i tronchi della capanna,era dicembre, ma come era caldo quel letto naturale. Ricordo con commozione la bontà di quelle persone,ma non potevamo approfittare a lungo dell'ospitalità. Ci mettemmo quindi in cerca di un casolare abitato e lo trovammo a Pasquigliora non lontano da Colle Panestra. Era il casolare di un pastore, che prima della guerra portava su le pecore dalla Versilia. Il casolare era attrezzato giusto per quattro persone,ma non mancavano materassi,coperte e cuscini.Il custode del
Pasquigliora oggi, in inverno, dove i Kienwald si stabilirono (foto Emanuele Lotti) |
L'inverno incominciava ad essere veramente duro quando fuggimmo da Castelnuovo non portammo quasi nulla.Gli effetti personali erano rimasti in un baule lasciato nella casa e non si poteva superare l'inverno senza quegli indumenti, bisognava in qualche modo recuperarli.Un abitante di Castelnuovo con il quale mio padre si mise misteriosamente in contatto andò in quella casa, ruppe i sigilli applicati dai carabinieri,prese il baule,lo caricò su un mulo e ce lo portò su. Mio padre gli regalò parte del contenuto. Vivevamo dunque in quel casolare a circa 1000 metri di altezza,la principale preoccupazione era procurarsi da mangiare e la legna per scaldarsi era compito di noi ragazzi. Mio fratello era minore di
Castelnuovo Palazzo Littorio attuale caserma dei carabinieri (foto collezione Fioravanti) |
Il memoriale continua ancora, arriveranno giorni bui e veramente difficili, ma fra mille peripezie e altrettante brutte avventure la storia avrà il suo lieto fine.A me comunque piaceva fra le altre parti del diario questo brano in modo particolare perchè denota la bontà d'animo del garfagnino, pronto ad aiutare chi ha bisogno, infatti una serie di personaggi rimarranno indimenticabili per la famiglia Kienwald: dal maresciallo dei carabinieri che fa la soffiata, ai contadini pronti a dividere il cibo con quelli che erano degli sconosciuti, per arrivare al custode del rifugio Rossi che rischia la vita insieme a loro per rimediare alcune coperte.
I Kienwald non fecero ritorno in Polonia,come ebbi a dire, ma proprio grazie alle notizie avute di prima mano dal dottor Eli, oggi posso finalmente chiarire la situazione.
Una volta riusciti a consegnarsi agli alleati, la famiglia alloggiò in un campo di sopravvissuti a Lucca,poi a fine conflitto furono trasferiti a Roma. A quel punto l'intera famiglia pensò di andare in Israele e a questo scopo furono condotti in un campo di attesa(hachshara),dove molti ebrei aspettavano il loro turno per essere accettati nel nuovo Paese. Qui Leo incontrò quella che sarebbe diventata sua moglie (la signora Celeste De Segni) e si sposarono nel 1946, decidendo di fatto di rimanere a Roma, luogo di nascita del dottor Eli Kienwald e di sua sorella Tamara.
Nel 1966 Leonard Kienwald fu insignito dallo Stato Italiano della Croce al merito di guerra, ma il suo pensiero era sempre rivolto agli ebrei di Castelnuovo,tutti morti nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.